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Autore: Portman98    24/09/2015    1 recensioni
Intrighi, misteri, epiche storie d'amore e avventure sensazionali, in contesti non sempre seri.... se tutto ciò vi attira, questa è la storia giusta per voi!!!
Imbarcatevi in questo grande viaggio che vi porterà a Namsteria!!!!
- La popolana Welda
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo I
Il torneo

Il sole batteva cocente sul reame di Namsteria, infiammando gli animi che, senza il suo aiuto, sarebbero rimasti braci, e annientando invece coloro che, a causa della sua azione, si ritrovavano privi di protezioni. Gli ultimi respiri dell’estate aspiravano ad essere rimembrati per secoli: il calore aveva prosciugato i piccoli torrenti di montagna e  impedito una copiosa irrigazione delle coltivazioni, limitando il raccolto. Ormai ognuno nel regno guardava all’autunno non più con la solita paura della carestia portata dall’inverno, ma con un’inusuale speranza di climi migliori e giornate più clementi.

Nonostante il caldo della mattinata però, Jacey de Fastarel avvertiva la potenza amica, che le aveva permesso di raggiungere un livello così elevato nell’attività che più preferiva praticare, pulsare nelle vene. E, in effetti, era considerata dai più il cavaliere di punta della corte. Si sistemò l’elmo sul capo, mentre il suo scudiero controllava i lacci della sella. Le dita callose avrebbero potuto rimandare a una persona rozza, ma Maggie Biggle era un individuo completamente differente: i capelli rossicci, sempre sciolti, le incorniciavano il volto lentigginoso donandole un’aria gentile e onesta, mentre nei suoi occhi, di un caldo marrone castagna, era possibile vedere la lealtà che ella avrebbe sempre mantenuto nei confronti del suo padrone, e nei suoi movimenti era sempre contenuta una speciale grazia che non lasciava spazio ad indecisioni. Nonostante fosse la figlia dello stalliere, era lo scudiero migliore che qualcuno potesse mai desiderare, pensava Jacey non senza un certo orgoglio.

Sentì le trombe squillare. Era giunto il momento di entrare in campo. Si lasciò alle spalle le preoccupazioni per concentrarsi su ciò che l’aspettava.

Gli occhi accecati dal sole e le orecchie aggredite dalle urla del pubblico all’uscita dalla tenda non erano una novità, così come non erano una sorpresa coloro che lanciavano sguardi ostili verso il più probabile vincitore. Primo tra tutti, Lord Quardo Quark, il vassallo che sosteneva ser Ferdinand Bay, il cavaliere rivale di Jacey. Era impresa ardua sorprendere ferma la bocca del lord, poiché sempre in movimento per lamentarsi di questa o di quell’altra decisione del consiglio reale di cui faceva parte.

Nella sezione delle tribune riservata alle personalità importanti, erano accomodate la regina e le sue figlie. Proprio nel medesimo momento in cui Jacey rivolse lo sguardo a quella direzione, la regina si volse e la fissò con i suoi severi, autorevoli occhi verde pallido.

 

Seduta sugli scomodi spalti, Saryssa sospirò. Odiava i tornei. Così come odiava i balli, i banchetti e tutte le occasioni nelle quali doveva “comportarsi da principessa”, come diceva la maestra Visteria. Alla sua sinistra, le trombe suonarono, e Ser Ferdinand Bay fece il suo ingresso in campo. Il più grande pallone gonfiato che il reame avesse mai visto. Saryssa si augurava che perdesse e venisse umiliato, e non vi era traccia di compunzione in questa sua speranza. Alla sua destra, le trombe avevano già squillato precedentemente, e Dame Fastarel aveva fatto il suo ingresso. Non era solamente un pensiero di Saryssa, ma era opinione comune che de Fastarel fosse un vero cavaliere, di quelli che ormai non c’erano quasi più nel regno. I cavalieri giuravano di proteggere gli indifesi e si proclamavano ambasciatori della giustizia, ma la maggiorparte, come Ferdinand, erano convinti che il cavalierato fosse invece un titolo indicante la loro superiorità rispetto agli altri ed una ufficializzazione del diritto di vessarli.

La regina madre sedeva alla sua destra, e non sembrava passarsela molto meglio. Ormai l’età stava avanzando e i giorni caldi come quello erano i peggiori. Una servetta dall’età massima di 8 anni le stava accanto sventolando un enorme ventaglio verde. I colori della casata dei Robèris erano il blu e il bianco, ma era evidente che alla regina Ilenia non interessava, ed essendo il verde scuro la sua sfumatura preferita, era l’unico che ella indossasse. Veste di seta color foresta ed orecchini e collana di giada, nonostante la sua consigliera Elenoir d’Amprès le avesse esplicitamente riferito che il popolo la chiamava la ‘vedova di giada’, anche perché, contrariamente a Elenoir, che riteneva il titolo fosse negativo per la sua reputazione, lei apprezzava quella denominazione, grazie probabilmente all’ idea di forza che sembrava emanare da quelle parole, senza curarsi del fatto che l’immagine che invece si voleva spargere e diffondere era quella di una presunta assassina. Lei conosceva le azioni che aveva compiuto, così come quelle che non aveva compiuto, e nefande propagande non avrebbero potuto mutare la sua innocenza.

Alla sua destra, Catharina, la sua figlia maggiore, osservava con occhi pieni di meraviglia l’entrata in scena di Ser Bay. Ilenia notò con piacere che i fini capelli biondi erano stati raccolti in cima alla testa, mostrando il viso dolce e aggraziato della fanciulla, ormai in età da matrimonio. Ella, disgraziatamente per la regina, già possedeva un disegno per il suo giorno speciale: fantasticando su di esso, Catharina poteva immaginare un unico uomo insieme a lei davanti all’altare: Ser Bay, il cavaliere più bello e valoroso di tutti i reami, il solo capace di salvarla da qualsiasi bruto, o difenderla da qualsiasi bestia.

Il cavaliere si tolse un attimo l’elmo dal capo per sorridere al pubblico, quel sorriso che Catharina trovava allegro e aperto, Saryssa falso e meschino, Ilenia infantile e irriverente, e il riflesso provocato sul copricapo dal sole cominciò a giocare con i suoi capelli color bronzo antico.

A quel punto un araldo vestito completamente di rosso si fece avanti con passi incerti e prese un enorme respiro, gonfiando i polmoni fino all’apparente stremo, prima di annunciare: “Eccoci giunti allo scontro finale di lancia in resta! Alla mia sinistra, Ser Ferdinand Bay, cavaliere del fiume di Blassant, erede di Cherinstower, stemma di verde caricato da un gallo nero dalla cresta purpurea; alla mia destra, Dame Jacey de Fastarel, stella delle terre del sud, il puma solitario, attuale cavaliere di punta della corte reale, stemma di giallo alla banda spinata blu, caricato da un puma posto al di sotto di due spade incrociate! Che i cavalieri che lo desiderano donino un pegno ai loro amanti!”

Ser Bay trottò con fare sicuro fino agli spalti dove sedevano i reali, e, pervenutovi, gettò una splendida rosa rossa in grembo a Catharina, le cui guancie si colorarono di un delicato color fragola, enfatizzando i suoi dolci occhi turchesi.

Jacey rimase al suo posto, in attesa che Ferdinand tornasse al suo, ed allora l’araldo prese un altro ingente respiro prima di proclamare secondo le tradizioni: “Combattete pro solo exercito, atque ostentatione virium! Nullo interveniente odio!” A discapito delle speranze dell’araldo, sarebbe stato molto improbabile che Bay combattesse privo di odio nei confronti di chi gli aveva sottratto il ruolo di cavaliere di punta del reame.

Fu così che lo scontro ebbe inizio.

 

Durante la prima carica, entrambi i cavalieri colpirono l’altro con le lance di frassino, entrambe le lance si spezzarono, e nessuno dei due cadde di sella, nonostante la rumorosa reazione generale della platea spaventata. Durante la seconda carica, però, il cavallo di Bay ebbe un’indecisione, che non passò inosservata alla giovane. Per essere un bravo cavaliere bisogna avere i riflessi pronti e un allenamento solido alle spalle, ma nemmeno il giudizio deve mancare, ed è importante saper sfruttare le occasioni, una pratica in cui Dame Fastarel dimostrava una particolare destrezza. Quando l’impatto era ormai vicino, accelerò improvvisamente, prendendo Ferdinand e il suo destriero alla sprovvista, e lo stupore provocato da questa mossa imprevista bastò per vincere lo scontro, provocando la caduta dell’avversario e dei frammenti della lancia della vincitrice.

Il pubblico si levò in piedi, osannandola, ma a Jacey non sfuggì quella piccola porzione di spettatori rimasta seduta a braccia minacciosamente incrociate. Quegli sguardi ostili le fecero salire il cuore in gola, rovinandole la sensazione di gloria tipica del trionfo, e alimentando quel timore singolare di un avvenimento venturo ignoto che negli ultimi tempi albergava nel cuore della ragazza.

 

Nella sua tenda, la vincitrice ringraziò Maggie per il trionfo, attribuendole il merito, ma subito lei rinnegò la sua influenza sul successo, arrossendo dalla punta dei piedi alla radice dei capelli.

“Ho vinto grazie alla forza del mio cavallo. E sei tu che ti prendi cura del mio cavallo.” – insistette Jacey. Alcune volte, soprattutto in casi come questo, parlare con il suo scudiero era come parlare con uno di quei muli di cui ella si occupava.

“Padrona, lei è troppo gentile e modesta! La prego, non tenti di sminuire il suo valore.”

La ragazza decise di lasciar perdere: la figlia dello stalliere era troppo umile per ricevere complimenti, una caratteristica che ammirava, ma che al contempo sperava di attenuare.

“Dame, ora mi segua, dobbiamo prepararci alla guerra.”

La guerra era il gran finale del torneo: una squadra di cavalieri contro l’altra, in un duello all’ultimo cavaliere rimasto in sella. Le squadre venivano scelte da un membro del consiglio reale a turno, e quell’ anno era toccato a Quark. Quando andò ad incontrare i suoi compagni di squadra, la sua influenza le risultò piuttosto palese.

Ser Jeremy Podd, il figlio del famoso ser Jared Podd, era seduto su una panca a lato della tenda, e l’armatura che indossava sembrava stare per scoppiare. La sua stazza non gli impediva di essere una bravissima persona, ma in quanto a combattimento Jeremy non aveva preso dal padre. In piedi ad aspettarla, o così almeno pareva, Ser Carter Wickett, altro membro della sua squadra, più asciutto di Jeremy Podd e sicuramente più portato per l’arte della guerra, ma decisamente meno sveglio: se qualcuno avesse provato a chiamarlo durante uno di quei ‘sogni a occhi aperti’, era probabile che Wickett non muovesse un muscolo. Quasi a dare una dimostrazione dei pensieri di Jacey, Ser Florin Quart fece la sua entrata nella tenda, passando di fronte ai suoi occhi, senza apportare alcuna modifica al suo sguardo inebetito. Il quinto e ultimo membro della squadra era già in armatura, appoggiato ad un palo di legno incaricato di reggere la tenda in una posa che sembrava voler annunciare la sua incuranza nei confronti del torneo e dei suoi compagni di squadra.

De Fastarel esaminò tutte le possibilità di strategia che aveva, pur sapendo che, anche nel caso fosse esistita una strategia adatta ad una squadra del genere, per spiegarla ai propri compagni avrebbe impiegato un giorno intero di tempo in ogni caso perso.

Jeremy e Carter erano lì non per passione, come lei o Florin, ma solamente perché il caso li aveva portati a nascere per secondi, e i genitori avevano indiscutibilmente scelto il loro futuro. In quanto al cavaliere mascherato, non ne sapeva niente, ma doveva sperare che non fosse completamente inetto, nonostante la statura minuta.

Richiamò la squadra attorno a sè ed iniziò ad esporre le sue idee: “Evitiamo di perdere tempo. La nostra unica possibilità è avanzare a punta di freccia: io sarò la punta, Wickett e Podd agli estremi, Quart alla mia destra e…” Rivolse uno sguardo interrogativo al cavaliere mascherato. Dall’elmo d’acciaio giunse una giovane voce femminile: “Caroline. Sono Dame Caroline Rebussy.” Jacey le strinse la mano. “Tu starai alla mia sinistra.”

 

Le grida entusiaste del pubblico erano enunciazione della sua brama per l’entrata in campo dei guerrieri, tanto che, quando l’araldo fu in procinto di proclamare i nomi dei partecipanti, la regina fu costretta a richiamare la folla all’ordine e ad un complessivo silenzio. Le due squadre fecero il loro ingresso sul terreno di gioco, e spiccò come una particolare anomalia il fatto che del cavaliere mascherato, a differenza degli altri partecipanti, per i quali alle denoniminazioni erano seguiti titoli e blasonatura, fu dichiarato unicamente il nome. Ilenia trovava noiosi e ripetitivi questi cavalieri mascherati che ad ogni torneo facevano la loro comparsa: se la prima volta poteva risultare un evento interessante, l’iterazione lo rendeva tedioso. L’azione di Quark sulle squadre era evidente in una maniera quasi ridicola: Ser Bay era collocato in mezzo ai quattro cavalieri che, dopo lui e Jacey, avevano ottenuto i risultati migliori nel torneo. Alla destra di Dame Fastarel si trovava l’unico componente della sua squadra degno di essere chiamato cavaliere, mentre agli estremi della formazione vi erano due individui pressoché inutili, presenti al torneo solo perché i soliti figli di personaggi importanti. Il cavaliere mascherato era il consueto mistero.

Allo squillo delle trombe, la battaglia cominciò. Le due squadre intrapresero la carica e si protesero verso lo scontro, come due tori che si apprestano a incornarsi per amore. Ma un corno del toro svolazzò e si allontanò dallo schieramento, cavalcando fino a giungere di fronte agli spalti reali. A quel punto, il cavaliere mascherato fece un balzo, e con una piroetta fu in piedi di fronte alla regina. L’araldo rosso, titolo che il popolo gli aveva ormai affibbiato, si guardò intorno, alla ricerca di qualcun altro che, come lui, avesse notato l’equivoco comportamento del cavaliere, ma gli occhi di quasi tutti erano puntati verso lo scontro. Le formazioni di entrambe le squadre si erano già sfaldate e un cavaliere in meno non si notava, considerando anche che gli estremi dell’iniziale freccia di Dame Fastarel erano già caduti di sella; ed inoltre anche la squadra avversaria aveva subito una perdita, pertanto i membri della squadra di Jacey erano la metà di quelli della squadra di Ferdinand, altro motivo per il quale nessuno degli spettatori sembrava molto interessato alla regina o al cavaliere mascherato. L’araldo rosso lo vide chinarsi verso la regina e sussurrarle qualcosa all’orecchio. Ilenia ridacchiò arrossendo e il cavaliere le porse una rosa rossa, per poi voltarsi e correre verso l’uscita dell’arena.

Nel frattempo, Florin era riuscito a disarcionare un nemico con un bel fendente prima di cadere per mano di Ser Bay, e Jacey si ritrovava incastrata fra tre diversi avversari. L’eleganza e la prontezza della ragazza si manifestavano nella loro pienezza, mentre ella, con rovesci, fendenti e lo sfoggio di una padronanza della tecnica del combattimento con spada e scudo esemplare, teneva testa a tre nemici contemporaneamente. Dei due cavalieri rimasti in piedi oltre a Ser Bay, uno era un ragazzino giovane e inesperto, ma parecchio veloce, e l’altro un esemplare enorme, soprannominato per questa sua caratteristica il ‘colosso’, uscito vincitore da parecchi scontri durante il torneo non grazie ad abilità speciali o ad una tecnica particolarmente precisa, ma semplicemente per la bruta forza fisica che riversava addosso ai nemici attraverso una mazza ferrata i cui chiodi avevano il medesimo diametro delle cicciotte dita di Jeremy Podd. Con un potente ma preciso rovescio, Jacey riuscì ad atterrare l’enorme mostro, ma l’altra spalla di Ferdinand approfittò della momentanea debolezza conseguente al colpo per offendere Dame Fastarel con un montante. Ancora una volta, ella dimostrò la sua perizia e i suoi agili riflessi, indietreggiando con il busto quel tanto che bastava perché il colpo non andasse a segno. Quell’abile mossa non impedì però all’arma del giovane di trovare un varco sopra la gorgiera dell’armatura, scaraventando l’elmo lontano dalla ragazza. Il duello si arrestò un attimo per osservare in volto la ragazza. Le punte degli scuri capelli castani le bagnavano la mascella, sgocciolando di sudore, dovuto sia allo sforzo fisico che al clima della giornata, ma negli occhi color nocciola, venati dalle profondità della terra, non c’era traccia nè di stanchezza nè di indeterminazione, solo profonda e densa concentrazione.

Proprio mentre tutti gli occhi degli spettatori erano puntati sullo scontro, giunse un alto grido da parte degli spalti reali: “Hanno derubato la regina! Il cavaliere mascherato ha sottratto la splendida collana di giada della regina!”. Con il fiatone per l’affanno, la consigliera d’Amprès sembrava quasi sul punto di esplodere, e Ilenia reputava abbastanza assurdo l’attributo che aveva riferito al gioiello, visto che giusto quella mattina le aveva apertamente dichiarato la sua ferma ostilità verso quel monile, anche se probabilmente riteneva che un furto del genere avrebbe potuto metterla sotto una cattiva luce. Una delle caratteristiche che rendevano Ilenia una buona regina, era la sua capacità di mantenere la calma in ogni situazione, così, anche quando, in seguito all’annuncio della consigliera, la folla sugli spalti si innalzò in preda al panico come un’onda spaventosa pronta a ricadere sugli ignari granelli di sabbia sottostanti, la vedova di giada rimase impassibile ad osservare il finale del torneo, attendendo con regale grazia che le venisse riportato dai suoi sudditi ciò che le era stato sottratto.

Ormai erano pochissimi gli sguardi rivolti alla sfida, intrappolati in mezzo a chi cercava una via di fuga e chi una di inseguimento per il furfante, così fu esiguo il numero di coloro che poterono rendersi conto dell’azione meschina che stava per essere commessa.

I cavalieri caduti durante la guerra si erano riuniti nella parte inferiore degli spalti per osservare l’evoluzione della battaglia, a parte Ser Winckett che cadendo da cavallo aveva preso una brutta storta ed era stato portato nella tenda dei curatori, ma il colosso atterrato da un rovescio di de Fastarel, dopo essersi rialzato, invece di raggiungerli, si apprestò a colpire il cavaliere di punta del reame alle spalle, con la sua enorme mazza chiodata. Intanto Dame Fastarel dava nuovamente prova del suo valore: con una celere rotazione del polso Jacey disarmò il ragazzino, e con un successivo fendente, sferrato mentre la spada nuova di Ferdinand si schiantava sul suo scudo, lo disarcionò, lasciando soltanto Ser Bay tra lei e la sua vittoria. La minaccia del colosso incombeva però sulla vita di Jacey. La guerriera si fermò per riprendere fiato e fu in quel momento che l’avversario commise l’errore di esibire un ghigno malcelato, inducendo Jacey a voltarsi, appena in tempo per scorgere la mazza chiodata precipitare verso il suo capo. Troppo tardi per contrattaccare, e troppo vicina la morte per innalzare le ultime preghiere, Jacey chiuse gli occhi, in attesa dell’impatto. Ma il colpo non fu freddo, violento e doloroso; fu caldo, leggero e umido, come gocce di pioggia scagliate dopo essere state intiepidite dal sole. Jacey riaprì gli occhi e le sembrò di essere in un sogno: la luce pareva offuscata, tutti i suoni attenuati e distanti, i movimenti lenti e surreali. Il braccio del colosso cadeva sull’erba, macchiando il prato verde di grosse chiazze purpuree; grandi fiotti di sangue zampillavano dal moncone tagliato di netto; il cavaliere mascherato ancora attendeva che la forza del colpo si estinguesse per rialzare la spada grondante di sangue.

Poi fu come se il tempo volesse recuperare i momenti persi in quel sogno inspiegabilmente apatico.

Prima che Dame Fastarel potesse ringraziare la donna in armatura, o inveire contro chi le aveva preparato quell’agguato, dei curatori la stavano già accompagnando verso il castello.

 

La regina madre era ormai l’unica persona rimasta seduta sugli spalti. Gran parte di essi erano vuoti, poiché alla notizia della presenza di un ladro talmente abile da aver derubato la regina di fronte a gran parte della corte, la maggiorparte dei timorosi si era dileguata, lasciando soltanto coloro che ora si trovavano in piedi ad inveire contro il furfante catturato. Anche le sue figlie si erano alzate, e attendevano ora ansiose il permesso di andarsene. Per quanto riguardava le emozioni di Ilenia, dopo tanti anni da regina, il suo viso era un arazzo candido, dal quale era impossibile carpire informazioni. Il bandito che era stato annunciato, molto probabilmente in modo errato, chiamarsi Rebussy, era stato privato dell’elmo, e le guardie lo stavano conducendo verso le segrete del castello, attraverso le mura di urla ed insulti costruiti dal pubblico rimasto. Quando la giovane fu fuori dalla sua vista, la regina si sentì sollevata e al contempo dispiaciuta. L’arte con la quale l’aveva derubata della collana era stata straordinaria: Ilenia, in parte forse anche perché occupata ad ascoltare la gentile frase di apprezzamento alla sua bellezza sussurrata all’orecchio, non si era accorta nè del furto che stava accadendo, nè della successiva mancanza del monile, finché non l’aveva evidenziata sua figlia Catharina, chiedendole perché avesse tolto la giada. L’ammirazione che provava verso la criminale era accompagnata tuttavia da un forte timore, che pulsava ancora più intensamente al ricordo della ferocia con la quale aveva mutilato il cavaliere disonesto.

Il fato sembrava aver giocato un brutto scherzo all’araldo rosso, dal momento che era stato raggiunto da alcuni schizzi del sangue del colosso, che si erano diffusi sulle gambe dell’uomo in grandi macchie scarlatte.

Quando egli, con voce tremante, annunciò la fine del torneo, solamente allora la regina si alzò.
  
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