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Autore: CassandraBlackZone    21/09/2015    7 recensioni
AGGIORNAMENTO: 13° capitolo
[Jeff the Killer]
È impossibile. È una sua complice. L’ha tenuta in vita per uccidere più persone: è un’esca umana. Ci farà ammazzare tutti.
No, è inutile. Ogni giorno cerco di farmi coraggio e provare a raccontare la mia versione, così da smentire ogni sorta di voce, ma non ci riesco. Io vorrei davvero… raccontare cosa successe realmente quella notte di un anno fa. La notte in cui i miei genitori vennero uccisi.
Il mio nome è Elizabeth Grell. Sedici anni. E sono sopravissuta al tentato omicidio di Jeff the killer.
Genere: Azione, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeff the Killer
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una traditrice. Non riuscii a smettere di pensare che fossi una stramaledetta traditrice e ciò mi irritava, inquietava e mi confondeva, poiché stando davanti a quella torta mi sentivo in colpa nei confronti di Jeff. Forse era la paura di ritrovarmi con lui o forse, ironicamente parlando, mi ero così immedesimata in Liu a tal punto da essere… lusingata e felice, più di quanto non lo fosse Jeff, che applaudiva e sghignazzava compiaciuto. Lui, il serial killer di cui tutti avevano il terrore, il Sinistro Mietitore che portava via la vita a chiunque gli fosse d’intralcio senza pietà, era come ritornato ad essere quel normale quindicenne che era otto anni fa.
Perché? Cosa mi spingeva a sorridere dopotutto quello che mi aveva fatto passare? Perché continuavo a sorridere?
«Stai… crescendo, fratellino. Non sei contento?» disse Jeff ridendo. «Ho… preso anche un regalo. Guarda.»
Sorrisi a fatica. Cercai con tutte le mie forze di non tremare avvinghiando le unghie nelle ginocchia, mentre lui si apprestò ad avvicinarsi alle tribune.
«Oggi… è il compleanno di Liu» mi mormorò Ben terrorizzato.
«Questo… l’avevo capito.»
«Che cosa facciamo? Metterci a mangiare la torta e festeggiare allegramente?»
«Hai un’alternativa migliore?»
Una cosa era certa: non potevamo alzarci e scappare, poiché il risultato sarebbe stato la morte per entrambi. Per via delle manette, non potevamo attuare il classico piano distrai-e-scappa. In conclusione: potevamo solo rimanere lì e stare al gioco dell’insano ventenne.
«Senti Ben, dobbiamo stare al suo gioco. Lui crede che io sia Liu. La sua mente è rimasta a quel giorno. Lui… pensa ancora di avere quindici anni.»
«Non è il momento di fare la psicologa, Lizzie. Siamo in pericolo. Da un momento all’altro potrebbe ucciderci» tentò di fare passare la mano dal buco delle manette, ma invano. «È pur sempre un assassino.»
«Eccolo qua!»
Andando quasi sull’attenti, sia io che Ben forzammo un sorriso all’ennesimo ritorno di Jeff, che correva tenendo sottobraccio quella che sembrava una vecchia tavola da skate bruciacchiata, su cui erano disegnati dei grossi tentacoli viola che stringevano un vecchio relitto. Quella tavola, l’avevo già vista su delle vecchie foto della famiglia Woods.
«Te la ricordi, Liu?» chiese il killer entusiasta. «Tu… tu la volevi tanto e io… io ti avevo promesso che… che te l’avrei regalata, compiuti i… i… tredici anni.»
Sentii nuovamente il mio cuore stringersi. Cercai di ignorare il più possibile i respiri affannosi di Jeff, che si sforzava di parlare, ma soprattutto il suo vero sorriso. Era felice, lo era davvero e per un momento, mettendomi nei suoi panni. Ripensai alla sua storia, alla sfortuna che aveva avuto, a sentire il dolore che aveva provato mentre la sua pelle veniva mangiata dalle fiamme e alla sua psiche che andava sempre più in frantumi, come la bottiglia di vodka spaccata per tramortirlo. Non c’era alcun dubbio: chiunque avrebbe agito allo stesso modo, chiunque si sarebbe sentito in dovere di colmare il vuoto.
«Li…u? Perché? Perché piangi?» lasciata cadere la tavola, Jeff si avvicinò a me parlandomi dolcemente e asciugandomi le lacrime dalle guance con entrambi i pollici. «Liu? Non ti piace? Non sei contento?»
Scossi la testa e con le labbra che tremavano gli sussurrai:«Sono felice. Davvero. Grazie mille.»
Allargate le braccia, invitai Jeff ad avvinarsi di più e lo abbracciai, lasciando che anche lui contraccambiasse.
«Ti voglio bene, fratellino.»
 
 
Dal telegiornale del giorno aa/bb/cc:
 
Questa sera, al liceo X, il tanto atteso ballo scolastico venne brutalmente interrotto dall’arrivo inaspettato di Jeff the killer, lo psicopatico assassino che  ha già decimato diverse vittime della città. Ragazzi e insegnanti sono ancora sotto shock, mentre una serie di ambulanze sono arrivate giusto in tempo per i feriti.
La polizia sta interrogando tuttora il preside della scuola, riuscendo così a scoprire che all’interno dell’edificio sono stati presi in ostaggio due studenti: Elizabeth Grell, la famosa sopravvissuta alle grinfie di Jeff, e Benedict Scott, entrambi di sedici anni. Alla luce dell’interrogatorio di alcuni studenti, a quanto pare a dare l’allarme furono proprio i due ragazzi. Ora come ora, onde evitare che succedano disgrazie ai due eroi, le vetture della polizia si limitano a circondare il liceo.
 
 
«No, non si fa così. Devi solo mettere le mani con i palmi rivolti verso il basso sopra i miei. Non ti devi appoggiare. Se no il gioco non funziona.»
Vedere l’inaspettata innocenza di Jeff, mi intenerì incondizionatamente. Non mi sentivo più minacciata o impaurita, poiché era come se davanti a me ci fosse veramente un quindicenne indifeso e bisognoso di essere guidato.
Lentamente, Jeff mise le sue mani sopra le mie e al mio primo movimento brusco le ritirò ridendo. «Ancora! Ancora! Tanto… non mi prendi!»
«Vuoi scommettere?» invitai il moro ad avvicinarsi e, non appena si posizionò, gli colpì i dorsi.
«No! Mi hai preso! Sei bravo!»applaudì divertito.
«Sì. Sono veramente un asso» sorrisi, con sincerità.
«Dottore! Dottore! Prenda altra torta!» con la mano tremolante, Jeff allungò a Ben un secondo piatto di carta con un’abbondante fetta di torta al cioccolato tra una risata e l’altra.
«Oh, ti ringrazio, Jeff, ma sono pieno.»
«Avanti! Non… non si vergogni!» ansimò l’assassino continuando a ridere.
Ben si sforzò di ricambiare accennando un sorriso e prese il piatto. Dopo due forchettate, si lasciò trasportare dal gusto ricco del cioccolato, golosamente. «È davvero buona.»
«Hai ragione» lo assecondai.
«Una foto! Facciamoci una foto!» Spostata la torta, Jeff tirò fuori una vecchia polaroid e l’appoggiò davanti a me e a Ben, tutto eccitato. Impostato l’autoscatto, si apprestò a mettersi al mio fianco, prima dello scadere de tempo: un sorriso e… ecco lo scatto.
Il flash della fotocamera, mi indusse a lanciare uno sguardo all’orologio sopra ai portoni della palestra e constatai che eravamo dentro là dentro da circa un paio d’ore. A quel punto, mi accorsi che ciò che stavamo facendo, o meglio, che io stavo facendo, non era affatto la cosa giusta. Cosa mi succederà dopo? Mi porterà via con sé? Mi costringerà a vivere con lui? Dovrò fingere di essere Liu Woods per il resto della mia vita? Il panico cominciò ad assalirmi non appena pensai alle conseguenze delle mie azioni.
Mi alzai di colpo sorprendendo Ben, ma soprattutto Jeff, che subito si allarmò-
«Liu? Che… che succede?» mi chiese leggermente innervosito.
«Io… devo andare in bagno, Jeff» mormorai insicura.
«Oh, ho capito. Allora… Allora lascia che ti… ti accompagni» fece per avvicinarsi.
«No, tranquillo! Io… so dove si trova. E poi… c’è il dottore con me.»
«Ho detto… CHE TI ACCOMPAGNO IO!»
Come una bestia svegliatasi all’improvviso, Il killer riemerse dalle profondità dell’uomo ritornato ragazzino e mi attaccò prendendomi per le braccia.
«J-Jeff, mi stai facendo male» gli dissi impaurita e incapace di reagire.
«Tu… non te ne andrai… dobbiamo… dobbiamo tornare a casa… INSIEME!»
«Molla l’osso! Maledetto!» urlò Ben, cercando di allontanare Jeff da me a strattoni.
«Dottore… non ti conviene! Lui… è mio fratello… È SOLO MIO!»
La profonda voce di Jeff fu come un campanello d’allarme che richiamò quelle che, al loro arrivo, parevano essere bombole del gas. Enormi cilindri metallici fecero irruzione nella palestra dall’alto, lanciati da un elicottero che distrattamente tutti e tre non ci accorgemmo della sua presenza.
«È la polizia! È venuta a salvarci!» annunciò entusiasta Ben.
Intanto, raggiunto il pavimento, le bombole iniziarono a diffondere del gas molto denso. Appena si avvicinò a noi, capimmo che si trattava di gas lacrimogeno.
«Dannazione! Dobbiamo Andarcene! Corri Lizzie!»
Trascinata da Ben, io e lui corremmo via, imbucando il lungo corridoio che si collegava direttamente alla scuola, mentre Jeff, non potendo chiudere gli occhi, rimase in quella cortina di fumo e tra le sue urla di dolore.
«Ma Jeff… non possiamo lasciarlo lì!»
«Svegliati, Lizzie! Non sei più Liu! Non puoi metterti a fare la sua parte anche qui!»
Col cuore in gola e i polsi doloranti, Ben ed io girammo tra i corridoi con gli occhi che bruciavano. La mancanza di luce non fu di certo d’aiuto, sicché andammo a sbattere contro gli armadietti svariate volte. L’adrenalina ribolliva nel nostro corpo e si accumulò sempre più, dopo l’ennesimo grido disperato dell’assassino.
«Dobbiamo raggiungere il tetto» dissi affaticata. «È probabile che ci aspettino lì sopra.»
Con ultimo sforzo, inquadrammo la rampa di scale che ci avrebbe portato sul tetto e, con un sorriso accennato e un leggero sollievo, corremmo il più velocemente possibile, raggiungendo la porta; eravamo pronti ad uscire, quando… quella non si aprì.
«Maledizione! Non è possibile! É chiusa!»
«Che… che cosa facciamo.»
«Io… Io non è ho idea, Lizzie. Non possiamo uscire e non possiamo nemmeno scendere. Cazzo!»
«No… scendere è fuori discussione.»
Quel vano tentativo di fare del sarcasmo, non servì ad alleggerire la situazione, poiché a bloccare le scale c’era Jeff ansimante, con gli occhi rossi per via del lacrimogeno e intrisi di furia cieca. Gli squarci ai lati della bocca si erano allargati per quanto aveva gridato.
«Liu… non puoi… sfuggirmi» boccheggiò, visibilmente senza forze. «Tu… devi stare con me. LIU!»
«Io non sono Liu!»
Jeff si fermò, confuso, più di quanto non lo fosse Ben e io stessa.
La mia bocca si era mossa a mia insaputa, rivelando ciò che non avrei dovuto per la mia incolumità. «Non sono Liu» ripetei con più calma.
Jeff fremette, iniziò ad alzare le spalle al ritmo del suo respiro pesante. Stava per perdere il controllo, lo si vedeva benissimo.
«Lizzie! Ma sei impazzita! Che cosa hai in mente?! » mi chiese allarmato Ben.
«Io… mi chiamo Elizabeth Grell. Sono una ragazza, non sono tuo fratello Liu, Jeff. Non sono quello che pensavi un anno fa. Te lo ricordi, vero? Tu hai ucciso i miei genitori.»
«No… tu… tu sei Liu. Sei Liu!» ignorò lui.
«Ho detto che non lo sono! Sono Elizabeth e devi fartene una ragione. Solo perché gli assomiglio non vuol dire che io lo sia.»
Jeff scosse la testa portandosi le mani alle orecchie. «No.. no… NO! Io… so che sei Liu! Tu sei mio fratello! Io… non ti ho ucciso!» disse con la voce tremante.
«No. Invece tu l’hai ucciso eccome. L’hai fatto mentre dormiva. L’hai fatto da codardo, solo perché la tua vita era andata in frantumi a causa del trauma subìto e hai deciso che a pagarla dovevano essere gli altri, quando in realtà era stata tutta colpa tua!» mi accorsi troppo tardi che lo stavo provocando pesantemente, ma ogni mia parola sembrava uscire, detto banalmente, per magia, come se in fondo sapessi già a cosa stavo andando incontro. Come se… sapessi che tutto sarebbe finito secondo i piani.
«NON È VERO!» estratto il coltello dalla felpa, Jeff corse in preda all’ira verso di noi, barcollando di tanto in tanto.
«Cazzo! Sta arrivando! Lizzie, vieni qu-… »
«No, Ben. Non questa volta» prima che potesse fare un passo davanti a me, allargai le braccia: sapevo cosa dovevo fare.
«Lizzie! Che diamine fai?!»
«Quello che avrei dovuto fare un anno fa. Accettarlo.»
«Ma di cosa stai parlando?!»
Quattro metri separavano me e l’assassino dei miei genitori e solo agli ultimi due fui pronta a riceverlo, proprio come quella notte in cui mi rassegnai al mio destino. Inspirato profondamente, chiusi gli occhi, mi inginocchiai e, ignorando la voce di Ben e il suo tentativo di smuovermi, aspettai.
Fu come un déjà vu: qualcosa di caldo mi colpì come carboni ardenti sulle guance. Erano piccole gocce nere che cadevano una ad una da quelli che un tempo erano gli occhi di un essere umano. Per la seconda volta, vidi Jeff piangere e abbassare il coltello, indirizzato al mio petto.
«Perché… Perché non mi sono fermato?» singhiozzò lui, portandosi alla mia altezza. «Perché… non mi sono fermato in tempo?! Mamma… papà… Liu… il mio fratellino! PERCHÉ NON MI SONO FERMATO?!»
Quelle urla disperate riecheggiavano per il corridoio, invocando invano aiuto, affinché qualcuno lo potesse salvare da quella prigione che era la pazzia. Più lo sentivo sgolare, più le mie lacrime cedevano alla tentazione di scendere; e così accadde.
D’istinto, mi avvicinai a Jeff che ancora piangeva lacrime di sangue e lo abbracciai. «Mi dispiace, Jeffrey. Mi dispiace tanto.»
Inaspettatamente, Jeff lasciò cadere il coltello e ricambiò il mio abbraccio stringendomi forte a sé. «Perché? Perché… io?» si domandava sofferente.
«Non lo so. È… uno scherzo del destino.»
«Il fuoco… non smette. Continua a… bruciare.» continuò lui.
«Il fuoco?»
«Sì… brucia e brucia… ma il mio corpo… e ancora vivo. Devo… uccidere. Uccido… per farlo smettere» disse a denti stretti.
«Io… non ti capisco.»
«Nessuno… può farlo… nessuno.»
Confusa e arrabbiata, era così che mi sentivo mentre abbracciavo Jeff. Jeffrey Woods, che prima di diventare Jeff the Killer era un semplice quindicenne trasferitosi in una città, pronto a farsi dei nuovi amici a scuola e vivere con la sua splendida e amorevole famiglia. Cosa aveva fatto per meritarsi tutto questo? A quale scopo il Destino ha voluto stravolgere la sua vita? Mille domande si annidarono nella mia mente, ma purtroppo qualcosa mi impedì di porle, o meglio, qualcuno.
«OSTAGGI PRELEVATI! »
Le porte d’emergenza che portavano al tetto, vennero forzatamente aperte dall’esterno da due poliziotti muniti di martelli e cesoie e giubbotto antiproiettile. Uno di loro ci prese dai fianchi e ci allontanò da Jeff.
«LIU!» urlò lui, tra le lacrime. «BASTARDI!»
«Blocchiamolo! Non dobbiamo lasciarlo scappare! »
Ripreso in mano il coltello, Jeff iniziò a sventolare la mano in direzione delle braccia e le gambe dei poliziotti. Due vennero subito accoltellati.
«No! Vi prego! Non fategli del male! Lui… ha bisogno di aiuto!» tentai di far ragionare gli agenti.
«Portateli subito sull’elicottero! Qui non sono al sicuro!» mi ignorò il più vicino a me.
«Sì!» rispose il rosso che ancora ci teneva stretti. «Andrà tutto bene, ragazzi. Siete salvi.»
«LASCIATELO! LASCIATE LIU! DEVE STARE CON ME!» la follia prese nuovamente il sopravvento e guidò il corpo di Jeff, affinché si sbarazzasse momentaneamente della polizia e si apprestasse a raggiungere l’elicottero, ormai in volo.
«LIU!» senza arrendersi, Jeff si lanciò dal tetto, convinto di poter raggiungere senza problemi il veicolo, ma le uniche cose che riuscì a prendere furono le mie gambe.
Il risultato di quel gesto fu inevitabile: il poliziotto, distratto, non si accorse di Jeff e quindi scivolai dalle sue mani, trascinando con me Ben. Tutti e tre iniziammo a cadere nel vuoto e il palo a cui era attaccata la bandiera degli Stati Uniti d’America, era pronto a spaccare la mia testa.
 
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Maller controlla per l’ennesima volta il suo orologio da taschino: l’una e un quarto di notte. Ormai la biblioteca doveva essere completamente vuota e, grazie ad una telefonata, avvisò il custode notturno di non venire perché ci sarebbe stato lui per tutta la notte.
Il curatore si appresta a salire le scale e ad aprire furtivamente la porta principale. Sorvola la magnificenza dell’entrata e cammina velocemente verso la DeWitt Wallace Periodical Room. Raggiunto l’archivio, va alla ricerca dello scaffale in cui sono custoditi i quotidiani a nome di Jeff the Killer, ma non trovandoci il fantomatico diario di Elizabeth Grell, inizia a far cadere il materiale nervosamente.
«Dannazione! Dove sarà finito? Mi avevano detto che era stato analizzato. Allora dov’è?!»
«É un miracolo. Sono viva. Non lo avrei mai detto, ma… lo sono davvero.»
«Chi è là?!» disorientato e allarmato, Maller inizia a girare intorno agli scaffali di ferro, avendo sentito una voce. «Vieni fuori!»
«Mi svegliai all’ospedale. Vicino a me c’erano nonna Jo, David e Matt, sollevati della mia convalescenza. Nel letto di fianco al mio, c’era Ben con un braccio ingessato e la testa fasciata. Sapevo bene che erano tutti arrabbiati, ma per fortuna il mio risveglio fu al primo posto, assieme a un fatto inaspettato dalla sottoscritta…»
«Dove sei?!» continua ad urlare a perdifiato il cinquantenne, perdendo completamente il suo essere inglese, mentre la voce procede a parlare.
«la mia uscita dal coma non era l’unica sorpresa: non ho più la mano destra. Nonna Jo mi spiegò che fu Jeff the Killer a tagliarmelo, mentre cadevo dall’elicottero. Iniziai subito ad aver paura e a disperare, ma Ben riuscì a tranquillizzarmi, spiegandomi come fossero andate realmente le cose.»
«Guarda che se non esci da solo, sarò costretto a chiamare la polizia!» minaccia a vuoto.
«Come pensavo, ho rischiato di morire, ma onde evitare che andassi a sbattere violentemente la testa, Jeff per comodità dovette tagliare il mio braccio. La polizia riuscì a prenderci in tempo, con l’aiuto di trampolini elastici. Per quanto riguarda Jeff, era riuscito a scappare.»
«FATTI VEDERE BASTARDO!» qualcosa di freddo sulla gola lo ammutolisce e lo fa sbattere contro una libreria. La lama del coltello scivola lentamente sulle guance, procurandogli due piccoli tagli. «S-stronzo…»
«Ma come, curatore Maller? Ero convinto che lei fosse un uomo per bene. Che delusione.»
Completamente oscurato, Maller non riesce a distinguere la figura davanti a sé, a parte dalla voce, che in qualche modo gli pare di riconoscere.
«Tu… c-chi sei?»
«Oh, già. Mi perdoni. Ma oggi non ci siamo presentati. Probabilmente avevamo entrambi la testa fra le nuvole. Allora… mi presento»spostatosi per bene sotto la luce del lampadario, l’aggressore è finalmente ben visibile.
«No… non può essere… T-tu sei…» balbetta il curatore, iniziando a sudare freddo. I suoi occhi rimangono pietrificati davanti alle suture ai lati della bocca e sul resto del viso, ma soprattutto della più lunga sul suo collo. «B-Benjamin? Il… ragazzo che sostituisce… Sullivan?»
Il ragazzo schiocca la lingua deluso. «Oh, per un momento ero convinto che avrebbe detto il mio nome. Un vero peccato. Be’, colgo l’occasione per dirle che non è il mio vero nome, purtroppo. Benjamin Allen lo uso solo quando non sono in servizio.»
«Io… non capisco. Allora… chi sei?»
Gli occhi color prato del ragazzo penetrano in quelli grigi dell’uomo impaurito. Portatosi una mano fra i capelli biondi, sospira rassegnato. «Odio dirlo in giro, anche perché solitamente non mi faccio mai vedere, ma… visto che abbiamo una lunga chiacchierata da fare, glielo dirò. Un tempo io ero Liu Woods.»
«Liu… Woods?» chiede sorpreso Maller, sapendo di chi si tratta.
«Sì, un tempo, ma ora io sono: Homicidal Liu.»
«Homicidal… Liu?»
«Oh santo cielo, la prego… Lei è un illustre curatore, non un pappagallo. Be’… diciamo che lei non è poi così illustre come vuole far credere» tenendo ben premuta la mano con il coltello sul viso dell’uomo, con l’altra raggiunge la tasca della giacca di pelle e tira fuori delle fotografie. Esse ritraevano Maller nell’atto di violentare una ragazza dai capelli biondi.
«Ma… queste sono…» sussurra l’uomo.
«Oh, se la ricorda bene, eh?»
«I-io… non so di cosa stai parlando» mente girando lo sguardo, ma la lama lo costringe a riportare gli occhi sulle foto.
«È uno stramaledetto bugiardo! Lei sa chi è! È Rebecca Nives, una ragazza a cui da’ ripetizioni e lei, brutto maiale, ogni dannatissimo giorno la costringe a prostituirsi per pagarsi le lezioni!»
«È una ragazza di campagna! Non aveva soldi per pagarmi!» cerca di giustificarsi.
«Sa cosa ci diceva ritornata a casa? Il signor Maller è un uomo gentile, non mi fa pagare e mi insegna. Certo! Perché purtroppo è costretta ad alzare il culo per uno come lei!»
«Ma tu cosa c’entri?!»
«Io sono un suo amico!»
Alla fine Liu cede alla tentazione e recide la gola di Maller con un taglio netto del coltello.
L'uomo si accascia a terra, affogando nel suo stesso sangue che intanto sgorga dal profondo squarcio. «A-aiuto... qualcuno... mi aiuti.»
Liu pulisce disgustato la lama con la sua sciarpa. «È tutto fiato sprecato. È notte fonda e ci siamo sono noi due nella biblioteca.»
Il rossore del curatore si avvicina sempre di più ad un viola misto a blu.
Liu si inginocchia vicino al corpo ormai prossimo alla morte, indietreggiando man mano che la pozza di sangue si allarga. «Ritorniamo alle buone maniere. Sa, ero veramente convinto che lei fosse un uomo per bene, ma fortunatamente ho voluto seguire il mio istinto e... poof! Alla fine non lo è affatto.» sventola il diario davanti agli occhi di Maller, che lo segue desideroso di averlo tra le mani.
«I-il... diario...» mormora a fatica.
«Ma tu guarda. È ancora vivo» sbuffa il giovane killer. «Spiacente. Ma non le permetterò di fare dei soldi con questo diario. Non le appartiene.»
«D-dammelo... »
«Ha sentito la mia narrazione? Sono stato bravo, eh? Ovviamente non ho letto i dialoghi e la parte smielata della città, dei parenti e degli amici. È palese che una ragazzina che perde un braccio venga di punto in bianco presa in considerazione. È un classico cliché, sarebbe stato noioso.»
«Le...le cicatrici...»
«Oh, è già arrivato alla parte in cui delira e inizia a parlare di cose a random, dico bene? Be', ha mai sentito parlare di fondotinta? È in grado di coprire ogni cosa, anche le suture. Ormai lo uso da anni.»
«Sullivan...»
«Uffa,che rottura... il buon vecchio Sullivan purtroppo è passato a miglior vita. Non mi fraintenda. È morto di infarto,non c'entro niente. È stato un vero colpo di fortuna. Non crede?»
Nessuna risposta. Gli occhi di Maller erano spenti e senza vita, che fissano il vuoto dell'anima di Liu attraverso i suoi smeraldi: è morto.
«Accidenti. Cominciavo a prenderci gusto, sa? Se ne è andato proprio sul più bello. Le stavo per dire perché stavo cercando il diario.»
Di nuovo nessuna risposta.
«Davvero un peccato. È raro poter parlare con le proprie vittime, specialmente se la vittima in questione si è presa la briga di fare qualche ricerca su di me» aperta la sua giacca, Liu tira fuori dalla tasca interiore un busta di plastica contenente ritagli di giornale vecchi di circa una decina d’anni: Famiglia Woods assassinata: dov’è il fratello dell’assassino?, così recita uno dei titoli.
«La polizia è davvero incompetente. Si sono accorti della mancanza del mio corpo solo dopo una settimana, mentre io me ne stavo nascosto in una grotta del bosco vicino casa. La sfortuna ha voluto che piovesse e non hanno trovato alcuna traccia di me» Liu accarezza la sutura al collo e, chiusi gli occhi, rievoca quella notte in cui venne svegliato da Jeff; rievoca il suo vano tentativo sfuggirgli ma senza riuscirci, perché la paura gli impediva di muoversi e infine… rievoca la lama del coltello che lentamente gli tagliava la gola e gli sfregiava il viso.
Liu sorride, quasi divertito, ricordando quella strana sensazione della carne tagliata e la risata del fratello impazzito e sfigurato. Sorride, perché in cuor suo sa che è sopravvissuto affinché potesse vendicare la morte dei suoi genitori. Sorride, perché sa che presto sarebbero ritornati ad essere fratelli.
«Oh Jeff. Quanta pazienza ci vuole con te. Ho dovuto anche ripulire tutto quel casino per poterti avere solo per me. Come si chiamava quel tipo? Jordan? Sì, doveva essere Jordan» Liu alza il diario e lo sfoglia velocemente fino ad arrivare ad una fotografia, che ritrae Jeff, Elizabeth e Benedict. «Non mi stupisce che tu l’abbia scambiata per me. Siamo due gocce d’acqua» ridacchia di gusto.
La caduta di una pila di giornali, riporta l’attenzione del ragazzo sul corpo marcio del curatore stupratore, irritandolo. «Che dire. Ho vendicato Rebecca con successo. Ora potrà continuare la sua vita di sempre, solo… senza di me» assicuratosi di aver preso tutto, Liu fa per uscire dalla biblioteca, soffermandosi di tanto in tanto davanti alle splendide decorazioni, ma senza dimenticare la sua missione. «Grazie mille degli auguri, fratellone. Ora vengo a prendere il mio regalo di compleanno.»
 
FINE
 
ANGOLO DELL’AUTRICE: Che dire, sono arrivata alla fine. Ammetto che temo di essere stata un po’… banale… Non so… però questo finale ce l’avevo in testa fin dall’inizio e spero che vi sia piaciuto e di non aver deluso nessuno.
Finale ambiguo, eh? Pensate che potrebbe esserci un sequel, eh? Be’, ad essere sincera… non è sicuro, in poche parole: tutto è possibile ^_^ Mi spiace davvero un sacco per Elizabeth… un braccio tagliato?! Ma davvero?! Sono veramente malata… Boh, ormai il danno è fatto perciò… Ringrazio tutti coloro che hanno seguito fino a qui Diario di una sopravvissuta, nonostante alla fine non sia stato un vero e proprio diario. Ci vediamo alla prossima storia o sulla mia seconda storia sulle Creepypasta CRP Apocalypse ancora in corso.
Baci e abbracci <3
 
Cassandra
   
 
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