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Autore: _Princess_    11/02/2009    41 recensioni
“Tom Kaulitz,” si presentò lui alla fine, stringendole la mano. Fu allora che l’attenzione gli cadde sul cartellino che lei aveva al collo. “Vibeke V. Wolner?” lesse.
“Si legge ‘Wulner’,” lo corresse lei rigidamente. “Sono norvegese.”
“Ah,” fece lui, dimostrando scarso interesse. “Posso chiamarti Vi, per comodità?”
“No.” Ribatté lei secca.
“La v puntata per cosa sta?” le chiese allora Tom.
“Non sono fatti tuoi.”
Si occhieggiarono con un accenno di ostilità. Vibeke seppe immediatamente che tra loro due sarebbe stato impossibile instaurare un rapporto civile.
[Sequel di Lullaby For Emily]
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Gustav rimirava distrattamente il paesaggio verdeggiante che scorreva rapidamente fuori dal finestrino, immerso fin dalla partenza in S&M dei Metallica, che lo stava magicamente chiudendo fuori dal resto del mondo, aiutando il tempo a trascorrere. Non aveva mai amato i viaggi, almeno nel senso più fisico del termine. A lui piaceva vedere posti nuovi, riesplorare quelli che già conosceva, fare lunghe passeggiate nelle grandi città, ma anche nelle piccole cittadine dove occasionalmente, in tour, sostavano per qualche minuto, ed anche in qualche anonima stradina sterrata, come molte di quelle che incrociavano adesso, che solcavano i campi da parte a parte in decine di linee rette ed incidenti a disegnare gigantesche scacchiere irregolari nel terreno che cominciava a germogliare pigramente. Sarebbe stata una splendida giornata, lo si sentiva nell’aria fresca e frizzante.

Ormai non dovevo mancare molto a Lipsia, perché fuori dal finestrino il paesaggio rurale cominciava a scomparire, lasciando posto a numerosi paesini di periferia, ancora immersi nella sonnacchiosa quiete delle nove di un sabato mattina d'inverno.

L'autostrada era semideserta, sgombra da mezzi pesanti e dai tipici ingorghi dei giorni lavorativi. In giro c'erano per lo più station wagon con a bordo famiglie che si spostavano dalla città per godersi un finesettimana in campagna. Gustav adorava quel succedersi di campi e villaggi, gli ricordavano molto la sua Magdeburgo, dove lui e i ragazzi tornavano ormai sempre più raramente a causa dei fittissimi impegni che la produzione del nuovo CD richiedeva loro. Per la verità, le tracce dell'album erano già pronte, ciò a cui si stavano dedicando al momento era l'incisione di qualche bonus track da inserire nei futuri singoli e nelle varie edizioni speciali dell'album.

Ma ora non voleva pensare al lavoro. Era il loro giorno di vacanza, e se lo sarebbe gustato senza farsi distrarre da nient'altro che il pensiero delle piacevoli ore che lo attendevano. Lui non era come Bill, non lo disturbava l'idea di faticare un po'. A lui interessava solo stare in compagnia, soprattutto in una giornata così bella. Nonostante le brutte previsioni e la rigida temperatura, infatti, la mattinata era promettente, limpida e soleggiata, ed i piccoli e candidi batuffoli di nuvole sparsi nel cielo terso non facevano altro che rallegrare l'atmosfera.

Appoggiato con un gomito al finestrino della Cadillac, seguì con la testa le ultime battute di The Unforgiven II, accompagnandosi con la mano contro il proprio ginocchio. Al di là delle cuffie hi-tech che gli avvolgevano impenetrabilmente le orecchie, ora che la musica si stava spegnendo, Gustav cominciava ad avvertire un familiare e concitato vocio di sottofondo. Confortato dall’ormai prossimo raggiungimento della meta, spense definitivamente l’iPod e si sfilò le cuffie, preparandosi psicologicamente a dover sopportare il solito pandemonio conseguente l’inevitabile, devastante reazione nucleare derivata da Tom e Vibeke costretti in uno spazio troppo circoscritto.

“Kaulitz!” stava strillando Vibeke, infatti, seduta tra lui e Bill, mentre Tom, alla guida, si divertiva a fare lo slalom tra una serie di auto non particolarmente veloci che oziavano lungo le prime due corsie. “Ma si può sapere chi cazzo ti ha insegnato a guidare? Mi sta venendo da vomitare!”

Ci risiamo, sospirò Gustav dentro di sé.

“Chiudi il becco,” la rimbeccò Tom, facendo come se non l’avesse sentita. “L’autostrada è dritta, non puoi avere il mal d’auto!”

“Sì, ma tu stai continuando a zigzagare come un forsennato tra una corsia e l’altra!” ribatté quindi lei. “Non ci cambia la vita se arriviamo qualche minuto più tardi!”

“A me sì,” specificò lui, sterzando rabbiosamente per inserirsi tra una station wagon e un pulmino. “Non vedo l’ora di sbarazzarmi di te! Non ne posso più delle tue chiacchiere!”

“Se tu non guidassi come un ubriaco, me ne starei zitta e buona!”

“Qualcuno mi dica come ho fatto a farmi convincere a prendere una macchina sola!” si alterò Tom, sferrando un colpo al volante. “Tu e le tue maledette manie ambientaliste, Vi!”

Gustav cercò di non sghignazzare. Tom poteva lamentarsi quanto voleva del fatto che un’auto sola, anche se spaziosa come la sua Escalade, fosse troppo piccola per tutti loro, ma di certo non poteva dire di essersi fatto pregare: era stato lui il primo a dire ‘Buona idea!’, quando Vibeke aveva suggerito di risparmiare benzina ed inquinamento, ma ricordarglielo adesso era decisamente inopportuno.

Meglio non rischiare incidenti.

Georg, però, intervenne con un’occhiataccia.

Era allegro quella mattina, e nonostante facesse il duro per tenere a bada i due litiganti, non riusciva comunque a cancellarsi dal viso quell’espressione di beata ed assoluta felicità che aveva avuto fin da quando aveva messo piede giù dal letto. Ed era una cosa contagiosa, perché Georg in qualche modo sapeva sempre trasmettere un po’ del proprio umore anche agli altri: Gustav era uno che non riusciva mai ad esternare più di tanto i propri stati d’animo, mentre Bill, al contrario, era fin troppo incline a rendere chiunque partecipe di qualunque sua minima variazione emotiva, e, vista l’estrema lunaticità di Bill, non era cosa da poco. Tom, invece, era diverso ancora, esplicito in certi casi e criptico in altri, e talvolta era difficile perfino per Bill capire cosa nascondesse dietro ai suoi silenzi.

“Tom,” sentenziò Georg in tono paziente ma imperativo. “Dimenticati di possedere l’uso della parola, a beneficio di tutti.”

Tom grugnì senza osare replicare, mentre Vibeke si rilassò nel proprio sedile, incrociando le braccia soddisfatta.

“Grazie, Hagen.” Cinguettò.

“E tu anche, non credere.” La mise a tacere Georg, voltandosi a guardarla severamente.

Dallo specchietto retrovisore, Tom le gettò un’occhiatina irriverente che sembrava dire ‘Ben ti sta!’.

“Ma cos’ho fatto?” si lamentò lei, urtata. “Adesso è una colpa tenere alla propria vita?”

“No, ma mi state facendo venire il mal di testa.” Intervenne Gustav, esasperato, ma anche segretamente divertito. Non ci sia annoiava mai con Vibeke nei paraggi a seminare zizzania.

“Quando finalmente saremo arrivati,” esordì Bill, avviluppato in una voluminosa sciarpa verde scuro, gli occhi privi di make up che saltavano dal fratello a Vibeke. “Potrete appartarvi da qualche parte e sfogarvi in modo molto più piacevole e salutare.”

“Fino ad allora,” aggiunse Georg. “Restatevene a cuccia, tutti e due!”

“Hai visto, Kaulitz?” Vibeke si imbronciò. “Per colpa tua adesso Hagen è arrabbiato con me!”

“Hey, qui la banshee urlatrice non sono io, fino a prova contraria!” si difese Tom.

“Basta, vi supplico!” esplose Bill, coprendosi le orecchie. “Nemmeno i bambini dell’asilo si comportano così!”

“Ma senti chi parla!” gli sbottarono contro Tom e Vibeke all’unisono.

Offeso, Bill si voltò dall’altra parte a braccia conserte e si concentrò sul paesaggio, che via via che proseguivano si faceva sempre meno incontaminato: i campi iniziavano a lasciare spazio ai piccoli paeselli di provincia, e l’aumentare dei cartelloni pubblicitari segnalava che Lipsia ormai doveva essere nei paraggi.

“Lo svincolo è tra un paio di chilometri,” comunicò infatti Georg a Tom in quel momento. “Vedi di non mancarlo, o ci tocca fare un giro disumano per arrivare.”

“Georg, rilassati, lo so come si arriva a Lipsia.”

“Ma certo che lo sa,” intervenne Bill. “Il nostro TomTom arriva dappertutto.”

“Ci puoi giurare!” si vantò Tom, mentre gli altri scoppiavano a ridere.

Era facile passare da un’atmosfera tesa ad una perfettamente rilassata, con loro, come se nulla fosse. A volte era dura essere un gruppo così affiatato, perché capitava che ci fossero cose spiacevoli da dirsi, divergenze da affrontare, ma per la maggior parte del tempo, essere un membro dei Tokio Hotel significava avere una seconda famiglia su cui poter contare, ed era una cosa straordinaria che in pochi erano in grado di capire veramente. Ed era piacevole anche, in quelle rarissime occasioni, stringersi un po’ per fare spazio ad un nuovo membro della famiglia. Era successo un anno prima, con Nicole ed Emily, ed ora, osservando Tom e Vibeke che si scambiavano sguardi fugaci attraverso lo specchietto, Gustav sapeva che stava succedendo di nuovo. O meglio, poteva tranquillamente affermare che fosse già successo, perché Tom poteva anche non riuscire ancora ad ammettere apertamente di essersi preso a cuore Vibeke, ma gli altri le avevano concesso un posto d’onore, anche se lei questo ancora non lo sapeva.

E quando Gustav pensava a quella strana famiglia, si domandava sempre chi ci avrebbe portato lui, a suo tempo. Usciva con Fiona da un bel po’, ormai, e lei gli piaceva molto, eppure ogni volta che si proponeva di invitarla a casa a conoscere i ragazzi, qualcosa – qualunque cosa fosse – lo bloccava.

Cos’è che manca?, si era spesso chiesto, pensando a Fiona e ai suoi baci, e alle sensazioni che questi gli recavano. Tutte sensazioni più che positive, indubbiamente, ma forse poco profonde.

Poteva apparire un tipo burbero, ma sotto alla scorza corciacea era un romantico: avrebbe voluto innamorarsi, come era capitato a Georg, come stava capitando a Tom…Ma forse non era cosa per lui, dopotutto. Forse non era nemmeno destino.

“Hey, TomTom,” disse la voce di Georg ad un tratto. “Metti la freccia, l’uscita è lì davanti.”

Tom, che in realtà non aveva affatto notato l’uscita, distratto com’era dal gioco di sguardi intrapreso con Vibeke, si affrettò ad inserire la freccia e a spostarsi verso la diramazione che indicava Lipsia.

Man mano che si addentravano nella città, Gustav non poté fare a meno di notare il miscuglio tra architettura tradizionale e all’avanguardia era notevole, ma la zona in cui erano diretti era libera da freddi grattacieli e costruzioni in cemento: proseguendo, le case si facevano più belle e curate, ville, villette a schiera ed eleganti palazzine incastonate in grandi sprazzi di verde.

“Ecco, ci siamo!” esclamò Georg dopo che Tom ebbe svoltato ad un incrocio, ed indicò un complesso in fondo al viale. Gustav lo promosse immediatamente: erano tre edifici tinteggiati con una calda tonalità color pesca, pieni di vetrate immense e terrazze, affiancati l’uno all’altro, alti all’incirca cinque piani, affacciati da un lato su una fila di villette e dall’altro su un piccolo parco, su cui si affacciavano anche la piscina e i due campetti da tennis.

Tom emise un lungo fischio di approvazione.

“Complimenti, amico, posticino niente male!”

Georg sorrise raggiante:

“E non avete visto ancora niente!”

Era a dir poco estatico. Sorrideva come raramente Gustav lo aveva visto fare, gonfio di orgoglio e soddisfazione. Gustav lo capiva: poteva dirsi un uomo arrivato, con una carriera brillante e consolidata, un’attraente compagna e una bambina a cui voleva bene come se fosse sua, e una casa sicura ed accogliente da offrire loro, assieme ad un tenore di vita decisamente alto e, cosa più importante, un amore forte e sincero.

Per gente popolare come loro era difficile costruirsi una vita ordinaria, e alle volte questo era positivo, ma, affettivamente parlando, la meta conquistata da Georg era invidiabile per tutti loro, anche se probabilmente sarebbero passati anni prima che Bill e Tom iniziassero anche solo a pensare all’ipotesi di farsi una famiglia (se mai ne avessero voluta una), e per quanto riguardava Gustav stesso, per ora non era che un bel pensiero, fumoso ed irraggiungibilmente distante.

Quando si avvicinarono alla cancellata che recingeva i palazzi, Georg tirò fuori un telecomando e la aprì, permettendo così a Tom si portare la Cadillac nel piccolo parcheggio interno. In ogni dove c’erano piante e aiuole di fiori ben tenuti, e perfino una gigantesca fontana di marmo rosato che zampillava acqua da una vera cascata. Quando ci passarono accanto, Gustav notò che non poteva essere più profonda di una trentina di centimetri.

A prova di bambino.

Seguirono tutti Georg verso la prima palazzina, poi entrarono ed oltrepassarono la reception sotto allo sguardo vigile dei due sorveglianti in uniforme, ed infine salirono in ascensore.

“Che fai?” domandò Vibeke, quando Georg si mise a digitare una serie di numeri sulla tastiera, anziché premere semplicemente il tasto corrispondente al piano giusto.

“L’ascensore si apre direttamente sull’appartamento,” le spiegò Georg, mentre iniziavano a salire. “Ci vuole il codice per raggiungere l’ultimo piano, così come per suonare il campanello.”

“Tu non hai comprato un appartamento, hai comprato una fortezza anti-scocciatori!” commentò Bill, ammirato.

“Ho pensato alla sicurezza prima di tutto,” ammise Georg. “Anche salendo con le scale serve un codice per avere accesso al piano.”
“E se ci fosse un’emergenza?”

“In quel caso basterebbe rompere la porta di vetro che chiude le scale, ma questo farebbe scattare l’allarme.”

Annuirono tutti quanto con veemenza. Non si poteva certo dire che quel posto non fosse ben congegnato. A Gustav però venne da ridere a pensare a Nicole, amante delle cose semplici, che di punto in bianco si ritrovava a vivere in quella specie di inespugnabile roccaforte ultramoderna.

In una manciata di secondi l’ascensore si arrestò morbidamente con un breve tintinnio, e subito dopo le due massicce porte metalliche scorsero ai due lati con fluidità, aprendosi su un vasto salotto pavimentato in parquet, arredato in legno e colori caldi. C’erano montagne di scatoloni, aperti e non, sparsi un po’ ovunque, principalmente lungo la vetrata panoramica mozzafiato che sostituiva l’intera parete di sinistra, offrendo una visuale di Lipsia da cartolina.

Mentre tutti quanti ammutolivano increduli, Georg uscì dal vano con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro e si guardò intorno.

“C’è nessuno?” chiese ad alta voce. “Dove sono le mie ragazze?”

Un nanosecondo più tardi, la doppia porta scorrevole in vetro opaco in fondo alla stanza si spalancò e nel mezzo comparve Emily, scalza ed in pigiama, con un’espressione di gioia pura.

“Georg!” urlò esagitata, correndogli incontro come un fulmine. “Georg! Georg! Georg!”

L’equilibrio di Georg vacillò appena lei gli saltò in braccio, ma era difficile dire chi dei due fosse più contento di rivedere l’altro.

“Ciao, terremoto!” la salutò lui, affondando le proprie labbra nella sua guancia soffice. “Dov’è la mamma?” le chiese poi, posandola a terra per permetterle di salutare anche gli altri. Quasi non ebbe il tempo di terminare la domanda, che una voce familiare giunse dall’esatto punto in cui era comparsa Emily.

“Qualcuno mi chiama?”

 

***

 

Vibeke non era un’esperta in amore, e probabilmente non lo sarebbe mai stata, ma di una cosa era assolutamente sicura: nessuno la avrebbe mai guardata nel modo in cui Georg, sollevando lo sguardo, aveva appena guardato Nicole.

Per un attimo era stato come se tutto il resto dell’universo fosse sparito, sostituito dal sorriso timido ma euforico di una ragazza che indugiava su una porta aperta, e gli occhi di Georg si erano come accesi di qualche cosa che Vibeke non aveva saputo riconoscere, una scintilla viva, dirompente, inspiegabilmente meravigliosa.

Quello era l’aspetto di una persona innamorata. Quello era il sorriso di una persona innamorata. E nulla di tutto questo era patetico come Vibeke aveva sempre voluto credere. Come la volpe con l’uva, aveva sempre preferito convincersi che il romanticismo fosse roba per illusi, nient’altro che un edulcorante che la gente usava per sentirsi meglio e credere che la vita fosse come quella dei film, un lungo e travagliato cammino con un bel lietofine nascosto dietro all’ostacolo più impervio.

Ne era sempre stata fermamente convinta, ma ora che guardava Georg e Nicole corrersi incontro e abbracciarsi e baciarsi, ora che Tom le si avvicinava e le strizzava un occhio con aria complice, sentiva qualcosa dentro di sé, qualcosa che era nato da poco e stava crescendo lentamente, ogni giorno più forte e vivido, qualcosa di bello, di speciale, e affatto patetico, che la faceva sentire più umana di quanto non si fosse mai sentita prima d’ora. E nonostante tutto, forse essere umana un po’ le piaceva.

“Benarrivati,” li accolse Nicole, una volta che Georg si fu deciso a lasciarla andare. Li abbracciò uno per uno, esitando un po’ di fronte a Vibeke, che si limitò a sorriderle impacciata. Non avevano una gran confidenza. “Avete trovato traffico?”

“No,” rispose Tom mollemente. “Siamo in ritardo perché Miss Lagna aveva da ridire sulla mia guida.” E diede una gomitata scherzosa a Vibeke.

“Non siete in ritardo,” lo rassicurò Nicole. “Viste le tempistiche medie di Georg, vi aspettavo non prima delle dieci.”

“Ma sentila!” esclamò Georg, portandosi le mani sui fianchi, fingendosi indignato.

Nessuno si risparmiò una risata.

“Siete stanchi?” si informò Nicole, premurosa. “Volete qualcosa da mangiare o da bere?”

“Magari tra un’oretta,” rispose Tom, sfregandosi la pancia. “Abbiamo mangiato una tonnellata di biscotti a colazione.”

“Be’, che ci facciamo tutti qui impalati?” fece Bill, sfilandosi la giacca “Vogliamo vedere la casa!”

Nicole mostrò loro i guardaroba dell’ingresso e li aiutò a sistemare le cose. Si muoveva quasi goffamente, come se non si sentisse a proprio agio in quegli spazi cosi grandi. Vibeke ricordava le foto che aveva visto del suo appartamento: probabilmente sarebbe comodamente entrato tutto in quel salotto.

“Sbaglio o oggi, anche senza trucco, sono proprio un gran figo?” osservò Bill, ammirandosi nello specchio della stanzetta che ospitava il guardaroba.

“Hai ragione, principessa, sembri in gran forma, ultimamente.” Concordò Vibeke.

“Vi, ma sta’ zitta!” le intimò Tom, spingendola di lato con una spallata. “Se lo avessi detto io, al suo posto, mi avresti accusato di essere uno squallido vanitoso!”

“Ma no, Kaulitz, figurati,” minimizzò lei, uscendo. “Al massimo ti avrei esortato a non farti troppe illusioni.”

Tom rimase con un palmo di naso, il proprio giubbotto penzoloni tra le mani, mentre sia Georg che Gustav lo guardavano come per dirgli ‘Te le vai sempre a cercare’.

Mano nella mano con Nicole, Emily in spalla a Gustav, Georg mostrò ai ragazzi l’ampia cucina con un’isola di cottura in granito a dir poco enorme, a cui si accedeva direttamente dal salotto, la sala da pranzo, che si trovava al di là delle porte da cui erano arrivate Emily e Nicole, la lavanderia e il bagno. Tutto era pulito e scintillante, tutto aveva un intenso ma piacevole odore di nuovo. Vibeke rimase a bocca aperta quando, tornando in salotto, si rese conto che l’appartamento era su due piani.

“Hagen, questo non è un attico, è una residenza imperiale!”

“Non fare la solita esagerata…” la frenò Georg con un sorriso modesto.

“No, sul serio,” insisté lei, avvicinandosi alla vetrata. “Se mi affaccio da qui, secondo me si vede la Danimarca all’orizzonte!”

“Quant’è la metratura?” volle sapere Gustav, facendo scorrere lo sguardo in lungo e in largo.

“Sono trecento metri quadri, sia qui che sopra.”

“Su è bellissimo!” esclamò Emily, spalancando gli occhi. “Il soffitto è alto alto e ci sono tantissimi vetri!”

“Venite,” li invitò Georg, accostandosi ad una luminosa rampa di scale di marmo bianco. “Di sopra c’è la zona notte.”

Ma prima che qualcuno potesse muovere un passo, uno strano, inconfondibile gorgoglio si sollevò dallo stomaco di Bill.

“Scusate,” farfugliò lui, portandosi le mani sull’addome mentre arrossiva. “Credo di avere un po’ di fame…”

Tom spalancò la bocca basito:

“Bill, cazzo, ti sei fatto fuori un quintale di biscotti al burro solo due ore e mezza fa!”

“Il mio metabolismo supersonico ha bisogno di energie costanti!” sostenne Bill compunto.

“Vado subito a preparare qualcosa.” Si offrì Nicole, ma Bill la interruppe.

“No, prima finiamo il giro. Posso sopravvivere altri dieci minuti.”

Nicole sembrava intenzionata ad insistere, ma Georg si affrettò a prenderla per mano prima che potesse dire altro e condusse tutti quanti al piano superiore.

Vibeke si era logicamente immaginata che quel famoso attico sarebbe stato grande, poiché qualsiasi membro dei Tokio Hotel che si rispettasse era tale solo se privo di qualunque senso della misura (tranne Gustav, ma lui non era che l’eccezione a conferma della regola), ma ogni volta che vedeva una nuova stanza, il suo stupore cresceva esponenzialmente. Non era una cosa eccessiva, era grande quel giusto che ci si aspettava per una famiglia di tre persone che godesse di una a dir poco florida situazione economica, ma ciò che affascinava Vibeke era il modo in cui era stato arredato: sembrava che Georg e Nicole avessero personalmente disegnato i mobili e concepito la loro disposizione per renderli in armonia con le loro personalità.

Quando fu il momento di visitare la camera da letto di Georg e Nicole, Vibeke si sentì quasi intimorita nel varcarne la soglia. Le sembrava di invadere uno spazio molto intimo e personale, anche se di fatto l’unica cosa che sembrasse mai stata usata di quella stanza era il letto, tra le cui lenzuola disfatte giaceva Wilhelm, il peluche preferito di Emily. Vibeke intuì che lei due Sandberg dovevano aver dormito lì, quella notte. Tuttavia non fu quello che la catturò veramente.

C’era un caminetto di fronte al letto, a diversi metri di distanza, sulla cui ampia mensola di scuro legno massiccio erano già state sistemate diverse cornici, le cui fotografie attirarono immediatamente la curiosità di Vibeke. Fu subito la prima sulla destra a colpirla: una semplice bordatura d’argento custodiva quattro persone che sorridevano all’obiettivo. Una giovane donna dal viso rotondo costellato di piccole efelidi, i corti capelli di un bel biondo rossiccio, con incredibili occhi verdi, teneva in braccio una bambina che non sembrava abbastanza grande per saper camminare, due luminosi occhi cerulei a luccicarle sul viso paffuto, i capelli rossi e scuri raccolti in due piccoli codini in cima alla testa. Accanto a loro, un braccio che avvolgeva le spalle della donna, c’era un uomo biondo dall’espressione gentile che teneva sulle spalle un’altra bambina, di parecchi anni più grande dell’altra, identica al padre, nei cui occhi blu brillava una luce pestifera. Sullo sfondo, prati e colline smeraldini a non finire. Non serviva una gran fantasia per capire chi fossero quelle persone.

La famiglia Sandberg, pensò Vibeke tristemente, studiando quella piccolissima Nicole che si beava in braccio alla madre.

Rimase pietrificata di fronte a quell’immagine così fuori dal tempo e dallo spazio, rapita da quei quattro sorrisi così veri e sereni da consumarla di invidia. Nessuna delle foto di famiglia che lei avesse mai fatto con i propri genitori somigliava a quella, anche solo lontanamente. Le ricordava ancora, chiuse nei pochi album ordinatamente riposti nella libreria, rigidi ritratti di una coppia senza amore e due bambini infelici.

Ma quella che aveva davanti, invece, era una famiglia vera, unita, una famiglia palesemente felice.

Una famiglia che non c’era più.

Che diritto hai di essere gelosa di lei?, si riprese Vibeke, vergognandosi. I suoi genitori sono morti, tu hai solo una madre stronza. Lei si merita molto più di te di essere felice.

Guardò anche le altre foto, senza però riuscire ad accantonare del tutto quel fastidioso rimescolio rodente che le attanagliava lo stomaco. Erano una decina in tutto, e a parte tre di esse (il ritratto di famiglia, la fotografia di una Nicole adolescente in camice d’ospedale che reggeva orgogliosamente un fagottino rosa dai radi capelli così biondi da sembrare bianchi, e un altro scatto in cui madre e figlia posavano in un elegante salotto moderno con una giovane coppia ed un neonato), Georg appariva in tutte: da solo con Nicole, o con Emily, o con entrambe, o ancora con i Tokio Hotel al gran completo, e addirittura con un nutrito gruppo di persone, tra cui Vibeke riconobbe Benjamin, che immaginò costituisse la troupe dei ragazzi.

Chissà, pensò distrattamente, forse un giorno ci sarò anch’io…

Dopo aver visto tutte quelle fotografie piene di affetto, a Vibeke venne un’improvvisa fitta di nostalgia per BJ. Lui le aveva praticamente ordinato di farsi quella capatina a Lipsia perché le avrebbe fatto bene, ma ora, mentre passavano alla stanza successiva, aveva solo voglia di vedere suo fratello.

“Quattro camere da letto con bagno!” stava esclamando Bill, deliziato. “È fantastico, ma cosa ve ne fate delle due che vi avanzano? Una è per gli ospiti, ma l’altra?”

Georg sorrise in modo strano, a metà tra l’imbarazzato e lo speranzoso.

“L’altra è per…” Tentennò, cercando lo sguardo di Nicole, ma lei teneva gli occhi inchiodati a terra, le guance più rosee del normale. “Be’, non si sa mai.”

Vibeke, come sicuramente anche gli altri, sapeva benissimo cosa significasse quel ‘Non si sa mai’: la quarta stanza era riservata agli eventuali bambini che un giorno sarebbero potuti nascere.

“Bene,” esordì Nicole, fattasi improvvisamente più vivace.“Se il giro è finito, vado a preparare uno spuntino, che ne dite? Ho fatto qualcosina ieri sera.”

Bill e Tom annuirono, ma lei e Gustav si scambiarono un’occhiatina d’intesa nel vedere il sorriso di Georg affievolirsi visibilmente.

A Vibeke questo atteggiamento da parte di Nicole non andò giù. Non tollerava che si prendesse il lusso di svilire Georg in quel modo e cavarsela senza conseguenze. Eppure, nonostante quel fastidio, non riusciva a non sentirsi intimidita da lei.

È ridicolo, pensò corrucciata, è più piccola di me, perché mai dovrei sentirmi intimidita da lei?

Gli altri scesero, mentre lei e Gustav, un po’ per caso, un po’ volontariamente, rimasero indietro. Lui la squadrò per qualche istante prima di parlare:

“Allora, qual è il problema?”

“Di cosa stai parlando?”

Gustav la guardò storto, facendole capire che non era disposto ad assecondare i suoi diversivi.

“Sei stata brillante per tutto il viaggio,” le disse. “Perché adesso sei così taciturna?”

Di fronte al suo insistente sguardo inquisitore, Vibeke fu costretta a cedere.

“È una cosa stupida…”

“Sentiamola, questa cosa stupida.”

Vibeke si vergognava non poco di quello che stava per dire.

“Giurami che non lo dirai a Georg.” Ordinò a Gustav.

Lui inarcò le sopracciglia, sorpreso.

“Ha a che fare con lui?”

Vibeke sospirò. Era davvero imbarazzante.

“No,” Si appoggiò con una spalla al muro, rassegnata. “È Nicole.”

Per un momento Gustav si lasciò prendere dallo stupore.

“Nicole?” scandì, perplesso.

Mordicchiandosi il labbro, Vibeke annuì mesta.

“Mi mette in soggezione.”

Tanto per gettare acqua sul fuoco e farla sentire ancora più sciocca, Gustav scoppiò a ridere.

Nicole mette in soggezione te? Nicole Sandberg? La nostra Nicole?”

“Vorrei tanto che la piantaste di chiamarla ‘la nostra Nicole’, tutti quanti.”

“Sei gelosa?” la stuzzicò lui.

Lei inorridì.

“Ma figurati!”

“Tu sei gelosa di Nicole!” ripeté Gustav, sempre più convinto e divertito.

“Non è vero!” sibilò lei, disperata. “E abbassa la voce, maledizione!”

Incurante della sua indignazione, Gustav continuò a ridere, fino a che non gli si inumidirono gli occhi.

“Bee, anche se fosse vero,” le disse, tornando serio. “Sarebbe inutile. Siete due persone completamente diverse, non puoi mettere lei e te sullo stesso piano.”

Vibeke stava già domandandosi se quella fosse una maniera carina per dirle che Nicole contava di più perché la conoscevano da più tempo, quando Gustav la precedette:

“Lei è la nostra Nicole,” aggiunse con un sorriso. “Come tu sei la nostra Vibeke.”

Lei lo fissò interdetta, come stordita da quella frase che le suonava così assurdamente bella.

“Io sono la vostra Vibeke?” balbettò.

Gustav si limitò a sollevare le spalle.

“Mi pareva scontato.”

Le palpitazioni del cuore di Vibeke avevano preso uno strano ritmo accelerato, ma lei era troppo presa ad adorare ogni singola sillaba di quello che Gustav le aveva appena detto per preoccuparsene.

“Gud, chiedimi quanto ti amo.”

“Quanto mi ami?” le chiese Gustav obbediente, sorridendo sornione.

“Tanto così!” esclamò lei, spalancando le braccia, e se lo strinse energicamente tra le braccia, guancia a guancia.

Non le importava niente se era patetico e puerile: era pazza di quei ragazzi, e niente e nessuno le avrebbe mai fatto cambiare idea.

“Vi siete persi, voi due?” gridò la voce di Bill dal piano di sotto.

“Stiamo arrivando!” urlò Vibeke, sciogliendo l’abbraccio.

Gustav stava già cominciando a scendere, quando lei percepì la vibrazione del proprio cellulare nella tasca posteriore dei jeans.

“Vi raggiungo subito,” avvertì Gustav. “Mi stanno chiamando.” Gli spiegò, tirando fuori il cellulare. Guardò il display, ma la chiamata era anonima.

“Pronto?”

“Hei, liten søster!” (“Ciao, sorellina!”)

“Bror!” rispose briosa, riconoscendo all’istante la voce un po’ roca ma sempre allegra di BJ. “Hei!” (“Fratello! Ciao!”)

“Lo sai che ti sto chiamando dal telefono a gettoni del reparto?” esclamò eccitato. “È pazzesco, la gente usava davvero questi cosi, una volta!”

A Vibeke faceva piacere che avesse chiamato, soprattutto perché non erano passati che pochi minuti da quando aveva desiderato sentirlo. La storia della telepatia tra gemelli non era del tutto campata per aria, a volte Vibeke, anche a chilometri di distanza, provava davvero le stesse cose che provava BJ, o avvertiva che qualcosa non andava, e viceversa, ma raramente la gente credeva a quel tipo di cose.

“Veramente la gente li usa ancora,” lo informò. “Sai, quei poveri sfigati che non si possono permettere il tuo Blackberry…”

“Come va, lì?” le chiese lui, senza darle retta. “Tutto bene?”

“Questa è una domanda che dovrei farti io.”

“Oh, sì, tutto a posto,” fece lui, sbrigativo. “Sono su una sedia a rotelle e se mi alzo, mi hanno minacciato di legarmi al letto – possono farlo, ho visto le cinghie – ma la morfina è un’invenzione grandiosa, la adoro! E poi – indovina! – sono arrivati un sacco di regali e fiori da parte dei miei fans! Ho la camera sommersa!”

Vibeke non faticava ad immaginarsi la scena. Aveva visto molte volte lo stato in cui versavano abitualmente i camerini di BJ, e se solo lui avesse voluto vendere tutta la roba che gli veniva regalata, avrebbe potuto arrotondare di un paio di migliaia di euro mensili i propri già considerevoli introiti.

“Ti hanno mandato molti dolci?” gli chiese nel tono più casuale possibile.

“Sì!” rispose subito BJ, ma poi l’eloquente mezzo secondo di silenzio di Vibeke gli fece cambiare idea. “Cioè, no!” rettificò subito. “Volevo dire no! Niente dolci!”

Un giorno ti insegnerò a mentire, si ripromise Vibeke, volgendo lo sguardo al cielo.

“La senti, fratello?”

“Che cosa?”

“L’essenza di puro scetticismo che trasuda dalla mia voce.”

BJ sbuffò annoiato, e Vibeke ritenne che fosse meglio non tirare troppo la corda, per evitare qualsiasi problema, viste soprattutto le delicate condizioni fisiche del proprio fratello.

“Dimmi di te, piuttosto!” la spronò BJ, facendosi interessato.

“Cosa ti dovrei dire?”

“Con te non si riesce mai a conversare decentemente, bisogna sempre cavarti le cose di bocca!” si lamentò lui, schioccando la lingua con disappunto. “Raccontami un po’ tutto quanto… Avete fatto un buon viaggio? Come’è l’appartamento? E con Tom come va?”

Forse era solo un’impressione di Vibeke, ma in un modo o nell’altro si andava sempre a parare lì, con chiunque lei parlasse: Tom. Sempre e solo Tom. Non c’era da stupirsi che lui si credesse il centro dell’universo.

“Abbiamo litigato per tutto il tragitto.” Gli rivelò, asciutta.

“Ci credo,” esclamò BJ. “Sono due giorni che non fate sesso!”

Per poco Vibeke non si soffocò con la propria saliva.

“Cosa diavolo ne sai tu?” biascicò, tra un colpo di tosse a l’altro.

“Me l’ha detto Bill.” Disse BJ, con un tono indecentemente malizioso.

“E Bill come…?” iniziò a chiedersi lei, ma poi si fermò a metà. Pensò che se lo sarebbe dovuta aspettare: in quella casa la privacy era un concetto inesistente, tutti si facevano gli affari di tutti, e non c’era verso di tenere dei segreti, perché prima o poi, con o senza consenso, venivano comunque intuiti. “No, lascia stare, non voglio saperlo.”

“Hai fatto qualche progresso con Nicole?”

“Oh, sì, moltissimi!”

“Davvero?”

“No,” confessò Vibeke, scoraggiata. “Anzi, poco fa ero seriamente tentata di prenderla a schiaffi.”

“Bee, dai!,” la ammonì BJ. “È una ragazza deliziosa, non puoi continuare a detestarla solo perché sta con Georg. Quando Gustav ti presenterà la sua ragazza cosa farai? La truciderai al suo cospetto?”

“Primo, all’eventuale tête-a-tête con la ragazza di Gud penserò quando e se sarà il momento…”

“Povera ragazza, che ingrato destino…” sospirò BJ.

“Mentre per quanto riguarda Nicole, non la detesto,” mise in chiaro. “Ma detesto certi suoi comportamenti.”

“Tipo?”

“Georg è innamorato perso di lei, fa di tutto per ricordarglielo in ogni momento, e lei continua a fare quella che non ci vuole credere fino in fondo! E nessuno le dice niente, perché, no, lei è la loro adorata Nicole, non sbaglia mai!”

“Allora diglielo tu,” replicò BJ tranquillo. “Parlale tu, se loro non ci riescono. Faresti un favore a lei, a Georg, e anche a te stessa.”

Vibeke si mordicchiò un’unghia. Sembrava una buona idea, ma lei non era mai stata un asso nel dire le cose nel modo giusto.

“Lo sai che non ho tatto nel trattare certi argomenti.”

“Bee, sinceramente… In che cosa hai tatto?”

“Føkk deg, bror!” (“Fottiti, fratello!”)

“Jeg ønsker deg det beste også, søster!” contraccambiò BJ soave. (“Ti voglio bene anch’io, sorella!”)

“Ja, ja, jeg kjenner til det.” gli diede corda lei, ridendo. (“Sì, sì,lo so.”)

“Adesso devo andare, sto per finire la moneta,” annunciò BJ. “Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto.”

“Tutto a posto. Domani mattina passo a trovarti, ok?”

“D’accordo, cercherò di nascondere al meglio tutte le leccornie che mi hanno mandato.”

“Non ci provare, o chiamo e ti faccio legare al letto sul serio!”

“Va bene, va bene, farò il bravo.”

“A domani, allora.” Lo salutò, già sapendo che, quando fosse andata a trovarlo, avrebbe dovuto perquisire la stanza.

“A domani,” ricambiò lui. “E fai sesso con Tom appena puoi, mi raccomando.”

Vibeke chiuse la chiamata con un sorriso spensierato. Sarebbe stata persa, senza il suo BJ.

Quando arrivò in cucina, trovò tutti già riuniti attorno all’enorme bancone centrale, letteralmente invaso di stuzzichini di ogni sorta. Nicole doveva averci messo ore a preparare tutta quella roba.

I ragazzi mangiavano con gusto, chiacchierando e ridendo tra loro,come al solito. Vibeke avrebbe solo voluto che la lei di qualche mese prima avesse potuto vedere quella scena, per potersi dare della stupida da sola per aver pensato che quei quattro fossero solo dei montati che pensavano solo ai soldi e alla notorietà. Ora non aspettava altro che il momento in cui li avrebbe finalmente visti esibirsi dal vivo, su un palcoscenico, davanti a migliaia di fans. Li aveva conosciuti ed amati per come erano a riflettori spenti, dietro le quinte a sipario calato, e voleva anche conoscere l’altra metà di loro, quella da star mondiali, ma da qualche parte nella sua testa era viva e presente la consapevolezza che quella metà potesse non piacerle.

Il pubblico e le telecamere cambiavano tutti, e sempre in peggio, e se non c’era cambiamento visibile, allora c’era un trucco da qualche parte. Chiunque risultava diverso, in veste pubblica.

Lo saranno anche loro, rifletté Vibeke, un po’ preoccupata, ma quanto?

Ebbe un flash di Tom che flirtava con un manipolo di ragazze esagitate a cui stava firmando degli autografi, e la sensazione che quest’immagine le lasciò fu di intenso e spiacevole disagio. Per quanto le fosse cosa ben poco gradita, anche quello era Tom, in fondo. Uno dei tanti Tom che convivevano nella stessa persona.

“Vi, ti conviene darti una mossa, se vuoi mangiare qualcosa,” la chiamò la voce di Tom, risvegliandola dalla sua trance. “Bill ha già fatto sparire sei tramezzini!”

“Sette.” Mugugnò Bill, le guance piene come quelle di un criceto e un ottavo tramezzino già pronto in mano.

Vibeke si avvicinò al tavolo e tutti si fecero un po’ da parte per farle spazio.

Lei si accorse subito che l’atmosfera era sensibilmente diversa rispetto alla prima volta in cui si era trovata in quella situazione. Forse era perché, in quelle poche settimane, il suo punto di vista era notevolmente cambiato, o forse non era il suo punto di vista ad essere cambiato, ma tutto il resto.

“Ditemi cosa posso mangiare,” li pregò, occhieggiando avidamente un piatto di focaccine dall’aspetto invitante.

“Quasi tutto,” le rispose Nicole. “Il vassoio grande in mezzo è quello con i panini al prosciutto e al salame, ma il resto è tutto a prova di vegetariano.”

Vibeke la ringraziò, prese il piatto che Gustav le aveva appena passato e si servì di un po’ di tutto, inspirando la fragranza di pane tostato che proveniva dai tramezzini.

Era tutto inconcepibilmente perfetto, proprio come Nicole: una ragazza perfetta, una compagna perfetta, una madre perfetta, un’amica perfetta…

Perfetta, perfetta, perfetta…, cantilenò capricciosamente una voce dentro di lei.

Ma Vibeke, guardando Nicole che prendeva Emily in braccio e la aiutava a mangiare una tartina alle olive senza sporcarsi, si rese conto per la prima volta che quello doveva essere il suo modo di tenersi in piedi, di affrontare la vita. Forse, semplicemente, non aveva avuto scelta.

Ci voleva un bel fegato a tirare su da sola una bambina, per una ragazza così giovane, e Vibeke non poteva non ammettere che lei, personalmente, non sarebbe mai stata abbastanza forte da riuscirci.

“Che buona questa roba!” si complimentò dopo il terzo morso di focaccia. “Io sono negata in cucina.”

“Fidati, lo è davvero.” Confermò Tom, senza essere interpellato.

“Grazie, Kaulitz.” Mormorò lei cupamente.

Per tutta risposta, Tom sollevò il bicchiere di aranciata che aveva accanto e le rivolse uno di quei suoi sorrisetti sfrontati.

“Di niente, Vi.”

Ti odio, ti odio, ti odio, imprecò Vibeke nella propria testa, rispondendogli con una smorfia. Se solo tu non fossi così detestabilmente meraviglioso…

E Tom continuava a fissarla con quell’espressione irriverente, come se sapesse esattamente cosa lei stesse pensando, e più Vibeke gli diceva ‘Ti odio!’, più, quasi inconsciamente, in realtà si convinceva dell’esatto contrario.

Alla fine, un boccone dopo l’altro, lo spuntino divenne pranzo e quasi non rimasero nemmeno le briciole, così alle due, sazi e riposati, cominciarono a darsi da fare con la sistemazione dell’appartamento. Nicole aveva già pensato personalmente ad occuparsi del piano inferiore il giorno precedente, ma ora ai ragazzi spettava il compito di trasportare al piano superiore gli scatoloni più pesanti. Bill, però, aveva serie difficoltà a sollevare le cose che superavano i dieci chili di peso, così Vibeke si fece spontaneamente carico di tutto il lavoro da uomini che sarebbe toccato a lui.

“Così non vale, però!” protestò Tom, mentre assieme a lei portava di sopra uno scatolone particolarmente grosso. “Con la scusa che non ha muscoli, lui non sta facendo praticamente niente!”

“Sei tu il primo ad accusarlo sempre di non saper fare niente!”

“Se mai inizia da qualche parte, mai imparerà!”

Vibeke emise un rantolo paziente, facendo attenzione all’ultimo gradino, poi Georg le comparve accanto, facendole cenno di lasciar fare a lui.

“Ci pensiamo io e Gustav a questi così grandi,” disse, mentre lo appoggiavano a terra. “Voi prendete gli altri.”

“Hey, Georg,” La testa di Gustav fece capolino dalla una delle stanze in fondo al corridoio. “Ci siamo scordati di portare su la roba che hai portato da Amburgo.”

“Merda, è vero!”

“Dammi le chiavi, Tom,” disse Bill, apparendo accanto a Gustav. “Vado io.”

“Tu?!” si stupirono quattro voci in coro.

“Be’,” Bill mostrò la punta della lingua tra le labbra. “Ho voglia di una sigaretta,” confessò. “Quindi già che sono giù a prendere lo scatolone…”

“Tu non prendi proprio niente,” obiettò Georg. “Non riusciresti nemmeno a toglierlo dal bagagliaio, e ti giuro che se rompi qualcosa –”

“Gli do una mano io,” disse Tom, aggiustandosi la fascia bianca sulla fronte, mentre tutti lo guardavano proprio come avevano appena guardato Bill. “Serve anche a me una sigaretta.” Si giustificò, incrociando brevemente la traiettoria visiva di Vibeke, per poi voltarsi subito altrove.

Lei sorrise fra sé e sé. Sapeva cosa aveva in mente.

Bravo, Kaulitz.

 

***

 

Bill era relativamente silenzioso, quel giorno, anche se nessuno, a parte chi lo conosceva bene, lo avrebbe detto.

Tom aveva notato che aveva cercato di tenersi lontano da lui per tutta la settimana, ma ogni volta che aveva avuto intenzione di parlargli, era sempre capitato qualcosa che glielo aveva impedito. Quando poco prima gli si era presentata l’occasione di restare solo con lui, la aveva colta al volo, anche perché, in qualunque caso, Bill non sarebbe mai riuscito a portare su le cose di Georg da solo.

Appena usciti dal portone, Bill si andò a sedere sul muretto in mattoni beige che circondava una delle aiuole e si tirò fuori un pacchetto di sigarette tutto ammaccato dalla giacca. Ne prese una e se la infilò tra le labbra, poi allungò svogliatamente il pacchetto verso Tom.

“Vuoi?”

Tom scosse la testa.

“No, grazie.”

Imperturbabile, Bill ricacciò il pacchetto nella tasca e si frugò nell’altra alla ricerca dell’accendino.

“Bill, senti,” Tom gli si avvicinò e gli sedette affianco. “Lo so che ultimamente ti ho un po’ trascurato.”

Bill non diede segno di volergli dare retta. Continuò a cercare l’accendino, ma senza successo. Alla fine, masticando un’imprecazione, si decise a voltarsi verso Tom.

“Non voglio farti scenate di gelosia,” gli disse pacato. “Siamo grandi, ormai, non dovremmo più dipendere l’uno dall’altro.”

Questa dichiarazione lasciò Tom piuttosto spiazzato.

“Io e te siamo la stessa persona!” affermò contrariato. “Noi siamo dipendenti l’uno dall’altro, e lo saremo sempre, non potrebbe essere altrimenti!”

Finalmente la maschera di impassibilità di Bill vacillò, incrinata da un sorriso sbilenco.

“Meno male che ogni tanto lo ammetti.”

Tom si lasciò contagiare dal sorriso, e Bill, dimentico della sigaretta che ora reggeva in mano, lo scrutò intensamente.

“Com’è?” gli chiese ad un tratto, riferendosi a chissà cosa.

“Com’è cosa?”

“Vibeke,” specificò Bill, le orecchie che gli si tingevano di rosso. “A letto, com’è? Brava?”

Tom non capiva cosa diamine stesse succedendo. Non era da Bill interessarsi alle sue faccende passionali.

“Ma cosa –?”

“Lo fate spesso?”

“Dio, Bill, piantala, per pietà, mi fa impressione parlare di sesso con te!” sbottò Tom, a disagio.

“Grazie!” Umiliato, Bill si fece scorbuticamente in là. “Mi fa piacere che tu abbia tutta questa stima di me!”

Tom si sarebbe rimangiato tutto, potendo. Bill magari non era un campione di mascolinità, ma lui non aveva nessun diritto di trattarlo così.

“Scusami,” gli disse, sinceramente pentito. “È solo che tu ed io non abbiamo quasi mai parlato seriamente di sesso.”

“Cercavo solo di comunicare con te nella tua lingua.” Sussurrò lui.

“La mia lingua?” Tom era esterrefatto. Diceva sul serio? “Quando mai io e te abbiamo parlato lingue diverse?”

Nessuna risposta.

Sei la solita drama queen, borbottò mentalmente, scivolandogli più vicino.

“Io e te dobbiamo parlare, Bill.”

Bill gli gettò uno sguardo in tralice senza troppa fiducia.

“Nel senso che, come al solito, io dico qualcosa e tu fai finta di ascoltare e rispondi a vaghezze?”

“No,” promise Tom. “Nel senso che parliamo tutti e due e ascoltiamo tutti e due, e niente vaghezze, stavolta.”

Gli occhi di Bill si sgranarono nello stesso momento in cui sulla sua bocca si disegnava un ampio sorriso.

“Accidenti, credevo fosse una cosa seria, ma non così tanto…”

“Intendi me e Vi?”

“L’hai detto ad alta voce!” Bill si portò entrambe le mani alla bocca dallo stupore. “Tom, l’hai detto!”

Tom si immobilizzò, stupito a sua volta.

L’ho detto.

L’aveva detto. L’aveva detto davvero. Ad alta voce. Senza pensarci.

Io e Vi… L’ho detto.

Sembrava incredibile

L’ho detto, cazzo!

“Be’…” Tom pregò di non stare arrossendo. Lui non arrossiva mai, non lo aveva mai fatto, ma se mai gli doveva capitare, quello era un buon momento. “Credo sia ora che mi ci abitui, sai…”

“Vibeke mi piace,” disse Bill, giocherellando con un filo d’erba. “Mi piace tanto. Non credevo esistesse una ragazza che potesse andare a genio sia a me che a te.”

“Vi ti vuole bene,” gli disse Tom, rendendosene veramente conto solo mentre pronunciava ciascuna parola. “Sa come prenderti, come sopportare i tuoi capricci…” Bill alzò gli occhi su di lui. “Per me è importante,” proseguì. “Perché niente è più importante di te.”

Bill si sciolse in un sorriso pieno di affetto, e Tom rivide il suo fratellino che alle elementari lo implorava di fare cambio con le merendine, ringraziandolo con quella stessa identica espressione

Era il suo Bill, l’unica certezza su cui sapeva che avrebbe sempre potuto contare, e non sarebbe mai passato giorno senza che lui ringraziasse chiunque gli avesse fatto l’impagabile dono del proprio gemello.

“Allora,” fece Bill, saltando in piedi. “Cos’è che dovevamo prendere?”

“La roba di Georg.” Rispose Tom, imitandolo.

“Sì, giusto.”

Bill, la sigaretta ancora tra le dita, si avviò verso la Cadillac, posteggiata una ventina di metri più in là.

“Bill?” lo richiamò Tom, fermo dov’era. Lui si voltò.

“Mmh?”

Tom stavolta non si preoccupò di passare per un sentimentalista: sorrise a Bill direttamente dal cuore.

“Ti voglio bene.”

E Bill, che non era capace di nascondere le emozioni, non poté fare altro che rispecchiare quello stesso sorriso.

“Ti voglio bene anch’io, Tomi.”

 

***

 

Agli occhi di Vibeke il guardaroba di Nicole appariva esageratamente sobrio e semplice. Da un lato era consapevole di avere dei gusti molto particolari ed appariscenti, ma dall’altro non capiva perché una ragazza carina come Nicole dovesse comprare vestiti che sembravano essere stati cuciti per far passare inosservato chi li portava. Non che credesse che Nicole potesse passare inosservata, anche con l’abbigliamento più anonimo del mondo, ma non vedeva il senso di tutti quegli abiti così poveri di personalità. Di capi interessanti ce n’erano pochi, ma quei pochi se non altro denotavano un certo buongusto.

“Ecco qui,” disse Nicole, facendo il proprio ingresso nella stanza con l’ultimo scatolone. “I ragazzi sono di là a sistemare la libreria, se preferisci aiutare loro –”

“No,” rispose Vibeke, riponendo una pila di magliette sul letto. “Se la possono cavare da soli, soprattutto sotto la supervisione di Emily.”

Nicole rise.

“Già.”

Erano sole, per la prima volta in tutto il pomeriggio, e sulla punta della lingua di Vibeke c’era un intero discorso che premeva per uscire. Non sarebbe stato piacevole, forse, ma non era mai stata capace di tacere sulle questioni che le stavano a cuore.

“Nicole…” Prese un respiro profondo e si fece coraggio. “Possiamo fare due chiacchiere da donna a donna?”

Dopo una momentanea esitazione disorientata, Nicole assentì.

“Certo.”

Vibeke spostò qualche maglietta e si sedette, facendo cenno a Nicole di fare lo stesso.

“È un po’ che osservo il modo in cui ti comporti con Georg,” cominciò, scegliendo accuratamente i termini. “E qualche volta… Non so, ho la sensazione che tu viva nel terrore che da un giorno all’altro lui ti pianti in asso,” Le lanciò un’occhiata di sbieco, ma lei non si mosse di un millimetro. “Sbaglio?”

Fissandosi le mani mestamente giunte in grembo, Nicole si intristì ed esalò un sospiro contrito.

“Non di molto.”

Lo ammetteva, era già un inizio. Il difficile sarebbe stato il resto.

Ricordati il tatto, Vibeke.

“Lo so che non è affar mio, ma...” No, non c’era un modo per dirlo con tatto. “Dovresti smetterla con questi tentennamenti,” la pregò. “Possibile che tu non ti renda conto di quanto tu ferisca Georg, comportandoti così?” Lasciò una breve pausa per permettere a Nicole di metabolizzare quanto le stava dicendo. “Hai l’immensa fortuna di essere innamorata di qualcuno che ti ama a sua volta e più di qualunque altra cosa… Dov’è il problema, si può sapere? Insomma, hai per le mani il libidinoso bassista dei Tokio Hotel, una meta ambita da centinaia di migliaia di ragazze, approfitta di ogni cazzo di secondo! Qualsiasi altra al posto tuo se ne andrebbe in giro ad esibirlo come un trofeo e lo sfrutterebbe a proprio uso e consumo, e tu invece stai a perdere tempo con chissà che seghe mentali!”

Nicole pareva congelata in se stessa, paralizzata in quella posa piena di rimorso.

Parlavamo di tatto?, si intromise l’ironica mente di Vibeke.

“Hai ragione,” riconobbe Nicole. “Avete tutti ragione, lui per primo,” Si prese il volto tra le mani, appoggiandosi con i gomiti alle ginocchia. “Sono insopportabile, certe volte, me ne rendo conto,” Il suo tono era così sommesso e dispiaciuto da far quasi pentire Vibeke di aver voluto aprir bocca. “È solo che… Quando sei abituata a dover faticare per avere il minimo necessario a sopravvivere, va a finire che poi non sei più in grado di fidarti quando ti capita qualcosa di bello e di… Gratuito,” Si passò una mano tra i capelli, inumidendosi le labbra mentre gli occhi si facevano lucidi. “Ti aspetti sempre di dover pagare, prima o poi, non riesci a lasciarti andare del tutto per la paura che da un momento all’altro ti venga presentato il conto… Se tutto diventa troppo bello e facile, cominci a chiederti sempre dove sia la fregatura.”

Vibeke era impressionata, e non poco. Che Nicole fosse una ragazza matura ed indipendente era sempre stato chiaro, non ne aveva mai dubitato, ma che quella maturità nascondesse una tale paura, e per di più così giustificata, non lo avrebbe mai potuto immaginare. Si era sempre limitata a giudicarla in relazione al suo rapporto con Georg, senza mai porsi il problema degli eventuali fattori che potessero esserci a monte delle sue incertezze.

“E tu ti stai ancora chiedendo dove sia la fregatura, con Georg?” si domandò, cominciando a capire moltissime cose che finora aveva deplorabilmente ignorato.

“Be’, ammettiamolo,” Nicole sforzò un mezzo sorriso. “Siamo un’accoppiata abbastanza improbabile. È troppo bello per essere vero.”

“Solo perché hai una figlia?”

“Ogni tanto mi chiedo se sia davvero giusto stare con lui, se io non gli stia portando via qualcosa…”

Ecco, pensò Vibeke, colpita, qui sta la differenza più grande tra me e lei.

La maggiore preoccupazione di Vibeke era sempre stata quella di preservare se stessa, di proteggersi da eventuali minacce ed evitare di farsi ferire dalla gente, di non farsi sottrarre niente che le appartenesse di diritto. Nicole invece era l’esatto opposto: era una giovanissima ragazza madre orfana con una figlia piccola a carico che, per qualche fortunato gioco del destino, aveva incontrato Georg Listing dei Tokio Hotel e lo aveva fatto innamorare, innamorandosene a sua volta, e lei non si preoccupava affatto dei propri problemi. No, lei si preoccupava soltanto del fatto che Georg potesse rinunciare a troppe cose per stare con lei.

Vibeke aveva sottovalutato le ragioni delle insicurezze di Nicole, ma parlarle le era stato utile: si era tolta una fastidiosa spina di pregiudizio. Nicole non meritava l’astio di nessuno. Meritava solo di essere felice, e, per sua fortuna, la felicità aveva già bussato alla sua porta da un pezzo.

“Lascia perdere i dubbi,” la incoraggiò. “Se gli mancasse qualcosa, se si sentisse insoddisfatto, Georg non farebbe finta di niente. Non ti dico di metterti a fare la donna compiaciuta che se la tira perché il suo uomo è figo e ricco e celebre, ma goditi questa cosa, o andrà a finire che rovinerai una storia nata per essere perfetta,” Le sorrise. “Credimi, l’unica cosa che gli hai portato via è il cuore. Fidati di lui e di quello che avete.”

“È solo che lui potrebbe avere tutto, qualunque cosa, qualunque ragazza…” razionalizzò Nicole. “E invece sta con una ragazza madre che se gli va bene vede una volta al mese.”

“Capisco questi tuoi dubbi,” interloquì Vibeke gentilmente. “Ma ormai conosco Georg, e se c’è una cosa che so con assoluta certezza è che farebbe a meno di tutto – tutto, Nicole – ma non di te e di Emily. Credo che tu gli stia facendo molto male, comportandoti così. Lui ti darebbe l’anima,” le ricordò, con una punta di rimprovero. “E tu non sei nemmeno disposta a dargli la tua fiducia.”

Nicole non si mosse. Il suo sguardo era posato su una maglietta azzurra che giaceva un po’ sciupata accanto a lei. La sfiorò con la punta delle dita, quasi riverenzialmente. Sembrava troppo grande per essere sua.

Le sue labbra si aprirono in un debole sorriso acquoso mentre tornava a guardare Vibeke.

“Io lo amo.”

Il cuore di Vibeke fu attraversato da una specie di formicolio indefinibile. Erano tre semplici parole con un suono straordinario. E lei non era il genere di persona a cui capitava di sentirsi veramente felice per gli altri, ma questa volta lo era. Per Georg e per Nicole, e anche per la piccola Emily, perché sapeva cosa significava essere abbandonati da un genitore naturale ed avere la fortuna di trovarne uno acquisito infinitamente migliore.

“Lo so,” replicò comprensiva. “Si vede. Quindi fa’ un favore a tutti quanti: fuori le palle, cazzuta e decisa, manda al diavolo tutti i bastardi che ti hanno resa così diffidente e goditi quest’amore, finalmente.”

Nicole scoppiò in una risatina sommessa.

“I ragazzi hanno ragione,” le disse. “Sei dinamite allo stato puro.”

Lo prenderò come un complimento, decise Vibeke, lusingata, però, del fatto che i ragazzi le avessero parlato di lei,

“Sì, be’, ogni tanto esagero, lo ammetto,” si schermì. “Anzi, magari sono stata un po’ brusca…”

“Credo che mi servisse che qualcuno mi desse una bella scossa,” disse Nicole. “Lo so che divento patetica, qualche volta.”

A questo punto della conversazione, c’era un’ultima cosa che a Vibeke sembrava doveroso fare.

“Devo chiederti scusa, Nicole,” mormorò tutto d’un fiato. “Mi ero fatta un’idea del tutto sbagliata su di te.”

“Cosa vuoi dire?”

“Be’, quando sei arrivata mi sei sembrata così bella e buona, così… Perfetta. Tutti ti adoravano, tutti pendevano dalle tue labbra… Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello che tu ti meritassi veramente tutte quelle attenzioni.”

Nicole le sorrise impacciata.

“Checché ne dica la gente, non è sempre la prima impressione quella che conta.”

“Sì, be’, quello che mi ha dato più fastidio è che io in genere sono la predicatrice antisuperficialità per eccellenza, e invece stavolta ho razzolato proprio male.”

Nicole incurantemente scosse la testa.

“Ammetto che la tua freddezza mi ha lasciata parecchio spiazzata,” disse. “Non riuscivo a capire cosa avessi fatto per darti tanto fastidio, ma forse era solo una cosa che sentivi a pelle…”

“No, è stato per un motivo ancora più stupido,” confessò Vibeke, lisciandosi una ciocca di capelli sulla spalla. “Vedi, credo di essere stata un po’ invidiosa di te.”

Tu?” Nicole spalancò la bocca incredula. “Invidiosa di me?”

“Sì,” Ribadì Vibeke. “Forse tu non te ne rendi conto, ma hai la capacità di farti amare immediatamente, e in assoluta spontaneità. Il mio carattere ruvido e spinoso invece mi rende una persona estremamente difficile da avvicinare, figuriamoci poi da amare. Tu sei esattamente come Bill: ti basta un sorriso, e hai tutti ai tuoi piedi. Ed era questo che all’inizio mi irritava: credevo che fossi una piccola riccastra snob che era misteriosamente riuscita ad accalappiarsi il bel rocker di fama planetaria. Sai, stile Paris Hilton…”

Vibeke non era mai stata così logorroica in vita sua. Una volta esternato un pensiero, gli altri si erano susseguiti uno dopo senza alcun controllo, ma era un bene.

“Poi, però, conoscendoti,” continuò. “Mi sono resa conto del grande abbaglio che mi ero presa. Sei una ragazza forte, determinata, hai lottato duramente per tenere in piedi la tua vita, meriti tutta la stima del mondo. Col senno di adesso, non mi stupisce affatto che Georg sia così innamorato di te. Cazzo, anch’io mi innamorerei di te!”

Nicole rise, visibilmente più rilassata. Il suo sorriso non era affatto posato come Vibeke aveva pensato la prima volta.

“Mi fa piacere che ci siamo chiarite. Nonostante tutto, mi sei sempre piaciuta.”

“Davvero?”

Nicole annuì serenamente.

“Davvero,” confermò. “E ammetto che ero anch’io un po’ invidiosa di te. Non sono mai stata una tosta, e ho sempre ammirato le donne ‘cazzute’, come dici tu.”

“Con quello che hai affrontato, sei molto più cazzuta tu di me e quei quattro messi insieme, credimi.” Le disse Vibeke, riprendendo a tirare fuori i vestiti dagli scatoloni in cui erano stati ordinatamente riposti per il trasloco.

Nicole si alzò in piedi, stringendo la maglietta azzurra tra le mani.

“Grazie, Vibeke.”

“Ah, non dirlo nemmeno,” fece Vibeke, sventolando una mano. “Ora, dimmi, dove va tutta questa roba?”

Ma Nicole era stata distratta da qualcos’altro.

“Cosa ti sei fatta lì?” le domandò, indicandole l’avambraccio.

“Dove?” Vibeke controllò il punto indicato da Nicole e notò che c’era un sottilissimo taglio lungo qualche centimetro vicino al polso. “Oh… Non me n’era accorta.”

“Vado a prenderti qualcosa per disinfettarlo.” Annunciò subito Nicole, ma Vibeke la bloccò:

“No, faccio da me, non ti preoccupare. Dimmi solo dove posso trovare un cerotto.”

“Trovi tutto nell’armadietto del bagno di sotto.”

“Bene,” lasciò cadere a terra lo scatolone vuoto e si diresse verso la porta. “Vado e torno.”

Scendendo le scale, si sentì più leggera che mai. Si era chiarita con Nicole, e l’esito si era rivelato migliore di qualunque sua più rosea previsione.

Ora le mancava solo una cosa per coronare quella giornata quasi perfetta.

 

***

 

Cazzo, ma quante tonnellate di premi abbiamo vinto in otto miseri anni di carriera?!, si stupì Tom, arrancando su per le scale con il pesantissimo pacco tra le braccia. Davanti a lui, Bill saliva disinvolto, portando solamente un mucchietto di CD.

“Tranquillo, Tomi, siamo arrivati. Attento all’ultimo gradino.”

Esausto, Tom depositò scrupolosamente lo scatolone sul pavimento e poi si tirò su, massaggiandosi la schiena indolenzita.

“Quella è la roba di Georg?” domandò la voce di Nicole. Tom la individuò sulla soglia della camera da letto padronale.

“Sì,” ansimò. “Dove va portata?”

“Se non sbaglio Georg voleva appendere tutto nel salotto…”

“Oh, grandioso!”

“Lascia pure tutto qui,” gli disse Nicole. “Ci penserà lui più tardi.”

Tom si guardò attorno e notò che c’era uno strano silenzio.

“Che fine ha fatto Vi?”

“Si è fatta male con qualcosa,” Rispose Nicole. “Dovrebbe essere nel bagno di sotto a cercare dei cerotti.”

Bill gli indirizzò un’occhiata enigmatica, che lui non ebbe alcuna difficoltà a comprendere.

“Vado a vedere cosa sta combinando.” Comunicò, e, senza aspettare risposte, ripercorse le scale a ritroso, diretto verso il bagno. Aveva voglia di parlare con Vibeke.

Hai voglia di Vibeke, lo corresse una vocetta petulante, punto.

Tom bussò alla porta chiusa del bagno.

D’accordo, dovette ammettere, diciamo che ho anche voglia di parlarle.

Vibeke rispose immediatamente:

“Sì?”

“Sei ancora viva, lì dentro?”

“Per tua sfortuna sì, Kaulitz.”

Tom rise fra sé: non si sarebbero mai stancati di punzecchiarsi a vicenda.

“Posso entrare?”

Un attimo di silenzio.

“Entra.” Disse infine Vibeke, e lui entrò, richiudendosi la porta alle spalle.

Lei era di fronte allo specchio e si stava tamponando il lato dell’avambraccio destro con un batuffolo di cotone impregnato di liquido verde.

“Tutto a posto?”

“Sì,” Finito di disinfettarsi, Vibeke gettò il batuffolo nel cestino che era già stato sistemato in un angolo. “È solo un taglietto superficiale, quasi non è uscito sangue.”

Tom si appoggiò di spalle al piano di marmo e la osservò mentre metteva via l’acqua ossigenata e l’ovatta. Aveva un’aria insolitamente calma, rilassata, come se, mentre lui era uscito, si fosse tolta una grossa preoccupazione.

Tom aveva ancora difficoltà a capire cosa provasse di preciso, quando la guardava. Non la sopportava quando cominciava a blaterargli contro perché aveva fatto questo e non aveva fatto quello, e nemmeno quando lo ignorava di proposito per fargli pesare qualche battutina un po’ troppo pesante; la tollerava a stento nei suoi momenti di chiusura totale, quando si presentava con indosso una maglietta rosso fuoco che era tutta un programma, monito esplicito di lasciarla sulle sue per chiunque non avesse voglia di farsi piovere addosso ondate indesiderate di negatività; la sopportava di buon grado quando, senza alcun preavviso, andava da lui mogia e silenziosa e fingeva di avere solo voglia di una sveltina, mentre lui sapeva benissimo che ciò che in realtà cercava era del calore umano, quello stesso calore umano che, tempo addietro, lo aveva accusato di non essere in grado di dare. Ma Vibeke tornava sempre da lui, alla fine, e questo doveva pur significare qualcosa, se non addirittura molto.

O forse tutto.

La adorava quando rideva, perché non aveva mai visto un sorriso così luminoso ed innocente accompagnato a occhi che trasmettevano una stranissima commistione di malizia e malinconia, e il suono della sua risata era diverso da quello della sua voce, più morbido, più fresco, più bambino. Si era accorto di volerle bene – veramente bene – solo quando i ragazzi gli avevano fatto presente che tendeva ad essere lunatico, nei giorni in cui non vedeva Vibeke, ed anche se lui aveva liquidato quella loro supposizione nel suo solito modo sgarbato, intimamente non aveva potuto evitare di prenderne atto.

“Ho parlato con Bill, mentre eravamo giù.” Le disse, infrangendo il breve vuoto che si era venuto a creare.

Vibeke aprì l’armadietto per riporvi le cose, ma gli regalò un piccolo sorriso.

“Lo so.”

“Lo sai?” fece Tom, attonito.

Lei sollevò un sopracciglio.

“Quando mai ti offri di aiutare qualcuno senza secondi fini?”

Tom rise.

Ormai mi conosci, eh?

“Touché.”

“Avete concluso qualcosa?” volle sapere lei.

Lui annuì.

“Direi di sì.”

“E gli hai detto…?”

Tom annuì ancora, compiaciuto.

“Sì.”

“Bravo, Kaulitz,” si congratulò Vibeke, dandogli i soliti colpetti sulla testa. “Sono fiera di te.”

Tom avrebbe fatto tesoro di quel complimento: era raro che Vibeke si sbilanciasse a dire cose carine, almeno con lui.

Scivolò in avanti di una spanna, parandosi di fronte a lei con un sorrisetto furbo pieno di aspettative.

“Mi merito un bacio, non credi?” suggerì, le mani sui suoi fianchi, spingendola contro il piano di marmo con il proprio bacino. Non aspettò responsi inutili, non ne aveva bisogno: percepiva in lei la medesima voglia che sentiva crescere in tutto il proprio corpo. Si chinò ed avvicinò le labbra alle sue, dapprima incontrandole appena – una, due, tre volte – poi ritornando per intrappolarle in un bacio più profondo.

Era seccante ammetterlo, ma quelle labbra carnose gli erano dannatamente mancate.

Quando fece per separarsi da lei, Vibeke gli circondò il collo con le braccia, concedendogli di risollevarsi solo di pochi centimetri. Lo guardò negli occhi come se sperasse di trovarvi qualche risposta alle mille domande che a lui sembrava di poter quasi leggere nei suoi, ed era così bella, in quel modo solo suo di esserlo, graffiante e scura, eppure candidamente limpida.

“Facciamo due?” gli propose con un fil di voce, anche se lui si stava già riavvicinando al suo viso.

“Perché non tre?” le disse Tom, chiudendole la bocca con un altro bacio, e poi uno ancora, e ancora. “Quattro…” La lasciò sorridere ad occhi chiusi per un momento, e poi, di nuovo, un altro. “Cinque…”

“Kaulitz,” sussurrò Vibeke, fremendogli tra le braccia mentre lui la baciava ancora. “Questa è deliberata provocazione.”

Lui sogghignò trionfante.

“Lo so.” rispose, appoggiandosi alla sua fronte.

Fece scorrere le proprie mani su di lei, dalla schiena ai fianchi, e poi verso il bordo dei jeans, che seguì lascivamente fino a che non trovò il bottone di metallo che sovrastava la lampo. Lo slacciò con un movimento esperto ed abbassò la zip, guadagnandosi un gradito accesso al livello successivo. Tutto ciò che fece Vibeke in risposta fu fare lo stesso con i jeans di lui, che effettivamente stavano diventando scomodi e fastidiosi.

Vibeke non staccava gli occhi dai suoi, ed era seria come raramente la aveva vista.

“Ti odio.”

Tom rise silenziosamente e le rubò un settimo bacio.

“Io di più.”

E quando Vibeke si tolse la maglietta nera e la gettò via alla cieca, lasciandolo a contemplare la sua pelle bianca coperta da nient’altro che un reggiseno di pizzo nero, Tom seppe con certezza che avrebbe ricordato quella giornata come una delle più memorabili della propria vita.

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Note: lo so, sono in ritardo, per essere eufemistici, ma sono quasi giustificata anche stavolta. Ho dato un esame importante e finalmente l’ho passato, e alla grande, e poi mi è venuto un blocco indecente per il capitolo, quindi è stato drammatico… Ho praticamente scritto tutto in tre giorni, colta da non so quale illuminazione divina, e quel che ne è uscito è il capitolo più lungo della mia vita. So che lo dico ogni volta, ma ogni volta gli aggiornamenti sembrano allungarsi. Spero solo che la lunghezza compensi un po’ la lunga attesa. ^^

Ora veniamo a noi, ho un sacco di risposte personali da darvi! (43 recensioni?! Sogno o son desta?! Io vi amo! *___*)

eva35: prima di tutto benvenuta! ^^ Grazie davvero per i complimenti, spero che continuerai sempre a trovare questa passione nei miei scritti. Io farò sempre del mio meglio. ;)

Isis 88: come ti ho già detto via messaggio privato, sì, il titolo di questa ff porta lo stesso titolo della meravigliosa canzone dei Within Temptation, gruppo che amo moltissimo e che uso spesso, assieme a qualche altro, come fonte di citazioni poetiche. ;) Mi farebbe piacere ritrovarti tra i miei recensori, qualche volta. ^^

Alexgirl: eheheh, Tom e Vi sono davvero una coppia magnifica… A modo loro. ;) Grazie per la recensione, spero non sia stata l’ultima!

Mairim90: a te va una dedica speciale, questa volta, perché, come Lory ti avrà detto, era molto che desideravo sentire il tuo parere. So che la storia ti piace ed era importante per me poter leggere personalmente le tue impressioni. Ti ringrazio molto, davvero.

schwarznana: ancora viva dopo la full immersion, tra Lullaby e The Truth? XD Sei una miracolata! Ho notato con piacere che hai apprezzato dettagli a cui io stessa tengo moltissimo, quali la caratterizzazione di Tom e lo sviluppo abbastanza cauto del suo rapporto con Vi. Condivido tutto quello che hai detto sulla nostra adorabile principessa, e soprattutto il ‘senza parole’ rivolto alla scena di Georg nel bagno. XD Hai buongusto! ;)

StellaMars: se hai trovato lungo lo scorso capitolo, questo ti sarà parso interminabile. XD È vero, lo scorso capitolo era una bella immersione nelle profondità dei nostri due imbranatissimi eroi, e trovo fantastico che il buonumore di Tom abbia contagiato anche te! Chissà se anche adesso ti senti come si sente lui. XD

Lady_Daffodil: quanti altri tuoi capitoli ho intenzione di scrivere? Be’, non saprei, escluso questo, ne mancano cinque alla fine, quindi mi posso sbizzarrire! Senza contare poi quello che verrà dopo! XD Spero che anche questo ti sia piaciuto, comunque!

mewmina__91: ah, se Tom è il tuo preferito, tieniti pronta, perché The Truth è solo l’inizio. ;) Dichiarazioni spilerose a parte, credo che il C.G.P.P.(Comitato dei Gemelli Portinai e Pettegoli) sia un club esilarante e adorabile, che gode di molti sostenitori tra i lettori. XD fammi sapere cosa ne pensi anche ddi questo aggiornamento. ^^

mask92: sì, il ragno Wilhelm si chiama così proprio perchè il nome di battesimo della nostra principessa è effettivamente Wilhelm (Wilhelm e Thomas Kaulitz… nemmeno tra trent’anni li vorrò mai chiamare così XD).

Ninnola: sono lusingata dal fatto che tu abbia regalato proprio a me la tua prima recensione chilometrica! *__* I miei fedeli sanno che io adoro le recensioni lunghe, quindi immagina quanto me la sono goduta! ;) Spero che ce ne sarà una anche per questo capitolo! (lunga quanto vuoi, tranquilla! ;))

Debry91: se diventi una cantante famosa, ricordati di me, mi raccomando! Saresti l’aggancio ideale per incontrare quei quattro! XD L’ispirazione purtroppo non è stata molto con me, in questo mese di silenzio stampa, ma per fortuna ora sembra ritornata! Speriamo bene! ^^

Muny_4Ever: eh, BJ è fatto per essere amato, poverino! XD Non è particolarmente simile ad un atleta, ma fa del suo meglio, insomma… Ed associato a Bill, dà origine a un boom di pucciosità e fascino indicibile. Mi raccomando, ora che sei tornata, non sparire di nuovo! ;)

Black_DownTH: benvenutissima! Addirittura la tua ff preferita?! Sta’ attenta, io mi monto la testa facilmente, non è bene farmi troppi complimenti! XD sono felice che tu riesca a percepire questa emozione in quello che scrivo. L’ho ripetuto tante volte, ma per me trasmettere le sensazioni è una delle cose più importanti, per le mie storie, e sapere che tanta gente riesce a percepire quello che io vorrei comunicare con le parole, mi rende molto soddisfatta del mio lavoro. Grazie ancora!

NeraLuna: innanzitutto, grazie infinite per la bellissima email, mentre la leggevo avevo due occhioni luccicosi che non ti dico! Però alla fine ce l’ho fatta, hai visto? Grazie del supporto emotivo! ;) Per quanto riguarda il turno di Bill e Gustav… Mettiti comoda, vedrai che il momento arriverà. ^^

erichina94: hai detto una cosa molto vera: Tom e Vi sono davvero contraddizione e completezza insieme. E, sì, in qualche modo qualcosa lo hanno ammesso, anche l’uno con l’altra, ma non lo sanno ancora bene cosa provano. Diamo loro un po’ di tempo, hanno ancora qualche passetto da compiere prima di capire.

Lady Vibeke: a te non dico niente, tanto sei onnipresente, anche quando non ci sei. XD

Zarah: benvenuta anche a te! Ho apprezzato davvero molto la tua recensione, era ben scritta e molto intuitiva, il che mi fa pensare che tu sia un’intenditrice e quindi mi fa anche doppiamente piacere. Concordo con te nel dire che forse lo scorso capitolo era finora uno dei migliori (non so se il migliore in assoluto, poi), ma non finisco mai di sfidare me stessa, spero di riuscire a fare anche di meglio, prima o poi. Ti ringrazio davvero tanto, spero con tutto il cuore che vorrai concedermi altre recensioni,, in futuro!

Yukiko_chan: non voglio vantarmi, ma sono davvero orgogliosa di averti fatta avvicinare ai Tokio Hotel e alla loro musica, con la mia storia. Sono ragazzi che meritano un’occasione, e in genere, se si ha l’umiltà di lasciare da parte i pregiudizi, non deludono. Ho riso come una matta all’idea di Astrid! XD Dovresti scrivere tu la sua storia, sai? Una ff alla ff… Credo che nessuno lo abbia mai fatto prima! Sarebbe un’idea molto carina! Scusami se ci ho messo così tanto a postare, è stato un mese molto duro. ^^

miellita: benvenuta anche a te! Essendo tu una non fan dei Tokio Hotel, ti avverto subito che il semplice fatto che tu abbia ritenuto doveroso recensire lo scorso capitolo solo per dirmi che la storia ti piace, mi ha mandata in brodo di giuggiole. È bello, per me, che una fan ami le mie storie, ma lo è doppiamente quando è una non fan ad amarle, perché è più difficile conquistare l’attenzione di qualcuno che non ha già un legame con i personaggi proposti. E poi, hai proprio ragione: io sono un’amante di Georg senza pudore, ma ho sempre ammesso che il migliore in assoluto, tra quei quattro, è proprio il meraviglioso Gud! E BJ… Be’, si commenta da solo, credo. ;) Se vorrai commentare ancora, sappi che te ne sarò profondamente riconoscente!

Claustrophobical: doccia fredda sopo un semplice (o quasi) bacio? E adesso cosa devi fare, un giretto in bikini al Polo Nord? XD Fammi sapere se funziona, perché in effetti anche io a volte ho difficoltà a sedare certi bollori. ;)

growlitha: non mi parlare di PC dispettosi, perché il mio mi ha fatta impazzire mentre scrivevo questo capitolo! Word continuava a chiudersi da solo e dovevo ogni volta salvare tutto in un nuovo documento… Un’agonia! XD Ma finalmente ci siamo, è fatta! E poi, ti dirò, ci metto quasi sempre qualche cosa di comico nei capitoli, tanto per alleggerire anche le atmosfere un po’ tese. E dì al tuo “magnifico” computer di permetterti di leggere e recensire, o subirà la mia collera! XD

_ToMSiMo_: grazie di ogni parola! Non vedevi l’ora che succedesse altro? Be’, questo era solo un assaggio! ;)

winTh: un’altra recensione lunga lunga! Era un capitolo benedetto, devo dire. XD Comunque, ora sei stata tu a far commuovere me! ^^ Se vorrai davvero recensire ogni capitolo, sai già che ne sarò entusiasta!

lady dumbledore: una recensione ogni tanto è meglio di nessuna, quindi grazie per quelle che lasci, apprezzo ogni minimo sforzo, tranquilla. ;)

picchia: eheheh, illuminazione mistica, eh? ;) Sono entusiasta di aver scelto Kat Dennings come volto per Vi, perché è veramente perfetta. In realtà non la conoscevo, prima che Lady Vibeke arrivasse tutta entusiasta a dirmi che “aveva visto Vi” in un film. XD Ora però mi sono istruita su di lei e devo dire che la trovo una bravissima attrice, oltre che una splendida ragazza. E cosa pretendevi da Bill e BJ? XD Bada a ciò che dici, certe cose sono confidenziali, ricordatelo! XD Verrà il momento, tra mooolto tempo. ;)

valux91: mi rattrista davvero molto che la tua passione per i Tokio Hotel sia scemata, sarà forse perché sento che la mia invece non fa che aumentare spropositatamente di giorno in giorno, ma d’altro canto mi fa anche piacere che, nonostante questo, la storia ti piaccia ancora. ^^ E sono io che ringrazio te, cara. ;)

pIkKoLa_EmO: il romanticismo calibrato e a piccole dosi non fa mai male, quindi finché c’è, gustiamocelo. XD Ho fatto del mio meglio con il Tom dolce ma sempre tommoso, mi fa piacere che tu abbia apprezzato. :)

cicha: come sarebbe a dire che sono riuscita a farsi piacere persino Tom? XD Sei un’altra di quelle che lo trovano irritante, mh? ;) Capisco bene, tranquilla, Tomi è un elemento duro da amare davvero. Grazie dei complimenti, se vuoi, sono sempre ben accetti! XD

erikucciola: grazie, grazie, grazie! ^^ Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo.

loryherm: oh, cara, quale gioiello inestimabile mi hai lasciato! XD Stavo per consumare lo schermo del pc nel leggere la tua recensione! Ti adoro, lo sai! ^^

LadyCassandra: carissima! Non ho parole per ringraziarti… Me le hai tolte tutte! Aspetto con ansia un tuo parere su questo nuovo capitolo!

natyy: ho aggiornato il prima possibile… Ma è stato un lungo aggiornamento lo stesso. ^^ Chiedo scusa ancora una volta, mi auguro che ne sia valsa la pena, anche stavolta. ;)

satanina: benvenuta! Mi lasci senza parole anche tu… Come posso ringraziarti? Hai detto delle cose che mi hanno fatta gongolare di gioia! XD Sai, in molti all’inizio non apprezzavano Vibeke, e questo perché Vi è un personaggio che va scoperto pian piano, va svelato e compreso un pezzetto per volta… Un po’ come tutti, del resto, ma chi sia ama già, come i Tokio Hotel non conta. ^^

vivihotel: credimi, anche a me piacerebbe riuscire a postare più spesso, ma come vedi ogni tanto sono sommersa di impegni e purtroppo ritardo di molto nel pubblicare… :( Però se non altro più ritardo, più i capitoli si allungano, sembra, quindi dovrebbe essere un po’ un controbilanciamento. ^^ Soddisfatta di questo capitolo?

hyena_:  cara! Cosa poso dirti? Hai individuato anche le mie scene preferite! XD Continua così, mi raccomando!

elli_kaulitz: grazie! ^^ Mi sdebiterò con tutte voi, entro la fine, lo prometto, vi regalerò un capitolo che ne varrà mille per ringraziarvi di tutte le vostre bellissime parole!

CowgirlSara: eheheh, anche a te non serve che dica nulla, quasi ne sai di più tu di me. XD Un grazie immenso, di tutto quanto, credo che basti. ;)

_Kaay: ma cara, potevi benissimo scriverne mille di recensioni, io non le avrei certo disdegnate! XD Ma anche una sola vale mille, quindi grazie! ^^

kit2007: hai trovato lungo il precedente, questo capitolo ti sembrerà una cosa eterna… XD Grazie, anche delle chiacchierate deliranti su MSN! ;)

Ladynotorius: Milady! Scusami, davvero, lo so che sono stata imperdonabile, ma questa volta è stata veramente doloroso per me metterci così tanto… Ero proprio bloccata. Ma ora mi sono ripresa, pensiamo positivo. ^^

Un angolo specialissimo va infine dedicato ad Ale, che due giorni fa ha compiuto gli anni (quanti, non si dice, o sono guai XD)! ;) E grazie anche ad _Ellie_, che non ha mai tempo nemmeno per respirare, ma ne trova sempre per leggere! ^^

Alla prossima, gente, e pregate che sia presto!

P.S. ho scordato di postare questa lo scorso capitolo (gentilmente salvato da _Ellie_): 483 recensioni! GRAZIE A TUTTI, il record che ogni fan dei Tokio Hotel sogna! ;)

   
 
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