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Autore: DelilahAndTheUnderdogs    01/10/2015    4 recensioni
Dal testo:
"Ha ricevuto delusioni, una dopo l’altra, da coloro che considerava amici.
Per tutta la sua vita, mille e mille voci si sono coagulate all’unisono nella sua mente gridando "non sei abbastanza".
Nessuno si era mai sognato di dirle che era bella o farle un qualsivoglia complimento, di conseguenza sarebbe stato un oltraggio per lei pensare il contrario."
***
Tutto ciò che perdi, un giorno lo ritroverai.
E tu, sei disposto a credere che un amore possa durare oltre la distanza e il tempo?
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: G-Dragon, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Of Monsters and (Wo)Men'
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Because love,
Is the saddest thing,
When it goes away.
-Astrud Gilberto, “Once I loved”

www.youtube.com/watch?v=s-ausDJmvZg

 
 
Per i suoi gusti, Cho Kibum, ha troppo da raccontare: prima di tutto, ha trascorso metà della sua esistenza nella Corea del Sud, con sua madre e due sorelle più piccole.
Ha la pelle scura, le labbra orrendamente carnose e, per qualche motivo a lei ignoto, gli occhi a mandorla.
Alle elementari la chiamavano animale, meticcio, mostro.
Se in questo momento ridessero di lei, non ci farebbe alcun caso: all’inizio, gli insulti avevano lo stesso effetto dell’acquaragia sulla vernice o il sapore di benzedrina.
Più avanti tutto ciò prese una connotazione di ignoranza e frustrazione: era un torrente in piena che scivolava accanto, senza dare fastidio.
Ha ricevuto delusioni, una dopo l’altra, da coloro che considerava amici.
Per tutta la sua vita, mille e mille voci si sono coagulate all’unisono nella sua mente gridando non sei abbastanza.
Nessuno si era mai sognato di dirle che era bella o farle un qualsivoglia complimento, di conseguenza sarebbe stato un oltraggio per lei pensare il contrario.
Le luci di Gangnam l’hanno sempre affascinata sin dalla prima adolescenza.
Aveva scoperto un adorabile, piccolo bar a conduzione familiare proprio lì vicino, l’unico a essersi salvato dalla globalizzazione, e vi passava i pomeriggi lì a studiare.
Era da un po’ che frequentava il locale quando quel ragazzo (o forse era una ragazza?) dai capelli rosa cicca si presentò lì, per la prima volta in assoluto.
Alzò lo sguardo verso di lui (era un ragazzo, la voce di lui confermava la prima ipotesi) e sentì un brivido assurdo percorrerle la schiena.
La bocca di lui era semi-aperta in una piccola ovazione malcelata.
Lì per lì, Kibum concluse erroneamente che ciò fosse dovuto al fatto che lei era quel che era: una coreana, certo, ma non del tutto.
Non so se mi spiego: come se fosse di quel mondo ma come se non ne facesse realmente parte.
Pensava che lui la giudicasse come chiunque altro nel piccolo stato coreano: invece, puntuale come un treno svizzero, ritornò il giorno dopo – alle quattro del pomeriggio, con un’omija cha alla mano e uno sguardo indagatore.
Se n’era andata in un giorno di metà settembre per approdare a São Paulo, Brasile con l’intento di imparare il portoghese, una lingua che l’affascinava da sempre.
Pure lì,  alcuni la consideravano un’eccezione alla regola ma pochissimi lo notavano.
E in quel momento s’accorse dei bambini di etnia a lei incerta, vagabondi senza meta in quella metropoli enorme.
Sono cabloco, jaçura, cafuzo,  ainocô, mulatto proclamavano fieri quando Kibum chiedeva loro chi e cosa fossero.
Potrebbe risultare alquanto offensivo da parte sua, ma provate a mettervi nei suoi panni: per quasi diciotto anni era cresciuta in un Paese che considerava sé stessa etnicamente omogenea, mentre lei era solo una macchietta di cui provare vergogna.
In più, quello che la sua mentalità – squisitamente coreana – non comprendeva era che queste “etnie” si mescolassero fra di loro.
Dopo averci fatto l’abitudine non noti più una cosa, giusto?
E Kibum incluse ciò nella sua routine quotidiana.
Si sentiva a suo agio, finalmente.
Rimaneva comunque la nostalgia di casa … e di un tizio dai capelli rosa cicca.

   
 
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