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Autore: VRock    24/09/2015    3 recensioni
[ 50's AU - Italia ]
"Era proprio come gli aveva raccontato sua madre. Merlino poteva sentire la magia, la stessa magia un tempo appartenuta alle fate le quali si narra abbiano insegnato l’uomo a danzare. Poteva sentirla lì, insieme ad Artù. Era come un formicolio nel petto che ti faceva star bene. Forse anche lui lo stava provando perché non la smetteva mai di sorridere, il sorriso più bello che avesse mai visto."
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hunith, Merlino, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
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Premessa: Questa one shot AU si svolge negli anni 50, in Italia. Nello specifico è ambientata in un contesto rurale, quando la mezzadria era ancora molto diffusa soprattutto nel centro italia. Non ho descritto molto la situazione di quel tempo per evitare strafalcioni. Mi sono limitata quindi a far riferimento ad alcune tradizioni e credenze popolari (alcune delle quali le ho un tantino forzate).
Per il resto spero vi piaccia, buona lettura! :)




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Mò ch’è arrivata l’ora di partire
Piglia ‘sto còre mio fanne due parte
una ne pijio io pe’ non morire,
l’altra la dono a voi… la maggior parte
.
 

 

Artù e Merlino erano due bambini

Abitavano nello stesso casale. Il primo coi capelli come il grano e l’altro, invece, neri come l’inchiostro. Uno forte e con ossa robuste, l’altro invece mingherlino e dinoccolato. Entrambi però avevano un bel sorriso e un paio d’occhi chiari e vivaci.

Artù e Merlino non erano i loro veri nomi.

Da quando Suor Teresa, la loro insegnante, raccontò alla classe alcune storie di cavalieri della tavola rotonda, spade magiche e maghi, rimasero talmente affascinati da quelle avventure che non smisero mai di chiamarsi a quel modo persino fuori dai loro giochi. Presto anche tutto il paese finì per chiamarli Artù e Merlino.

Tutti ancora ricordano quei due ragazzini andare veloci in sella al loro destriero che altro non era la bicicletta che Artù ricevette in regalo da suo padre. Artù alla guida e Merlino, ritto sul sedile passeggero, a brandire un manico di scopa come fosse una lancia. In uno dei loro tanti giochi di maghi e cavalieri, sfrecciavano lungo la discesa sollevando polvere e breccia. Come sempre finivano col cadere, nel fosso che separava il campo d’erba medica dalla strada, sbucciandosi gomiti e ginocchia. La povera Hunith si disperava, prima o poi uno dei due, cadendo, sarebbe finito infilzato dalla scopa e se non l’avessero finita di rovinare le calze sarebbero finiti col girare senza braghe!

Artù e Merlino erano  diversi.

Artù era il figlio benestante di un Concedente mentre l’altro veniva da una famiglia di mezzadri che si faceva i calli nel lavorar la terra e portarsi a casa il pane. Ma ai due questo, non importava.

Troppo spesso veniva rimproverato loro di star troppo tempo insieme, trascurando i loro doveri. Merlino doveva badare alle bestie, aiutare nei campi e non arrampicarsi sugli alberi o poltrire sotto gli ulivi. Artù doveva pensare a proseguire gli studi, pensare al nome della famiglia e non mangiare dolciumi e bazzicare per la campagna.

Artù e Merlino avevano qualcosa in comune.

Come l’altro che perse la madre, anche Merlino era orfano di un genitore: suo padre. Egli non lo conobbe mai. L’uomo morì sulle montagne quando il bambino era ancora nel grembo di sua madre.

Tante volte, dondolando sull’altalena, provavano ad immaginare come sarebbe stata la loro vita se fossero stati ancora vivi. Ne venivano fuori lunghi discorsi, talvolta anche troppo fantasiosi, ma alla fine convenivano sempre che, se lo fossero, loro non si sarebbero mai incontrati.

Artù e Merlino erano come fratelli.

Ad esser pignoli, erano fratelli di latte. Nacquero a distanza di quasi due mesi, uno il giorno di Ognissanti mentre l’altro quello della Vigilia di Natale. Quando la moglie del padrone morì durante il travaglio, la madre di Merlino, che aveva da poco partorito, fece da nutrice al piccolo Artù e se ne prese cura come se anch’egli fosse stato figlio suo. Da allora i due crebbero insieme divenendo inseparabili.

Nei momenti di paura cercavano il conforto dell’uno e dell’altro. Una mattina Hunith li sorprese a dormire, abbracciati, nel letto di Artù. Merlino non riusciva a prender sonno spaventato dal racconto dell’Asina Nuda, una creatura mostruosa che mangiava i bambini. Artù sapeva benissimo che era una balla raccontata solo per non farli andare a giocare in mezzo ai campi di granoturco e non c’era motivo per cui il bambino dovesse aver paura, ma lo accolse comunque accanto a sé aspettando che si fosse calmato e finché s’addormentarono entrambi.

Artù e Merlino erano, proprio come si dice, “culo e camicia”.

Giocavano sempre insieme, facevano tutto insieme e s’aiutavano l’un l’altro. Merlino, ch’era più bravo alle elementari, lo aiutava a studiare le tabelline; Artù, ch’era più coraggioso, lo difendeva dalle angherie dei bulli. Tutte le mattine Artù aspettava pazientemente sull’uscio che Merlino avesse finito di raccogliere le uova per poter andare a scuola insieme. Quando sua madre preparava le conserve, Merlino rubava un po’ di marmellata di ciliegie per poi mangiarla insieme nascosti nel fienile.

Chiunque li avesse conosciuti avrebbe dato conferma che il loro era un rapporto speciale, uniti come due facce della stessa medaglia.
                                                                                                       
***

Era fine Agosto.

Risa ubriache, strida di gioia e piedi danzanti sullo sterrato al suon dei tamburelli e dell’organetto. Nonostante fosse buio la comunità era ancora riunita intorno ai fuochi mentre si scartocciavano le ultime pannocchie e si intonavano stornelli. Anche Merlino era lì, la testa tenuta su a fatica con una mano e con le palpebre che minacciavano di cadergli sugli occhi, ipnotizzato dai movimenti vorticosi delle sottane. Si chiedeva come quei ragazze e ragazzi avessero ancora la forza di ballare e saltare per l’ara nonostante, come lui, fossero svegli dall’alba per la raccolta del granoturco. Venne riscosso dai suoi pensieri da una pacca sulla spalla.

“Ohi Merletto! Siamo ancora svegli?”

“Non per molto…ma tu che ci fai qui? Tuo padre ha cambiato idea?”

Era sorpreso di trovarselo lì, aveva provato a chiedere al padre di Artù di dare a suo figlio il permesso di partecipare alla festa. Glie lo negò senza dirgli il perché. Negli ultimi tempi gli impediva spesso di incontrarsi.

“Veramente no, sono venuto giù di nascosto. Tieni ti ho portato una cosa!”

Artù portò in avanti il braccio che teneva dietro la schiena, in mano stringeva una sporta dalla quale spuntava il collo di una bottiglia. Si sedette accanto al moro, sulla panca di legno, ed appoggiata a terra la borsa ne rivelò il resto del contenuto: avvolte in un fazzoletto vi erano della paste all’ammoniaca, quattro susine e uno scacco di cioccolata. Prese la bottiglia, che conteneva orzata, ne versò due bicchieri che aveva portato con sé e ne porse uno all’amico.

“Tieni, con questo caldo ce lo vuole qualcosa di fresco!”

“Ma sei matto a prendere tutta questa roba?? Ti rendi conto che se ti scoprono questa volta le buschi davvero?!”

“Io non mi preoccupo perché tanto ci sarai tu a coprirmi, come sempre!”

“Stavolta te lo puoi scordare, approfittatore che non sei altro!”

Merlino, contrariato, fece per alzarsi ed andarsene ma il biondo fece a tempo ad afferrarlo per i calzoni, ritirandolo giù a sedere.

“Dai Merletto stavo scherzando, non fare così…”

Artù non riusciva a vederlo col broncio, lo faceva star male. Una volta, quand’erano più piccoli, ebbero una litigata così feroce che Merlino non volle più parlargli. Artù ci impiegò tre giorni e tante carrube e frutta candita per convincerlo a far pace con lui.

“Le paste sono un regalo di mia zia, ne posso mangiare quante voglio. Di susine invece quest’anno ce ne sono in abbondanza, nessuno ci farà caso se ne manca qualcuna. Mentre per il cioccolato e l’orzata… mi inventerò qualcosa! Babbo non s'accorgerà di niente, né che le ho prese, né che me ne sono andato. E se anche accadesse, giuro sul mio onore che mai ci andrai di mezzo te! Non lo permetterei mai.”

E si scambiarono un sorriso brindando alla loro amicizia.

La bevanda era deliziosa e dissetante. Divorarono il coccolato e le susine e mangiarono con gusto i dolci mentre i loro sguardi ritornarono sulle coppie che intanto non avevano smesso di ballare. Ridevano e cantavano come se non conoscessero la fatica.

“Ma tu guarda quei matti, è dalle otto che zompano. Di questo passo si finiranno le suole delle scarpe!”

“Ah, parli proprio come tua madre! Io non li chiamerei matti, sembra divertente…”

“Dici così solo perché non hai mai provato.”

“Perché, tu sai ballarlo Merlino?”

“Si, qualche volta ho ballato con mamma… e fa un male cane! L’ultima volta mi hanno fatto male i talloni per una settimana, per non parlare delle ginocchia che…”

“Insegnami!”

“Cosa?”

“Cosa ‘cosa’? Con le orecchie che ti ritrovi sei pure sordo? Ho detto insegnami!”

Merlino finse di non aver colto l’allusione alle sue orecchie troppo sporgenti, stando a quel che gli raccontava la madre ereditate da suo nonno.

“Posso chiederlo a mamma se…”

“No Merlino, insegnami adesso. Quando mi ricapiterà più di riuscire a venire ad una festa?”

“Ma come diavolo faccio ad insegnarti e poi… cavolo Artù è un ballo di coppia! Maschio e femmina! Si è mai visto due maschi danzare insieme???”

“Non cercare scuse! Se hai paura di quello che pensano gli altri fregate per una volta, ti ho solo chiesto di insegnarmi! Poi tu sei l’unico che ne è capace…ti prego.”

Artù era abituato ad ottenere da Merlino tutto ciò che voleva. Anche quella volta faceva sul serio, quell’ espressione, il moro, la conosceva da una vita e non mentiva. Poi, se lo fissava con occhi imploranti, Merlino non ebbe altra scelta che accettare.

“D’accordo, ma non qui…”

Preso Artù per mano lo trascinò con sé. Raggiunsero il retro della stalla, lontano dagli schiamazzi e da sguardi indiscreti, ma non troppo, così da poter ancora sentire la musica. La luna, grande e luminosa, rischiarava tutto il prato di una luce azzurrina e permetteva loro di vedere bene anche senza lume. Si misero uno di fronte all’altro, Artù cercava di non ridere del chiaro imbarazzo che Merlino provava nel cercare di impostare la lezione.

“Allora… mamma ha detto che il saltarello più che una danza…è come un conteggiamento. Le mani... l’uomo -in questo caso tu- deve tenere le mani dietro la schiena. Mentre la donna le mette sui fianchi…”

Artù non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito non appena realizzò che Merlino, che si teneva i fianchi con le mani, era costretto a far la parte della donna.

“Se hai intenzione di sfottermi puoi anche andare al diavolo!”

“No, no! Scusa, continuiamo. Voglio davvero che mi insegni! Mi hai detto di tenere le mani dietro quindi, così va bene?”

Artù si mise in posa, proprio come gli era stato spiegato ed incitò a continuare. Era un tipo impaziente e lo dimostrò anche in quell’occasione. Merlino era incerto ed impacciato, si vergognava parecchio ma ci mise impegno perché il suo compagno imparasse. Come sua madre aveva fatto per lui, gli mostrò i passi base, dapprima lentamente, poi sempre più veloce. Spiegò anche come far fare le giravolte usando il fazzoletto, quello rosso che il moro aveva al collo, tendendone ognuno un’estremità. Nella danza non era consentito toccarsi.

Dopo poco che provavano notò che Artù non se la stava cavando poi così male. Apprendeva in fretta e non ci volle molto perché i movimenti divenissero naturali. Senza rendersene conto stavano danzando, insieme, coinvolti dal ritmo frenetico che giungeva in lontananza. Merlino aveva dimenticato la sua timidezza. Ridevano, si provocavano, si giravano attorno senza smettere mai di guardarsi negli occhi. S’avvicinavano, fino a sentire i loro respiri ma senza toccarsi mai davvero, per poi allontanarsi di nuovo e tornando a girare come due falene intorno alla fiamma di una candela. Tutto, le gambe, il respiro, si faceva sempre più veloce non riuscendo più a distinguere i battiti dei loro cuori da quelli dei tamburelli.

Era proprio come gli aveva raccontato sua madre. Merlino poteva sentire la magia, la stessa magia un tempo appartenuta alle fate le quali si narra abbiano insegnato l’uomo a danzare. Poteva sentirla lì, insieme ad Artù. Era come un formicolio nel petto che ti faceva star bene. Forse anche lui lo stava provando perché non la smetteva mai di sorridere, il sorriso più bello che avesse mai visto. Artù lo guardava, gli occhi ancora più blu alla luce della luna e il sudore argentato che cominciava a scendere dalle tempie. Da quanto tempo stavano ballando? La testa cominciava a girargli…

Merlino venne bloccato all’improvviso per le spalle.

“Artù! Ti avevo detto che mentre si balla non ci si tocc-“

Non fece in tempo a terminare la frase che il biondo posò le labbra sulle sue. Riuscì a respirare solo quando si separarono. Restarono immobili a fissarsi nel tentativo di riprendere fiato, era accaduto tutto così in fretta che ne rimasero storditi finché Artù non riprese il controllo. Aveva gli occhi lucidi.

“Addio Merlino.”

E  se ne andò, senza aggiungere altro, lasciando l’altro impalato in mezzo al prato ancora confuso e senza forza di reagire.
 
***
 
Il moro fu svegliato all’alba dal rumore di un’auto. Non ne giravano molte da quelle parti, il padre di Artù ne possedeva una ma non la usava quasi mai. S’alzò dal materasso di pagliericcio per poi avvicinarsi alla finestrella di camera sua a controllare. Era convinto che quell’auto potesse appartenere a quei parenti di Artù ch’erano soliti andargli a far visita, tra cui la famosa zia che gli regalava dolci. Purtroppo non era ciò che s’aspettava.

Giù nel cortile, vide Artù, livido in volto, salire a bordo della fiat bianca mentre altre persone caricavano in fretta dei bagagli. Non ci misero molto perché il mezzo partì, percorrendo già lo stradone.

Merlino scese di fretta le scale, scosso dall’angoscia che cresceva sempre di più opprimendogli la gola. Sull’arco della porta che dava all’esterno c’era sua madre. Aveva assistito alla scena.

“Dov’è andato?”

Unith non rispose immediatamente così che il ragazzo dovette ripetere la domanda ma stavolta con tono più agitato.

“Suo padre ha detto solo che lo mandava a vivere da dei parenti. Non so dove…”

Merlino non finì nemmeno di ascoltare la madre che si precipitò fuori.

Corse, corse così veloce da bruciargli i polmoni nel vano tentativo di raggiungere quell’auto che aveva portato via Artù. Il petto che scoppiava e la mente in subbuglio. Perché se ne stava andando senza avergli detto nulla? Anche quando ormai era troppo tardi, continuò a correre finché il dolore alla milza fu così forte da costringerlo a fermarsi. Ma non era niente in confronto a quello del suo cuore.

“Ecco il perché di tutti quei dolci, dovevo immaginarlo. Voleva farsi perdonare qualcosa…” pensò accasciatosi a terra e con gli occhi gonfi di lacrime.
 
***

Quando Merlino tornò a casa trovò il padre di Artù ad aspettarlo fuori. Lo scartò senza guardarlo in faccia ma poté comunque sentire lo sguardo severo dell’uomo su di se. Non gli rivolse nemmeno la parola. Sentiva per certo ch’era stato lui a costringere Artù ad andarsene anche se ne ignorava il motivo. L’uomo rimase a lungo in un austero silenzio che ruppe soltanto per dirgli poche parole:

“Non mi hai lasciato altra scelta.”
 
***

Passarono i giorni ed Artù non tornava.

Da quando il suo migliore amico se n’era andato Merlino cercò in tutti i modi di avere delle spiegazioni. Avrebbe potuto provare a chiedere milioni di volte ma tanto non ne avrebbe mai avute, il padre di Artù era fatto così: severo ed incorruttibile, un uomo che non si lasciava certo impietosire dalle suppliche un ragazzetto disperato.

“Per il bene tuo e di mio figlio, ti consiglio di non farti più vedere! Se solo provi a ripresentarti qua a far domande non risponderò delle conseguenze!”

Merlino non insistette più per paura che lui e sua madre finissero con l’esser cacciati dal podere. Non aveva il cuore di farle questo, già era tanto che il padrone permettesse loro di abitare in quella casa forse perché ancora riconoscente verso la donna. Il lavoro da governante di sua madre permetteva loro vitto e alloggio sicuri. Se lo avessero perso dove sarebbero potuti andare? I loro parenti erano emigrati e non avevano molti risparmi da parte, era meglio quindi non correre rischi.
 
***

“Guarda figliolo! Susanna mi ha dato un filone di mosto per averle rattoppato le calze del marito, ne vuoi una fetta?”

Quando la donna entrò in cucina Merlino era seduto al tavolo intento a sgusciare delle noci dando leggeri colpetti col martello.

“No grazie, non ne ho voglia…”

“Ma come? Non è da te rifiutare i dolci…”

La mancanza di Artù ebbe un impatto così forte sul povero Merlino che a volte la madre stentava a riconoscerlo. Era cambiato. Spesso rispondeva male e s’era fatto più pallido e sciupato. Lui che di solito aveva un buon appetito non mangiava più volentieri, come se il cibo non fosse ciò di cui avesse bisogno per riempire il vuoto che aveva dentro. Un vuoto colmato da Artù con i suoi gesti, le sue parole ed il suo supporto. Anche la gente del paese aveva risentito della sua assenza tanto che avevano ricominciato a chiamare il moro col suo vero nome. Merlino non sarebbe potuto esistere senza il suo Artù.

“E’ permessooo?”

Con voce squillante, Giovanni il porta lettere, fece capolino con la testa dalla porta. Come al solito entrava senza mai bussare ma era talmente bravo a parole e ruffiano che si faceva perdonare tutto.

“Oh signora come siete bella oggi! Quasi non vi scambiavo per una fata!”

“Oh ma quanto sei matto? Dai, vieni qui a sedere che ti offro qualcosa.”

“Non dovrei, sto lavorando…ma se tanto insistete un bicchierino di vino non lo rifiuto! Con l’aria che tira fuori mi scalderebbe!”

In un lampo era già seduto a far compagnia a Merlino, intanto ch’aspettava si mise ad aiutare il ragazzo a separare i gherigli dai gusci rotti, senza mancare però di mangiarne alcuni. Nel frattempo la donna preparò e servì in tavola del vino cotto accompagnato dal dolce da poco ricevuto. Il porta lettere si servì senza troppi complimenti, gustandosi le vivande neanche fosse un morto di fame.

“Allora caro Giovanni, come mai da queste parti?”

La domanda per poco non fece andar di traverso all’uomo l’ultimo boccone.

“Per la miseria stavo quasi per dimenticarla! Sono passato per questa…"

Aprì la tracolla in pelle che indossava rovistando poi tra la carta al suo interno. Dopo un po’ che cercò ne estrasse una busta che porse al ragazzo.

“Questa è per te figliolo.”

“Una lettera? Non ne ricevo mai…”

“Bè, si vede che oggi è il tuo giorno fortunato!”

Merlino prese l’incarto stropicciato e se lo rigirò tra le dita per analizzarlo. Non conosceva l’indirizzo del mittente, veniva da lontano. Aprì il
lato sigillato, estrasse il foglio scritto e ne riconobbe la calligrafia. Lesse le prime righe per poi costringersi a fermarsi.

“Allora? Chi ti ha scritto?”

Liquidò la domanda di sua madre con un “nessuno” e si chiuse in camera sbattendo la porta, lasciando gli altri due perplessi.

“…sarà qualcuno importante…” disse distrattamente Giovanni versandosi un altro bicchiere.
 
***
 
Caro Merlino,

ti scrivo in segreto questa lettera per informarti di ciò che mi è successo. Mi raccomando, per amor del cielo, nascondila e non farla leggere a nessuno!

Sai che non sono bravo con i discorsi ma mi impegnerò proprio come tu facesti con me quando ti chiesi di insegnarmi a danzare.

Prima di tutto sappi che da quella sera in cui ti dissi addio non ho mai smesso di pensare a te. La tristezza che mi ha lasciato è grande ma non ho potuto fare altrimenti.

In questo momento mi trovo in collegio, non ti dirò dove perché tu non mi scriva. Hanno ricevuto l’ordine da mio padre di controllare la mia posta perché non ne mandi e non riceva da te. Come hai notato l’indirizzo del mittente non è il mio. Ho dovuto dar via le mie scarpe nuove per convincere uno scopino ad inviarti questa lettera a suo nome. Come ho già scritto, per il tuo bene, non rispondere a questa lettera. Non voglio che ti succeda niente se mio padre dovesse venirlo a scoprire, lo sai anche tu che è capace di tutto ed io giurai sul mio onore che non permetterò mai che tu ci venga di mezzo.

Adesso ti racconterò del come mai mi trovo qui. Ricordi come mio padre, negli ultimi tempi, non voleva che ci vedessimo? Qualche giorno prima della partenza mi prese da parte dicendomi che sarei dovuto venire in questo collegio, non tanto per continuare gli studi ma per allontanarmi da te. Disse che stavamo troppo insieme, che il nostro comportamento era sbagliato e non voleva che la gente pensasse mele di me. Cercai di ribellarmi ma fece  delle minacce nei confronti tuoi e di tua madre che mi son dovuto sottomettere.

 Da quando il volersi bene è un comportamento sbagliato? Mio padre s’ è comportato in questo modo stupido ed egoista solo perché geloso di noi e di quel che proviamo. Il bene è un sentimento che lui non conosce più e mai potrà provare.  Da quando è morta la mamma il suo cuore se ne andò con lei…

Ma la cosa peggiore di tutta la faccenda è che tu non avresti dovuto saperne niente. Se non fossi scappato di nascosto per venire alla festa sarei dovuto partire senza neanche dirti addio.

I miei giorni qui sono tristi. Non c’è attimo in cui non smetto di pensare a casa, vorrei tornare ma non posso. Spero solo che gli anni passino in fretta, senza far troppo male, così che un giorno potremo finalmente rivederci. Ti prego d’aspettarmi.

Caro Merlino, rimpiango ogni momento che abbiamo passato insieme. Mi mancano le nostre scampagnate, i giochi, le corse in bicicletta e la marmellata di ciliegie di tua madre. Mi manca essere di nuovo noi due: Merlino e Artù.

Ma ciò che mi manca più di tutto è quel momento in cui danzavamo insieme ed ho commesso l’errore di toccarti.

Un errore di cui non mi pento.

 
Il tuo Artù.
 
***
 
Sorrideva nel sonno abbracciando stretto il capo del lenzuolo. Sognava di stringere Artù a sé come quando, un tempo, cercava conforto nel suo abbraccio e si sentiva felice.

Ma quando apriva gli occhi lui non c’era mai e solo allora realizzava che si trattava di un brutto scherzo della sua mente. Tutte le notti faceva lo stesso sogno, eppure gli sembrava così reale da poter ancora sentire il calore di quella presenza al suo fianco.

Artù non era lì ma Merlino lo avrebbe aspettato portandolo sempre in quella metà che rimaneva del suo cuore perché l’altra metà l’aveva donata a lui.

 
Note: Salve! Ho deciso di rmandare la pubblicazione della mia long Life After Life per questo piccolo racconto. L'ho scritto mossa un po' dalla nostalgia di questa estate passata facendo passeggiate in campagna a mangiando pannocchie arrostite...
Vi saluto, ci vediamo tra due settimane con l'altra storia!

P.S.: Un grazie a Relie Diadamat che mi ha segnalato diversi errori presenti nella storia ma che ora ho corretto. (Grazie ancora)
Questo ci insegna che recensire, se fatto nel modo giusto, fa bene ed insegna molto! Quindi recensite responsabilmente! (Soprattutto me che non so scrivere LOL) 

   
   
 
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