Fandom:
Frozen
Personaggi:
Hans/Anna
Titolo: Lament of a Frozen Heart
Rating:
Arancione
Genere:
Drammatico, Malinconico, Triste
Avvertimenti: Violenza, AU,
Alternate!Ending, Character!Death, Hans!centric.
Note: Il titolo
è insipido, lo so - sono una frana. Ho promesso che avrei
scritto qualcosa su una fanart da parecchi mesi, e praticamente era
quasi finita ma mancava la conclusione, che chissà
perché è sempre la cosa più difficile
da fare - a parte trovare un inizio decente; e adesso, per
chissà quale grazia divina, mi è arrivata giusto
l'ispirazione sufficiente per concluderla!
Se
dovete sporgere reclami prendetevela con l’autrice/autore di
questa fanart
[here]; la qui presente autrice non
è da ritenersi responsabile del dolore
causato da questa mini one-shot angst. Non troppo, perlomeno. LOL. Ah!
Anche se
non si direbbe a giudicare da questa fanfiction, io li shippo come il
pane e la
nutella, giuro. :D
La
dedico alla mia adorata Alexiel Mihawk, che mi ha
iniziato al mondo delle
fanfiction HansAnna e mi ha spinto, un po’ con le buone e un
po’ con le
cattive, a scriverne qualcuna. Grazie, moglie. ♥
(Also correte nel suo profilo a leggere le sue, di Hansanna, che sono
dei gioiellini uno più bello dell'altro).
Buona
lettura a tutti!
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Lament
of a Frozen
Heart
Era
dappertutto.
Macchiava la neve,
lordandone il candore e la purezza, spazzando via il bianco e
perdendosi tra le
crepe del ghiaccio, creando terribili sentieri che somigliavano a vene
sotto la
sottile superficie della pelle. Grondava sulle sue mani, scivolava
lentamente
sulla stoffa dei vestiti, quieto e pesante come lava che cola da un
vulcano.
L’odore si perdeva nell’aria gelida, ma il colore
ricopriva ogni cosa.
Sangue.
Hans non sapeva dove
posare gli occhi – evitarlo pareva impossibile.
Lo shock era tale da aver
annullato ogni cognizione di sé: unica certezza era il
silenzio, un silenzio
ovattato e roboante, che si faceva largo inesorabile nelle
profondità del suo
animo e lo avviluppava tra le sue spire.
Lentamente, tornò la
percezione degli altri sensi – olfatto, udito, gusto, tatto
– e il principe
delle Isole del Sud sentì l’odore salato di
lacrime che non si era accorto di
aver versato, udì l’imperversante ululato della
tempesta, intuì quasi, sulla
punta della lingua, il sapore del ghiaccio e avvertì, greve
e pesante e
terribile, il fardello del corpo che reggeva tra le braccia, e che
stringeva a
sé con la medesima disperazione del naufrago che teme di
affogare.
Colore rosso. Odore del
ferro.
Il sangue era dappertutto.
Colmava lo sguardo e gli offuscava la vista, così che tutto
ciò che inondava la
sua visione era un profondo, terribile, denso colore rosso.
«Anna…» Il debole refolo
si riversò nell’aria gelida, trasformandosi in un
alito di nebbia davanti alla
sua bocca. La sua voce era udibile a stento nell’imperversare
della tormenta. «Anna?»
Le sue braccia rilassarono
la stretta sul corpo ghiacciato che si era trascinato in grembo,
avvolgendolo
ora con una strana delicatezza, e impedendo alla neve e alla superficie
gelata
del fiordo di accogliere ciò che restava della principessa.
Nessuno lo avrebbe
convinto a lasciar andare la presa.
Era sua.
Un singhiozzo sfuggì dalle
sue labbra livide, screpolate, così flebile da essere
inesistente.
Aveva creduto che uccidere
sarebbe stato facile, indolore; che avrebbe potuto far scivolare la
lama
affilata della sua spada tra le costole della regina senza provare
alcun
rimorso, anzi, gioendone persino. Per quale motivo avrebbe dovuto star
male per
aver strappato una vita, per aver liberato il mondo da una simile
minaccia? Che
male c’era nell’evitare che quella strega dalle
sembianze di fata gelasse ogni
regno esistente nella follia che imperversava nella sua mente come una
tempesta
di neve?
Non aveva avuto remore nel
pianificare la morte della regina, né le aveva avute nel
sollevare la spada per
infliggerle il colpo finale, autoproclamandosi eroe, salvatore e
regnante in
un’unica mossa.
Adesso, il peso della colpa
e del rimpianto lo aveva svuotato di ogni altra emozione, privandolo
della
capacità di pensare, parlare, o provare la benché
minima soddisfazione.
Sì, aveva lasciato la
principessa a morire congelata in una stanza buia del palazzo, aveva
spento il
camino, spezzato il suo cuore – oh Anna,
se solo ci fosse qualcuno che ti amasse – ma per
qualche ridicola ragione
ora la situazione era diversa, perché non si era limitato a
lasciarla in balia
del suo destino di morte certa, lui
era stato quel destino, sua era stata
la mano che aveva inferto il colpo di grazia.
Quella mano adesso era
ricoperta di sangue, le dita appiccicose, la pelle ghiacciata, ma era
un tipo
diverso di freddo che il principe provava, un freddo interno, un freddo
dell’anima.
Non aveva idea che potesse
fare così male, uccidere qualcuno. Uccidere
Anna.
Si sentiva annientato. Se
qualcuno si fosse avvicinato per ucciderlo, ora, probabilmente avrebbe
accolto
con sollievo la punizione, chinando persino il capo per agevolare un
fendente
liscio e pulito.
Abbassò gli occhi sul
volto pallido della principessa, la gola contratta nel ricordare il
sorriso che
solo il giorno prima aveva graziato la sua bocca piccola e deliziosa,
lo
scintillio dei suoi occhi quando le aveva proposto di sposarlo, il
rossore che
aveva tinto le sue guance quando si erano incontrati per la prima volta
il
mattino dell’incoronazione, il colore selvaggio dei suoi
capelli quando l’aveva
osservata cavalcare via verso la montagna, all’inseguimento
di una sorella che
non la voleva.
Adesso non era rimasto più
nulla di tutto questo in lei: il rosso di Anna pareva essersi riversato
interamente sulla neve, abbandonandone il corpo, lasciandosi dietro un
involucro bianco come una statua di ghiaccio – capelli
argentei, pelle diafana,
occhi spenti, bocca muta.
Un gemito scappò al
principe – le sue braccia rafforzarono la stretta su
ciò che restava della
principessa.
Il gemito si trasformò in
lamento, il lamento divenne pianto, il pianto crebbe in urla e
imprecazioni che
si persero nella tempesta.
Guardie e soldati
avanzarono lentamente verso di lui, sfidando la tormenta per rispondere
all’ordine
della loro regina sconfitta dal lutto.
Strapparono l’assassino
dalla sua preda, lo incatenarono senza misericordia, ignorarono le sue
ulula
disperate quando il corpo della fanciulla gli venne portato via.
Gli occhi febbricitanti di
Hans seguirono avidi la triste processione che proseguiva verso il
castello –
la regina silenziosa dietro a coloro che portavano la sorella, guardie
e
servitori accorsi per porgere mormorii e condoglianze,
l’intero popolo che si
affacciava dalle mura del palazzo per assistere tristemente al ritorno
per
nulla vittorioso di ciò che restava della famiglia reale.
«Anna», mormorò ancora
Hans, lasciandosi trascinare via. Non aveva più la forza di
opporsi.
Sordo alle minacce dei
soldati e ai loro insulti, il principe continuò a fissare il
corteo senza
staccare gli occhi dal corpo inerte della principessa, senza
distogliere lo
sguardo finché esso non sparì
all’interno delle mura di cinta. Solo allora
perse ogni appiglio sulla realtà e si accasciò a
terra come una marionetta, le
ginocchia immerse nel sangue che lui stesso aveva versato, il capo
chino con
aria disfatta, le mani strette dietro la schiena nella morsa impietosa
delle
catene.
«Anna», sussurrò ancora, a
mo’ di preghiera. «Perdonami.»
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Oneshot: 962 parole.