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Autore: summers001    30/09/2015    1 recensioni
Daryl le aveva urlato di uscire fuori, di fuggire per non acchiapparsi altre pallottole. Riusciva a muoversi a stento, ogni muscolo faceva male. Immaginava il metallo freddo e rugginoso del proiettile che le aveva colpito il fianco, farsi strada tra la carne, sporcarsi del suo sangue e incastrarsi nelle viscere morbide. Ricordava il panno bianco che aveva tenuto addosso a lui la prima volta che lo vide, prima ancora di chiedergli il nome. Ricordava la velocità con il quale s'era imbevuto di rosso, ricordava le linee curve del sangue avanzare sulla stoffa, bagnarle la mano, appiccicargliela. Beth non riusciva più a vedere niente. Voleva accasciarsi a terra e se non si sarebbe mai svegliata, tanto male. C'erano suoni in lontananza, suoni che le ricordavano le poche volte che era andata in città. Voci, persone. Parlavano inglese. Mollò la presa sul fianco e cadde sulle ginocchia in avanti. Non riuscì mai a ricordare il momento preciso in cui s'addormentò.
Bethyl, AU.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beth aveva deciso che per la sua missione non sarebbe stata necessaria una sola arma. Beth decise che la sua era una missione di pace. Ed in più non avrebbe mai sparato a qualcuno. Daryl in realtà avrebbe voluto portarsele con sé. Forse non le avrebbe usate, ma non gli andava di sfidare la sorte. Che diamine se le portava dietro da prima di tutto quel casino! Ma Beth lanciò via le armi provenienti dall'ultima incursione in un torrete, prima che lui se ne rendesse conto. Daryl non s'arrabbiò però. Del resto aveva ancora la sua da parte. Guardò uscire le bollicine dalla canna dei fucili fino ad andare a fondo. Pensò che la natura avrebbe pulito quel disastro. Prima o poi.
Beth si girò e guardò verso di lui invitandolo a fare lo stesso, ma lui non fece altro che nascondere la sua arma nella cintura dei suoi pantaloni, tra l'unifore mimetica e la pelle. Il metallo freddo sapeva come di casa per lui. Era normale, lo teneva fermo nella realtà. Serviva una buona dose di realtà accanto all'umanità e agli ideali di Beth. Gli ricordava così tanto suo padre, quello di lei. Era fatto della stessa pasta. Ed era stato un problema per l'esercito americano. Da qualche parte aveva sentito che gli alleati stavano vincendo, il maggiore Greene però non era d'accordo, credeva che non ci fossero vincitori, ma solo vinti in una guerra, in qualunque schieramento. Dopo che Merle se n'era andato, aveva capito cosa intendeva quell'uomo saggio.
Quando ripresero a camminare era ancora notte. Faceva freddo e stavano sfruttando i passi uno dopo l'altro per riscaldarsi. Come aveva deciso prima: di notte si cammina, di giorno si riposa. Il paesaggio era sempre uguale, sempre lo stesso. A tratti incrociavano alberi ed erba bruciata da almeno qualche giorno. Quello era consolante, significava che i tedeschi di lì, magari quel gruppo che avevano già incrociato, erano già passati e non avevano motivo di passarci di nuovo. Rari erano invece gli animali. Piano piano i morsi della fame e della sete si facevano sentire. S'erano portati dietro da quel gruppo di imbecilli uno zaino. Quando l'avevano aperto ci avevano trovato dentro cibo da trincea, una bottiglia di plastica vuota ed una scatola di latta. Avevano poi ripreso a camminare, saggiamente pensando di conservare tutto per il giorno successivo.
"Quanto credi che manchi fino a Parigi?" chiese lei risvegliandolo dai suoi pensieri. Era accanto a lui e cercava di mantenere il passo, ma a fatica.
"Uhm?"
"Quanto credi che manchi fino a Parigi?"
La guardò mentre parlava. Non si fermava, non si fermava mai e continuava a camminare. Si chiese se non fosse stanca. Lui lo era, ma non gliel'avrebbe detto. Come poteva non esserlo lei? Cercò di fare mente locale: dove potevano essere loro, dov'era Parigi, se ricordava dove fossero i prossimi accampamenti degli alleati. Forse c'era proprio un gruppo che avanzava dalla costa. Non l'avrebbe detto a Beth però. Guardò il cielo. Una serie di uccelli si dirigevano verso nord, forse proprio verso il mare. Decise di fidarsi della natura e prese come direzione nord-ovest: verso Parigi e verso il mare. L'avrebbe portata dov'era un plotone che poteva aiutarla e portarla a riparo, nel frattempo però sarebbe scappato per non essere riarruolato. Magari sarebbe rimasto in Europa. Magari un giorno sarebbe potuto tornare in america. Ma cosa gliene fotteva? Ormai non aveva più niente né là né da un'altra parte.
"Qualche giorno." Le rispose. Cercava di risparmiare parole e fiato. La bocca era così asciutta, la lingua così secca ed ad ogni parola o spiffero d'aria che entrava era un monito alla sete. Cominciò a tastare il suolo. Era umidiccio, ma per la notte. Non credeva che ci fossero corsi d'acqua nei paraggi. Il cielo invece era fin troppo pulito. Sperò che lei presto o tardi si lamentasse, che volesse fermarsi, ma stando alle posizioni della luna, era da più di due ore che non lo faceva. Cocciuta. Cocciuta e stupida.
Alle sette di mattina Beth e Daryl erano umidi di ruggiada e di sudore. Tuttavia non avevano ancora bevuto una goccia d'acqua. Saggiamente anche Beth aveva tenuto chiusa la bocca. Le uniche parole che aveva pronunciato le avevano fatto male come tanti piccoli coltelli alla gola. Non c'era più neanche saliva da ingoiare. La sete fece dimenticare loro di non aver affatto dormito addirittura.
"Daryl." lo chiamò lei e si fermò indietro stremata. Si lanciò a terra perché proprio non ce la faceva. Pensava che sarebbe venuto il caldo da un momento all'altro e che era meglio dormire. Sistemarono come al solito due giacigli. Daryl la lasciò dormire. La coprì con delle foglie, le nascose i capelli e la tuta bianca e la nascose come meglio poteva, mentre lei dormiva come un sasso. Si scoprì ad accarezzarle la coda bionda. Quando se ne rese conto la lasciò andare quasi spaventato. S'imbarcò a cercare acqua. Strizzò la ruggiada dalle foglie, a volte alle pozzanghere e mise a bollire il tutto. La scatola di latta era piena d'acqua calda. Quando si raffreddò ne bevve la metà. Sapeva di schifo. Sperò che non gli venisse il colera o qualcosa. Semmai fosse successo avrebbe potuto avvisare Beth di non berla. Continuava a preoccuparsi per lei in quel modo strano. Passò le ore a guardarla respirare. A volte s'agitava e si chiedeva se non stesse sognando suo padre o sua sorella.
Quando il sole cominciò a cadere verso occidente, Daryl svegliò Beth. Intanto non aveva vomitato, non aveva cagato, e poté darle quel mezzo bicchiere d'acqua. Lei ringraziò e gli sorrise. Gli disse "Grazie", qualcosa a cui non era abituato. Lei era gentile con lui. Ragionandoci lo era sempre stata in quei giorni. Pensò anche che la conosceva da pochi giorni.
Senza molte parole, sempre per risparmiarle, si accucciò e dormì per un paio d'ore. Quando si svegliò Beth era là e sorrideva. Stringeva le sue cose e sorrideva. Pareva pronta ad alzarsi e camminare di nuovo. Daryl aveva di nuovo la bocca secca. Sbadigliò solo un attimo, si stirò la schiena e le spalle e si alzò. La vide imitarlo e sbadigliare anche lei. Aveva letto da qualche parte che lo sbadiglio era contagioso. Come una peste, pensò.
"Andiamo." disse solo cominciando a guardarsi attorno per decidere una direzione.
"Di qua!" fece lei. E lo stupì. Ricordava la direzione che avevano preso fino ad allora. Daryl la seguì. Si guardò indietro per accertarsi davvero che quella fosse la direzione giusta.
Ripresero quindi a camminare. Daryl era più lento. S'era stancato parecchio, non riusciva più a mantenere il ritmo, ma teneva duro. Beth lo vedeva, era addirittura più veloce e riusciva a camminare addirittura più veloce. Si sentì in colpa. Lo stava trascinando in un viaggio impossibile. Sperava che almeno, nel momento in cui avesse ritrovato la sorella, l'idea di aver riunito due persone o addirittura salvato una vita, la sua, Daryl avrebbe pensato che ne era valsa la pena. E poi? E dopo? C0sa avrebbe fatto Daryl? Se ne sarebbe andato? L'avrebbe perso per sempre? Non l'avrebbe rivisto mai più?
"Che farai dopo, Daryl?"
"Umpf."
Beth capì che neanche lui lo sapeva. Possibile che non lo sapesse? Forse non s'aspettava di tornare a casa? Credeva che quella fosse la sua ultima missione? Sarebbe stata l'ultima persona con cui lui parlava nella sua testa? Era triste. Non poteva non avere speranza di sopravvivere alla guerra. "Daryl," cominciò lei "torneremo a casa. E troveremo mia sorella." Beth si sentiva piena di speranza e di nuovo pensò che aiutare Maggie l'avrebbe fatto sentire utile. Gli sorrise perché pensò che di sorrisi non ne avesse visti tanti e che la speranza ed il sorriso insieme possano sembrare più veritieri.
Daryl mugugnò un "Certo." poco convinto, tanto per darle il contentino. Il sorriso di Beth si affievolì, ma non riusciva a toglierglielo dalla faccia. Ce l'avrebbero fatta. Ce l'avrebbero fatta, lo sapeva benissimo. Poteva essere ottimista per entrambi!
Continuavano a camminare e piano piano la vegetazione cambiava con loro. Era ancora vuota. Solo qualche topo ed uno scoiattolo ogni tanto. Le foglie delle piante cambiavano, si facevano più larghe. Erano alberi da frutto, ma ovviamente di frutti neanche l'ombra. Poi trovarono i pini. Erano scomparse le ceneri ed un'odore di salsedine impregnava il verde degli alberi ed il marrone della terra. C'era persino muschio. L'umidità aumentava e così anche il caldo. Per la prima volta di notte faceva caldo. Addirittura troppo. Era quasi l'alba e per fortuna si stava facendo giorno, cioè avrebbero potuto riposare.
I piedi di Beth bruciavano quasi, si sentiva le piante dei piedi durissime ed i polpacci erano a fuoco, ma non demordeva. Il cervello dopo un po' soffriva per la carenza di zuccheri. Era uno zombi che camminava, le mancavano solo le braccia in avanti, appese come una marionetta. Oscillava e sudava freddo, la vista era offuscata. Si afflosciò un attimo a terra. Solo un attimino, per riposare. Cercò di ricordare quello che aveva imparato in quel giorno e mezzo: pressione bassa, glicemia, un infarto. No, ma che sciocchezza. In qualunque caso fermarsi a terra l'avrebbe aiutata.
Daryl continuava a camminare avanti. Piano, molto piano. Era molto stanco anche lui. Non la sentì cadere a terra. Ad un certo punto si girò a controllare e lei non c'era più. Pensò "maledizione!", perché sarebbe dovuto tornare indietro, fare qualche passo in più, camminare cento metri in più e proprio non ce la faceva. Prese fiato e camminò in direzione opposta, perché a correre proprio non ce la faceva. Ritrovò Beth distesa sul muschio con gli occhi aperti che guardava verso la finestra di cielo che si apriva tra i rami verdi degli alberi. Crollò allora e si distese accanto a lei. Guardarono il cielo e le stelle che scomparivano. Non avevano il coraggio di mangiare e sprecare altre energie.
"Daryl." disse ad un certo punto Beth. Voleva dirgli che aveva fame, troppa, che non ce la faceva, che avrebbero dovuto fermarsi forse un po' più a lungo del solito, cercare da mangiare, che forse non avrebbe fatto storie se lui avesse ammazzato qualche animale per cucinarlo.
"Lo so." disse lui. Ed aveva fame, fame anche lui, forse addirittura più di lei. Ricordava che quando era ancora in America, prima che tutto quello cominciasse, mangiava tantissimo. Era capace di fare fuori due o tre piatti di pasta alla volta. Avrebbe voluto così tanto un piatto di spaghetti. Maledetta Beth, era lei che per prima gli aveva fatto pensare agli spaghetti, anzi a casa sua: la sua poltrona, il suo materasso, la sua casa... Dov'è che lei abitava? Erano così distanti? Gliel'aveva mai detto? Si girò verso di lei ed era ancora con la stessa espressione a guardare il vuoto. Si chiese se a volte lei si girasse. Pensò che era stato bello conoscerla, che era bello aver fatto quell'esperienza prima di morire. Era sicuro che se l'avesse riconsegnata all'esercito, lei sarebbe tornata a casa, lui sarebbe stato inviato di nuovo in guerra e sarebbe morto. Decise che nel momento in cui sarebbe morto avrebbe pensato a lei nello stesso modo in cui l'aveva vista per la prima volta: eterea, sicura di se, che si prendeva cura di lui e lo accompagnava verso la vita o verso la morte.
Dopo un po' Daryl si rialzò. Si guardò attorno e vide una casupola di legno con la porta chiusa e le finestre sprangate. Eccolo il posto perfetto per dormire! Eccola una poltrona o un letto di fieno, comodo, comodissimo come niente! Sapeva che erano vicini alla desinazione e tanto valeva dormire un'ultima ultimissima volta. Si alzò facendo leva con le mani su un ginocchio per la stanchezza, tirò fuori la pistola dai pantaloni, tolse la sicura e alzò l'arma tenendo pronto il dito sul grilletto. Beth s'alzò a sedere di soprassalto e lo seguì.
Era un fienile, forse ci entravano solo due cavalli. I campi attorno non erano coltivati, ma avrebbero dovuto esserlo. Il fienile pareva abbandonato, ma nessuno dei due si fidava. A Beth non piaceva tenere un'arma, come aveva già lasciato capire. Avrebbe preferito addirittura camminare oltre e cercare un altro posto piuttosto che alzare un'arma e sparare per ferire, o ancora peggio uccidere. Si mise le mani nelle tasche e cercò le pietre che aveva raccolto qualche giorno prima da terra per difendersi. Daryl la vide. Pensò che fosse stupida davvero a credere di potersi salvare con quelle. Raccolse una spranga di legno da terra, davanti al fienile, facendo meno rumore possibile e gliela mise in mano. Almeno si sarebbe potuta difendere se qualcuno le fosse arrivato vicino. Si ripromise che non sarebbe dovuto succedere.
Quando entrò c'era un ampio spazio vuoto e molta paglia. Il posto era pieno di polvere, ma non puzzava come ci si aspetterebbe che un fienile puzzi. Di lato c'erano due porte a metà altezza, per i cavalli. Daryl cominciò dall'ultima. Ci diede un calcio e la spalancò e con grande sorpresa c'era qualcuno nascosto. Era un vecchio dai capelli lunghi sulle spalle ed un cappello di lana in testa.
"Alzati!"
"Wer zum Teufel bist du?" urlò quello.
"Alzati!" urlò Daryl di nuovo. Abbassò la pistola ed entrò in quella stanzina. Vide che il vecchio teneva un fucile dietro. Lo prese per il braccio e poi sentì Beth urlare il suo nome.
"Daryl!"
Lui si girò e non poteva lasciare quello. Fece tardi e quando la vide di nuovo stava suonando quella spranga di legno sulla testa di un altro tizio, questa volta più giovane, coi capelli neri. E quello cadde a terra ed il vecchio urlò di nuovo.
"Sohn! Sohn! Sohn!"
Daryl rimase colpito da lei, da Beth. Lasciò andare quello ed acchiappò il fucile. Fece finta di niente. Cercò gli occhi di lei che sorrideva soddisfatta di sé stessa e badava poco a quello che le stava succedendo attorno. Allora lui guardò verso il vecchio e l'altro, padre e figlio pensò.
"Andatevene!" disse ed il vecchio acchiappò l'altro per la spalla, che tenendosi la testa si alzò e se ne andò. Daryl li guardò andare via.
"Se ti distrai, ti salvo io. Non sei da solo in tutto questo." sentì dire da lei che ancora sorrideva. Sorrideva sempre quella ragazza, durante la guerra, la fame, la sete. Tutto. E l'aveva difeso addirittura. Avrebbe dovuto dire grazie? Lei lo faceva quando lui l'aiutava?
"Pff." fece solo.
"Non ti fidi?"
Daryl non rispose. Credette che lei stesse scherzando. Quando si girò verso Beth la vide però estremamente seria, senza un minimo sorriso sul viso. Allora si fece serio anche lui e continuò a guardare dritto. Credette di capire qualcosa in quell'istante. Credette che una specie di rivelazione mistica fosse nei paraggi, che ci fosse un pensiero nell'aria che necessitasse di essere afferrato, come una parola che non ricordi, che è sulla punta della lingua. Non seppe dire se aveva capito oppure no, o cosa aveva capito. Sapeva solo che c'era qualcosa.
Decise di non pensarci e si guardò attorno. Chiuse tutto e sigillò il posto dall'interno. Prese confidenza con le balle di fieno che sarebbero diventate il suo nuovo giaciglio per un po', con il secchio in cui c'era acqua che pensò di riscaldare, con le assi di legno con cui avrebbe ulteriormente barricato l'ingresso. Quando vide delle scatolette di carne in una di quelle stanzine pensò di aver trovato il paradiso e di poter passare quello che gli rimaneva della vita in quel posto. Chiamò Beth a cui brillarono gli occhi. Si precipitò su una di quelle, quattro in totale, e cercò di aprirla con le unghie.
"Aspetta." fece lui. Gliela tolse da mano e la guardò. Ne prese un'altra. Sulla latta erano disegnati pezzi di carne e carote. Decise che quello spettava a lei. Era più buono e più nutriente, a lei sarebbe servito di più. Non era per farle un favore, era razionale farlo, logico. Certo avrebbe potuto pensare anche che poteva tenersi il migliore come ultimo pasto, ma no. Era meglio darlo a lei. Sfilò il coltello dagli stivali e gliel'aprì e poi gliela passò.
"Grazie." disse Beth un po' sorpresa.
Grazie. Lei lo diceva allora. Avrebbe dovuto dirle grazie anche lui allora quando l'aveva aiutato. Si pentì e sperò che fosse capitata un'altra occasione in cui avrebbe potuto farlo.
Mangiarono in silenzio, s'abbuffarono per la verità, inghiottendo anche aria che risalì poi. Pensarono anche ad aprire le ultime due scatolette. Beth pensò che quando avrebbero ripreso a camminare le sarebbero pesate nelle tasche o sulle spalle e che quindi era meglio finirle. Ma sapeva che si stava raccontando solo scuse e che era la fame a farle pensare quelle cose. Prese un respiro e si disse che le avrebbero mangiate quando si sarebbero svegliati, come se fosse una colazione. Tuttavia si sentiva meglio, decisamente meglio.
Era mattino, la luce era gialla ed azzurrina quando alla meno peggio lei preparò due lettini di paglia. Accatastò due masse gialle, una più grande, l'altra un po' meno. Preparò persino dei cuscini e si raccomandò di coprirsi bene coi vestiti per non sentire prurito durante il sonno. Daryl intanto aveva raccolto legnetti per accendere un fuoco e riscaldò l'acqua. Quando ebbe finito in una delle due camerette (o camere per cavalli) trovò lei, stesa sul suo lettino arrangiato.
"Grazie." disse lui. Era la sua occasione. Era stato perfetto. Lei scrollò le spalle e sorrise. "C'è acqua di là." fece lui indicando dietro.
"Oh!" fece lei sorpresa ed allegra. Si alzò e corse a bere. Lui la guardò mentre s'abbassava e raccoglieva l'acqua, mentre se la portava alla bocca e leccarsi le labbra soddisfatta per non perderne neanche una goccia. Daryl pensò al sesso, un pensiero che non gli gingillava in testa da un bel po', forse da prima di arruolarsi, forse da quando Merle l'aveva coinvolto e l'aspettava in ansia a casa. Pensò a Beth e pensò al sesso. Cominciò a fare caldo e guardò a terra.
"Tutto ok?" chiese lei.
"Hm-hm." fece lui e non ebbe il coraggio di guardarla. Si nascose dietro al bicchiere. Fece finta di bere senza farlo per davvero, doveva conservarla per davvero quell'acqua. Ma non poteva ancora guardarla. Si sedette per terra attorno al secchio, lei lo imitò e si sedette dal lato opposto. Era come una cena di famiglia. Beth avrebbe dovuto dormire, come quando era ancora una bambina a casa e voleva restare sveglia insieme a tutti gli altri adulti piuttosto che andare a letto. Suo padre le diceva che in effetti non le era mai piaciuto dormire, neanche quando di anni non ne aveva neanche uno. Le mancava suo padre. Non si era concessa tanto di pensare a lui. Non quanto avrebbe voluto.
"A casa," cominciò lei e si fermò, forse pensando a casa sua "cantavo e suonavo. Ho un piano. Il mio papà diceva che dovevo farlo nelle chiese, per la messa." Ricordò a voce alta stringendo il bicchiere. "Vorrei averlo fatto per lui." Confessò mentre una lacrima le scorreva sulla guancia ed un singhiozzo le scappò dalle labbra insieme alle parole.
Daryl strinse il suo bicchiere. Avrebbe voluto avere la sensibilità di capire cosa fare. "Fallo ora." disse solo.
"Come?" Chiese Beth, credendo quasi sicuramente di aver capito male, mentre s'asciugava con i polsi e con le mani la faccia.
"Canta ora." rispose Daryl.
Beth alzò lo sguardo e guardò lui. Daryl la fissava. La fissava e respirava. Era serio. Forse avrebbe dovuto sentirsi imbarazzata, ma no, non ci riusciva. Forse era lui quello imbarazzato che dopo pochi secondi doveva affaccendarsi per forza. Si alzò e si preparò un giaciglio. Si distese, allungò le gambe e piegò un braccio dietro la testa ed aspettò. Voleva davvero che cantasse allora. Beth allora si appoggiò alla parete di legno, posò il bicchiere a terra, pensò ad una canzone e la intonò. Non cantò della guerra, né della libertà, del nazionalismo e della speranza. Avevano sentito fin troppe canzoni del genere e fin troppe non erano neanche lontanamente vicine alla realtà. Cantò una canzone che parlava d'amore e di sorrisi, della speranza di restare insieme per sempre e vedersi invecchiare. Daryl s'addormentò così, quasi sognando quella canzone, immaginandosi i due della canzone, con una sensazione quasi di sicurezza. Per un po' la morte se lo dimenticò.

 Nel pomeriggio, facevano ancora male le gambe di entrambi. In più avevano sentito degli elicotteri volare. Non potevano uscire, non per farsi trovare. Beth aveva deciso che, sebbene ogni minuto fosse importante, Maggie sarebbe sopravvisuta altre due ore se ce l'aveva fatta fino ad allora. Il rischio di non trovarla assolutamente era maggiore del rischio di trovarla morta. Rimasero nascosti allora. Le finestre erano già chiuse e non ci fu bisogno di sprangarsi dentro ulteriormente.
Stavano allora seduti insieme, sempre attorno al secchio, come la mattina precedente. A volte lei si schiariva la voce, a volte lo faceva lui.
"Vuoi mangiare?" chiese lei.
"Prima di camminare." rispose lui.
Beth ricominciò allora a guardarsi le scarpe ed i vestiti bianchi. Avrebbe voluto togliersi le scarpe. Quand'era stata l'ultima volta che s'era tolta le scarpe? E quando quella in cui l'aveva fatto lui? Pensò di dirlo ad alta voce. O di commentare le sue scarpe. Ma che pensiero stupido sarebbe sembrato?
"Le ho suonate di santa ragione a quello ieri, vero?" disse allora. Forse da quello avrebbe spiccicato qualche parola.
"Sei stata brava, ma hai lasciato un punto scoperto." disse. Erano comunque più parole di quante Beth se ne aspettasse ed in più le davano la possibilità di fargli un'altra domanda.
"Punto scoperto?" chiese curiosa.
"Tenevi le braccia troppo alte."
A Beth venne un'idea. S'alzò e, nascondendo un sorriso serrandosi le labbra dentro la bocca, riprese quel bastone che lui le aveva dato in mano il giorno prima e lo impugnò. Si mise davanti a lui che stava ancora seduto a terra. La sua faccia le arrivava alla pancia.
"Fammi vedere!" disse lei ed alzò il bastone e fece finta di colpirlo, proprio come aveva fatto l'ultima volta, ma convinta di fermarsi prima che quel coso gli arrivasse in testa. Senza neanche impegnarsi tanto, Daryl invece alzò la mano, fermò l'arma improvvisata e con l'altra le diede un colpetto sulla pancia con la punta delle dita.
"Oh!" fece lei delusa "Cavolo!"
Daryl si alzò e le andò vicino. Le prese una mano e la sistemò meglio su quell'affare. Le girò attorno e le si mise dietro. Manovrandola come un burattino, dalle spalle di lei, molto vicino, troppo vicino, le prese l'altra mano e sistemò anche quell'altra. Le si mosse dietro, facendole provare un paio di colpi sotto la guida di lui. Su e giù, su e giù. Da lì riusciva a sentire l'odore di terra che aveva tra i capelli, il sudore sulla pelle e pensò di nuovo al sesso. Si allontanò subito da lei allarmato, si sistemò i pantaloni e tornò a sedersi.
"Ok, attento!" s'annunciò lei senza rendersi conto di niente. Riprovò quelle mosse che lui le aveva insegnato, dovette chinarsi di più però perché il suo avversario era seduto e non era facile da colpire come il soffio di vento di prima. Daryl tentò di difendersi con le mani, ma lei era stata veloce e lo colpì sul petto vicino alla spalla. Fece l'errore di emettere un fiato e contorcere la faccia.
"Oh dio!" fece lei allarmata, attenta a non urlare. Buttò il bastone per terra e si inginocchiò vicino a lui. "Scusa, non volevo, non volevo, ti ho fatto male?"
Parlava senza sosta, non gli stava neanche dando il tempo di dirle che stava bene. "Sto bene."
"Scusa, scusa! Dove ti fa male?" continuò lei.
"Sto bene!" fece lui afferrandole le mani che gli stava agitando davanti alla faccia.
"Fiu!" disse lei, si rilassò e sorrise, con le mani incastrate ancora. Aveva un sorriso che stonava con tutto il resto, con la guerra con il mondo. Daryl pensò che se l'avesse vista o conosciuta in un altro posto, un altro tempo, non l'avrebbe trovata interessante. Era quel contrasto a renderla speciale: trovare la forza di sorridere quando negli altri la forza non c'è più. Lui invece era come gli altri. Daryl si sentiva come gli altri. Anzi era peggio degli altri. In realtà non si ricordava di aver sorriso molto anche prima. Aveva voglia di sorridere con lei. E lo fece, sorrise solo. E allora quello di lei si allargò, splendeva sotto la luce della sole che filtravano tra le tegole di legno, coi raggi bianchi e gialli che le colpivano la pelle lucida ed umida, le labbra sottili, i denti bianchi.
I rumori dal cielo s'erano fatti più intensi. Pareva quasi che quegli aerei volessero atterrargli sulle teste. Daryl lasciò le mani di Beth e s'alzò un po' per arrivare con gli occhi alle finestra sprangate. Sperava di poter vedere qualcosa tra un'asse e l'altra, ma il legno era troppo rovinato e sfilacciato e gli ostruiva la vista. Cacciò il coltellino dallo stivale e lo infilò tra un'asse e l'altra per cercare di liberare la visuale. Se lo riportò a posto e spiò di nuovo. Pareva non esserci niente. Ma il vento era forte, l'erba era in subbuglio ed era sicuro che venisse dall'aereo che gli stava sopra.
Poi lo sentì.
Bang.
Sordo, unico, letale.
Veniva da dietro di lui. Si tastò la pancia ed il petto. Non l'aveva colpito. Si girò dietro, cercando Beth, contento di essere vivo per la prima volta in vita sua, per dirle di stendersi a terra, nascondersi e non uscire per niente al mondo. Ma il mondo crollò appena la vide. Velocemente, inaspettatamente, come il proiettile.
Beth era in piedi. Gli occhi aperti, quasi si chiudevano. Immobile come una statua di pietra bianca, macchiata di rosso.
Bang.
Un altro proiettile questa volta lontano, lontano da lei. Beth agitò la mano ed indicò verso terra, incapace di parlare. Cominciò ad affannare ma ancora non si muoveva, ancora non cadeva.
Bang.
Anche quest'altro li mancò, ma svegliò Daryl che le corse addosso, ignorando il consiglio di lei e la protesse con la sua schiena.
"No.."
Daryl allora la sollevò per stringerla meglio. Sì, invece.
La prese di peso e corse nell'altra stanzetta che pareva più lontana dai colpi. Il movimento le fece sobbalzare la carne attorno alla pallottola. Ma Beth non si lamentò. Ed allora cominciò il dolore, quello vero. Sentiva come se tutto il suo corpo fosse attorno a quel buco gigantesco nella sua spalla, come se tutto bruciasse e premesse, come se non avesse nient'altro che quel buco al posto di una testa, delle gambe... Strinse gli occhi, disgrignò i denti, trattenne qualche lacrima di dolore, ma non si lamentò mai. Immaginava il metallo freddo e rugginoso del proiettile che le aveva colpito il fianco, scavare nella carne, sporcarsi del suo sangue e incastrarsi nelle viscere morbide. Ricordava il panno bianco che aveva tenuto addosso a lui la prima volta che lo vide, prima ancora di chiedergli il nome. Ricordava la velocità con il quale s'era imbevuto di rosso, ricordava le linee curve del sangue avanzare sulla stoffa, bagnarle la mano, sporcargliea e appiccicargliela. Beth non riusciva più a vedere niente. Voleva accasciarsi a terra e se non si sarebbe mai svegliata, tanto male.
Daryl la sistemò su un letto morbido di paglia, mentre una serie di altre pallottole bucavano il legno più in alto delle loro teste. Non appena la posò, Beth tentò di alzarsi. Puntò a terra il palmo della mano del lato sano, spinse più che poteva e cercò di piegare gli addominali. Qualcosa di caldo e appiccicoso le scendeva sul braccio. Daryl la spinse di nuovo giù, si tolse la maglia e se la arrotolò attorno ad una mano. Rimase con addosso una canotta bianca, mentre tentava di rigirare la stoffa che s'era procurato per tamponare. Cercò e ricercò acqua da qualche parte con gli occhi, senza però trovare niente. Sapeva che si sarebbe infettata. Si guardò addosso e vide il coltello infilato negli stivali.
Le disse di tenere premuto sulla ferita, si girò dandole la schiena e s'armamentò cercando di non farle capire. Afferrò il coltello e l'accendino dai pantaloni e cercò di riscaldarci la lama dell'arma. Avrebbe fatto male, continuava a pensare. Le avrebbe fatto male.
Beth cominciava a capire sempre meno di quel che succedeva. Teneva debolmente quel misto di lana e poliestere sulla sua spalla, si guardava attorno ma era tutto sfocato e pensò che era così che vedeva forse la gente senza gli occhiali. Un pensiero folle, infantile. Si girò e vide l'uomo di spalle. Come faceva una bambina a trovarsi in quella situazione? Pensò che sarebbe morta, che non avrebbe mai trovato sua sorella. Pensò a come avrebbe dovuto fare per farglielo sapere. Pensò che nessuno l'avrebbe mai avvertita. Guardava la schiena di Daryl e non si sentiva più respirare. Allungò una mano, quella buona forse, oppure l'altra? Il dolore era così forte che non sapeva neanche da dove veniva. Voleva un po' di contatto umano prima di andarsene. Mise una mano sulla schiena di Daryl che sembrò nemmeno considerarla. Era irregolare, rigata, aveva quelle cicatrici che continuavano sotto la maglietta, ricordò. Non gli aveva mai chiesto cos'erano. O se esistevano, se tutto esisteva. Pensò che qualunque cosa poteva essere frutto della sua immaginazione. Persino Daryl che si girava verso di lei, i capelli sudati appiccicati al viso, bello lo stesso. Aveva ancora le sue targhette appese al collo. Le venne in mente quello che gli aveva detto allora, quella prima volta.
"Daryl," sospirò lei mentre lui si avvicinava e le toglieva quel tampone di emergenza "nell'eventualità..."
"Nessuna cazzo di eventualità." la interruppe lui e con la mano e la lama premette sulla ferita. Pensò di dirgli grazie o ti voglio bene o che era bello da guardare. Tutto quello che le uscì fu però un urlo disumano. Un dolore tremendo, ancora più forte di quello di prima, le venne dalla spalla e da tutta quella che era la pelle che pensava di non sentire più, quella pelle attorno al buco che era tutto il suo corpo. Sentì odore di carne bruciata e capì che era la sua. Sbatté i palmi a terra e tutto intorno. Afferrò qualcosa di quadrangolare, piccolo, caldo e metallico. Ci si agrappò e lo strinse nel pugno come ci si aggrappa alla vita. Vomitò senza neanche girare la testa di lato.
C'erano suoni in lontananza, suoni che le ricordavano le poche volte che era andata in città. Voci, persone. Parlavano inglese. Era una piccola speranza e si appese a quella. Mollò la presa su qualunque cosa fosse e cadde all'indietro. Non riuscì mai a ricordare il momento preciso in cui s'addormentò. 



 



Angolo dell'autrice
E dopo anni, secoli di attesa, eccomi di nuovo qua!! Lo so che in questa sezione non mi segue nessuno, che ho solo 3 commenti, che la mia storia è così così, ma nel rispetto a quei due/tre che hanno commentato, ho deciso di recente di continuare la storia. 
Ci sono stati momenti in cui ho avuto da fare, momenti in cui semplicemente non mi andava di scrivere e pubblicare per non avere una delusione. Ma dato che ne sono la regina eccomi qua :) 
Questa storia a me piace davvero e per farvi capire davvero quanto, sono sicura al 100% che diventerà una serie. Il prossimo è l'epilogo di poche pagine, poi vorrei continuarla con una one/two-shots e vedere che ne esce strada facendo. 
Se a qualcuno fosse piaciuta la storia, il capitolo, o anche se avesse fatto schifo, potete farmelo sapere qui sotto. Sono un'amante delle critiche, quindi qualora ci fossero imprecisioni, obbrobbri di qualsiasi genere, vi ringrazio anticipatamente della notifica ^^
Al prossimo-ultimo-manonultimoultimo capitolo!

  
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