Lasciarti andare
Mi
aveva uccisa.
Ho sentito lo scotch impedire la mia lotta contro
quel dannato sacchetto di plastica, l'aria non riusciva più
ad
entrare nel mio corpo, i polmoni bruciavano, finché non mi
sono
addormentata.
Mi aveva uccisa, ma mentre riapro gli occhi mi rendo
conto del fatto che non è così: vedo tutto
nitidamente dall'angolo
della cantina in cui l'omicida mi ha nascosta, il mio cervello
funziona alla perfezione e sono addirittura in grado di muovere ogni
singolo muscolo del mio corpo!
A questo punto, ecco il piano: mi
alzo, esco cautamente da questa casa di assassini psicopatici che si
fanno chiamare avvocati e cerco di raggiungere in fretta
l'appartamento di Wes. Mi è stata data una seconda
possibilità,
meglio non sprecarla: gli racconterò che cosa mi
è accaduto, gli
ripeterò che sono innocente, gli racconterò della
cisterna, e,
sempre che mi creda, potremmo fuggire da questa diavolo di
città,
assieme, e lasciarci tutto alle spalle.
La prima parte del piano
funziona alla grande: mi alzo in piedi con facilità. Solo
che poi
compio l'errore di voltarmi verso il posto che ho lasciato vuoto, che
è tutt'altro che vuoto: mi vedo lì, a terra, gli
occhi spalancati
in un'espressione innaturale, il collo segnato dal laccio che ha
stretto il sacchetto che mi ha lasciata letteralmente senza
fiato.
Sono morta per davvero.
Cazzo.
Altro che seconda
possibilità e altro che allegra vita saltellando da una
nuvoletta
all'altra del Paradiso: questo è l'Inferno. Mi vedranno, ma
io non
li vedrò.
All'improvviso sento dei passi che conosco fin troppo
bene scendere le scale: mi nascondo di istinto, ma mi rendo presto
conto del fatto che lei non può vedermi. Cioè,
non può vedere la
me viva. No, la me morta vivente. Ok, lasciamo perdere le
definizioni.
Rimane il fatto che nota quasi subito la me distesa
sul pavimento: decifro l'espressione che compare sul suo volto come
un misto tra orrore e disgusto, contornato da quello che-non vorrei
sbagliarmi- assomiglia molto allo sguardo di una persona che ha
appena perso uno dei suoi cari.
Rimango lì a fissarla, e per un
attimo mi sembra che i suoi occhi incrocino i miei, ma poi si
affretta ad aprire le due ante che danno sul giardino e subito corre
al piano di sopra urlando contro chi mi ha lasciata scappare. Esco
anch'io nel cortile e tutti mi accerchiano, o, meglio, accerchiano
Annalise, con aria interrogativa: l'unica che non appare sorpresa
è
la donna bionda appoggiata contro il muro della casa. Touché.
Mi
cercano ovunque nel quartiere, mentre Wes e Frank si allontanano
maggiormente, l'uno in bici e l'altro in automobile.
Seguo Wes,
seduta sul portapacchi della sua bici, timorosa che lui decida di
fare qualcosa di stupido, e rimango con lui anche la sera, mentre si
fa confortare dalla professoressa Keating con la testa sulle sue
gambe. Lo abbraccio anch'io, nonostante lui non possa percepire il
mio corpo contro il suo, e nei giorni successivi rimango sempre al
suo fianco, cercando di attirare la sua attenzione, sperando che lui
mi veda e si metta il cuore in pace, perché non vale la pena
torturarsi per qualcuno che non tornerà più.
Annalise lo lascia
all'oscuro del fatto che sono bella e che defunta, e non so neppure
che fine abbia fatto il mio corpo: due giorni dopo il mio omicidio
sono tornata in quella casa assieme a Wes, sono volata giù
in
cantina dopo aver attraversato il pavimento e non mi sono trovata
più. Fantastico, no?!
Mi hanno fatta sparire.
Alcune settimane
dopo anche i sospetti che la Keating e Frank avevano su ognuno degli
aspiranti avvocati smettono di manifestarsi, quindi ne deduco che la
donna sia riuscita a scoprire il mio vero assassino: vorrei
verificarlo di persona restandole appiccicata per qualche giorno, ma,
visto che la morte non mi ha conferito la capacità di
duplicarmi,
alla fine decido di rimanere accanto a Wes.
Passa le nottate al
computer, cercando ragazze scomparse, e quando invece riesce ad
addormentarsi si sveglia di soprassalto qualche ora dopo, in preda
agli incubi.
Piano piano, però, comincia ad arrendersi e ritorna
alla normalità, ormai stanco di cercare la donna che lui
crede lo
abbia abbandonato a se stesso: io, invece, me ne sto qui accanto a
lui, e a volte sembra che senta le carezze che lascio sul suo viso
quando lo vedo stanco o disperato. Sono accanto a lui anche quando
conosce l'inquilina che viene ad occupare il mio appartamento, quando
le urla contro mentre lei è venuta a bussare solo per fare
amicizia,
e sono io che non so grazie a quale potere paranormale riesco ad
aprire il cassetto in cui la mia bottiglia di champagne di benvenuto
è custodita con cura. Lo osservo prenderla in mano e
sorridere per
la prima volta dopo mesi, lo seguo mentre corre a comprarne una nuova
per scusarsi con la nuova arrivata e lo spingo a bussare a quella
maledetta porta.
Mi ha amata, ha creduto in me fin dal primo
momento in cui mi ha vista, e a causa mia ha ucciso e sofferto: il
minimo che posso fare è aiutarlo ad essere di nuovo felice.
Quando
ritorniamo dal mio ex appartamento lo vedo sorridere: gli sorrido di
rimando, poi metto una mano sulla sua spalla e lui si volta di scatto
nella mi direzione. Sembra vedermi: spalanca la bocca, incredulo, ma
poco dopo scuote la testa dandosi dello sciocco.
Nella notte,
mentre siamo sdraiati sul suo letto, però, sento la sua mano
sforare
la mia, e per un attimo mi illudo che lui sappia che sono lì.
"Non
smetterò mai di amarti, Rebecca, ma forse è
arrivato il momento di
lasciarti andare." lo sento sussurrare, e vorrei che sentisse la
mia risposta, vorrei che sapesse che lo amo, vorrei che sapesse che,
anche se sono parecchio gelosa, mi va bene che si innamori della
biondina dell'appartamento di fianco. Oh, e vorrei tanto potergli
raccontare la verità.
Le mie parole, però, si confondono con
quelle di una donna di colore, appena comparsa nella stanza, la quale
osserva Wes con uno sguardo intenerito e gli sussurra di essere
felice.
Alla fine mi guarda e mi fa cenno di seguirla.
Sì,
Wes, forse è arrivato il momento di lasciarti andare.