I
morti gli sorridono
“Allora
John? Ti piace giocare a nascondino?”
Una
figura tremante si sporse da dietro una porta socchiusa, era
tutto sudato, teso, era giovane, ma già stempiato, era un giocatore, era
quello che si nascondeva. Era morto.
“Dai John, dimmi fuochino, dammi qualche indizio”
Una
figura alta e sottile, coperta da una lunga giacca, camminava
lentamente per l’ampio garage del palazzo, scrutava attento ogni punto,
ogni nascondiglio, ogni ombra, ogni zona buia. Faceva finta, sapeva perfettamente
dove fosse il fuggiasco, ma la tensione è sempre molto
più alta e gradita se c’è un briciolo di speranza, anche illusoria, e il
divertimento che ne consegue è infinitamente migliore. Che
bel gioco, pensava, mentre stringeva in pugno la sua colt nove colpi pressoché
nuova.
Quando
John non vide più la lunga giacca decise il tutto per
tutto, non c’era più qualcosa da perdere, se non la vita, oramai quasi un
ricordo. Silenziosamente uscì dal precario nascondiglio e si spostò sfruttando
la copertura offerta dalle luci sporche e rotte. Avanzava sempre più veloce
appiccicato alla parete, con lo sguardo furtivo ispezionava attorno con
circospezione, cosciente che prima o poi l’avrebbe
trovato. I secondi parevano interminabili, la tensione gli faceva battere il cuore
in modo incessante, senza ritmo, non riusciva più a coordinarsi, il respiro era
ridotto a poco più che un rantolo, a una live raffica
di sospiri. Girò l’angolo per scappare dall’entrata principale e il suo cuore,
i suoi polmoni, il suo cervello, tutti i suoi muscoli
gli si pietrificarono, morì per un paio di secondi. In quel lasso
di tempo potè vedere bene per la prima volta
il suoi inseguitore, l’ombra di prima ora era ben delineata. Anche con la
flebile luce dell’autorimessa l’uomo era veramente molto alto, e fortemente
slanciato dalla giacca in pelle rossa aderente, ma
l’aria da spettro risiedeva tutta sulla faccia, coperta per metà da un pezzo di
maschera bianca, inespressiva, e la restante metà sorrideva dietro a ad un
trucco pesantissimo che ne esaltava l’intensità. Tutti il
volto, sovrastato da lunghi capelli neri pareva uscito da un sogno, e
non appartenere a questo mondo.
La
stasi di John venne cancellata dalla lunga canna
puntatagli ai denti. “Tana per John.” Con uno scarto velocissimo il ragazzo
evitò una pallottola che, di rimbalzo, si conficcò su di un pilastro. Altri due
colpi esplosero, lo mancarono volutamente, e altri due fori apparvero sulla
parete. L’inseguimento vero è proprio iniziò, quello
mascherato corse, e contro uno fuori esercizio non ebbe problemi a
stargli dietro, magari dando la piacevole sensazione di farsi seminare.
John
si nascondeva ogni tanto dietro a delle auto parcheggiate, e ogni volta che
tentava di scappare per questa o quella uscita, una
pallottola gli serrava la strada. Quando ebbe preso sufficiente coraggio il poveraccio si buttò, non curante che qualche colpo potesse
andare a segno, cosa che effettivamente accadde. Con un fortissimo dolore alla
gamba destra, precisamente sul ginocchio, john si ritrovò a terra, con
l’inerzia del proprio corpo era riuscito a scagliare la testa contro un mucchio
di vetri, frantumandoli in tante lame trasparenti, colorate
in parte dal rosso del sangue che usciva copiosamente dalla tempia.
“No,
no, no, John, non si fa così – il fantasma parlava con
un filo di voce, molto calma – perché hai voluto che il gioco finisse così in
fretta? Perché non hai voluto farci divertire ancora
un po’? Peccato John, è stato fin piacevole, ma ora è ora di andare a casa,
tutti a nanna”
E detto questo si prestò ad alzare la colt all’altezza della faccia
dell’altro. Il ferito mugugnava appena, vedendo della sua vita solo alcuni
flash, la prima volta in bicicletta, il secondo amore (chissà perché non il
primo?), il matrimonio mai avuto. Tutto questo in pochi, esuli attimi. La canna
puntò un viso rigato dalle lacrime e il grilletto fu premuto. Il percussore
impiegò un tempo nullo per un osservatore esterno, ma un tempo incredibile fu
per John, che attendeva, oramai accanitamente, che il colpo esplodesse. Arrivato
a fine corsa il percussore impatto contro il retro del
bossolo e non successe niente, assolutamente niente, solo un click.
Trascorse
un altro attimo, questa volta meno stressante, il viso di John ebbe dapprima
dei lievi tic, che divennero spasmi lievi e poi sempre
più violenti, le lacrime di terrore divennero lacrime di gioia, la fragorosa
risata riecheggiò per tutta l’autorimessa, a pieni polmoni.
“A
pieni polmoni John, ridi con tutto il fiato che hai in gola, fai sentire al
mondo intero che forse hai vinto.”
Il
sussurro demoniaco dava anch’esso la sensazione che il cacciatore fosse
sollevato, fosse felice per John, ed effettivamente lo
era, aveva ridato la felicità a quel povero uomo. Ora quel povero si accingeva
a prendere uno dei colli di bottiglia rotti che aveva a portata di mano, pronto
a sferrare una ferita mortale, mantenendo la sua risata a pieni polmoni.
Il
percussore diede un altro colpo ad un altro
proiettile. Questa volta si formò un forellino nel fondo della gola di John, e
un grosso squarcio fumante sulla nuca faceva uscire gli ultimi sprizzi degli ultimi battiti del cuore.
“Peccato
John, ho detto ‘forse’ e come ben saprai i momenti felici durano
poco. Ah, già, quasi dimenticavo, ho semplicemente tolto un proiettile.”
Il
fantasma sparì come apparve qualche minuto prima
nell’ombra offerta dalle luci rotte e sporche del garage, lasciandosi alle
spalle un corpo privo di vita, ma con un ampio sorriso congelato sulle labbra e
sul viso per l’eternità.
John, una persona come le altre, vita mediocre, aspetto
mediocre, lavoro mediocre. Muore felice.