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Autore: The Corpse Bride    12/02/2009    5 recensioni
Un monologo di Ichigo su Rukia; diciamo che si può collocarlo alla fine del settimo numero.
E' soltanto che Rukia gli manca tanto ç_ç/
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rukia è morta.

Ogni tanto devo ricordarmelo: nonostante tutto, nonostante ciò che si agita sotto i miei occhi, Rukia non vive. Rukia se n’è andata molto tempo fa, così tanto tempo che non posso nemmeno enumerarlo.
Eppure io… eppure, eppure la guardavo vivere in ogni istante con un incanto che giorno dopo giorno mi lasciava più sorpreso.
Rukia.
È strana. Sì, è strana. A volte non la posso sopportare. No, non è vero; il fatto è che a volte vorrei vederla sorridere, ecco tutto.
Quando mi sgrida. Quando mi dà dello ‘stolto’. Quando mi lancia le sue occhiate sdegnose.
No, non riesco a odiarla. È solo che ha un viso così triste.
E perfino quando a volte ride, perfino quelle volte, perfino quelle volte le sue sopracciglia sono aggrottate in un’espressione imbronciata. E io l’osservo e m’innervosisco, mi arrabbio, ma non con lei; mi arrabbio con me stesso che non sono ancora stato in grado di donarle un sorriso.
L’ultima volta che ho visto i suoi occhi, erano velati dalle lacrime.
E il suo ultimo gesto, è stato per me.
Era pronta a gettare vent’anni del suo futuro in un carcere della Soul Society, pur di stringere la mano al mio cadavere. Si è gettata tra le braccia dei suoi esecutori, pur di non coinvolgermi.

E io, in tutto questo tempo, non l’ho mai fatta sorridere.

L’ho accolta nella mia vita con un calcio.
L’ho lasciata vivere nell’armadio, le ho portato gli avanzi di cibo, mi sono lamentato in continuazione.
La mia famiglia è già abbastanza caotica, e a mia discolpa posso dire che non ero pronto per l’arrivo di questa strana ragazzina morta nel guardaroba della mia camera.
Ma, in effetti, non ho mai fatto nulla affinché la sua permanenza sulla Terra fosse un poco più piacevole.
Ho ancora i suoi stupidi disegni, da qualche parte. Ricordo con precisione la sua risata a braccia incrociate, la mia sorpresa nel vederla coinvolta da qualcosa di terreno. Ricordo come sono stato felice di vederla, per un istante, più umana.
E poi a scuola, seduta di fianco a me. La vocina dolce con i professori. I modi gentili con i nostri compagni di classe. L’uniforme, che le stava decisamente meglio di quell’informe tunica nera.
Piccola com’è, era decisamente più adatta al ruolo di scolaretta, che a quello di Dea della Morte. Per questo, quando si è insediata nella mia vita, nel mio mondo, e forse nel mio – ok, fermiamoci – per questo, quando me la sono ritrovata vicina in ogni singolo istante, non mi è mai sembrato strano. Perché lei, per me, era viva. Era viva e strana, e mi rompevo la testa per cercare di capirla, ma questo è avere sedici anni.
È guardare la creatura accanto a te e chiederti cosa si agita nel suo cuore.

E ora che se n’è andata, ora che l’ammazzano per avermi vissuto a fianco, mi sto chiedendo: cos’è che si agita nel mio?
Cos’è quella cosa che lo sta stritolando?
Perché ho voglia di piangere?

Kon che si dimenava, imbavagliato e legato dietro al cesso. Kon che diceva: “neesan è l’unica da cui mi lascerei fare una cosa del genere!”. Kon che si appiccicava a lei, Kon che non poteva farne a meno.
Kon che nonostante fosse disposto ad appartarsi con lei da qualche parte, piangeva perché neesan se n’era andata.
E quando mi sono reso conto che non c’era più, per un attimo, mi sono sentito smarrito.
Lui ha perso la sorellona. Io avevo perso la mia guida.
Era lei che mi diceva cosa fare, come combattere, dove dovevo essere, e chi erano questo e quello e come ci si doveva comportare.
Ma non sarebbe stato così importante, avrei combattuto tutti gli Hollow convocati da Ishida da solo, se fosse stato necessario; il fatto è che ad un tratto mi sono reso conto di una cosa.

Lei mi aveva sempre protetto.

Adesso, però, era arrivato il mio turno.

E così mi sono scrollato Kon di dosso e sono corso da lei, anche se mi aveva detto di non farlo. E quando l’ho vista lì, piccola, esile, con quel vestitino addosso e lo zainetto, mi sono sentito cedere.
No, non intendo che ho perso la forza per combattere; quella era più viva che mai.
Intendo che qualche parte di me ha deciso che era ora di finirla, e mi ha detto: d’accordo, Kurosaki, adesso smettila di chiederti cosa si agita qui dentro. Lo sai benissimo, cosa c’è qui dentro.

Ed io in silenzio, straziato dall’amore, ho risposto: Rukia.

Tutti i giorni in cui, inconsapevolmente, l’ho osservata. I giorni in cui l’ho ammirata, i giorni in cui l’ho guardata combattere nonostante non avesse i mezzi per farlo. I giorni in cui mi sono sentito schiacciato dal suo coraggio, dalla sua determinazione, dai suoi occhi saggi. I giorni in cui mi ha trasmesso le sue abilità, le sue conoscenze, in cui ha cercato di frenare la mia impulsività per rendermi migliore. Il modo in cui mi ha sempre posto un’alternativa alla scelta più dura.
E quello sguardo blu come la notte. Quello sguardo che scrutava il mondo come se lo stesse vivisezionando, quello sguardo che a volte vedeva senza capire. Quello sguardo che si perdeva lontano, lontano da noi, dove nessuno poteva raggiungerla.

La sua perenne serietà. L’incapacità di godere della vita. Quella sensazione che si sentisse sempre superiore a noi.
E l’ultima espressione che le ho visto in volto, quella che mi ha svelato tutto. L’espressione che mi ha detto: non odiavo essere qui. Avevo soltanto paura del giorno in cui me ne sarei andata.
“Non osare seguirmi. O non potrò mai perdonarti.”

Sono io che ti chiedo perdono.
Perdono per non aver capito. Perdono per non averti mai reso questa vita un po’ più bella.
Perdono per aver dimenticato che eri morta, che non avresti mai potuto mescolarti a noi; perdono per non aver mai fatto nulla per non farti sentire un’ospite.

Rukia, mi manca il tuo corpo. Mi mancano quelle membra fragili e bianche, mi mancano i tuoi folti capelli neri. Mi manca quel ciuffo che ti copriva il viso a metà, mi manca il blu di quegli occhi.
Mi manca il tuo visino cupo.
Lasciami arrivare da te e salvarti; lascia che, per una volta, quelle labbra si curvino in un sorriso. Lascia che sia io a occuparmi di te. Per una volta soltanto, lascia che sia io a insegnarti qualcosa.
Voglio portati al karaoke, al luna park, al mare; voglio farti vedere la televisione, voglio portarti al cinema, voglio farti mangiare al ristorante. Voglio stringerti e voglio che quel tuo essere così minuscolo sia per una volta al sicuro, perché, cieco com’ero, soggiogato dal tuo sguardo notturno, non m’ero mai reso conto di quanto fosse piccolo e fragile di fronte ai mostri che affrontavi.
Il posto giusto per quel corpicino, Rukia, per quegli occhi enormi che riuscivano a convincere tutti della tua forza, è tra le mie braccia.
Lascia scivolare le palpebre, Rukia, fermati per un momento, lascia che ti massaggi le tempie. Raggomitolati sul mio petto, dammi le tue mani, nascondile nel mio palmo. Non guardare più nessuno con quell’aria battagliera, non sentire più la gravità del peso che ti porti addosso. Dimentica tutto. Dormi tra le mie braccia.

Ma Rukia è morta.

Sì, lo dimentico sempre.
Tendo troppo spesso a vederti come un uccellino ferito; spesso scordo che non sei di questo mondo, che non sei la ragazza che gli dei hanno scelto per me. Sei la Dea della Morte, e potresti uccidermi in qualsiasi momento.
Dimentico sempre che sei potente, che sei ultraterrena, che hai visto quel che io non vedrò mai.
Che il tuo posto non è tra noi.
E me l’ha detto anche Inoue; mi ha detto che tu hai la tua famiglia lassù, che non puoi voler stare con noi, che non è giusto trattenerti qui.
Ma posso lasciarti a un fratello che vuole giustiziarti?
Posso dimenticare le lacrime che ballavano sui tuoi occhi?
E posso tralasciare il fatto che non voglio passare nemmeno un minuto senza di te al mio fianco?
Voglio vedere i tuoi assurdi coniglietti dappertutto. Voglio vedere Kon che vola da una parte all’altra della stanza dopo uno dei tuoi calci. Voglio voltarmi alla mia destra, in classe, e vedere il tuo volto concentrato.
E come posso pensare che sei morta, quando sei stata così viva nella mia esistenza?
Quando il buco che hai lasciato mi angoscia così profondamente già da ora?

D’accordo, basta melodrammi. Ci dev’essere una soluzione.
Ecco, facciamo un patto.
Io ti faccio una promessa se tu prometti di tornare da me, va bene?
I termini sono questi: ricordi quando ti ho detto di non chiamarmi Ichigo, perché volevo evitare i pettegolezzi? E tu, con sarcasmo, ogni volta sottolineavi la parola Kurosaki?
Quando tornerai, non ti chiederò più nulla di simile.
Quando tornerai mangerai a tavola con noi, e dormirai nel futon accanto al mio, e mangeremo il bento assieme sul terrazzo della scuola.
E davanti a tutti, con orgoglio, sperando di veder rasserenarsi i tuoi occhi blu,
prometto che ti chiamerò Rukia.

E allora, mia esile dea, tornerai da me?
Prometti che sarà il mio petto la tua casa?








(Nda: innanzitutto, perdonatemi il titolo. Proviene da una canzone bellissima di Gavin Rossdale ma non so perché non mi convince; d’altronde non sapevo che altro metterci, perché questa storia mi è uscita fuori in meno di mezz’ora e non so davvero da dove mi sia venuta O___O’’
Cioè, sì, sono una Ichigo/Rukia convinta, ma questa fanfic mi lascia davvero perplessa o_o non so se sia assolutamente confusa o lineare, troppo povera o piena di ripetizioni, troppo dolce o troppo fredda.
Aspetto di leggere qualcosa di più che il settimo volume per scrivere qualcosa di sensato ‘’XD tra l’altro questa fanfic era partita con tutt’altra idea, ma tant’è…
Ditemi lo stesso cosa ne pensate ;.; ci tengo, è la prima volta che scrivo su Bleach XO.)

  
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