Of Names and Destiny
Il giorno in cui
venni
trasferito e venni assegnato al mio nuovo navigatore fu il giorno in
cui tutto
ebbe inizio, anche se ancora non potevo saperlo.
Mentre il
capitano mi introduceva, potevo sentire
l’uomo scrutarmi con un malizioso luccichio felino negli
occhi dal taglio
orientale e quando parlò la sua voce risuonò
calda ed avvolgente.
Caos.
Non potevano
trovargli nome in codice più adatto,
pensai considerando come la sua postura, la sua intera persona
emanassero un’aria
di vibrante energia e quando si accorse di essere osservato
ammiccò divertito
verso la mia direzione. Distolsi lo sguardo sperando vivamente che il
calore
che si andava diffondendosi sul mio viso non fosse troppo evidente ed
irritato
per la facilità con cui era successo.
Una volta
raggiunta la stanza assegnataci, spartana
esattamente come mi aspettavo che fosse, iniziai a sistemare i pochi
oggetti
personali che venivano concessi portare con sé a bordo
mentre invece il mio compagno
di stanza si eclissò silenziosamente in bagno.
Riemerse poco
dopo, con un asciugamano legato in
vita ed un altro ad asciugare i capelli bagnati e per un momento il mio
sguardo
rimase catturato dal sinuoso percorso delle gocce d’acqua che
scendevano lungo
il suo torace e rilucevano contro la sua carnagione scura. Mi riscossi
e
distolsi lo sguardo prima che potesse accorgersene e per rompere quel
silenzio
imbarazzante decisi di commentare sarcasticamente:
“Quando
avrai finito di metterti in mostra vorrei
poter usare il bagno, Caos” calcando
la dose di sarcasmo in particolare sul suo nome.
“Come
se non ti stessi godendo lo spettacolo”
ribatté sogghignando ed infine spostandosi
dall’entrata del bagno che aveva
occupato fino a quel momento e sottolineando diverto, con un gesto
della mano
che la via ora era libera.
Non sapendo come
ribattere perché colto in
flagrante, decisi che un’uscita di scena in silenzio era la
cosa migliore da
fare per salvare almeno quello che rimaneva della mia
dignità.
Ma feci
l’errore di perdermi nei mei pensieri ed una
volta raggiunta la soglia, non mi accorsi che alle mie spalle
l’asiatico mi
aveva raggiunto; poggiando una mano contro lo stipite della porta
mentre
l’altra si andava a posare sulla mia spalla per fermarmi con
una presa salda ma
gentile.
Potevo sentire
il calore proveniente dal suo corpo,
poco distante dal mio, indugiare sulla mia pelle come il fantasma di
una carezza ed unito al fatto che era stato colto di sorpresa non
riuscì a far altro che
rimanere pietrificato in attesa di una sua prossima mossa; che non
tardò ad
arrivare.
Quando
chinò la testa, sentì il suo respiro tiepido
solleticarmi un orecchio e percepì
un lieve profumo di
patchouli e sandalo. Infine con un tono di voce basso, il cui sensuale
mormorio
mi mandò un fremito lungo la schiena, sussurrò:
“Vista
la tua disapprovazione verso il mio
nominativo, tra queste mura puoi chiamarmi Magnus.”
E come se nulla
fosse, senza aspettare una reazione
da parte mia, chiuse la porta del bagno e si allontanò.
Magnus.
Dire che quella
rivelazione mi aveva colpito era dire
poco. Una delle più importanti regole che vigevano a bordo
era il divieto
assoluto di rivelare il proprio nome, mentre lui lo aveva appena
candidamente
rivelato al suo nuovo combattente che conosceva giusto da un paio
d’ore.
Magnus.
Continuò
a domandarsi quale motivazione potesse
averlo spinto a tale rivelazione ed assaporando la
musicalità di quel nome
proibito nel sicuro riparo della sua mente, non osando pronunciarlo ad
alta
voce.
Si tolse infine
i vestiti e sgusciò dentro la
doccia, cercando di rilassarsi sotto il getto d’acqua calda
chiudendo gli
occhi.
Magnus.
*
Dopo quella
prima sera non sollevò più la faccenda
del suo nome, comportandosi come se nulla fosse accaduto o forse
aspettando il
momento in cui lo avrei usato, cosa che però non osavo fare.
Nelle settimane
successive iniziai ad intravedere i tanti
lati della sua personalità, momenti in cui la sua esuberanza
lasciava il posto
ad una vena riflessiva e quasi malinconica o momenti in cui lasciava
trasparire
la sua vulnerabilità, come quando una notte parlando di
quello che avevamo
lasciato indietro sulla Terra, mi disse che ciò che gli
mancava di più era il
suo gatto.
Sentendo poi le
chiacchere in mensa o nei momenti
dopo le simulazioni ed allenamenti, scoprì che era ammirato
e rispettato per le
sue doti nel volo. Rispetto che si era guadagnato anche dopo essere
stato
coinvolto in alcune risse durante i suoi primi tempi e delle
cui vittorie si parlava
ancora.
Ovviamente non
si lasciava mai sfuggire un’occasione
per provocarmi ma ben presto imparai a rispondergli a tono e la cosa
infine
divenne quasi una sorta di rituale giornaliero che scandiva le giornate
che
trascorrevano uguali con tranquillità.
Questo fino a
quando giunse la nostra prima missione
e tutto ciò che ne derivò.
*
Quella che
doveva essere una semplice missione
ricognitiva si rivelò invece essere un devastante
fallimento.
Il nemico ci
aveva teso un’imboscata e ci trovammo
circondati prima che potessimo avere il tempo di reagire e ci trovammo
di
fronte ad una evidente inferiorità numerica che non ci
lasciava altra scelta
che ritirarci.
Mentre
ripiegavamo verso la nave madre, la navetta
di pattuglia assieme alla nostra venne colpita al motore sinistro e con
solo
più un motore funzionante venne presto raggiunta ed
abbattuta dal fuoco nemico.
Rimaneva solo
più la nostra, su cui si concentrarono
i colpi delle navi nemiche ma che grazie alle manovre del mio
navigatore
riuscimmo ad evitare riportando solo qualche lieve danno e distanziarci
sfruttando
l’agilità consentita dalle piccole dimensioni
della navetta.
Eravamo ormai
fuori dalla loro portata di tiro
quando d’un tratto ci si parò davanti una navetta
nemica, probabilmente
piazzata li come retroguardia, che iniziò a far fuoco.
Mentre la nostra navetta
compiva una brusca manovra per cercare di evitare il colpo, risposi al
fuoco
mirando prima ai motori ed infine abbattendola.
Il pannello di
controllo mi informò che la cabina di
pilotaggio del navigatore era stata danneggiata e contattai
immediatamente Caos
per avere notizie sull’estensione del danno.
Rispose dopo il
mio secondo richiamo dicendo che non
si sarebbe lasciato fermare da un graffietto del genere, anche se
nonostante il
tono sicuro di sé trasparivano tensione e un certo
affaticamento.
Riuscimmo infine
a rientrare alla base senza ulteriori
intoppi e una volta uscito dall’ abitacolo della navetta,
vidi con i miei occhi
il danno che avevamo subito e rimasi senza parole. Chiamare graffietto
la
ragnatela di crepe che si diramava dal centro del vetro
dell’abitacolo era
stato alquanto riduttivo da parte del navigatore e fui colpito dal
fatto che
fosse riuscito ad arrivare fino a destinazione con la pessima
visibilità data
dal vetro ridotto in quelle condizioni.
Stavo per
congratularmi con lui per l’ottimo lavoro,
quando notai che con una mano si puntellava contro alla navetta che ci
separava,
in cerca di stabilità e con l’altra si stringeva
la spalla sinistra mentre tra
le dita avevano iniziato a scendere rivoli di sangue.
Un brivido
freddo mi attraverso quando capì che era
rimasto ferito nell’ultimo attacco.
“Ti
avevo detto che non mi sarei fatto fermare da un
graffietto” cercò di minimizzare, parlando con
voce strascicata, vedendo come
il mio sguardo osservava con preoccupazione la sua ferita.
Provò anche ad
accennare un sorriso che però venne deformato da una smorfia
di dolore, prima
che il colore defluisse dalle sue guance e non perse i sensi per la
perdita di
sangue.
Scattai verso di
lui pur sapendo che era inutile,
cercando di trattenere l’impulso che si faceva sempre
più forte di chiamarlo
per nome, quel nome confidato con un sussurro e conservato gelosamente
al
sicuro dal resto del mondo, chiamarlo e vederlo sorridere e parlare con
la sua
solita esuberanza…
Venne portato
via dalla squadra medica e non potei
fare altro che osservarli allontanarsi, sentendomi come pietrificato
mentre una
sensazione di gelo improvviso si espandeva.
Mi portai una
mano alla gola.
Il nome che
avevo quasi rischiato di pronunciare
davanti a tutti ora pesava come un macigno che quasi mi ostacolava il
respiro,
mentre mi invadeva il timore che quella avrebbe potuto essere
l’unica occasione
che mi veniva concessa per poterlo usare.
*
Erano passati
tre giorni da quando era stato
ricoverato in infermeria, tre giorni in cui non mi era stato concesso
di
vederlo neanche una volta e di non sapere in che condizioni si
trovasse.
Tre giorni
praticamente insonni ad attendere notizie
che non arrivavano, dove l’attesa era diventata un dolore al
petto costante.
Tre giorni di
solitudine…
…Quattro,
mi corressi quando lo sguardo mi cadde
sulle cifre luminose dell’orologio digitale che scattavano a
segnare la mezzanotte.
Le notti passate
insonne ora presentavano il conto,
sentivo le palpebre farsi pesanti e i miei pensieri come ovattati e
nonostante
cercassi ostinatamente di rimanere sveglio, il mio corpo alla fine
cedette e
ben presto mi ritrovai a sonnecchiare.
Mi svegliai di
soprassalto quando sentì il bip della
porta automatica che si apriva e del pannello che scorreva, che
indicava
qualcuno era entrato nella stanza.
Mi tirai su dal
letto sfregandomi gli occhi e
nonostante la penombra della stanza, riconobbi subito la figura che si
stagliava davanti alla porta.
Era lui. Ed era
vivo.
Sentì
tutta la tensione dei giorni precedenti
svanire ed al suo posto eruppe un’euforia che, complice della
carenza di sonno,
mi spinse ad agire senza pensare alle possibili conseguenze.
Lo raggiunsi e
facendo attenzione alla fasciatura
alla spalla, gli afferrai il volto e lo baciai cercando di riversare in
quel
bacio tutto quello che provavo e che non sarei riuscito ad esprimere a
parole.
Dopo un primo
momento dove colto di sorpresa non reagì,
lo sentì poi sorridere ed infine ricambiare con passione,
avvolgendo le sue
labbra calda sulle mie ed afferrandomi per la vita con un braccio e
facendo
combaciare i nostri corpi mentre l’altra sua mano si perdeva
tra i miei
capelli.
Quando
infine
ci staccammo eravamo entrambi a corto di fiato. Appoggiai la mia fronte
contro
la sua e tenendogli il volto tra le mani, inspirai profondamente e
sussurrai:
“Puoi
chiamarmi Alec…Magnus.
L’espressione
che ebbe quando mi sentì non solo
pronunciare finalmente il suo nome ma anche condividere il mio, fu
soverchiante; la dolcezza nei suoi occhi e tutti i sentimenti che ne
traboccavano mi fecero sentire amato come mai prima d’ora e
mentre finimmo sul
letto più vicino, tornai a baciarlo; assaporando ed
esplorando lentamente ogni
particolare fino a quando non ci addormentammo, le nostre gambe
intrecciate ed
il suo braccio intorno alla mia vita.