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Autore: Calliope49    06/10/2015    1 recensioni
[Seguito di “By any other name”]
La regina di Inghilterra sta per giungere a Parigi da suo fratello, re Luigi. Un sicario straniero viene mandato a ucciderla, un agente al soldo del duca di Buckingham viene mandato per salvarla.
Nel mezzo, i moschettieri, Diane alle prese con il suo nuovo incarico e, ancora una volta, il confine tra “buoni” e “cattivi” che non è così preciso come si vorrebbe…
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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VI
Il piano del cardinale (parte seconda)
 
«Come sarebbe a dire esca per il sicario?» strillò Constance. Come avesse fatto madame Bonacieux a sgusciare via di casa a quell’ora tarda rimaneva un mistero, ma la notizia dell’attentato a Notre Dame aveva raggiunto ogni angolo della città e lei aveva pensato bene che fosse il caso di passare alla guarnigione per accertarsi che i moschettieri - uno in particolare - stessero bene.  
«Sssh! Dovrebbe essere un piano segreto» bisbigliò Porthos, alzando le mani a fare da argine alla furia sbigottita della donna.
«E voi avete lasciato che accettasse?» insistette la moglie del merciaio, tirando un buffo manesco alla spalla di d’Artagnan.
Il ragazzo sollevò lo sguardo e la fissò interdetto, come a chiedersi perché sembrava che se la stesse prendendo solo con lui.
«Non è che noi la lasciamo fare cose, lei fa e basta» puntualizzò Porthos.
«Ehi, io sono qui e vi sento, eh» bofonchiò Diane, salutando con la mano dal fondo del tavolo in mezzo al cortile.
«E tu non dovresti restare con la regina?» le disse Constance. Si portò le mani ai fianchi e per un attimo parve una cariatide.
La ragazza incassò la testa nelle spalle. Non aveva il coraggio di presentarsi da sua maestà, dopo quello che era successo: tentare di acciuffare un pericoloso sicario le sembrava assai meno spaventoso. Una parte di lei, quella più sciocca e irrazionale, pensava che aiutare i moschettieri a prendere l’assassino le avrebbe dato di nuovo il diritto di chiedere ai sovrani - alla regina soprattutto - di fidarsi di lei. Un’altra parte pensava semplicemente che fosse una cosa che andava fatta e che suo zio le facesse il piacere di farsi passare le paturnie!
E dove diavolo si era cacciato Athos, accidenti anche a lui!
«La regina non ha bisogno che le tenga la mano» borbottò Diane.
«Sei preoccupata che possa essere arrabbiata con te?» chiese Constance con dolcezza.
«Diciamo che non mi stupirei se fosse così»
«Ecco, lo vedi?» sbottò d’Artagnan. «Fa così da ore. E toglile quella bottiglia di vino da mano, già che ci sei»
«Non è mica mia madr-»
«Dammi quella bottiglia, Diane». Constance pestò il piede contro il suolo polveroso del cortile e le lanciò uno sguardo che avrebbe sciolto il marmo.
Diane appoggiò la bottiglia sul tavolo con un gesto repentino, rischiando di rovesciarla. La donna l’afferrò e l’allontanò da lei, ma forse era troppo tardi, c’era già una sottile nebbia a fasciarle la testa, una foschia calda che smussava i contorni dei pensieri.
«Continuerete tutti a tenermi il muso fino a quando non vi cadranno i denti?» sbuffò. Appoggiò la testa sulle braccia incrociate sul tavolo. Capiva perché si fossero tutti agitati, o almeno fino a qualche minuto prima le sembrava di aver capito: il cardinale non faceva mai niente per niente, e nell’architettare quel piano doveva sicuramente aver tenuto conto di molte più cose di quante ce ne fossero in superficie, ma non era importante. E non si trattava solo del fatto che Diane volesse riscattare il suo onore, era proprio così che doveva essere, era questo che facevano i moschettieri, mettevano la sicurezza del re e del paese davanti a tutto. Scovare il sicario che voleva uccidere la regina di Inghilterra non era una questione di onore o di gloria, era una questione di dovere e il dovere richiede sacrificio.
«Mettere a repentaglio la vita di una ragazza per il bene di tutto il paese è quello che siete tenuti a fare, non è né una mia scelta né la vostra» dichiarò.
Lo sguardo di Porthos si incupì. «Ora parli come Richelieu, e non ti si addice».
«Mettiti nei nostri panni» la esortò d’Artagnan. «Se tu fossi al posto nostro, sceglieresti davvero di mettere a repentaglio la vita di chicchessia per il bene della Francia?»
«È una domanda a trabocchetto?»
«Quanto hai bevuto?»
«Non sto mettendo a repentaglio la mia vita» insistette Diane, alzando la testa di scatto. «Ho voi a proteggermi e a fare tutte quelle cose da moschettieri in cui siete tanto bravi»
«Non conosciamo quell’assassino, non sappiamo di cosa è capace». Porthos puntò il dito sul tavolo, come a inchiodare nel legno il concetto con tutta la sua gravità.
«Va bene, se muoio non ve ne farò una colpa…»
«Diane!» strillò Constance.
La ragazza sospirò e affondò di nuovo la testa nelle braccia. In quello stesso momento, Aramis riemerse dal cono d’ombra dell’arco del portone, camminando a passo svelto.
Diane si morse le labbra nascoste nell’incavo dei gomiti. Qualcosa che assomigliava all’orgoglio le suggeriva che era meglio evitare la domanda, ma il vino che aveva ingurgitato era evidentemente di tutt’altro avviso.
«Dov’è Athos? Lo hai trovato?»
«No, mi dispiace» rispose Aramis.
«È scomparso Athos?» si intromise Constance, sempre più sconvolta.
«Non è scomparso, si sta nascondendo per fare l’offeso e farmela pesare»
«Più che offeso a me sembrava arrabbiato come un cane con la rabbia. Come un branco di cani con la rabbia, anzi» precisò Porthos.
«Non è il caso di puntualizzare» fece Aramis agitando la mano a mezz’aria e rivolgendo a Diane un’occhiata di apprensione.
«Non c’è motivo di preoccuparsi» intervenne d’Artagnan. «Sarà da qualche parte a… ehm, fare qualcosa»
«Qualcosa che ha a che fare con una dozzina di bottiglie di vino?» aggiunse ancora Porthos.
«Porthos, per piacere» mugugnò Aramis.
Diane si alzò di colpo. D’Artagnan, che era il più vicino, tese le braccia verso di lei quando la vide oscillare poco salda sulle gambe. La ragazza afferrò la mano del guascone per non cadere, inspirò e recuperò l’uso delle ginocchia.
«Sto bene» pigolò. «Sto bene». A dimostrazione di ciò scavalcò la panca con una mossa agile e finse che il momento in cui rischiò di andare a sbattere contro il palo di legno dietro al tavolo fosse stata una specie di piroetta voluta.
Aramis fece un enfatico cenno di assenso. «Stai bene, sì» disse. «E dove hai intenzione di andare?»
«Da Athos, che domande»
«Ma se non sappiamo dov’è» protestò d’Artagnan.
Diane incrociò le braccia sul petto e li guardò tutti con aria saputa. «Se Aramis non l’ha trovato in giro, vuol dire che è nell’unico posto dove sapeva che non lo avreste cercato: a casa sua - se casa si può chiamare».
I moschettieri e Constance guardarono la ragazza stupidi per quell’intuizione insperata.
«Che c’è? Sono solo un po’ brilla, non ho mica perso la memoria»
«Sei proprio sicura che sia una buona idea andare da lui in queste condizioni?» chiese Constance con un sorriso tirato.
«Sì. Mi irrita, d’accordo? Devo dirglielo, quanto mi irrita» replicò la ragazza. «E poi, non credo sia messo meglio di me».
Diane si voltò, intenzionata a non ascoltare altro.
«Dovremmo seguirla?» fece Porthos, quando lei aveva ormai imboccato l’arco del portone.
«Più che altro, temo che potrebbero uccidersi a vicenda» bisbigliò d’Artagnan.
«Avete fatto caso a quanto è migliorata Diane con le armi?» gli fece eco Aramis, annuendo preoccupato.
I tre moschettieri si scambiarono un’occhiata incredula e rimasero così a fissarsi in un silenzio attonito e impensierito, fino a quando Constance non batté le mani sul tavolo con furia.
«SIETE ANCORA QUI VOI TRE?».
 
***
 
Era appena riuscito a prendere sonno, o meglio era semisvenuto per la stanchezza.
Essere arrabbiati con il mondo intero richiede un grande dispendio di energie. Essere arrabbiati con il mondo intero con una notte quasi insonne sulle spalle e una giornata assurda a seguire era una specie di tentativo di suicidio.
Non stava esattamente dormendo, si era più che altro spento come una candela consumata e ora era lì, come un mozzicone di cera contorto nel foro di un doppiere.
Dei colpi secchi alla porta martellarono nelle sue orecchie, scalfendo la crosta di quel dormiveglia opprimente.
Athos spalancò gli occhi, fissando il buio polveroso. Li richiuse e pensò che l’universo poteva fare a meno di lui per una sera.
«Va’ via, Aramis» intimò.
I colpi continuarono.
«A meno che non stia andando a fuoco la guarnigione… e anche in quel caso non posso farci granché».
I colpi si fecero più forti e insistenti.
«Aramis!»
«Non sono Aramis, stupido».
Athos si mosse di lato, posò prima un piede in terra e poi una mano e in un attimo si ritrovò a carponi sul pavimento, strizzando gli occhi per mandare via la confusione.
Non era così certo di aver voglia di aprire. Si rimise in piedi e ponderò di buttarsi di nuovo sul materasso, che tanto prima o poi lei si sarebbe stancata.
O no. Considerando la caparbietà del soggetto, avrebbe potuto andare avanti anche tutta la notte.
E poi lo stupido sarei io?
Infine una parte di sé, quella coscienziosa e responsabile, realizzò che si trattava di una ragazza, da sola, fuori a una casa di uno dei quartieri meno belli di Parigi, a tarda sera.
«Che ci fai qui a quest’ora?» tuonò, aprendo la porta. «Ma… sono d’Artagnan e gli altri quelli laggiù?».
Le tre figure fecero capolino da dietro l’angolo della via, poi si ritrassero.
Diane si voltò per guardare nella direzione che le aveva indicato Athos, ma loro erano già spariti.
«Che ci fai qui a quest’ora?»
«Lo hai già detto» 
«Non mi hai risposto»
«Mi fai entrare, sì o no?».
La ragazza sorpassò la soglia, quasi travolgendo il suo reticente ospite che rimase un istante a fissare davanti a sé con aria rassegnata.
«Non dovresti essere qui a quest’ora» aggiunse Athos. E avrebbe continuato su quella linea per tutta la sera, perché quello era il suo ruolo, ciò che gli riusciva meglio, anche se sperava solo che lei se ne andasse e lo lasciasse dormire.
Oppure no.
Era arrabbiato, stanco, preoccupato e l’origine della sua rabbia, della sua stanchezza e della sua preoccupazione era quella ragazza vestita da soldatessa e con tutta la rabbia, la stanchezza e la preoccupazione del mondo non riusciva a trovare una maledizione da lanciarle.
Una cosa che aveva imparato sull’amore, sul suo almeno, era che lo rendeva debole e malleabile. Non se ne vergognava, ma a volte avrebbe voluto che non fosse così. 
Sospirò e non poté fare altro che tastare nel buio il piano del comodino sgangherato per cercare un’acciarino e quel che restava di una candela.
La fiammella tremula sembrava un sole di mezzogiorno in contrasto con il buio pesto della camera.
Diane se ne stava in mezzo alla stanza con le braccia incrociate sul petto e un grugno da oste.
«Sei ubriaca?» domandò Athos.
«Perché, tu no?»
«Ovviamente no. È un lusso che pensavo di non potermi concedere, visto che domani dobbiamo partire per Blois e ci sarà bisogno di tutta l’attenzione possibile. Qualcuno deve pur stare attento a qualcosa, no?»
«Oh, ti prego risparmiami le paternali»
«Sei tu quella che è venuta qui. Cosa ti aspetti che faccia? Che applauda?».
La ragazza sbuffò sonoramente. Diede le spalle al moschettiere per infilarsi con la testa nel secchio accanto al davanzale. Ne emerse una cascata di capelli aggrovigliati e gocciolanti.
«L’unica cosa che mi aspettavo era un po’ di appoggio» ammise.
«Appoggio per le tue tendenze suicide?»
«Non cominciare…»
«Il cardinale non ti ha trascinata in questa cosa perché ti ammira e spera che tu abbia successo, a lui farebbe molto piacere se restassi uccisa, insieme a noi, magari. Ma naturalmente tu hai pensato che fosse un’ottima idea assecondarlo, senza neanche rifletterci, senza neanche parlarne prima con tuo zio o con me»
«È questo il problema? Che non ti ho chiesto il permesso?» sbottò lei irritata. «So che se restassimo uccisi, il cardinale indirebbe un giubileo speciale, non sono stupida»
«Be’, a volte ti comporti come se lo fossi» 
«Tu neanche scherzi, però»
«No, io non scherzo mai».
E adesso cos’era quel verso grufolante? Stava forse ridendo, quella maledetta testa vuota di una ragazza?
«So che non ti piace tutta questa storia, ma è il solo modo di farlo» aggiunse Diane, ritrovando un tono più conciliante. «Non potete partire senza una donna che finga di essere la regina di Inghilterra, il piano non funzionerebbe. E, con tutti i miei limiti, penso di essere più adatta di una qualsiasi altra donna che in caso di pericolo non saprebbe come usare un’arma».
Athos scosse il capo e soffiò dalle narici un verso di disappunto.
«Oppure potreste far vestire da donna qualche recluta della guarnigione, ma è troppo crudele persino per te» concluse la giovane, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sul braccio, abbattendo con quel singolo gesto le montagne che si erano innalzate tra loro quella sera.
Athos l’abbracciò, posò il capo sulla sua spalla, tra i capelli ancora bagnati. Realizzò quanto in una manciata di settimane quella ragazza lo avesse rivoluzionato, non aveva mai avuto niente che gli appartenesse come lei, neppure i suoi rimpianti.
Sì, c’era stato un altro amore, enorme e bellissimo finché era durato, ma poggiava su letto di menzogne e illusioni. Con lei voleva a tutti i costi che fosse diverso.
«Andrà tutto bene» mormorò il moschettiere.
«Sì, era quello che stavo cercando di dire» replicò la ragazza.
«Parlavo da solo»
«Sicuro di non essere ubriaco?».
Athos si andò a sedere sul bordo del letto, le braccia a penzoloni con i gomiti appoggiati alle cosce. Fece cenno a Diane di sedersi accanto a lui.
«Se ti trovassi davanti al sicario, cosa faresti?» le domandò.
«Spererei che si arrenda, per il suo bene».
Athos inclinò la testa per guardare con aria di rimprovero la sua interlocutrice.
«D’accordo. Spererei che voi siate nei paraggi per aiutarmi ad arrestarlo» si corresse lei. «Cioè, lo arrestereste voi, non io, siete voi i moschettieri».
«Non hai mai pensato che in una missione del genere, adesso o in futuro, ti potrebbe toccare di uccidere qualcuno?»
«Questo… questo cosa c’entra?»
«Ci sono persone che possono convivere con l’idea, ma non penso che tu sia una di queste».
Diane fece una smorfia. «Continuo a non capire perché tu me lo stia dicendo»
«Non posso perderti, Diane, non lo sopporterei. E soprattutto non posso permettere che tu perda te stessa».
Lei sorrise. Athos vide brillare quel sorriso nella luce fioca della candela che si stava consumando. La giovane gli prese il viso tra le mani.
«Andrà tutto bene» gli mormorò sulle labbra. «Lo hai detto tu».
Nel buio, il calore di Diane accanto a lui era piacevole. Athos le accarezzò la schiena e immaginò per un istante che il mondo potesse fermarsi quella notte.
«Dovremmo dormire» disse, dopo qualche minuto.
«Vuoi che me ne vada?»
«No».
 
***
 
I giardini del Louvre scintillavano di brina nella luce morbida dell’alba.
Diane uscì all’aperto da una porta secondaria e raggiunse i moschettieri che l’aspettavano accanto alla carrozza che il cardinale aveva fatto preparare per il viaggio verso Blois.
Aprì le braccia e fece una mezza piroetta, facendo ruotare la gonna dell’abito viola e giallo, proveniente direttamente dal guardaroba della regina di Inghilterra.
«Una cosa sobria» commentò Porthos spingendo in fuori le labbra.
«Tutti gli altri abiti di sua altezza mi stavano stretti» sospirò lei.
«Be’, sua altezza è molto magra e flessuosa, tu sei…»
«Questa adesso la voglio sentire» commentò Aramis a denti stretti mentre Diane inceneriva il suo amico con lo sguardo.
«Cioè… non sono mica belle, le donne troppo magre» biascicò Porthos.
Lo sguardo della ragazza si fece ancora più truce. D’Artagnan soffocò una risata con un verso simile a quello di un piccione.
«Dille qualcosa di carino, Athos!» risolse Porthos, lanciando una gomitata al compagno.
«Diane, siete incantevole» si intromise una voce alle spalle dei moschettieri. Il cardinale attraversò il giardino, seguito di Treville.
«Oh, è gradevole che qualcuno lo noti, Eminenza» borbottò la ragazza, continuando a guardare i moschettieri enfatizzando un’espressione piccata.
L’abito le stringeva sul torace e la ragazza non vedeva l’ora di poterselo strappare di dosso. 
«Dunque, le ultime istruzioni» esordì Richelieu, congiungendo le mani. «La servitù del castello è stata informata dell’arrivo di Enrichetta Maria, nessuno di loro l’ha mai vista o la vede da quando era bambina quindi non avrete problemi a spacciarvi per lei, ho persino il sospetto che possiate trovarlo divertente»
«Dipende da cosa dovrò indossare» rispose Diane, guadagnandosi una delle peggiori occhiatacce di suo zio.
«Ho fatto spargere la voce del trasferimento di sua altezza a Blois, fingendo che si tratti di una cosa segreta, così da giustificare una scorta di soli quattro moschettieri. Intanto, Enrichetta Maria verrà fin da oggi trasferita in posto più sicuro. Se vi riuscisse di prendere il sicario, vi sarei molto grato se me lo consegnaste vivo». Il cardinale terminò la sua spiegazione e incrociò lo braccia sul petto.
I moschettieri smisero immediatamente di prestargli attenzione e si voltarono verso Treville.
Il capitano alzò l’indice con fare ammonitore. «Niente soste lungo il tragitto» si raccomandò. «Non fatela uscire dalla carrozza. Siate prudenti e portatemi quell’assassino»
«Sì, signore» dissero in coro i moschettieri.
Treville prese un profondo respiro e continuò a fissarli senza riuscire a convincersi a lasciarli partire. Poi si accostò alla carrozza e aprì lo sportello, e sembrava che ad ogni passo dovesse smuovere un macigno.
Diane gli gettò le braccia al collo, prima di salire.
«Andrà tutto bene» gli mormorò all’orecchio.
Lui non rispose. Le cinse le spalle, mandando al diavolo la regola implicita di evitare manifestazioni d’affetto in pubblico, soprattutto davanti ai suoi uomini - per non parlare degli occhi rapaci del cardinale.
Diane sparì oltre lo stretto sportello della vettura e il mondo condensò nel quadrato di luce del finestrino, e così sarebbe rimasto per tutta la giornata di viaggio che avrebbero impiegato per arrivare a Blois.
Nella cornice del quadrato, la ragazza vide suo zio afferrare Athos per un braccio, prima che il moschettiere salisse a cavallo, e mormorargli all’orecchio un’ultima raccomandazione.
Aramis salì in cassetta, appoggiando un moschetto di traverso sulle ginocchia e qualche istante dopo la carrozza si mise in moto.
Porthos e Athos si allinearono alle fiancate laterali della vettura, d’Artagnan seguiva in coda.
Diane si sporse dal finestrino per lanciare un ultimo sguardo a suo zio e poi sollevò gli occhi sulle finestre delle stanze della regina. Quando sentì il rumore metallico dei cancelli che si  aprivano e chiudevano al loro passaggio, tirò fuori un libro dalla sacca da viaggio che aveva gettato sul sedile di fronte a sé e sperò di riuscire ad arrivare a destinazione senza incidenti.
 

 
 
Al solito la real life sconvolge i miei piani. Sto lavorando anche di sabato e la domenica sono troppo stanca/incasinata, per questo chiedo scusa del ritardo e se per un po’ non riuscirò ad essere regolare negli aggiornamenti. Ma non temete, non ho nessunissima intenzione di lasciare questa storia incompiuta.
Spero di riuscire ad aggiornare entro una settimana.
  
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