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Autore: Taila    14/02/2009    1 recensioni
Cent'anni dopo il mitico scontro tra il Signore degli Inganni e Jerle Shannara, Allanon si presenta a Cho Black, una ragazza che da sei anni vive da sola isolata dal resto della civiltà, nelle Foreste di Streleheim: ha bisogno del suo potere per sconfiggere Sorgon, un essere magico più antico del Re del Fiume Argento, che, alla testa di un formidabile esercito di Incubi, sta progettando la conquista delle Quattro Terre.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allanon, Altro Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finalmente sono riuscita a ritornare! Chiedo venia per il vergognoso ritardo, ma, purtroppo, mi ero impantanata sulla parte conclusiva di questo capitolo. Inizialmente l’avevo scritto in un modo, ma era insoddisfacente. Ho rimuginato a lungo su come chiuderlo ed alla fine… è finito così! Comunque i nostri eroi sono finalmente riusciti a raggiungere Varfleet! ^^ Voglio ringraziare Alaide: Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo precedente (me tanto, tanto emozionata ^//^) e che ti sia piaciuto il modo in cui ho gestito le cose. Spero di essere riuscita a mantenere Allanon IC anche in questo capitolo -.- Stefy: Sono contenta che ti sia piaciuta l’altalena tra i sentimenti di Cho ed il temporale attorno a lei ^^ Eh si, infondo l’inattaccabile Allanon si è un po’ affezionato a lei ^o^ In questo capitolo sono riuscita a farli stare un po’ calmi quei due… ma non so quanto durerà! -.- Lo ripeto: poveri Allanon e Mael!
Ringrazio Alaide, Sesshoyue, Stefy_81 e Vodia che hanno inserito questa fic tra i loro preferiti (me inchino) ed anche tutti coloro che hanno anche solo letto: GRAZIEEEE!!!!!
Adesso vi lascio al capito, al prossimo gente, baciotti -____^



Capitolo 7.



La luce ambrata del tramonto illanguidiva i contorni del paesaggio dando a tutto un aspetto onirico. Un soffice strato di nuvole violacee copriva il cielo, tagliato da lame di luce insanguinata. Il sole, ridotto ad una chiazza sanguigna al di la delle Montagne di Runne, allungava le ombre di alberi e cespugli, mentre la pianura ondeggiava dorata sotto la spinta del freddo vento serale. Ad oriente stavano già brillando nel cielo indaco le prime stelle.
Cho, seduta davanti al fuoco che scoppiettava allegro nel circolo di pietre, osservava quel panorama così dolorosamente familiare. Era nata in quelle regioni e tutte le sere della sua infanzia avevano goduto di una simile bellezza. In tutti gli anni dell’esilio che si era autoimposta non aveva mai dimenticato quanta bellezza struggente potesse esserci in un tramonto autunnale, quanta nostalgia avesse dell’oro e dell’ambra che coloravano la pianura in quel periodo dell’anno.
Eppure provava anche una fastidiosa sensazione di disagio, che contribuiva a peggiorare il suo umore già tetro. Avevano marciato per una settimana intera, rallentati ed intralciati dalle sue condizioni fisiche ancora non proprio ottimali, che costringevano gli altri a frequenti soste. Non era mai stata veramente malata e quella sensazione di debilitazione la irritava, soprattutto se ad essa si aggiungeva lo sguardo di Graham, uno sguardo sdegnoso in cui poteva leggere tutta la sua disapprovazione: il Nano credeva fermamente che le donne non erano affatto tagliate per quella vita, per affrontare lunghe marce e pericoli costanti, ed il suo comportamento glielo stava solo confermando. Per questo Cho, colpita nell’orgoglio, aveva iniziato ad ignorare caparbiamente la spossatezza, a costringersi ad andare avanti anche quando sentiva le gambe piegarsi sfinite sotto il suo peso e la vista annebbiarsi in un vortice ovattato che confondeva tutti i colori.
Cho sospirò riportando l’attenzione su ciò che la circondava in quel momento: Allanon era seduto con la schiena contro una roccia al limitare estremo dell’accampamento, la testa china e nascosta dall’ombra del mantello, le mani intrecciate e nascoste dentro le ampie maniche; il Nano era seduto dall’altra parte del fuoco, quasi di fronte a lei, ed era intento ad affilare con una cote le lame della sua micidiale alabarda.
Mael si era allontanato più di una mezz’ora prima alla ricerca di altra legna per il fuoco, la ragazza sospettava che si volesse semplicemente allontanare dalla pesante atmosfera che gravava su di loro. Man mano che si avvicinavano alla loro meta, il suo umore era divenuto sempre più suscettibile e, per conseguenza, anche quello di tutti gli altri. Spostò lo sguardo ad occidente, sull’inaccessibile muraglia rocciosa delle Montagne di Runne, come se già potesse scorgere al di la di esse le possenti mura turrite di Varfleet. Il giorno successivo sarebbero giunti davanti le porte della città. A quel pensiero un crampo di paura le contorse le viscere. Chiuse gli occhi come per sottrarsi a quella vista, ma, come se evocati dai suoi stessi pensieri, i ricordi ruppero l’argine dietro cui li aveva rinchiusi per tanti anni e si riversarono nella sua mente travolgendo ogni cosa, strappandole il respiro.
Risentì nelle orecchie i sussurri accusatori di chi parlava alle sue spalle, il battere metallico delle catene sulle pietre, il fruscio della corda prima legata e poi strappata, il violento rimbombo delle urla, il serrato scalpiccio degli stivali che correvano sull’acciottolato, il ritmo scoordinato del suo respiro, il cupo vorticare del sangue dentro le sue vene, il lugubre lamento di coloro che avevano assistito…
Rivide quegli occhi grigi guardarla con paura e disprezzo, quelle mani indesiderate spingerla contro il legno ed immobilizzarla, rivide il fuoco liberarsi violento e vorace sotto i suoi occhi…
Una mano gentile si poggiò sulla sua spalla e Cho riemerse dai suoi pensieri con un singulto spezzato, spaventata portò istantaneamente la mano all’impugnatura del pugnale, e solo in un secondo momento riuscì a districare nella nebbia che le velava lo sguardo, il volto gentile e preoccupato di Mael. Gli occhi dell’elfo scrutarono attentamente il suo viso contratto e teso, la pelle imperlata di sudore gelido. Qualcosa nell’espressione di Cho lo convinse a non fare domande. Le sorrise e le porse la rosa che teneva stretta tra le dita.
- Il sorriso ti dona di più.- le disse mentre le labbra gli si schiudevano nel sorriso più dolce che avesse mai visto e che la trapassò da parte a parte come una stilettata.
Cho osservò i suoi occhi color miele, sentendo uno strano, doloroso calore colarle nel petto, stringere il suo cuore in una morsa bollente che le fece rallentare il respiro. Un imbarazzante pizzicore ai lati degli occhi le ricordò che era tantissimo tempo che non riceveva più una gentilezza disinteressata…
Spostò lo sguardo imbarazzato sulla rosa, osservandone i petali bianchi come la neve screziati di venature sanguigne. Non ricordava nemmeno più quando era stata l’ultima volta che qualcuno aveva avuto un pensiero per lei, qualcuno che le aveva sorriso gentilmente dandole qualcosa. Forse era stato il vecchio Baruk quando le aveva forgiato per lei i pugnali che ancora portava alla cintola. Passò la punta delle dita sulla vellutata consistenza dei petali, il più leggermente possibile, come se temesse di poterli rompere.
- Grazie.- un sussurro imbarazzato troppo difficile da pronunciare.
Sotto lo sguardo dolce e contento di Mael, depose delicatamente la rosa in una scatola di latta che teneva costantemente nella sua sacca e che conteneva i pochi ninnoli che era riuscita a portare con sé nella sua fuga. Quindi Cho riportò lo sguardo sulle fiamme che danzavano elegantemente davanti al suo sguardo.
Della sua vita a Varfleet ricordava soprattutto il profondo, gelido silenzio che l’avvolgeva. Per le sue capacità magiche, ovunque andasse era guardata sospetto, era temuta per quello che immaginavano avrebbe potuto fare loro con i suoi poteri. Da piccola soffriva per questo isolamento incomprensibile, sputando in faccia a chiunque la guardasse con disprezzo tutto il suo odio e dolore; spesso, dopo aver scoperto la duplice natura del suo potere, si era immaginata a scagliarlo contro tutte le persone che le avevano fatto del male, pentendosene appena dopo: in quel modo avrebbe solo avvalorato le loro ipotesi sulla sua pericolosità.
Non capiva perché ce l’avessero tanto con lei che non aveva mai fatto del male a nessuno.
Il vecchio Baruk aveva provato a spiegarle che la loro era solo paura. Cento anni prima la magia era stata la causa scatenante di miserie e devastazioni che avevano portato le Quattro Terre sull’orlo della distruzione. Il Signore degli Inganni, nella sua marcia di conquista verso le terre degli Elfi, aveva attraversato, con il suo sterminato esercito, quelle terre. Varfleet non aveva potuto nulla contro l’avanzata di Gnomi, Troll e creature demoniache: era stata razziata e rasa al suola, i suoi abitanti massacrati ed ogni cosa era stata data alle fiamme. Il ricordo di quella devastazione era rimasto nella mente dei pochi superstiti che erano riusciti a mettersi in salvo oltre le mura e lo avevano tramandato ai loro discendenti. Per questo gli abitanti di Varfleet temevano la magia. Era una paura ancestrale, profondamente radicata dentro di loro, acuita dalla superstizione. L’unica colpa di Cho era quella di essere nata con quella terribile eredità. Un marchio indelebile che l’avrebbe accompagnata fino alla morte, che l’avrebbe resa un elemento di disturbo tra la sua gente, una pericolosa creatura indesiderata.
Era cresciuta con una fame disperata di qualcosa dentro di sé. Voleva che gli altri riconoscessero il suo valore e l’accettassero nella loro comunità, ma ogni volta che tentava falliva miseramente.
Più urlava forte per reclamare la loro attenzione più loro voltavano la testa dall’altro lato, ignorandola, ingigantendo a dismisura il silenzio ed il gelo che la circondava.
Poi la paura che i suoi concittadini provavano per lei raggiunse il suo acme, esplodendo violenta ed inarrestabile, tramutandosi in cieco terrore e lei aveva dovuto abbandonare Varfleet per salvare la propria vita. Aveva abbandonato tutto e tutti, e si era nascosta come una lepre braccata dai cacciatori nelle foreste di Streleheim. Sola ed impaurita aveva dovuto mettere a frutto tutte le conoscenze che gli aveva trasmesso il vecchio Baruk, quasi avesse previsto che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di simile, ed imparare a badare a se stessa, a sconfiggere lo sconforto e la nostalgia, a vivere solo di se stessa dimenticandosi di tutto il resto del mondo. Ed ora eccola di nuovo li, a pochi passi dalla sua città natale, da quegli uomini che sicuramente la stavano ancora cercando dopo tanti anni.
Era solo un’incosciente, come soleva dirle ridendo il suo maestro.
- Parlami di questo Baruk.- la voce secca ed incolore di Allanon ruppe il silenzio.
Cho sollevò la testa di scatto battendo alcune volte le palpebre, come se fosse appena emersa da un sogno. Spostò i suoi occhi verdi sulla figura avvolta dalla penombra del Druido, i cui occhi la scrutavano dall’ombra del cappuccio scintillando nella luce del fuoco. Anche Mael e Graham si volsero a guardarlo.
Increspando le labbra in una smorfia dubbiosa, la ragazza allontanò a fatica lo sguardo da quello dell’uomo, come se fosse stato impigliato in spesse catene, per poi spostarlo davanti a sé, sulle fiamme che scoppiettavano allegramente. Rimase per un lungo istante in silenzio, come per raccogliere le idee: stranamente si ritrovò incapace di fornire dettagli sull’uomo che l’aveva addestrata per tanti anni.
- Il vecchio Baruk non mi ha mai parlato di sé, mi ha sempre detto che non era così importante, che l’unica cosa che conta davvero è il futuro. – parlava lentamente, scandendo bene le parole e fissando le lingue di fuoco che danzavano sinuose nell’aria della sera, come se avesse potuto trovare in esse tutte le risposte – E’ sempre stato al mio fianco, fin da bambina, non ricordo un solo giorno in tutta la mia vita a Varfleet che non lo abbia avuto accanto. È comparso una notte di pioggia quando è nata mia sorella, la mamma era morta nel darla alla luce e non avevamo altri parenti; mio padre era partito per una battuta di caccia qualche mese prima e non l’ho mai più rivisto. Mi ha detto di essere un vecchio amico di mio nonno e che era li per aiutarci, doveva saldare un vecchio debito con lui. Così ha iniziato ad insegnarmi tutto quello che sapeva ed ad allenarmi con i coltelli ed i pugnali. Facendo tutto quello che era in suo potere per proteggerci. – si perse in un’altre lunga pausa di silenzio.
Poi lentamente Cho sollevò la mano destra e la portò al fianco, impugnando il lungo coltello ed estraendolo dal fodero. Lo portò davanti a sé, lasciando che il fuoco strappasse bagliori insanguinati dal piatto della lama ben lucidata ed affilata.
- Questi coltelli li ha forgiati lui per me, ha detto che mi sarebbero stati utili al momento opportuno.- mormorò appena udibile.
I penetranti occhi neri del Druido studiarono a lungo il suo volto teso e lo sguardo malinconico, illuminati dalla luce del fuoco.
- Posso vederne uno?- chiese poi allungando una mano, che emerse dal buio come gli artigli di una belva feroce.
Cho fissò quella mano diffidente: non le piaceva separarsi dai suoi coltelli, come non le piaceva che fosse qualcun altro ad impugnarli, era come se quelle lame fossero diventate un’estensione del suo corpo, come se fossero diventati parte integranti di lei. Passò uno sguardo veloce da quella mano ancora protesa verso di lei all’arma che stringeva tra le dita. Quindi impugnò la lama per la punta e tese il suo coltello al Druido. Appena quelle dita si strinsero sull’elsa allontanando la lama da lei, un ruggito furioso esplose nella sua testa, improvviso e violento, facendola allontanare di scatto. Guardò sconvolta e spaurita il Druido, che la stava esaminando di rimando con un’espressione accigliata.
- Tutto bene Cho?- le chiese la voce gentile dell’elfo seduto al suo fianco.
La ragazza si volse verso di lui, il volto pallido e sudato, lo sguardo quasi febbricitante.
- Si… si… non preoccuparti: va tutto bene!- rispose con un pallido sorriso per nulla convincente.
Il Nano, continuando a passare la cote sul filo della propria alabarda, borbottò qualcosa di indistinto contro l’inaffidabilità delle donne.
Cho si raggomitolò su se stessa incassando la testa tra le spalle in un inconscio gesto di difesa, nella speranza che la luce delle fiamme spazzasse via le tenebre che sentiva dilagare dentro di sé, mentre cercava di arginare l’inquietudine che le stava impregnando il petto. Aveva riconosciuto quella voce, ad urlare era stata l’altra Cho, come la chiamava lei, e non doveva aver gradito che il Druido impugnasse il coltello. Se ne chiese il motivo. Da quando le si era rivelata stranamente riusciva a sentirla dentro di sé con molta chiarezza, come una presenza al margine della sua anima, un sussurro ai confini della sua mente. Istintivamente sapeva che si trovava li, dentro di lei, che osservava tutto quello che faceva e che rideva di lei. Si chiese quanto ancora sarebbe durato quell’avanzare in equilibrio precario sulla lama di un rasoio, per quanto ancora sarebbe riuscita a tenerla a bada. Una cosa l’aveva decisa: avrebbe usato il suo potere solo in caso di estrema necessità, non poteva permettersi di fornirle altra energia, di diventare sempre più forte. Aveva paura. Si sentiva sempre più sull’orlo di un abisso che avrebbe potuto inghiottirla da un momento all’altro. Si sentiva persa e sola, incapace di fare qualsiasi cosa.
Intanto l’attenzione di Allanon era completamente concentrata sul coltello che teneva fra le mani: era un’arma semplicemente perfetta! La lama era perfettamente temprata e bilanciata, era leggera e facile da brandire, l’elsa era sagomata in modo da essere facilmente impugnata dal palmo sottile di una donna. I suoi occhi neri scintillarono mentre passava il pollice sul filo, come per saggiarne l’affilatezza.
- Abbine molta cura!- disse a Cho con uno strano tono mentre le restituiva l’arma.
Cho annuì osservando il druido perplessa: perché le aveva detto una cosa simile? Osservò ancora una volta i bagliori ambrati che danzavano sulla lama, quindi la ripose con cura nel fodero di cuoio, sorridendo sicura allo scatto secco e familiare della chiusura.

Il cielo dell’alba era limpido e di un azzurro chiarissimo, l’aria fredda e secca. Varfleet emergeva dalla nebbia morbida ed opalescente che si innalzava dal terreno come una serie di cuspidi e torri.
Allanon li aveva svegliati poco dopo mezzanotte, pretendendo che arrivassero alla città prima che le porte venissero aperte: Sorgon ed i suoi scherani erano sulle loro tracce, avevano poco tempo ancora per scoprire l’esatta collocazione dell’Oasi e recuperare lo Scrigno. Così a marce forzate, avvolti dal buio di quella notte senza luna, con il freddo e l’umidità che penetravano fin dentro le ossa, avevano coperto l’ultimo tratto che li separava dalla meta.
Ed orano erano li, nascosti nella boscaglia umida di rugiada e nebbia, in attesa che venisse suonato il corno e che venissero aperte le porte.
Dopo tanti anni di lontananza Cho si ritrovava nuovamente a casa. Riassaporò ogni particolare familiare di quel paesaggio, ogni suono ed odore. Riuscì quasi a percepire il momento esatto in cui la luce di quel pallido sole sorto da poco, aveva iniziato a disperdere la nebbia. Poco alla volta le mura sorsero la mare fumoso che le avvolgeva, rivelandosi alla vista in tutta la loro imponenza.
Una dolorosa nostalgia iniziò a pulsare nel cuore di Cho. Desiderava ripercorrere quella piana erbosa, che tante volte aveva attraversato da bambina a piedi nudi, fino a trovarsi sotto le mura. Desiderava varcare la grande porta di bronzo ed entrare nel dedalo intricato di quelle case sorte disordinatamente dopo la distruzione operata dal Signore degli Inganni. Desiderava riempirsi i polmoni di quel mare di odori familiari e sfuggenti, pungenti e caratteristici di Varfleet. Desiderava percorrere quel piccolo vicolo che conduceva all’officina del vecchio Baruk e riabbracciare lui e sua sorella.
Desiderava l’impossibile.
Con un sospiro pesante rientrò nel folto della boscaglia, quasi a nascondersi, e poggiò la schiena contro il tronco di un albero.
- Tra poco potremo entrare!- annunciò la voce autoritaria del Druido.
Graham e Mael annuirono all’unisono assicurando le armi nei foderi.
- Io non verrò con voi!- la voce di Cho provenne decisa, bassa e cupa da oltre il fogliame.
Allanon si girò verso di lei ed i suoi occhi neri lampeggiarono pericolosamente.
- Tu verrai con noi! – il tono con cui pronunciò quelle parole non ammetteva repliche – Entrerai in città con noi e ci guiderai da questo Baruk!- .
Cho in qualche modo riuscì a sostenere lo sguardo infuriato del Druido, uno sguardo che sembrava volerle strappare la pelle di dosso e perforarle l’anima.
- Non posso entrare a Varfleet! – ripeté scuotendo la testa – Il perché lo capirai una volta dentro la città!- .
Allanon fece in tempo a vedere un lampo di disperazione illuminare quegli occhi verdi, prima che Cho abbassasse lo sguardo ed iniziasse a rovistare nella sua tasca.
- Il vecchio Baruk vive nel quartiere degli artigiani, costruito all’altro capo della città, proprio sotto le mura orientali. È un fabbro e la sua officina si trova sulla sponda del fiume che hanno incanalato in città per servire il quartiere. Appena entrate prendete la prima svolta a destra e proseguite dritti, sotto la porta orientale svoltate a nord, dopo poco entrerete nel quartiere degli artigiani. Il vecchio Baruk è un uomo diffidente, difficile da trattare, quindi mostragli questo e digli che sei con me. Solo allora ti crederà!- e gli tese un qualcosa di luminoso che teneva nel palmo.
Il Druido allungò la mano dalle dita adunche e prese l’oggetto che gli veniva porto: poteva essere solo il capolavoro di un mastro gioielliere, tanto era perfetto! La collana in oro bianco dalla maglia sottilissima riluceva come raggi di luna, sostenendo un ciondolo dello stesso materiale a forma di orchidea dalla bellezza straordinaria. Osservandolo il Druido si accigliò.
- Lo ha fatto il vecchio Baruk per il mio compleanno. In tutte le Quattro Terre non ne esiste un altro simile. Per questo capirà che te l’ho dato io e si fiderà di te.- spiegò Cho.
- Se non si può proprio fare altrimenti…- sospirò Allanon infilando il ciondolo nelle pieghe del mantello.
- Grazie! Vi aspetterò qui!- sorrise davvero riconoscente la ragazza.
- Donne! Non ci si può mai fidare di loro: creano più problemi di un intero esercito di Gnomi!- borbottò Graham scuotendo la testa disgustato.
Cho stava per ribattere a tono, quando Mael si frappose tra loro.
- Allanon io vorrei restare qui con lei.- propose con il solito tono gentile.
- E per quale motivo?- chiese tra i denti serrati il Druido.
Il Nano borbottò qualcosa di incomprensibile mentre si allontanava verso lo sbocco della boscaglia.
- Gli Incubi saranno sulle nostre tracce, l’hai detto tu stesso, quindi per la nostra incolumità è necessario attirare il meno possibile l’attenzione degli altri. Credi che un elfo passerebbe inosservato li dentro? È raro che il popolo abbandoni le terre occidentali e scenda a sud, attireremmo sicuramente l’attenzione di tutti ed è proprio quello che dovremmo evitare.- .
Davanti la logica dell’elfo, Allanon dovette dare a malincuore il suo assenso: il successo della loro missione dipendeva dal grado di invisibilità con il quale riuscivano a rivestirsi.
Un suono alto e lamentoso squarciò il silenzio in cui era immersa la boscaglia e la valle: il corno annunciava l’apertura delle mura.
Con un ultimo sguardo di avvertimento il Druido ed il Nano si congedarono, dirigendosi verso l’immensa porta urbica. Cho li seguì con lo sguardo finché non si mescolarono con la massa di artigiani, contadini ed allevatori venuti a vendere le loro mercanzie in città. La nostalgia e la rabbia si acuirono in lei che poté soltanto dare le spalle al luogo in cui era nata, la patria che le era stata strappata per ignoranza e paura, costringendola ad una precaria vita da vagabonda.
Sogni…
…Non erano altro che stupidi sogni, i suoi…
… e tali sarebbero rimasti!

  
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