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Autore: milly92    07/10/2015    3 recensioni
Sheldon ed Amy hanno trentacinque anni, una figlia di diciannove, sono sposati da diciassette e separati da tre.
Cosa è successo alla famiglia Cooper-Fowler?
“Figlia?!”. Penny spalancò gli occhi, incredula. [...]
“Sì”. Sheldon sospirò, stanco di dover dire sempre la stessa cosa a chi lo fissava così. “Ho una figlia di diciannove anni, è nata quando ne avevo sedici. Come può ben vedere, non solo Juno e varie cantanti pop possono procreare a quella età, ci riescono anche i geni. Nel raro caso in cui trovino una ragazza, certo”.
“Oh, no, ma si figuri, è solo che... Sembra solo giovane, ecco, dai dati che mi ha fornito posso garantirle che mostra meno dei suoi trentacinque anni” cercò di svignarsela Penny. “E poi è bello avere figli giovani! Immagino che lei, sua moglie e sua figlia formiate una bella famiglia, tutti giovani e intelligenti, vero?”.
“Io e mia moglie siamo separati, comunque nell’ultimo anno ho deciso di lavorare a casa quindi potrò farle quel favore” replicò freddamente, prendendo il foglio con il numero dalle mani della donna e chiudendo la porta alla velocità della luce.
[AU]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Farrah Fowler, Nuovo personaggio, Penny, Sheldon Cooper, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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6

Capitolo 6

Cooper-Fowler Girls

 

Quel lunedì si annunciò decisamente pieno di avvenimenti alquanto memorabili ma, poco dopo l’alba, nessuno poteva saperlo ancora.

La giornata era perfetta, calda, con un cielo limpido senza nemmeno una nuvola all’orizzonte, cosa che rappresentava l’esatto contrario dell’umore di alcuni abitanti di Pasadena, reduci da una settimana alquanto movimentata sotto tutti i punti di vista.

Marie aveva il sospetto che nella camera alla sua destra ci fosse la sua insegnante nuda quindi si svegliò prima del solito e bussò alla porta del padre per dirgli che usciva prima del corso di Chimica, Penny non aveva dormito molto perché Sheldon si era rifiutato di fare sesso con la scusa del mal di testa – e la femmina era lei in quella relazione! – quando era noto che non aveva voluto perché la figlia dormiva a due passi da loro, Amy non aveva dormito affatto a causa delle mille crisi di pianto, Leonard non aveva dormito perché odiava dormire in aereo.

Il suo viaggio era terminato prima perché il suo amico di New York aveva avuto un impegno improvviso, così aveva fatto in fretta a prendere l’ultimo volo disponibile ad un’ora indecente semplicemente perché costava la metà della metà di un volo normale.

Stanco morto, alle otto del mattino, bussò alla porta del suo appartamento, sudaticcio e con delle occhiaie paurose.

Sheldon gli aprì dopo qualche minuto, ancora assonnato con grande sorpresa dell’amico visto che di solito alle sette era già sveglio.

“Leonard!” esclamò, improvvisamente più attivo.

“Ciao, amico. Sono tornato prima, è stata una cosa improvvisa, il telefono si è scaricato...”.

“Ma eri a New York!”.

“Lo so, ma...”.

“Quindi ci sei stato!”.

“Sì, perché?”.

“Ma non ricordi nulla? Non mi fido, vai a farti delle analisi e poi vediamo se puoi entra...”.

“Ma sei scemo? Non ho dormito, ho preso un volo alle tre per pagare di meno, sono stanco morto e questa è anche casa mia!” esclamò il coinquilino, pensando di aver avuto un bellissimo rientro.

“Che succede?”.

La voce di Penny lo riportò alla realtà e rimase sbigottito nel vederla spuntare dal corridoio con addosso una maglia di Sheldon che a stento le copriva il sedere.

“Penny” disse semplicemente, passandosi una mano tra i capelli sapendo che fossero in condizioni pietose. “Tutto ok? Come mai sei qui?” chiese, senza riuscire a controllarsi visto che la visione delle sue gambe non aiutavano il suo cervello a collaborare.

La ragazza sorrise e poi si strinse a Sheldon.

“Non lo sai? Ci stiamo vedendo!” spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Imbarazzato, Sheldon annuì, senza sapere bene cosa dire.

“Che-che-che cosa?!” urlò Leonard, senza credere a ciò che aveva davanti agli occhi. “Ma io sono stato fuori pochi giorni, come...”.

Non riuscì a continuare, tanto che era incredulo. Magari era colpa del sonno arretrato,stava avendo delle allucinazioni belle pesanti, pensò.

“Le belle cose succedono in poco tempo, vero, Sheldon?” domandò Penny.

“Ehm, sì. Scusami Leonard, è successo tutto in pochissimo e non ho avuto il tempo di aggiornarti” si scusò il fisico teorico, non potendo dire che ciò in realtà gli era proprio passato di mente.

Cosa avrebbe dovuto dirgli? Che Penny lo aveva baciato in un bar e lui aveva deciso di ascoltare il suo invito ad esporsi invitandolo a cena e che nel giro di qualche ora si era ritrovato nel suo letto e per vari motivi non ne era più uscito? Che uscire con una donna aveva messo a dura prova il suo rapporto con sua figlia e non riusciva a lasciarsi andare senza sapere che lei non avrebbe avuto modo di scoprirlo?

“Oh, bene, bene, magnifico, sì. Scusate, vado a farmi una doccia, devo sistemarmi...” biascicò Leonard, prima di avviarsi verso il bagno con una sorta di marcia soldatesca che contrastava con le sue parole falsamente dolci.

 

 

“Ora, amico, devi dirmi tutto. Tutto!” esclamò Howard, entrando nell’ufficio di Sheldon senza nemmeno bussare, salvo poi fare una faccia delusa.

Sheldon interruppe i suoi calcoli alla lavagna e si voltò verso la porta dove vide l’amico.

“Non si bussa? E perché hai quella faccia?” domandò, infastidito.

“Ammetto che speravo di trovare te e Miss Chimica fare cose sporcaccione sulla scrivania” ammise l’ingegnere, strofinandosi le mani con aria deliziata.

Sheldon fece una smorfia di disgusto, al contrario, e scrollò la testa con disapprovazione.

“Sei malato! E sei in vacanza, che ci fai qui?” domandò, dicendo mentalmente addio alla sua concentrazione.

“Quando sono in vacanza amo vedere film trash che snobbo durante l’anno, quindi sono qui per vedere “Il fisico e la chimica che ci hanno dato dentro per tutto il weekend”, no?” lo prese in giro, sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania. “Su, dimmi tutto!”.

Scioccato, Sheldon prese posto di fronte a lui.

“Tutto cosa?”.

“Non fare il finto tonto, so che ti sei sbattuto Penny questo weekend, tua figlia è venuta da me ieri, ricordi? Quindi,come premio per farle da baby sitter, esigo un racconto dettagliato dei tuoi incontri con Penny!” spiegò. “Dimmi, come sono le tette? Da quelle magliette larghe non si capisce...”.

“Howard Joel Wolowitz, esci dal mio ufficio!” gli intimò Sheldon, scandalizzato e offeso da quella richiesta e indicando la porta con il pollice destro.

“Ma dai! Dimmi, come...?”.

“Howard, giuro su Isaac Newton che registro le tue prossime parole e le mando a tua moglie” scandì lentamente Sheldon.

L’ingegnere alzò gli occhi al cielo, sbuffando.

“Prima mi chiedi consiglio, ci riesci e poi non mi dici nulla!” si offese.

“Sei tu che mi hai chiesto di vederci e ho seguito i consigli di tua moglie!”.

“Ok, allora lo dici a lei e me lo riferisce?”.

“Sto registrando, Howard” lo minacciò Sheldon, esibendo il cellulare.

L’uomo si alzò con aria rassegnata e si avviò verso la porta, sbuffando. “Vado da Leonard” aggiunse, sconfitto.

“Bravo, e visto che ci sei chiedigli perché si è comportato da pazzo quando ha visto Penny da noi e ha saputo che ci vediamo” gli disse.

Howard si voltò e lo fissò, incredulo.

“Leonard non lo sapeva?” domandò.

“No, non ho avuto modo, l’ha scoperto oggi e sembra strano...”.

Howard annuì e sospirò mentre apriva la porta.

“Amico, sarai pure un genio ma non sai proprio fare due più due” si congedò, salutandolo sarcasticamente con la mano e uscendo.

“Cosa? Fa quattro, ingegnere dei miei stivali, magari sei tu che non lo sai!” disse, parlando ormai al vento.

Non ebbe nemmeno il tempo di alzarsi che la porta si riaprì e spuntò una Penny alquanto strana.

La vide chiudere la porta a chiave dopo aver guardato nel corridoio con aria circospetta, togliersi l’enorme camicia a quadri a mezze maniche, avvicinarsi alla sua scrivania e sedercisi su mentre lo spingeva lontano con i piedi, ancora sulla sedia.

“Penny, cosa...?”.

“Ho mezz’ora di pausa e farlo sulla scrivania è sempre stato il mio sogno, muoviti!” gli ordinò eccitata, sciogliendosi i capelli e togliendosi gli occhiali.

“Ma sei pazza? Hai parlato con Howard per caso?” domandò Sheldon, incredulo.

 

 

La fine della lezione di Chimica fu dura da digerire perché per quelle due ore aveva pensato solo a ciò che più amava studiare, alle formule e alle cose che stava scoprendo.

In quel lasso di tempo Penny era semplicemente la sua insegnante e lei era semplicemente la migliore della classe che aveva osato ridere alla battuta da lei giudicata “idiota” di colui che lei giudicava “Il peggiore della classe e dell’intero universo”.

Tornare alla realtà era decisamente brutto, il suo mondo di formule e reazioni chimiche era il suo posto felice e uscirne ogni volta per affrontare degli esseri viventi era un colpo al cuore.

Non voleva rivedere Raj dopo la festa proprio come non voleva tornare a fare degli esercizi stupidi e dolorosi visto che il suo corpo ora stava guarendo dal dolore dopo la prima settimana di attività.

Da una parte, però, fu felice di avere una scusa per non stare a casa visto che aveva visto Penny uscire infuriata dall’ufficio di suo padre e temeva di doversi subire una litigata, così, non pensando a ciò che sarebbe successo, si avviò in palestra, salutando Bernadette e fermandosi come al solito a prendere l’acqua al distributore.

“Qualcuno qui ama così tanto l’acqua che ci getta dentro anche le persone” disse una voce alle sue spalle mentre prendeva la bottiglina, facendola sobbalzare.

Marie tremò, presa alla sprovvista, e quando si alzò vide l’istruttore che la guardava con un sorriso beffardo e la braccia incrociate.

“Raj!” esclamò, deglutendo. “Scusami, davvero, mi sono lasciata prendere e...”.

“Alla fine però avevo ragione” la interruppe lui, avvicinandosi.

“Eh?”.

“E’ stata una cosa memorabile e scommetto che ci pensi ancora” sussurrò, infischiandosene delle madri che le circondavano e poggiandole una mano sulla vita.

“Che? No! Lasciami!” disse la ragazza, allontanandosi e iniziando a camminare.

“Marie, sei arrossita. Ti renderò le cose facili” la seguì Raj, prendendola per mano e facendola voltare verso di sè. “Esci con me, stasera. Me lo devi dopo sabato, no? E so come far divertire una donna...”.

Marie pensava che in una situazione del genere avrebbe esultato, felice di essere stata considerata da un bel ragazzo, per di più un po’ più grande e muscoloso, ma ciò che riuscì a fare fu liberare la presa e guardarlo male.

“Mi hai detto che sei single da poco, perché mai dovrei uscire con te? Non ti farò da chiodo schiaccia chiodo! E’ palese che non vuoi sul serio me, visto che hai mille tettone toniche e perfette a disposizione in quella sala!” rispose, turbata ed energica più che mai.

Davanti a sè vedeva l’uomo che aveva lasciato sua madre a causa sua, ma che dopotutto non aveva esitato un istante a mollarla e a non farsi vivo, invece di provare a chiarire.

Lei aveva acceso la prima fiamma e lui aveva lasciato che l’incendio si propagasse senza pensarci nemmeno due secondi.

Scoprire che sua madre fosse più vecchia, sposata e con una figlia aveva subito mutato le cose e Marie, per quanto non fosse esperta di sentimenti, comprese che non fosse alquanto giusto.

Improvvisamente realizzò ciò che aveva combinato la settimana prima e si sentì decisamente in colpa, tanto che se ne andò verso gli spogliatoi mentre l’istruttore non riusciva a ribattere alla sua provocazione.

Non comprese ciò che le stava prendendo e per fortuna vide la sua amica chiacchierare con altre ragazze fuori la sala di Total Body, che la guardò interrogativa.

“Bernie, devo andare da mamma, per favore, Howard può accompagnarmi? Non so come arrivare fino a Beverly Hills” disse rapidamente, agitata.

“Cosa? Ma stai bene?” domandò preoccupata la donna, accarezzandole la fronte e notando che stesse sudando freddo.

“Sì, ti spiegherò tutto, promesso, ma è urgente. Ti prego, prima che mi passi la voglia di vederla”.

Comprendendo quanto fosse rara la situazione, Bernadette annuì e si scusò con le ragazze, per poi andare verso lo spogliatoio e recuperare il cellulare.

 

 

Quando Penny si alzò dal divano per poi ritrovarsi Sheldon fuori la porta, non ne fu sorpresa, anzi, un po’ si sentì sollevata anche se odiava stare meglio solo quando aveva qualche segnale da parte sua.

Con grande sorpresa vide che reggeva in mano un mazzolino di fiori freschi e lo fece entrare.

“Penny” esordì lui, serio, mentre le porgeva i fiori. “Come avrai capito, non

 sono un esperto in ambito sentimentale ma, essendo una persona molto cosciente, riconosco i miei errori e so che dei fiori sono il gesto internazionale per chiedere scusa. Detto ciò... Scusami per averti rifiutato oggi, in ufficio, e... Per il mal di testa di ieri. Avrai capito che era causato dalla presenza di Marie. Cioè, non è che mia figlia mi causi il mal di testa, voglio dire...”.

“Ho capito. Non sei l’unico intelligente, qui” disse Penny pazientemente. “Grazie” aggiunse, prendendo i fiori e annusandoli. “Capisco i tuoi motivi, sul serio, ma ho reagito male perché... Mi sentivo rifiutata, sono abituata a sentirmi così e ho interpretato i tuoi gesti come quello di un uomo che si è già scocciato di me” spiegò, abbassando lo sguardo, imbarazzata, memorie degli uomini che comprendendo il suo interesse l’avevano sedotta e poi erano scomparsi la mattina dopo.

“Ma no! Penny, ti ho detto che so sempre come mi sento e non mentivo, se non avessi voluto non ti avrei invitato a cena” la rassicurò. “E’ solo che... Ritirarmi tardi, vedere lo sguardo incredulo e scioccato di mia figlia mi ha colpito e...”.

“Ho capito. Ti perdonerò se domani faremo sesso sulla mia scrivania, non sono famosa come te e nessuno entrerà nel mio ufficio... E giuro che la sterilizzerò prima” propose, ammiccante.

“Ehm...” provò a ribattere Sheldon, ma non continuò perché, per zittire le sue proteste, Penny si era già tolta la maglietta e non aveva il reggiseno.

 

 

La giornata era stata così dura e sfiancante che Amy decise di accomodarsi sul divano e non fare nulla per il resto del giorno.

Era sola, si sentiva strana perché Raj non le mancava affatto e sentiva una voglia assurda di abbracciare sua figlia e accarezzarle i capelli come non faceva da anni.

Marie l’aveva sempre calmata, era il motivo grazie a cui le brutte vicende della sua quotidianità scomparivano una volta tornata a casa.

Vederla lì, in attesa, abbracciarla, respirare il suo profumo, era la cosa più bella della sua esistenza e lo era stata per anni, finché il corso degli eventi non le aveva separate.

Ricordò il giorno in cui seppe di non poter partecipare al progetto dei suoi sogni perché era stato scelto un uomo, un uomo che come lei era genitore ma che non avrebbe potuto dare buca o fare tardi perché nella mentalità sessista poteva permettersi il lusso di pensare solo a lavorare.

Quel giorno non aveva abbracciato Marie, allora quindicenne, e non lo aveva fatto per un po’.

Si sentiva una stupida, lei aveva deciso di portarla in grembo fino alla fine, perché maltrattarla così?

E perché ci pensava così assiduamente ora più che mai?

Perché aveva visto la donna che mano a mano avrebbe preso il suo posto, una chimica bionda e intelligente che già vedeva sua figlia più di lei anche solo insegnandole qualcosa sei ore a settimana.

Immersa nei tristi ricordi, fu risvegliata dal campanello che suonava insistentemente e si alzò di malavoglia per andare ad aprire, non gradendo di essere in uno stato pietoso, con il viso rosso, la voce un po’ nasale e il mascara sciolto.

Fu con grande sorpresa che vide sua figlia di fronte a lei, con un’aria decisamente sbattuta e il volto che sembrava lo specchio del suo, rosso e bagnato dalle lacrime.

Vedendola trattenne il respiro e sussurrò un: “Tesoro mio, cosa ti è successo?” e, senza riuscire a farne a meno, la attirò a sè e la abbracciò, chiudendo la porta.

Aveva quasi diciannove anni, sì, ma l’abbraccio era lo stesso di sempre, era sempre fin troppo piccola e minuta, bisognosa di protezione.

“Mamma, ho f-fatto una c-cosa brutta, scusami...” disse la ragazza, singhiozzando.

“Cosa? Vieni, prendi qualcosa da bere” mormorò amorevolmente la donna, facendole segno di seguirla, spaventata.

“No, no, sto qui. So che dopo sarai arrabbiata...”.

“Cosa dici?”.

Marie tirò su col naso e si guardò intorno, alla ricerca del coraggio che le mancava.

Con grande sorpresa, vide una foto che ritraeva loro tre su una mensola e le lacrime la sopraffecero ancora di più. Nella sua mente, sua madre non conservava alcun ricordo della sua famiglia.

“Lunedì ti ho vista nei bagni della palestra con Raj” iniziò, deglutendo.

Amy sbiancò di botto e si portò una mano alla bocca, ricordando nitidamente ciò che era successo una settimana prima.

“Marie...”.

“Lasciami finire! Ero indignata, ho sentito che ti chiamava “ventinovenne” e... E due giorni dopo ho trovato la tua carta d’identità. L’ho data a una ragazza e...”.

“Marie”.

Non era un’esclamazione, un rimprovero, un sospiro, era una semplice affermazione.

“E non è finita! Sono andata alla festa della palestra sabato per sapere cosa fosse successo e lui... Ha fatto lo scemo con me e... L’ho buttato in piscina. E poco fa... Mi ha chiesto di uscire ma ho capito ciò che avevo combinato sul serio, ero arrabbiata, voglio dire, usciva con te e ti ha rimpiazziato così, senza provare a chiarire? Io...”.

“Marie, per favore, stai calma” la zittì sua madre, sospirando e avvicinandosi a lei.

“Ti prego, scusami. Ho fatto una cosa brutta e l’ho sempre saputo, ma ora...”.

“Avevamo un rapporto... Fisico, non gliene fregava molto di me ma nemmeno a me di lui. Certo, mi aiutava a non pensare ma posso capire il perchè delle tue azioni” sussurrò Amy, guardandola negli occhi. “Io avrei fatto lo stesso, specialmente dopo aver sentito mia madre dire che avere una bambina le ha rovinato la vita” ragionò cautamente. “Siediti, devo raccontarti una storia, la verità che ha scatenato le mie azioni”.

La ragazza obbedì, ancora rossa in volto, poi però esitò mentre prendeva posto in soggiorno.

“Perché me le dici ora?” domandò, senza capire. “So che hai visto papà con Penny” aggiunse, un po’ più accusatoria del dovuto.

Amy sorrise amaramente e annuì.

“Pensa ciò che vuoi ma vederli mi ha aperto gli occhi. Sì, sono una stupida, sì, sono il solito cliché di donna che realizza ciò che ha perso quando lo vede davanti agli occhi con un’altra e sì, so di non meritarmi nulla e so di non dover fare nulla” disse come premessa, portandosi le mani avanti.

Marie spalancò gli occhi, incredula.

“Tu... Cioè, vedere papà e Penny...”.

“Non so cosa credi ma io non ho mai smesso di amarvi, tesoro. Mi sono allontanata perché mi sentivo diversa e odiavo mostrarmi vulnerabile... E credevo di volere ciò che non ho mai avuto, senza capire che ho avuto tutto. Che stupida! Allora, come ci rimarresti se un domani ti venisse negata l’opportunità di lavorare a un progetto che hai ideato solo perché sei madre e nessuno vuole fare affidamento su di te?” domandò cautamente, mantenendo il contatto visivo.

“Urlerei ai responsabili di essere dei sessisti” disse semplicemente Marie con aria di ovvietà.

“E se ti venisse offerto un lavoro in Norvegia dopo un semestre di studio lì?”.

“Accetterei di corsa!”.

“Ti sentiresti in colpa se tuo marito fosse costretto a cambiare turni di lavoro per far studiare te?”.

“Beh, sì”.

“E dopo ciò oseresti chiedergli di fare altri sacrifici per te e non andare a importanti conferenze in giro per l’America?”.

“No”.

“Ti sentiresti debitrice dopo che lui ha fatto da madre e da padre a tua figlia mentre eri impegnata a frequentare le lezione e sostenere gli esami?”.

“Direi di sì”.

“Quanto resisteresti nel vedere i tuoi progetti andare in fumo dopo tanti sacrifici solo perché hai delle ovaie?”.

Marie abbassò lo sguardo e poi lo alzò, rattristita come non mai.

“Ti è successo tutto questo?” domandò flebilmente, intimorita dalla risposta.

Amy annuì, il volto malinconico al solo ricordo.

“Il primo a fare rinunce è stato tuo padre, dal primo giorno in cui sei nata, perché lui lavorava già per fortuna, quindi ha sacrificato molto per farmi studiare, dal liceo fino al dottorato. Ero debitrice nei suoi confronti e mi sembrava assurdo chiedergli di vivere in Norvegia dopo il semestre, così ho accettato un lavoro qui e l’ho sempre spronato a fare ciò che l’università gli chiedeva. Piano piano ci siamo sistemati e, sai, eravamo davvero, davvero felici... Avevamo successo, avevamo l’amore, avevamo te! Poi, mano a mano, dopo i trenta sono successe varie cose... Mi hanno scambiato per una quarantenne...”.

“Ti hanno negato il progetto”.

Amy annuì amaramente, scrollando le spalle.

“Essere moglie e madre mi ha causato mille ansie e problemi, ma non a me in prima persona, che sia chiaro, a chi mi circondava! Odiavo essere giudicata instabile e inaffidabile nel mio campo perché dovevo badare anche a una figlia, avere paura di chiedere a tuo padre di andare a qualche congresso di neuroscienze lontano da qui e... Accumolo dopo accumolo, sono scattata dopo la provocazione di tua nonna, tre anni fa. Io non volevo dire quelle cose, davvero, io ti amo più della mia stessa vita e mi sono allontanata perché non riuscivo a capacitarmi di aver detto quelle cose, non ero in me! Tu sarai sempre la mia piccolina, non sai quanto ho pianto nel saperti ad Havard! Mia figlia che frequenta la mia Havard, ricordo quando me ne parlavi, dicendo di essere indecisa. Per me era un sogno immaginarti lì, dove ho studiato io, e... Scusami per tutto, piccola, scusami!”.

Madre e figlia si ritrovarono abbracciate, unite in una stretta ferrea, scosse entrambe da lacrime di commozione e tristezza per tutto ciò che era successo, ma stranamente più unite, come se gli avvenimenti degli ultimi anni le avessero rinforzate e fatte crescere.

Le disgrazie e le incomprensioni possono ridurre in frantumi un rapporto o rafforzarlo, e quest’ultimo caso toccò alle ragazze Cooper- Fowler.

 

 

 

Era ormai ora di cena quando Sheldon tornò nel suo appartamento, trovandovi un Leonard che mangiava pizza seduto sul divano e ascoltava musica.

 

“I knew you were trouble when you walked in, so shame on me now, 

flew me to places I’d never been, now I’m lying on the cold hard ground,oh, oh, trouble, trouble...”.

 

Era una voce femminile a lui ignota e, non sopportando di ignorare qualcosa, il fisico teorico prese il cellulare e attivò Shazam.

“Chi è Taylor Swift?” domandò, senza capire.

Leonard alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

“Una ragazza che mi capisce molto bene” rispose sarcastico.

“Ah, quindi una tua amica sta provando a sfondare nel mondo della musica e tu fai da cavia ascoltando la sua voce petulante? Che bravo amico che sei” disse Sheldon, sorridendo, per poi prendere il telecomando dello stereo e spegnere.

“Ma sei scemo?” urlò Leonard.

“Leonard, la tua domanda è fuori luogo, ti ricordo che ho un quoziente intellettivo di cen...”.

“Non me ne frega un cavolo, capito? Non sono tenuto a sentire le tue idiozie, io voglio sentire la mia musica!” continuò a sbraitare, togliendogli il telecomando dalle mani.

“Leonard! Ma non ha senso, non devi ascoltare oltre, dì alla tua amica Taylor che è una mezza pippetta ed è fatta!”.

“Sheldon, possibile che tu non capisca?” chiese Leonard, come se fosse esausto.

“Sembra assurdo detto da me ma non capisco, sì” asserì il fisico.

“Lascia stare, non ho voglia di discutere” sbottò l’altro, infastidito.

Si alzò, gettando il resto della pizza con aria affranta e se ne andò nella sua stanza senza aggiungere altro.

“Leonard! Ma dobbiamo prendere la cena!”.

“Và a cenare dalla tua ragazza, io ho già mangiato!” urlò Leonard in risposta, seguito dal rumore della sua porta che sbatteva violentamente.

Sheldon non ebbe il tempo di dire altro che il cellulare lo avvisò di aver ricevuto un messaggio, così estrasse il cellulare dalla tasca e lo lesse, salvo poi rimanere bloccato, fermo.

Davanti a sè aveva un selfie di Amy e Marie che ridevano come matte, con i capelli un po’ disordinati e gli occhi stranamente gonfi.

Nel giro di tre secondi gliene arrivò un altro, in cui Marie aveva gli occhi chiusi come una bambina dispettosa e Amy le dava un bacio sulla guancia con aria amorevole.

“Siete bellissime” sussurrò, sentendo il suo stomaco fare mille capovolte.

Le sue donne erano lì, sullo schermo del suo cellulare, e lui passò illusoriamente il dito sul display dell’i-phone come per accarezzarle.

Una cosa del genere non la vedeva da anni, e questo fu uno dei motivi che gli fecero perdere la lucidità, tanto che senza pensarci scrisse “Le donne della mia vita!” e inviò, senza nemmeno pentirsi.

Aveva forse detto una bugia?

Nel giro di pochi istanti, Amy rispose con un: “Peccato che qui manchi l’uomo della nostra vita. Abbiamo delle cose da raccontarti, un bacio”.

Sheldon era così preso dall’emozione e da un insieme di sentimenti contrastanti che non sentì nemmeno Leonard che stava parlando, tornato pochi minuti dopo le urla.

“Ma mi senti, Sheldon? Ho detto che ti accomp... Cos’è?”.

Senza dire nulla, il coinquilino gli mostrò i messaggi e subito disse: “Guardale, sono... Sono un amore, io...”.

Non continuò verbalmente perché abbracciò l’amico, stringendolo a sè e sforzandosi di non piangere, ma Leonard comprese tutto e guardò la porta, immaginando la reazione di Penny a ciò che aveva appena visto.

Quella situazione, come la famiglia Cooper-Fowler, era tutta un casino.

 

*°*°*

Eccomi di nuovo qui con uno dei capitoli che adoro! La famiglia Cooper sarà anche particolare ma è composta da membri che si adorano e hanno sofferto tanto. Marie non ce l’ha fatta più e si è confidata con la madre, che le ha finalmente detto la verità.

Certo, ci sono tante cose da sistemare ma è un inizio e l’affetto madre-figlia è il più forte di tutti.

Sheldon vede madre e figlia insieme dopo secoli e rimane sorpreso e “ipnotizzato”, oserei dire.

Cosa succederà? Siamo entrati nei capitoli più succosi, vi avverto! :D

Nel prossimo ci sarà anche... Mary Coooper! Io la adoro, insieme a Beverly, quindi mi sono divertita a descriverla come nonna super religiosa.  E ci sarà anche una new entry ;)

 

Come sempre vi lascio due spoiler, grazie a chi mi segue e mi fa sapere il suo parere, siete mitiche <3

 

 

“Dimmi che non mi ami e non ne riparleremo più” lo interruppe bruscamente, prendendolo per un braccio e obbligandolo a smetterla di camminare su e giù per la stanza.

 

 

“Amore mio, come sei alta, sempre di più! Il Signore ha ascoltato le mie preghiere!” esclamò, raggiante.

“Nonna, non per contraddirti ma tuo figlio, ovvero mio padre, sfiora il metro e novanta ed avendo una madre nella media è logico che la mia statura sia maggiore del dovuto. E’ tutta scienza” la rimbeccò subito Marie, con la sua solita aria da “Scusami ma non sono io che lo decido” tipica di quando Dio entrava in discorsi scientifici.

 

A mercoledì o giovedì,

Milly!

  
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