⚠️ AVVERTENZE ⚠️
Come già scritto in presentazione, questa fanfiction è stata scritta per il concorso "Vizi e Virtù" indetto dalla pagina Facebook "EFP famiglia: recensioni,consigli e discussioni". La consegna assegnatomi è stato il vizio dell'Ira. Secondo definizione, l'ira è il "forte sentimento di vendicare un torto subito". Ho voluto usare come protagonisti di questa storia due personaggi che secondo me rappresentano alla perfezione questo sentimento: Shay Cormac e Arno Dorian. Ovviamente per chi non ha giocato agli ultimi due capitoli della saga (Assassin's Creed Unity, e Assassin's Creed Rogue) sarà uno spoiler clamoroso, ma ahimè, io ci ho giocato, quindi non potevo non scrivere qualcosa su di loro (le alternative sarebbero statae Connor e Lee, o Ezio e Uberto - o Rodrigo - ma ce ne sono un bel po' su di loro ormai e non volevo scadere nel banale!).
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Perchè i bambini non dimenticano.
Gli uomini della mia età stanno in giardino a giocare con i figli; gli uomini della tua, stanno ringraziando Dio che gli concedono un giorno in più da vivere. Dubito che tu l’abbia mai fatto, e di certo non mi aspetto che tu lo faccia ora, ma la parola che pronunci, quel “perché” con voce strozzata, mi lascia perplesso e assai confuso. Prima di lasciarti andare voglio darti una risposta che possa metterti l’anima in pace, per quanto impossibile sia. In verità, il “perché” della mia missione, probabilmente, l’avevo lasciato sepolto da qualche mese nella mia coscienza, ma nonostante questo, ne ero ben consapevole: la vendetta. Una vendetta lasciata sopita per anni, quasi dimenticata. Una vendetta per qualcosa che ormai avevo dato per superato, una ferita ben cicatrizzata nel mio cuore. E invece, quando credevo che la mia vita si fosse stabilizzata, riempita dal far diventare Léon[1] quell’Assassino che tanto desiderava essere, proprio una di quelle mattine, un messaggero mi consegnò una lettera. La ceralacca portava un simbolo che non mi era familiare, e un nome scritto sul retro: Connor Kenway. Kenway. Quel cognome, invece, non mi era nuovo: avevo sentito parlare di un certo Kenway nell’ordine dei Templari, ma di certo il suo nome non era Connor. Rientrai al Café Théâtre, leggendo di come questo Connor in realtà fosse il Maestro Assassino della Tenuta Davenport, in America, e che aveva bisogno di un appoggio in Francia per una sua missione su un Manufatto dell’Eden, quella che veniva chiamata come Scatola dei Precursori. Scrisse che quando avrei letto quella lettera, lui sarebbe stato già in viaggio, sicuro di una risposta positiva alla sua richiesta. A quel punto, non potei fare altro che guardare Léon, e sorridere. Fra un tè e i soliti addestramenti, le cose andavano bene. Passarono le settimane, e in un giorno di pioggia, da una carrozza scese colui che si era firmato come Connor Kenway. Un uomo massiccio, scuro di pelle, con spessi vestiti da Maestro Assassino che gli ricadevano sulle spalle, rendendo la sua figura ancora più pesante. Mi avvicinai a lui, accogliendolo come un Fratello, accompagnandolo nel Café per offrirgli qualcosa di caldo e mostrargli dove avrebbe alloggiato per quelle settimane. Parlando con lui scoprì della sua vita e discutemmo sulla sua ricerca della scatola dei Precursori. Un nuovo Manufatto dell’Eden, qualcosa di cui non avevo mai sentito parlare – o almeno, qualcosa che all’epoca non ricordavo di averne mai sentito parlare. Connor mi raccontò di come, attraverso alcune lettere del padre, era venuto a conoscenza che questa Scatola dei Precursori era passata dalla Francia – da lì il bisogno del mio aiuto – attraverso le mani di un certo “Assassino delle Colonie”. «Mai sentito nominare, sinceramente…» gli risposi in tutta franchezza. Connor sospirò, ma non era un sospiro di stanchezza, insieme al silenzio che ne seguì, sembrava più come se sapesse qualcosa ma non me ne volesse parlare. «…dovrei?» chiesi allora cercando di capire quel silenzio. Connor non rispose, piuttosto si chinò per prendere la saccoccia di pelle, ne estrasse un foglio di carta imbrunita dal tempo e me la porse. La presi dalle sue mani e notai subito il nome di Haytham Kenway scritto su un verso della pagina. Ero indeciso, leggermente innervosito da quel comportamento; spostavo il mio sguardo da Connor alla lettera. Non so come mai, ma dentro di me sentii una specie di vibrazione, un campanello d’allarme che poche volte nella mia vita avevo sentito. Dopo un colpo di tosse ed essermi sistemato sulla sedia, aprii quel foglio che era stato ben ripiegato in tre parti uguali. È stato il contenuto di quella lettera che può rispondere alla tua domanda: “perché?”. Ma tu quelle parole le conosci bene, non è vero? Sei stato tu a scriverle. Tu hai ucciso mio padre, mentre io giocavo con Èlise. Avevo otto anni, solo otto anni, e ho visto il corpo di mio padre a terra, ancora caldo, ma svuotato della sua anima. Ma sai qual è la cosa che più mi ha lasciato indignato? È che tu mi hai visto, mentre ero in giardino a rubare quelle mele, e io, seppur inconsciamente, ho visto te: «…l’uomo con la cicatrice sul volto» «Esatto» mi aveva risposto Connor quando gli dissi esattamente quelle stesse parole. Il mio corpo si era accasciato sulla sedia, non riusciva a reggere quel dolore che era riaffiorato come un cadavere nella Senna. «Adesso capisci? Tuo padre, Charles Dorian, aveva la Scatola. Per questo è stato ucciso.» Connor riprese la lettera che giaceva stropicciata sul tavolo e provò a ripiegarla com’era in origine. Biascicai delle scuse, ma la mia testa già viaggiava nel vedermi a questo punto, sopra di te, con la mia lama che sta per penetrarti la carne e fermare il tuo piccolo, misero, freddo cuore. Connor mi riferì che aveva avuto delle informazioni che ti riguardavano, e affermava che tu fossi in Italia… questo fece divampare e alimentò la fiamma della vendetta che sentivo dentro. «Posso aiutarti, ho dei contatti in Italia che possono appoggiarci». Il fatto mi premeva talmente tanto che ordinai a Léon di portarmi immediatamente carta e inchiostro per scrivere: «Napoleone Bonaparte è in Italia. Abbiamo avuto modo di collaborare in passato, non è un assassino, non è nemmeno un templare, lui sta al di sopra delle parti, ma non potrà negare la mia richiesta d’aiuto» finii in fretta di scrivere la lettera e ordinai a Léon di fare ancora più in fretta nel cercare e trovare un messaggero. Due settimane dopo ci mettemmo in viaggio. Arrivati in Italia, a Napoli, Napoleone ci raccontò di come il cognato, Gioacchino Murat, fosse impegnato sul fronte a Capri, contro l’esercito inglese. Il tuo esercito inglese. Quell’esercito che hai mandato per indebolire, in primo luogo, Napoleone stesso. Il fondatore del Regno d’Italia aveva fretta, ma non poteva mai arrivare a quella che provavo io. Finalmente, dopo i preparativi necessari a Napoleone per organizzare il suo battaglione, ci dirigemmo verso quel di Capri. Posso concedertelo: le ferite che oggi porto sul mio corpo, saranno ricordate con piacere, non con dolore; tutte le persone che ho dovuto uccidere, non le sognerò di notte come fantasmi pallidi; no, e sai perché? Perché sono state necessarie per arrivare a questo punto. Ti guardo negli occhi, e ancora ci leggo una sorta di stupore, e ancora quella domanda aleggia su di noi: perché? Faccio per muovere il braccio che porta la lama verso il tuo sterno, più in profondità «Perché i bambini non dimenticano.» |
[1] Nel mio headcanon, Léon (il ragazzino del DLC “dead kings”) viene preso sotto l’ala protettrice di Arno, che lo addestra come assassino, trattandolo come un figlio. Nella mia mini-long “La Sainte Trinité (de la vie)” viene citato come erede di Arno. |