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Autore: moomin    01/10/2015    1 recensioni
Dalla storia:
"I suoi pensieri volarono a Leo e strinse la presa sul volante, così forte che le nocche divennero bianche. Decise di mettere da parte l’orgoglio e di scusarsi con il ragazzo non appena fosse tornato a casa. Dopotutto avevano litigato solo a causa della sua irascibilità e non poteva mettere fine a tutto solo con un messaggio o una telefonata; aveva bisogno di guardarlo negli occhi e fargli capire che gli dispiaceva davvero."
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“I'm sorry.”




Quella mattina Elliot uscì di casa sbattendo la porta, arrabbiato a causa di uno dei loro soliti stupidi litigi. Cercando di riprendere la calma, Leo inspirò ed espirò lentamente più volte, togliendosi gli occhiali per poi strofinarsi gli occhi.

Com’era cominciato tutto ciò?

Elliot gli aveva semplicemente detto che ultimamente gli sembrava strano, assente quasi. Leo aveva replicato che gli sembrava che anche l’altro fosse assente; come se, quando succedevano alcune cose, il biondo non ci fosse e, appena gliene parlava, Elliot sembrava non ricordarsene. Da quelle osservazioni avevano iniziato a litigare ed Elliot era uscito di casa per recarsi a lavoro, completamente spazientito.

Leo si passò le dita tra i capelli, stringendo alcune ciocche, quasi strappandole e lanciò un urlo. Provò l’impulso di seguirlo, ma si rese conto che era troppo tardi; in quel momento si trovava di sicuro nel traffico dell’autostrada, inaccessibile al moro, poiché non aveva la patente.

Ormai era troppo tardi per fare qualsiasi cosa; avrebbe dovuto solo aspettare che tornasse da lavoro.

*************

Elliot salì in macchina e sbatté la portiera con noncuranza, nervoso. Accese il motore e, dopo aver percorso lo stretto vicolo che separava casa sua dal resto della città, imboccò l’autostrada. Si ritrovò subito intrappolato nel traffico tipico di quell’orario, il che non aiutò a diminuire il suo nervosismo.

Dopo un quarto d’ora in cui gli unici suoni che l’avevano circondato erano quelli dei clacson e del rombo dei motori, la strada diventò scorrevole.

I suoi pensieri volarono a Leo e strinse la presa sul volante, così forte che le nocche divennero bianche. Decise di mettere da parte l’orgoglio e di scusarsi con il ragazzo non appena fosse tornato a casa. Dopotutto avevano litigato solo a causa della sua irascibilità e non poteva mettere fine a tutto solo con un messaggio o una telefonata; aveva bisogno di guardarlo negli occhi e fargli capire che gli dispiaceva davvero.

Era tornato su una normale strada e proseguì dritto per un paio di km, per poi arrivare all’incrocio che percorreva ogni giorno.
Troppo occupato a pensare a Leo e a maledire il suo orgoglio, non si accorse dell’automobile che arrivava a tutta velocità alla sua sinistra.
La notò troppo tardi, provò a frenare ma fu tutto inutile: lo scontro era ormai inevitabile.

Proprio quella mattina non si era allacciato la cintura di sicurezza e la forza dell’urto lo fece volare verso il lato del passeggero. Batté la testa contro il finestrino e cominciò a vedere tutto sfocato. Provò a tenere gli occhi aperti, ma non ci riuscì; le palpebre gli sembravano pesare quintali.

Pochi secondi dopo, perse i sensi.
***************
Leo stava lavando le stoviglie che avevano usato per fare colazione, quando squillò il loro telefono di casa. Quasi nessuno li chiamava a quel numero, quindi il ragazzo fu piuttosto sorpreso; posò la tazza che stava mantenendo, si asciugò le mani, e appoggiò il telefono all’orecchio.

«Pronto?»

«Salve. Parlo con il signor Leo Baskerville?» disse una voce femminile.

«Sì, mi dica.»

«Il signor Elliot Nightray ha avuto un incidente ed è ricoverato nel nostro ospedale. Purtroppo è—»

«Mi può dire il nome dell’ospedale?» la interruppe bruscamente Leo.

Non gli interessava di poter essere scortese, aveva bisogno di vedere Elliot. La donna gli riferì tutte le informazioni che gli servivano ed il ragazzo si vestì in tutta fretta, senza perdere tempo a lavarsi. Non gli importava di nulla, voleva soltanto raggiungerlo prima che fosse stato troppo tardi. Voleva chiedergli scusa per il litigio di quella mattina, perché attribuiva la colpa a se stesso.

Fortunatamente l’ospedale era lontano solo due fermate della metropolitana da casa loro, quindi, correndo, ci mise una quindicina di minuti.

Arrivò davanti alla segreteria con il fiatone e, tra gli ansiti, chiese dove si trovasse Elliot. Gli risposero che si trovava al secondo piano, nella stanza 15B e Leo cominciò a correre di nuovo verso la sua destinazione. Si ritenne fortunato perché lo fecero passare anche se era semplicemente il coinquilino del biondo; non voleva certo dire che stavano insieme. Controllò il numero di ogni stanza e appena trovò la 15B, aprì la porta con uno scatto e quasi ebbe un mancamento.

Il suo Elliot era lì, steso su un letto d’ospedale, pieno di bende, collegato a dei macchinari che lo aiutavano a respirare e gli controllavano il battito cardiaco. Accanto al letto c’era un’infermiera che stava controllando la situazione ed appena Leo entrò, si voltò verso di lui.

«Mi scusi... Lei chi è?» domandò la donna.

«Sono il... coinquilino di Elliot.» rispose Leo, senza riuscire a staccare lo sguardo dal corpo dell’altro ragazzo.

«Oh, capisco. Lui sta dormendo, vuole che lo svegli?» chiese, in tono dolce.

«No, grazie, faccio io.»

La donna si alzò dalla sedia accanto al letto e si avvicinò alla porta ancora aperta.
 «Allora vi lascio soli. La avverto, però: è un caso molto grave, potrebbe morire da un momento all’altro.» disse, dapprima sorridendo ma rattristandosi man mano che parlava.

Leo si sentì come se lo avessero pugnalato dritto al cuore; ma forse quello avrebbe fatto meno male. Lui, il suo Elliot, stava per morire. Il ragazzo con cui era amico da quella che sembrava una vita, il suo fidanzato e coinquilino era in procinto di lasciarlo per sempre.

Scosse il capo e si avvicinò piano al letto, guardando il corpo dormiente del biondo. Sussurrò il suo nome più volte, stringendogli la mano che spuntava fuori dal lenzuolo con delicatezza e dopo un po’ aprì gli occhi. Con visibile sforzo, si tolse la mascherina per l’ossigeno dalla bocca e pronunciò il nome del moro sorridendo.

«Elliot, cosa è successo?» chiese Leo, con le lacrime agli occhi.

L’altro biascicò qualcosa riguardo uno scontro e un incrocio, ma ad ogni parola faceva una smorfia di dolore, quindi Leo gli disse di lasciar perdere. Si sedette sulla sedia precedentemente occupata dall’infermiera, continuando a tenergli la mano. Intanto, Elliot seguiva tutti i suoi movimenti con lo sguardo, ammirandolo finché poteva. Decise che doveva scusarsi, una volta e per sempre.

«Mi dispiace... Leo.» sussurrò; ogni sillaba era una tortura, ma per lui avrebbe fatto di tutto.

Il moro, occupato fino a quel momento ad accarezzargli la mano, alzò lo sguardo e sembrava sorpreso. Elliot non si scusava quasi mai, se non costretto da Leo stesso o dai parenti.

«Per... stamattina...» continuò, accarezzandogli il dorso della mano col pollice.

«No, Elliot. Non è colpa tua, ma mia.» disse il moro, con voce un po’ tremante.

L’altro scosse piano la testa; per un paio di minuti ci fu silenzio, interrotto solo dai “bip” dei macchinari.

«Leo, sento che... sto per andarmene.» affermò il biondo con voce flebile.

L’altro strabuzzò gli occhi e cercò di trattenere le lacrime.

“Ti prego, chiunque stia tenendo in mano il filo della sua vita, non farlo morire. Ha solo vent’anni, non portarmelo via, ti scongiuro.”

«Ti amo.»

La voce del ragazzo moribondo era così fioca che Leo faticò ad udirla.

«Anch’io, Elliot. Anch’io. Non sai quanto, non immagini neanche... ti prego, non lasciarmi...»

In un gesto disperato cominciò ad accarezzargli il viso, i capelli, ma la sua pelle era così pallida e fredda...

«Mi dispiace... Leo.» ripeté.

E, con questa frase, Elliot Nightray esalò il suo ultimo respiro.
 

Nei giorni seguenti la morte di Elliot, Leo era devastato.

Non mangiava, né dormiva e non uscì di casa se non per andare al suo funerale. Quel giorno non riuscì a piangere, nemmeno davanti al suo cadavere, freddo ma elegante nel suo completo nero. Non volle nemmeno parlare di lui sull’altare—avrebbe preferito sposarlo, lì, non piangere sul suo corpo esanime.

Durante la funzione gli rimbombavano nella mente le sue ultime parole e si prese la testa fra le mani.

“E’ colpa mia se è morto, colpa mia, solo mia!” si ripeteva.

Se non avesse detto che lo sentiva distante non si sarebbe arrabbiato, sarebbe salito in auto più calmo e magari non avrebbe fatto alcun incidente.

Il ragazzo trascorreva le giornate in cui non andava a lavorare vagando per la casa, piena di ricordi suoi e di Elliot; si ritrovava ad accarezzare i suoi vestiti ed ogni tanto li annusava per carpire ciò che restava del suo profumo.

Ogni tanto quasi sembrava che il suo fantasma lo perseguitasse.

Vari suoi amici andarono a trovarlo per cercare di tirargli su il morale, ma invano; tutti lo trovarono in uno stato pietoso.

Vincent Nightray, fratello adottivo di Elliot, riuscì a convincerlo a dare una svolta alla sua vita. Quell’uomo era un bravo ammaliatore, possedeva una voce e dei modi così suadenti e convincenti che sarebbe riuscito a sottomettere chiunque al suo volere.

«Stammi a sentire, volta pagina in qualche modo. Tagliati i capelli, getta via quegli occhiali, ma soprattutto... ti consiglio di cambiare casa e disfarti di qualunque cosa ti ricordi Elliot.» gli disse disinvolto, ma sul viso aveva un sorriso malizioso e anche gli occhi bicromatici lasciavano trasparire il suo vero intento.

Si vociferava che avesse sempre avuto un debole per il moro e, molto probabilmente, nelle sue parole si celavano dei secondi fini, ma Leo, scosso com’era, non vi badò.

«Pensi davvero ciò che hai detto?» chiese, sistemandosi gli occhiali sul naso.

«Certamente, è la cosa migliore da fare.»

Dopo qualche attimo di silenzio, la voce di Vincent risuonò di nuovo nella casa quasi vuota.

«Se per caso non riuscissi a trovare una nuova abitazione, ricorda che la mia porta è sempre aperta.»

Leo alzò la testa e la luce del sole che filtrava dalla finestra permise al biondo di vedergli gli occhi viola con cerchi dorati all’interno, che cercava in ogni modo di nascondere al mondo intero. A quel punto, l’espressione maliziosa lasciò il volto di Vincent, sostituita da una di completo stupore: era la prima volta che riusciva a scorgere i suoi occhi e rimase sconcertato dalla loro bellezza.

“Non capisco perché voglia nasconderli...” pensò.
Intanto il moro si era alzato, al che l’altro lo imitò.

«Grazie per i consigli, Vincent; ne terrò conto.»

«Di nulla.» disse, sfoggiando uno di quei sorrisi per cui molte donne avrebbero fatto di tutto.

Si strinsero la mano e Vincent si congedò, lasciando Leo a riflettere sul da farsi.
***************
Qualche settimana dopo quel colloquio, Leo si rese conto che da solo e con lo stipendio che guadagnava non sarebbe riuscito a mantenere la casa in cui abitava.

Di certo non se ne parlava di trovare un nuovo coinquilino, quindi avrebbe dovuto trasferirsi.

Tenne la proposta di Vincent come ultima risorsa, perché trovava la sua presenza alquanto asfissiante e, non riuscendo a sopportarlo anche solo per un’ora, non gli sembrava il caso di andare a convivere.

Anche Oz Vessalius, suo caro amico, gli offrì di trasferirsi a casa sua e di Gilbert Nightray, fratello di Vincent, ma completamente diverso da quest’ultimo. Poiché non riusciva a trovare un appartamento, decise di accettare la loro proposta e appena li informò, i due si fiondarono da lui per aiutarlo ad impacchettare tutti i suoi averi; un paio di giorni dopo aveva finito di sistemare tutti i suoi possedimenti negli scatoloni.

Era nella sua -ormai ex- camera da letto e stava recuperando le ultime cose. In una cartellina di plastica sistemò gli unici due oggetti che aveva deciso di conservare come ricordo di Elliot: lo spartito di “Statice”, una melodia per pianoforte che il biondo aveva composto per Leo e il fiocco blu che metteva sempre durante le occasioni speciali. Inserì la cartellina nell’ultimo scatolone rimasto, lo sollevò e osservò il salotto, ormai spoglio. Gli dispiaceva lasciare quella casa intrisa di ricordi, ma per riuscire ad andare avanti era l’unica cosa da fare.

Le lacrime gli riempirono gli occhi, mentre ispezionava con lo sguardo la stanza e rievocava vecchi momenti trascorsi insieme ad Elliot.

Gli sembrò di sentire una folata di vento caldo sul viso, come se una mano gli stesse accarezzando la guancia. Pensò che avrebbe potuto essere il suo fantasma, ma scosse la testa per togliersi quell’idea dalla mente.

Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e, prima di chiudere la porta, pronunciò una frase:

«Addio per sempre, Elliot.»

Angolo autrice!
Ciao a tutti! Grazie per aver letto questa OS che ho scritto diversi mesi fa, ma che pubblico solo ora perché non trovavo un misero titolo.
È la prima one shot ElliotxLeo che scrivo e spero vi sia piaciuta; nel caso, mi farebbe davvero piacere le lasciaste una recensione. Accetto, ovviamente, anche critiche... nella speranza che siano costruttive.
Beh, alla prossima!
  
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