Eccomi qui
con un’altra
piccola one-shot. Non so come mi sia venuta, e voi molto probabilmente
vi
starete stancando della mia continua presenza, ma, come ho
già dello credo
milioni di volte, amo questa coppia e per me è inevitabile
scriverne. Anche se
in teoria dovrei scrivere nuovi capitoli delle long fic. Perdonatemi,
è un po’ uno
svago. Comunque, una storia un po’ diversa dal solito,
abbastanza corta, forse
anche superficiale. Non so, ditemi voi. Mi è venuta questa
idea in mente e ho
deciso di scriverla. Il risultato p quello che avete qui sotto.
DEDICATA ALLA MIA GIULY_CHAN!! Ora vi
lascio, devo
andare. E ricordate:
LEGGETE E
COMMENTATE!!! Un bacione!
Mary!
Piccola
ubriacatura di una
notte…
Le
girava la testa.
Aveva
decisamente bevuto
troppo, la sera precedente.
Il
problema è che non si
ricordava il perché.
Cioè,
se lo ricordava, ma le
sembrava così sciocco il motivo che neanche voleva pensarci.
Si
era ubriacata per la prima
– ed ultima – volta nella sua vita, solamente
perché quello stupido di Koga aveva
fatto il cretino, per l’ennesima volta.
Il
pomeriggio le aveva dato
buca e, dopo averle chiesto scusa un centinaio di volte al telefono, la
sera
aveva fatto la stessa cosa.
Il
problema era venuto quando
l’aveva visto pomiciare con un’altra.
Era
una cosa superflua, ormai c’era
abituata, ma la cosa era
peggiorata quando si era resa conto chi
stesse sbaciucchiando in una maniera così… vorace.
Niente
popò di meno di Kikyo,
sua sorella maggiore.
In fondo è normale, pensava, lei
ha sempre avuto
tutto, al contrario di me…
Non
aveva fatto nulla: aveva
osservato da dietro un cassonetto dell’immondizia puzzolente,
fino a che non si
era stancata ed aveva iniziato a vagare per le vie della
città.
Appena
trovato un bar ci si
era infilata dentro ed aveva iniziato a bere; una, due, tre, quattro,
cinque
bottiglie.
Il
bello è che non aveva mai
sopportato l’alcol. La disgustava
anche l’odore, trovava infantili
le
persone che affogavano i loro dolori in questa maniera decisamente inutile.
Però
l’aveva fatto comunque,
e se ne pentiva.
L’aveva
fatto per Koga,
cristo santo!
Lui
non conosceva la parola fedeltà.
Non rientrava tra gli scarsi
vocaboli del suo dizionario.
Non
gli diceva più niente
oramai, sapeva che la tradiva ogni volta con una ragazza diversa, ma
almeno
poteva evitare di portarsi a letto sua sorella!
Non
l’aveva mai lasciato
semplicemente per il fatto di essere troppo buona e di avere un cuore
grande.
Poi, quando le diceva di essere l’unica e che le altre non
avevano importanza,
ricadeva nella trappola come una bambina ingenua.
Tanto
sapeva, era certa, che
lui non l’avrebbe mai abbandonata. In fondo era con lei che
stava, quando non
c’era nessuna nuova ragazza da portare in camera. Quindi, in
un certo senso,
poteva ritenersi importante. Oppure
era solamente stata fortunata – se questa poteva considerarsi
una fortuna – ad
essere stata la prima delle altre, per cui le era capitato il ruolo di
donna
fissa. Ruolo che, secondo questo ragionamento, sarebbe potuto capitare
a
chiunque.
Non
le era mai importato, le
stava bene così, ma questa volta aveva esagerato.
Si
alzò, traballando
leggermente. Sentiva, anche solo respirando, il fetore del suo alito.
Decisamente
non avrebbe mai
più bevuto neanche un solo goccetto di una qualsiasi bevanda
alcolica.
In
fondo che male le avrebbe
fatto andare avanti ad acqua? Nessuno. Perciò…
Riuscì
– miracolosamente – ad
arrivare in bagno. Si appoggiò al lavandino, poi prese lo
spazzolino e ci mise
sopra un quintale di dentifricio. Doveva assolutamente
lavarsi i denti.
Quando
ebbe finito si
sciacquò il volto, cercando di focalizzare meglio le
immagini intorno a lei.
Vide
una chiazza colorata al
posto della porta del bagno; o si era rimbecillita di più,
oppure quella non era
la porta.
“Oddio,
Kagome! Ti sei
svegliata!” la
chiazza si avvicinò a
lei, ogni parola che pronunciava le provocava una fitta immensa alla
testa.
“Non
puoi capire come mi sono
preoccupata quando il taxi ti ha portato a casa in quello
stato!” continuò
la figura, aiutandola a camminare e
a sedersi nuovamente sul letto morbido.
Kagome
continuava a non
capire. Di che taxi stava parlando?
Poi
ricordò: un ragazzo al
locale l’aveva chiamato quando era arrivata alla sesta
bottiglia di vodka e
l’aveva accompagnata a casa. Sì, l’aveva
anche fatta vomitare.
Rabbrividì,
questo preferiva
non ricordarlo.
“oh,
Kagome! Perdonami! Non
so cosa mi sia preso!” l’altra
parlava,
lei non riusciva a capire.
“Però
sai com’è Koga, mi ha
persuasa ed io…”
aveva capito. La
ragazza con cui stava parlando era Kikyo.
Spalancò
gli occhi, le dava
fastidio non riuscire a vedere bene, lo trovava altamente irritante.
Si
alzò nuovamente,
stropicciandosi gli occhi, non voleva ascoltare la sorella con tutte le
sue
patetiche scuse: non le importavano.
Non
le importava più nulla di
Koga. Lui era fatto così, anche se questa non era affatto
una giustificazione.
Chiuse
la porta della
cameretta, lasciandovi dentro Kikyo, ed andò in cucina a
prepararsi – come
minimo – un litro di caffè.
Bevve
la bevanda calda,
riacquistando leggermente i sensi. L’acuto mal di testa,
però, non era affatto
diminuito e la stava facendo impazzire.
Non
vedeva più la sorella,
conoscendola si era chiusa in bagno a piangere, quando
l’unica che avrebbe
dovuto piangere sarebbe dovuta essere lei.
Il
suono del campanello la
costrinse ad alzarsi e ad andare ad aprire la porta
d’ingresso.
Quando
la spalancò, la
richiuse immediatamente, avendovi appena trovato il creatore di tutti i
suoi
problemi. Sicuramente quella pettegola di Kikyo gli era andata a
raccontare
tutto.
Sentiva
i pugni che,
dall’altra parte, venivano dati alla porta.
“Maledizione,
Kagome! Apri
questa dannatissima porta!”
“Vattene…” la voce le usciva roca,
non riusciva a
parlare bene.
“Fammi
entrare! Non è come
pensi, vedi, era un gioco tra me e tua sorella, non contava
nulla…” l’altro,
ancora sul pianerottolo, continuava
strillare.
“Vaffanculo,
Koga…”
“Kagome!
Ti prego, fammi
spiegare!”
“Puoi
spiegare tutto quello
che vuoi, a chi vuoi. Io mi sono stufata. Vatti a fare un giro, mi fa
abbastanza male la testa, le tue urla non aiutano. Ciao!” e si allontanò
dalla porta, massaggiandosi le
tempie. Aveva smesso di essere il suo giocattolo, una volta per tutte.
2
mesi dopo…
Camminava
tranquilla,
stringendosi nella sua giacca a vento.
L’inverno
era alle porte e
faceva piuttosto freddo.
Le
cose con sua sorella si
erano sistemate. In realtà, non ne avevano mai parlato.
Avevano iniziato ad
ignorarsi, ma Kagome, stanca di quella situazione, ci aveva dato un
taglio,
reinstaurando i rapporti.
Con
Koga aveva chiuso; lui,
dopo qualche altra visita a casa sua, era sparito dalla sua vita,
finalmente.
Le era arrivata voce che ora, al posto suo, c’era
un’altra donna. L’unica cosa
che provava era dispiacere, ma verso la ragazza, non verso di lui.
Improvvisamente
inciampò e
chiuse gli occhi, preparandosi a cadere rovinosamente a terra. Si
stupì, quando
ciò non accadde.
Aprì
gli occhi ed alzò lo
sguardo, davanti a lei c’era un ragazzo che avrà
avuto circa un anno più di
lei, lunghi capelli argentati scompigliati dal vento e profondi occhi
ambrati,
fisico muscoloso ed un bellissimo sorriso.
Arrossì
violentemente quando
si rese conto di essergli praticamente in braccio.
Si
staccò velocemente da lui,
porgendogli le sue scuse.
“Ehi,
ma tu sei la ragazza
del bar!” disse
il ragazzo.
“Come
scusa?”
“Sì,
la ragazza che si era
ubriacata, ti ho portato a casa io, non ricordi?”
“Oh…
è vero! Scusa sai, non
ricordo molto di quella sera…” spiegò
Kagome, diventando lievemente rossa.
“Tranquilla,
comunque, come
stai?” chiese
lui.
“Molto
bene grazie, tu?
Scusami, non ricordo il tuo nome.”
“Benissimo.
Io sono Inuyasha,
piacere.” Il
ragazzo le porse la mano,
che lei subito strinse.
“Piacere,
Kagome.”
“Senti,
hai da fare? Che ne
dici di andare a prenderci qualcosa al bar?” chiese Inuyasha,
sorridendole
dolcemente.
“Dico
che è un ottima idea!”
Alla
fine quella brutta
serata aveva anche portato di qualcosa di buono, forse…