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Autore: Jordan Hemingway    22/09/2015    0 recensioni
Cronache delle disastrose (ma anche no) avventure di tre amici folli e fieri di esserlo. I temi sono sviluppati da prompt degli eventi del gruppo We are out for prompts
Era cominciato tutto una sera d’estate, quando la macchina di Francis aveva deciso di esalare l’ultimo respiro sulla strada per Napoli.
O forse era iniziato ancora prima, quella primavera a Barcellona, quando Gilbert aveva fatto irruzione nell’appartamento sventolando una cartina dell’Italia rubata al fratello e declamando frasi in italiano stentato.
Probabilmente tutto aveva avuto inizio nel momento in cui Antonio, fresco di diploma, aveva preso tra le mani il volante e aveva premuto la frizione.
Genere: Avventura, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bad Friends Trio, Inghilterra/Arthur Kirkland, Sud Italia/Lovino Vargas, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per l’event del gruppo FB We are out for prompt, credit del prompt al promptatore (#Axis Power Hetalia
Spamano AU: Spagna fa un viaggio in Italia con i suoi migliori amici (Gilbert e Francis) per festeggiare il diploma e lì conosce Romano, un aiutante pizzaiolo scorbutico sempre sporco di farina dagli occhi smeraldo.)
 
Era cominciato tutto una sera d’estate, quando la macchina di Francis aveva deciso di esalare l’ultimo respiro sulla strada per Napoli. 
O forse era iniziato ancora prima, quella primavera a Barcellona, quando Gilbert aveva fatto irruzione nell’appartamento sventolando una cartina dell’Italia rubata al fratello e declamando frasi in italiano stentato.
Probabilmente tutto aveva avuto inizio nel momento in cui Antonio, fresco di diploma, aveva preso tra le mani il volante e aveva premuto la frizione.
“Scheibe, è morta. Di nuovo.” Gilbert fissò l’auto come se non potesse concepire che il veicolo avesse potuto tradirlo in quel modo.  “Un’auto tedesca non l’avrebbe mai fatto.”
“Allora la prossima volta tu metti la macchina e io il carburante.” Francis si rialzò da sotto il cofano con aria cupa. “Sempre che tu riesca a procurartene una, mon ami.”
“Solo perché Lud non ha voluto, non significa che…”
Antonio decise di intervenire prima che la situazione degenerasse. “Pensiamo al presente: qualcuno ha idea di dove siamo finiti?”
“Secondo la cartina,” Gilbert estrasse il pezzo di carta ormai ridotto a brandelli (“Perché usare il navigatore? Io sarò meglio di qualunque navigatore!”), “dovremmo già essere arrivati a Napoli.”
I tre si guardarono intorno: oltre la linea di asfalto, le colline campane si stendevano da ogni lato, illuminate solamente dai raggi del sole al tramonto.
“Ma forse, nel caso improbabile che mi fossi sbagliato,” continuò velocemente il tedesco, sentendo un’aura minacciosa provenire dai due amici, “potremmo trovarci ancora verso Benevento.”
“Nom d’un nom, significa aver girato in tondo tutto il pomeriggio.” Francis si portò una mano alla fronte.
“Non è colpa mia se in Italia le indicazioni fanno schifo, freund: pure tu, quando eravamo a quell’incrocio dopo Venezia…”
Antonio desiderò per un istante poter abbandonare lì auto e amici e tornarsene a Barcellona per diplomarsi di nuovo, ma ormai era tardi per i ripensamenti. La notte avanzava rapida, e le uniche luci visibili erano ora quelle delle stelle e…
“C’è un paese, lì in cima.” Indicò il chiarore irradiato da un gruppo di finestre e lampioni appollaiato su di un colle. “Possiamo cercare un meccanico e un posto dove mangiare e dormire.”
“Ma è tres distante, Antoine…” Uggiolò il francese, nemico di ogni sforzo.
“Se preferisci restare qui da solo…”
“Un po’ di moto dopo tante ore di guida mi farà bene.” Concluse Francis, trascinando la pesante borsa da viaggio ricolma di vestiti che non aveva assolutamente potuto non portare.


“Il meccanico è chiuso.” Tradusse Antonio a beneficio di tutti. Erano riusciti a raggiungere il paese (anche se chiamarlo villaggio sarebbe stato più opportuno) e a farsi capire da un paio di anziani intenti a godersi il fresco serale fuori dalle loro case. “Ma dato che siamo simpatici al vecchio ‘Ntoni,” indicò uno dei due vegliardi, il quale sorrise sdentato, “ha detto che andrà a svegliare suo nipote, il meccanico, per vedere che cosa si può fare.”
Francis lanciò un sorriso smagliante a ‘Ntoni e ai suoi amici.
“Magnifico.” Esultò Gilbert, agitando in aria il pugno in segno di vittoria. “Adesso cerchiamo del cibo.”
“Dicono ci sia una pizzeria qui vicino.” Antonio parlottò con i due anziani paesani. “E’ gestita da un altro nipote di ‘Ntoni, a quanto pare…”
“Che stiamo aspettando?”
Definirla pizzeria sarebbe stato un eufemismo: si trattava di un minuscolo negozio incuneato in un vecchio edificio in muratura, sbilenco quanto bastava per far temere un crollo improvviso. Alcuni tavolini sembravano essere stati gettati alla rinfusa accanto all’entrata.
I tre guardarono l’insieme, sconfortati.
“Pensare che a quest’ora potremmo essere stati nel miglior ristorante di Napoli…” Francis gettò un’occhiataccia in direzione di Gilbert, che lo ignorò e avanzò a passo di marcia verso il locale.
“Il profumo è buono, e i locali caratteristici sono sempre i migliori.”
Sospirando, Antonio li seguì: non che avesse avuto chissà quali speranze per il proprio viaggio post-diploma, ma aveva contato di passare le serate in luoghi un po’ più frequentati, con la musica nelle orecchie e l’alcool nel sangue per festeggiare la fine della carriera scolastica. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi bloccato nel mezzo del nulla, alla ricerca di qualcosa di commestibile assieme ai suoi migliori amici (per quanto in  quel momento desiderasse sopprimerli entrambi) in un paesino popolato di anziani.
Il rimpianto non l’avrebbe portato da nessuna parte: decise di fare buon viso a cattivo gioco, e stampandosi uno dei suoi famigerati sorrisi sulla faccia (di quelli che Francis giurava facessero voltare chiunque, dalle ragazze ai cani randagi) varcò la soglia della cosiddetta pizzeria.
E si bloccò.
“’Azzo volete a quest’ora?” Li accolse un ragazzo dai capelli castani circondato da un’aureola di farina e dagli occhi verdi più spettacolari che avesse mai visto. “E’ chiuso, tornate domani. E tu che hai da guardare?” Domandò irritato ad Antonio, che lo fissava con sguardo vacuo.
L’angelo della pizza era sceso sulla terra, fu l’unico pensiero coerente dello spagnolo, e stava parlando con lui.
“Romano, falla finita e guadagnati la paga.” Dal retro sbucò un uomo altrettanto coperto di farina, e altrettanto rumoroso, che però allargò le braccia per accogliere i tre nuovi arrivati. “Vi manda zio ‘Ntoni, giusto? Fate come se foste a casa vostra!” Li fece accomodare. “Romano, tre pizze speciali per gli amici di ‘Ntoni!”
“Fattele da te, bastardo.” Fu il responso dell’aiutante pizzaiolo, già pronto a scappare fuori dal locale. Con un guizzo schivò il placcaggio del suo datore di lavoro e tentò di infilare la porta, ma nel fare questo si trovò proprio nella traiettoria di Antonio, contro il quale andò a schiantarsi.
“Deve fare male!” Si congratulò Gilbert, ridacchiando alla vista dei due ragazzi che cercavano di districarsi dal pavimento
“Spostati, deficiente!” Urlava Romano, scivolando ancora di più sopra Antonio. Così da vicino poteva vedere che i suoi occhi non erano proprio verdi, ma sembravano avere mille sfumature di verde, marrone e oro.
Sarebbe potuto rimanere a fissarli per giorni.
“Scusa, amigo, ma il tuo gomito mi sta perforando una costola.” Riuscì a dire quando l’altro smise di schiacciargli i polmoni.
“E spero ti si rompano tutte, le tue cazzo di costole: proprio davanti alla porta dovevi stare?”
Il proprietario intervenne a risolvere la situazione: con una mano sollevò Romano per la collottola e lo rispedì dietro al bancone. “Vedo che hai già fatto amicizia con mio nipote.” Si congratulò con Antonio dopo averlo rimesso in piedi, e infliggendogli una pacca sulla spalla che quasi lo rimandò al tappeto. “E’ un bravo ragazzo, anche se è un lavativo. E lavora, tu, non credere che non ti abbia visto!” Sbraitò, andando a raggiungere Romano, il quale stava facendo sfoggio del suo miglior repertorio di gesti volgari verso di lui.
“Non è così male questo posto, vero?” Sorrise Francis, dando di gomito a Gilbert mentre anche Antonio prendeva posto al tavolino con aria sognante.  Dal retrobottega spuntò la testa infarinata di Romano, che dopo aver analizzato attentamente i tre si rivolse ad Antonio. “Come la vuoi la pizza, bastardo? E non provare a chiedermi l’hawaiana, di schifezze io non ne cucino.”
“Potremmo fermarci qualche giorno, che ne dite?” Rincarò Gilbert.
Il suono delle imprecazioni di Romano si spandeva nella notte come una musica. “E piantala, vecchio, stai rompendo!”
 
 
  
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