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Autore: X_debs    10/10/2015    2 recensioni
Non appena riuscii a liberarmi dall'airbag, spalancai la portiera in preda alla furia.
- Ma che diavolo fai?- gridai - C'ero lo stop! Per caso sei stupido o hai semplicemente seri problemi mentali?!-
Mi sorrise come se stesse osservando una bambina scema fare i capricci, cosa che mi fece venire una dannata voglia di tirargli un pugno. - Non sei tanto gentile-.
- Tanto gentile?! Mi sei appena venuto addosso razza di idiota! -
- Spiegami una cosa principessa: ti pagano per sparare insulti o lo fai gratuitamente per hobby?- appoggiò il fianco contro la sua auto a braccia conserte aspettando la risposta.
Sgranai gli occhi: regalare insulti?! Principessa?!
- Va' a farti fottere- sbottai.
Rise -Questo si che mi fa male. Mi hai ferito principessa, davvero-
- Sai ne ho conosciuti di coglioni, davvero, la mia scuola ne è piena. Ma tu li batti tutti!-
- Interessante- parve pensarci per un secondo poi mi scrutò - Sai che ci sono dei centri per il controllo della rabbia? Potrebbero aiutarti-
Strinsi i pugni - Ti è mai arrivato un pugno in faccia? Scommetto di si-
- Si lo so che vuoi toccarmi...- il tono con cui parlò mi diede i brividi.
Gli indicai il medio: non meritava che perdessi davvero la calma.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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No, non era possibile.
Ditemi che non era vero.
La testa di cazzo era il mio vicino di casa!
Non solo mi aveva distrutto la macchina, mi aveva anche irritata, provocato tutto il tempo, aveva sparato strane congetture su di me e mi aveva privato del mio parcheggio, ma ora dovevo anche sopportare di vederlo ogni giorno e di vivere accanto a lui, anzi attaccata a lui!
Dire che non era la mia giornata era un eufemismo! Oggi sarei solo dovuta restare a casa tutto il giorno.
Avevo lasciato il nuovo vicino non appena mi aveva dato la notizia ed ero corsa da Josh che mi aveva stritolata da quanto mi aveva abbracciata forte.
Gli avevo raccontato che ero andata in libreria e che un auto mi aveva tamponato, non sapevo di chi, e che mentre trovavo qualcuno che mi prestasse un cellulare avevo incontrato il nostro vicino che mi aveva riaccompagnata.
Ero tentata di dirgli la verità, che il nostro vicino era un idiota, un egocentrico e un pazzo, ma poi lo avrebbe voluto uccidere e meno mio fratello aveva a che fare con quel tipo meglio era.
C'era qualcosa in lui che non mi convinceva, senza contare che era pazzo.
I miei non sarebbero tornsti a casa prima di domani sera, così sarei riuscita a nascondere l'accaduto e Josh mi promise di non dire niente, insistendo per aiutarmi a riprendere l'auto e a pagare.
Fottuto vicino.
Me ne restai l'ultima sera di vacanza a letto a guardare episodi di Grey's Anatomy mangiucchiando patatine finchè non  sentii Josh addormentarsi.
Mi alzai di scatto, mi chinai sotto il letto e trascinai fuori il mio baule color caffé con sfumature crema. Lo aprii ed estrassi lo zaino che conteneva. Richiusi il baule e lo infilai di nuovo sotto il letto. Aprii lo zaino e controllai ciò che conteneva: tre paletti, acqua santa, un giubbotto, dei cioccolatini e un libro.
Ero pronta.
Mi precipitai fuori il balcone, gettai lo zaino dai veroni e presi la corda che tenevo ben nascosta tra le orchidee e mi calai giù.
La tirai un po’ per verificare la sua resitenza, poi mi risistemai lo zaino in spalla e corsi verso il piccolo cimitero al centro della foresta, guardandomi costantemente intorno per assicurarmi che quell'idiota del mio vicino non mi avesse vista.
Mi rilassai solo quando gli alberi coprirono totalmente la visuale di casa mia: quella che mi circondava non era una vera e propria foresta, più una radura alberata. Mentre camminavo, mi aggrappavo ai rami degli alberi, mi dondolavo a mo’ di altalena e balzavo in avanti, arrivando a dieci passi più avanti.
Non appena arrivai davanti la recinsione, aprii il piccolo cancelletto arrugginito. C’erano circa 20 lapidi, circondati da ciuffi d’erba, tutte dimenticate.
Ogni tanto mi adoperavo per rupulirle e per portare dei fiori, ma era raro riuscirci senza insospettire la mamma.
Mi avvicinai all’ultima sul lato orientale e mi inginocchiai ai suoi piedi. Carezzai dolcemente ogni lettera:
12.06.1994 – 16.05.2014
B E N J A M I N  P A U L  K E N T 
Amato figlio e adorato fratello e amico.
Una lacrima mi rigò il volto. Mi voltai e mi asciugai immediatamente la guancia, poi mi rivoltai e sorrisi:
- Ciao Ben, mi dispiace, so che ti avevo promesso di non piangere più. Oggi non è stata una giornata proprio semplice: un idiota mi ha tamponata e per poco non lo ammazzavo, senza contare che domani inizia anche la scuola- feci una pausa continuando a carezzare quelle lettere - Devo tornare in quel posto orribile! Se Josh mi sentisse mi rimprovererebbe a dovere-.
Mi sforzai di sorridere, ma non ci riuscii.
- Non prendertela per Josh, credo che sia ancora troppo presto per lui venirti a trovare, perché se lo facessi realizzerebbe che non ci sei più ed è ancora una ferita aperta per tutti-. 
Ricominciai a piangere.
- M dispiace, mi dispiace... Non arrabbiarti-. Accarezzai la lapide. - Ti voglio bene, Ben-.
Mi asciugai le lacrime, mi poggiai sulla lapide e alzai gli occhi per osservare le stelle luminose che illuminavano il piccolo spazio.
- Ti ricordi quando io, tu e Josh ci sdraiavamo sotto le stelle e giocavamo a chi vedeva più forme? Mi hai sempre preso in giro perchè riuscivo a trovare le forme più strane- 
Mi rannicchiai su me stessa pensando a quei lontani momenti. Non so quanto tempo passò prima che il dolce torpore del sonno mi avvolgesse, ma a me sembrò un’eternità.
Sognai il giorno in cui io, Ben e Josh andammo a cavallo per la prima volta. E anche l'ultima. 
Correvo come una matta e Ben e Josh mi rincorrevano urlando mille raccomandazioni e io, in risposta, urlavo di raggiungermi.
Avevo corso per ore, tanto che iniziavo a sentire le gambe e il fondoschiena intorpidito. Ben ci disse di fermarci e di fare una pausa per mangiare qualcosa e far riposare i cavalli.
- Ho vinto di nuovo! Non avete speranze- esclamai scendendo dalla groppa di Pioggia, nome che avevo improvvisato per la mia cavalla, conseguenza per aver guardato troppe volte Spirit e tutti gli altri film Disney durante l'infanzia. E anche l'adolescenza, dato che continuavo a guardarli ancora.
- E’ vero, è troppo brava! Corre troppo veloce!-. 
Entrambi mi cinsero le spalle con un braccio, scompigliandomi i capelli.
- Scommettete che vi batto anche nella corsa?-
- Così sfidi troppo la sorte, sorellina. Ti batteremo noi!- 
- Ha ragione Ben briciola, sei tu che non hai speranze-
- Allora vi sfido- li guardai con un sopracciglio sollevato
Scoppiarono entrambi a ridere - Ci stiamo, se vinciamo pulisci la nostra stanza per una settimana- esclamò Josh con le braccia incrociate.
- Sarete voi a pulire la mia-
- Qualcuno qui vuole fare la presuntuosa-
- Coraggio, andiamo-
Ben mi sorrise, con il suo solito sorriso dolce e paziente - Voi andate avanti, io lego i cavalli e vi raggiungo-
- Okay. Pronto Josh?-
Annuì mettendosi in posizione. Faceva quasi ridere.
- Al tre: uno... tre!- mi precipitai come un fulmine.
- Non vale!- si lamentò Josh, inseguendomi.
Non so cosa sia accaduto, perché io stavo facendo quella stupida gara. So solo che quando tornammo accanto ai cavalli ridendo e spindonandomi con Josh, trovammo solo la giacca di Ben sporca d sangue. Urlai.
Mi svegliai sobbalzando. Non volevo pensare a ciò che era accaduto dopo.
Afferrai il cellulare dalla tasca e guardai l’orario sullo sfondo: le quattro e mezza, assolutamente l’ora di ritornare alla base.
- A domani, Ben, ti voglio bene-.
Mi tirai su prendendo lo zaino e mi allontanai lentamente, ancora intorpidita dal sonno, quando sentii lo schricchiolare di una radice di un albero. 
Mi paralizzai di colpo, invigilendo tutti i sensi: si udiva solo il mio respiro adesso. Strinsi il mio zaino e ci infilai la mano: libro, penna, giacca, legno appuntito. Lo strinsi forte.
- Che bella bambina- ringhiarono alle mie spalle. Non mi voltai e il respiro mi si paralizzò in gola.
Qualcuno mi afferrò per i fianchi traendomi a sé. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola e infilzai una parte del suo corpo con il paletto, chissà quale.
Il vampirò mollò la presa lasciandomi cadere. 
Non attesi neanche un istante: afferrai lo zaino e inizai a correre. 
Ad ogni passo mi voltavo idietro, terrorizzata, ma non mi fermavo.
- Dove scappi?-. Il vampiro adesso era davanti a me. Non lo vidi in tempo, così lo colpii in pieno cadendo all’indietro per l’attrito, sbattendo con la schiena sull’asfalto. 
Gemetti per il dolore.
- Sei proprio un bel bocconcino-
- Vattene o ti uccido-
Sorrise.
- Non sai chi sono io e cosa sono in grado di fare-
Mi afferrò di nuovo, per la gamba stavolta, e mi gettò con uno scatto contro un albero che scricchiolò sotto il mio peso, poi caddi di lato sbattendo la testa e mordendomi involontariamente la lingua.
Vedevo tutto offuscato e sapevo di non avere più paletti.
Di nascosto infilai nuovamente la mano nello zaino e cercai qualcosa che potesse aiutarmi: qualcosa di duro, di vetro. Acqua santa. 
La strinsi forte come se la mia vita dipendesse da questa, e in effetti era così.
Il mostro si acquattò, pronto a balzarmi addosso e azzannarmi, ma quando lo fece estrassi la bottigia dallo zaino e gliela riversai sul viso.
Emise un urlo acuto e lancinante, che rimbombò in tutta la radura. Le ustioni erano evidenti, ma non ebbi il tempo di osservarlo attentamente: fu come se spicassi il volo tanto che ero tesa. Correvo tra gli alberi, ignorando le ferite alle braccia che mi procuravo e che mi strappavano la felpa.
Non appena la distesa di alberi terminò mi gettai al suolo rotolando e mi guardai indietro.
Il vampiro era lì, con il volto sfiguarto, che mi guardava infervorato.
Non poteva raggiungermi: quello era territorio della cacciatrice.
Tanti avevano tentato di attaccarla qui, ma nessuno era sopravissuto. Sospirai e aspettai che il vampiro si allontanasse.
Tornai alla corda e mi arrampicai, malgrado tremassi come una foglia. Gettai lo zaino in un angolo e mi lasciai cadere sul letto, dove scoppiai in un lungo pianto.
 

Aprii gli occhi di scatto, in allerta.
Ero distesa sull'asfalto, ricoperta di fango e di foglie secche, in un bosco, anche se non riuscivo a distinguerlo in maniera nitida. C'erano solo tanti alberi intorno a me. Nient'altro.
Mi tirai su lentamente guardandomi intorno, circospetta: non sapevo dove fossi, era tutto confuso, offuscato. Era come uno di quei vecchi film in bianco e nero degli anni Ottanta che danno sulle vecchie televisioni o strane reti che nessuno conosce.
Era irreale, come se un fosse un ricordo.
Ma un ricordo di cosa?
L'aria era così secca che sembrava si attaccasse sulla pelle impedendomi di respirare.
Sentivo il mio cuore galoppare, come se potesse esplodere dalla mia gabbia toracica da un momento all'altro.
Ma dov'ero?
Mi scostai qualche ciocca dal viso, più per abitudine che con la speranza di rinfrescarmi, e invigilii tutti i sensi.
Il cielo sopra di me ribolliva di nuvole inquiete che mi sorvolavano con fare minaccioso.
Avevo un brutto presentimento.
Tutto era silenzioso e buio. Anche i tipici rumori di un bosco erano assenti: il brulicare delle cicale, il fruscio del vento che scuote le foglie, il cinguettio degli uccelli. Tutto taceva. 
Solo il nulla.
Stavo per rinunciarci quando all'improvviso udii in lontananza dei colpi sordi, come quando un martello colpisce la pietra ancora e ancora, un rumore che sembra farti battere il cuore nel petto.
Senza neanche rendermene conto iniziai a camminare a passo svelto, dritto al punto da cui proveniva quel rumore insistente e sordo, guardandomi di tanto in tanto indietro per accertarmi che non mi stesse seguendo nessuno.
Mi sentivo seguita, osservata.
Velocizzai ancora di più il passo.
Respirai profondamente, anche se non c'era un filo d'aria. Non sarebbe successo niente. 
Eppure non appena pensai questa frase sentii che mentivo a me stessa. 
Io non ero al sicuro, sapevo che stava per succedere qualcosa.
Ma cosa?
Iniziai a correre senza neanche accorgermene. Credo di non aver mai corso così velocemente.
Avevo il fiato corto e dolori lancinanti ovunque, anche lì dove non sapevo potesse sentirsi dolore
Saltai su un masso e mi gettai in avanti, balzando con uno scatto felino.
Atterrai su un'altra roccia poco distante e mi guardai intorno: ormai quel sentiero era privo di strade.
Ma ce ne erano mai state?
Continuai a correre.
Con un balzo superai una parete rocciosa acuminata e mi aggrappai alla cima.
Gemetti quando mi si conficcò una spina nella mano.
Presi un profondo respiro e la scavalcai, balzando dall’altra parte e ignorando i palmi che iniziavano a sanguinare.
Boccheggiavo, ma non mi fermai.
Sentivo i piedi sollevarsi da terra tanto che correvo veloce e i capelli mi sferzavano il viso facendomi lacrimare anche se non c'era un filo d'aria: l'aria era arida, come se anche lei volesse prendersi il mio respiro.
Mi ritrovai in una piccola valle, nascosta da dei cespugli, e proprio al centro capeggiava l'entrata di una grotta dal cui interno provenivano quei colpi sordi.
Che stava succedendo?
Dopo qualche minuto i colpi terminarono e dalla stretta apertura spuntò un uomo basso, brutto e storpio, che camminava zoppicando, in maniera piuttosto goffa.
Il suo volto era solcato da rughe e strane cicatrici, e aveva una spessa e lunga barba color sabbia.
- E' andato tutto come doveva?-
Una figura apparve dagli alberi, dirigendosi verso l'uomo della caverna in modo sicuro e imponendosi in tutta la sua magnificenza.
Aveva folti capelli e barba bianchi come le nuvole in un cielo primaverile e profondi occhi color ametista. Proprio come i miei.
L'uomo annuii, facendo un piccolo inchino -Sì, padre-
Padre?! Sembrava avessero la stessa età.
- Dunque non ci resta che aspettare- posò il suo sguardo all'orizzonte, come se volesse guardare al di là del cielo.
- Temi che possa tornare?-
L'uomo dagli occhi viola fece un gesto di diniego con la mano, come se quella considerazione fosse assurda.
- No, ma questo è solo l'inizio Efesto-
Efesto?! Ma che razza di nome era?
Già era brutto, poi dargli anche il nome del dio più sfortunato di tutti. Doveva proprio odiarlo suo padre.
- Lei dov'è ora?-
- E' al sicuro, ormai ha adempiuto al suo compito. Potrà vivere in pace ora-
- Eppure non sei tranquillo-
L'uomo posò di nuovo il suo sguardo su Efesto e sollevò un sopracciglio -Non spetta a te sparare sentenze. Non ho intenzione di ripetermi-
Efesto abbassò lo sguardo, con aria di scuse -Sì signore-
Che faccia da schiaffi.
L'uomo si avvicinò alla caverna e scrutò al suo interno - Nascondi bene questo posto, assicurati che nessuno lo trovi. Un giorno ci ritroveremo qui- parve pensarci un attimo, poi annuì - Ora puoi andare-.
Efesto fece un piccolo inchino, poi si allontanò sparendo nell'oscurità, come se fosse stato inghiottito dagli alberi.
Mi portai una mano alla bocca per impedire un gridolino di sorpresa.
L'uomo battè qualche colpetto sulla roccia della caverna - Ci ricontreremo, lo so. Ma non oggi. E quando arriverà quel giorno nulla potrà contro di lei-
L'uomo sparì nel nulla provocado un grosso boato nel Cielo.
Per qualche secondo i tuoni brontolarono nel cielo e io me ne restai lì, immobile, mentre i battiti del mio cuore accellelarono.
Non appena ebbi la certezza che nessuno dei due sarebbe tornato uscii dal mio nascondiglio e mi diressi alla caverna.
Presi un paio di boccate e tremante mi infilai nello spazio stretto e angusto mentre la pietra a contatto con la mia pelle mi scroticava e rivoli di sangue cominciarono a scorrere.
Mi morsi le labbra per impedirmi di gemere e cercai a tentoni la strada verso la caverna indietreggiando finchè non urtai con il muro. Ero arrivata eppure non c'erano vie d'uscita.
Battei i pugni contro la roccia come se potesse aprirsi, ma sapevo che non c'era alcuna via d'uscita.
Quel posto mi metteva i brividi e una strana sensazione di familiarietà mi diede i brividi. Io c'ero già stata lì, non so quando nè perchè. 
Io lo conoscevo.
Mi voltai verso la pietra ruvida, ma era troppo buio per riuscire a scorgere qualcosa.
Avvertivo uno strano formicolio alla bocca dello stomaco: pericolo, allerta, paura, coraggio.
Io non ero sola.


Mi alzai sobbalzando al suono squillante e acuto della sveglia che fu come un pugno in un occhio. 
Mi alzai lentamente, ignorando l’emicrania che mi torturava i timpani, e strascicai i piedi fino al bagno. 
Avevo un colorito pallido, un'espressione sofferente e i graffi sulle braccia erano sporchi di terreno. 
Quei sogni ultimamente non avevano fatto altro che aumentare.
Probabilmente era perchè si avvicinava l'età fatidica, l'età dell'iniziazione, l'età in cui il gene scattava e i sogni erano una specie di avvertimento. Una volta mamma mi disse che anche lei da ragazza faceva questi sogni, ma che diminuivano col tempo per poi sparire ai diciasette anni d'età. Solo che a me non erano che aumentati e diventati più terrificanti e vividi.
Avevo ipotizzato che fosse dovuto al fatto che non avevo per niente intenzione di fare l'iniziazione e di accettare quel che ero, quindi i sogni volevano ricordarmi chi fossi. Una specie di avviso del Fato, ecco.
Mi tolsi i vestiti sporchi di fango, stando ben attenta a nasconderli nella cesta dei panni da lavare ed entrai nella doccia.
Il getto d'acqua fresca mi provocò una serie di bruciori in tutto il corpo, e dopo essermi finalmente rilassata, mi resi conto delle terribili fitte alla schiena. 
Mi insaponai velocemente e uscii dalla cabina a fatica, non riuscendo a poggiare bene i piedi a terra dal dolore, e mi avvolsi nell'accappatoio.
Osservai per qualche istante la mia immagine riflessa allo specchio, concentrandomi sugli occhi viola: era la prima volta che vedevo una persona che avevo il mio stesso colore, anche se solo in un sogno.
"Occhi speciali di una bambina speciale" mi diceva mia madre, ma a me suonava più appropriato "Occhi strani per una ragazza strana".
Distolsi lo sguardo dai miei occhi e afferrai la boccetta di antidolorifici dal mobiletto della specchiera buttando giù un paio di pillole, poi presi il disinfettante e mi adoperai ad applicarlo su ogni graffio.
Avrei dovuto indossare una felpa a maniche lunghe per nasconderli a tutti. 
Sospirai: la mia solita fortuna.
Presi lo spazzolino e il dentifricio e mi spazzolai per bene i denti e mi lavai il viso.
Sistemai il bagno come meglio potevo, poi mi affacciai dalla porta del bagno e solo quando fui certa che non ci fosse nessuno sgattaiolai in punta di piedi in camera mia. 
Indossai un jeans pulito e una maglietta a maniche lunghe color eburneo. Ai piedi misi le solite scarpe da ginnastica e raccolsi i capelli in una treccia disordinata. 
Non mi ero mai truccata per la scuola, così mi assicurai solo che non avessi lividi da dover coprire col fondotinta.
Ero pronta per andare all'Inferno.
Josh era già uscito, perciò afferrai una ciambella e corsi per evitare di perdere l'autobus proprio il primo giorno.
Il cielo era limpido e sereno, senza schizzi di nuvole e qui e lì si udivano dei passerotti cantare.
- Buongiorno principessa- la voce fastidiosa del vicino mi riportò alla brusca realtà.
Lo guardai torva: indossava dei jeans scoloriti e un giubbotto di pelle con sotto una maglietta blu. E ovviamente quegli stupidi occhiali da sole.
- Adesso non lo è più- grugnii.
- Sembri proprio una brava ragazza che va a scuola, complimenti-mi sorrise dirigendosi alla sua auto.
Rimpiansi che i meteoriti fossero un evento raro.
- Grazie, lo metterò nella lista delle cose di cui non mi importa niente- scossi la testa e mi allontanai spedita.
Tirai su la zip del giubbino e accesi il mio mp3 mentre la canzone "twentyone guns" dei Green day risuonava nelle mie orecchie e rimbombava nella mia testa.
La lamborghini nera mi costeggiò richiamando la mia attenzione con un colpo di clacson.
Alzai gli occhi al cielo e mi tolsi una cuffietta - Che diavolo vuoi?-
- Darti un passaggio, principessa-
- Piuttosto mi farei buttare sotto da un camion, grazie- 
Camminava a mio passo, cosa che mi mise in imbarazzo. - Ti dispiacerebbe andartene?-
- Di mattina sei ancora più adorabile, scioccante- finse un'espressione stupefatta.
- Si anche quello va nella lista-
- Una lista che si allunga in fretta-
- Non ne hai neanche idea-
- Su, entra-
- Scordatelo- misi anche l'altra cuffietta, ma la Lamborgini continuava a camminare al mio passo e dietro di sè cominciava a crearsi una coda.
- Guarda che c'è la coda dietro di te- mi tolsi gli auricolari, tentava di usarli come arma per affogarlo.
Nathan si strinse nelle spalle -E' colpa tua non mia-
-Non lo voglio il dannato passaggio!- la mia voce si era alzata di un'ottava, ma Nathan continuava a seguirmi. 
La coda dietro aumentava e un coro di clacson mi perforava i timpani.
- Vattene!-
- Hai una voce così provocante-
-Ehy muovetevi!- le urla degli automobilisti dietro di noi erano assordanti.
- Muoviti vattene- ringhiai
- Tu entra in macchina-.
I clacson e le urla diventavano più forti, così più per disperazione che per resa, feci il giro dell'auto ed entrai nell'abitacolo.
- Tu sei pazzo!- urlai ogni parola sputandogliela contro.
Rise e sgommò, tanto che non riuscii più a vedere la fila di auto che ci eravamo lasciati dietro.
- Io direi che sono gentile-
- Ma nessuno ti ha chiesto niente!- alzai le braccia contro il cielo
- Un semplice "grazie sei eccezionale"può bastare-
- E un "sparati brutto idiota"? Io lo trovo più appropriato-
- Allora principessa, dov'è che vai a scuola?-
- Perchè non ti metti in mezzo la strada e aspetti che un auto ti investa?- ribattei acida
- Potresti sempre venire con me-
- Il Peripatetico- mi affrettai a dire e sentii le guance andare in fiamme al solo pronunciarlo.
-Mh- mormorò ingranando la terza.
Lo osservai: guardava dritto di fronte a sè, aveva la mascella quadrata, labbra carnose e morbide, capelli spettinati, ma in modo sexy.
Mi imposi di non guardarlo.
- Non penso ti piaccia frequentare quella scuola da ricconi-
Come faceva a sapere tutte quelle cose di me? Mi metteva i brividi, e non sembrava neanche che avesse tirato a indovinare. Lo sapeva.
E io volevo sapere come facesse a saperlo.
Guardai fuori dal finestrino e sospirai - Non sono affari tuoi-
- Ma allora perchè non la lasci?-
- Cosa non ti è chiaro della frase "Non sono affari tuoi"? Non mi sembra tanto complicata da capire-
- Sei sempre sulla difensiva-
- E tu sei sempre irritante-
- Non è l'insulto più pesante che tu mi abbia detto. Lo prendo come un progresso-
- Levatelo dalla testa-
- Sai un altro tuo problema è che vedi tutto in bianco e nero. Non esistono vie di mezzo. Il mondo per te si divide in due grandi blocchi: i buoni e i cattivi, i predatori e le prede- lo disse con tono spensierato ma mi paralizzai lo stesso.
Deglutii e cercai di controllare il battito del mio cuore - E immagino che tu sappia a quale blocco appartieni-
Mi sorrise ed ebbi la più assoluta certezza che fosse un sorriso provocante che voleva farmi saltare i nervi -Assolutamente principessa e tu?-
- Certo che si- lo guardai con aria di sfida.
- Quindi questo posto proprio non ti piace-
Mi passai una mano tra i capelli: perchè non taceva? - Sei così disperato che ti impicci della mia vita?-
- Mi interessa la tua vita-
- Dovresti proprio trovarti un hobby-
- Ce l'ho ma non penso che la tua mente innocente regga i dettagli- mi scrutò in attesa di una mia reazione, ma mi limitai a guardarlo torva.
- Sei proprio un idiota-
Le sue labbra si sollevarono in un sorriso e riapparvero le fossette -Ancora non mi hai risposto-
- A cosa?-
- Se questo posto non ti piace perchè non lo lasci?- mi guardò serio e concentrato.
Sospirai - A volte è un bene non sentirsi a casa-
- E tu ti sei mai sentita a casa?-
Parcheggiò di fronte la scuola e la morsa che ogni volta mi assale allo stomaco quando arrivo qui fuori mi attanagliò.
Quel posto era il mio Inferno.
- Non hai niente di meglio da fare?-
- Preferisco te- sussurrò e io aprii la portiera facendo entrare un leggero vento fresco nell'abitacolo.
- Va' al diavolo-
- Ci vediamo all'uscita-
- All'uscita?! Scordatelo. Sta' lontano da me e Josh-
Sorrise - Sei tenera quando ti impunti-
- Dico sul serio, troverò il modo per riparare la mia auto e tu dovrai sparire e non dovremmo condividere mai più qualcosa!
- Ci sono tante cose che vorrei condividere con te...- mi sorrise in quel modo languido che mi faceva venir voglia di ammazzarlo.
Come se fosse una novità.
- Spero che qualcuno ti investa- e dopo questa frase, a mio parere abbastanza gentile, sbattei la portiera e mi allontanai, sentendo che la sua risata mi seguiva.
Ero arrivata davanti i cancelli della mia scuola: respira profondamente, dopotutto non potrà andare così male.
Quante persone si ripetono questa frase nella testa per autoconvincersi che andrà davvero tutto bene? Probabilmente tutte.
Ero davanti la mia scuola, il mio inferno personale, e mi ero ripetuta questa frase talmente tante volte che ormai mi appariva del tutto priva di significato.
Pensare che potesse andare bene era solo un'illusione.
Ma del resto sono una guerriera, avrei affrontato anche questo.


Nota autrice: Buonasera a tutti! Questa è la prima volta che pubblico una storia su efp e ringrazio chiunque sia arrivato fino e qui e abbia anche solo letto la mia storia. Grazie infinite, davvero.
Ci terrei davvero tanto a sentire il vostro parere, che sia positivo o negativo, e migliorarmi. Ve ne sarei davvero riconoscente.
In caso contrario, mi fa comunque piacere che siate passati. 
D. 

 
   
 
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