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Autore: give_me_love    16/10/2015    1 recensioni
Gli opposti si attraggono, si cercano, si completano, si amano perché si donano reciprocamente quello che individualmente non hanno e rappresentano anche un'attrattiva di reciproca curiosità.
(Beniamino Joppolo, La nuvola verde, 1983)
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Nuova generazione di Semidei, Quasi tutti, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La professoressa di chimica parlava come al solito delle sue noiossissime vacanze estive, rivelando cose come il foruncolo spuntato sulla testa del padre. Lo trovai disgustoso.
Odiavo avere chimica all'ultima ora, non tanto per la materia quanto per l'insegnante. 
Era una donna sulla quarantina, bassa e robusta. Portava quasi sempre i capelli marroni pieni di nodi in una coda di cavallo, con un ciuffo che le ricadeva sugli occhiali tondi e neri. 
Non aveva figli e non era sposata, e non faceva altro che dirlo durante la lezione, lamentandosi di ogni singolo particolare della sua vita per la metà dell'ora. 
Sapevo perché faceva così, l'avevo studiato in psicologia, ma odiavo questo comportamento. 
Venivo a scuola per imparare, non per ascoltare gli aneddoti della mia prof. 
Molti, a dire il vero, avrei preferito non saperli. 
«Quella donna è una palla.» bonfonchiò Travis Stoll, un ragazzo che portava una zazzera castana davanti agli occhi e dai lineamenti elfici. Era uno dei miei migliori amici.
Quel giorno si era seduto al banco accanto al mio, a mio rischio e pericolo.
Travis era simpatico e divertente, per carità, ma aveva un difetto: era un po' troppo cleptomane.
Avevi dei dollari in tasca e dovevi comprarti la merenda? Se lui era nei paraggi non avevi nè i soldi, nè la merenda.
Non si prendeva neanche la briga di restituirteli in seguito o di farti trovare da mangiare. 
Anzi, se vedeva qualcosa che gli piaceva particolarmente la prendeva anche se prima aveva mangiato un panino abbastanza grande con tonno e maionese. 
E, per la cronaca, lo mangiava quasi sempre.
«Che schifo! Hai sentito, Will? Ha mangiato delle lumache.» continuò, mimando una scena di vomito.
Quel ragazzo faceva morire dalle risate.
«Fino a prova contraria non è sordo, Stoll. Zitto, stai rovinando una lezione.» Travis venne brutalmente rimproverato da Malcom, uno degli studenti più bravi in tutta la scuola.
Era l'unico che ascoltava ogni singola parola dell'insegnante di chimica anche se, per la stragrande maggioranza dei casi, non era per niente inerente alla lezione. 
Frequentava quasi tutti i miei corsi ed era eccellente in ogni materia, al contrario mio che me la cavavo solo in arte e in ogni materia scientifica.
Mentre Travis iniziava a dare fastidio insistentemente a Malcom, Appoggiai la testa all finestra e, con la mia penna arancione forforescente, presi a disegnare sul suo foglio per appunti.
Il ticchettio della pioggia suonava fastidioso alle mie orecchie, facendomi rimpiangere l'estate.
Era la mia stagione preferita.
Mi mancava sentire il calore del sole sulla mia pelle abbronzata, il sapore dell'acqua salata sulle labbra e il tempo passato a divertirmi.
«E adesso vi presento Nico Di Angelo.» disse con il suo fastidiossissimo tono squillante. «C'è un banco davanti al biondo laggiù.»
A quel punto, alzai gli occhi.  
Per quella professoressa non ero Will Solace, ero il biondino. Non si ricordava mai il nome degli studenti, o meglio, faceva finta di non ricordarlo.
Un ragazzo mingherlino, dai capelli corvini e mossi e dagli occhi scuri, si faceva strada tra i banchi.
Indossava un giubbotto da aviatore e dei jeans neri. 
Era il mio esatto contrario, che avevo i capelli biondi e ricci e gli occhi azzurri.
Lui sembrava freddo e distaccato, io invece anche fin troppo disponibile e solare.
Non sapevo perchè, ma quel Nico mi incuriosiva parecchio.
La professoressa prese a parlare della sua materia e io, che avevo perso ormai ogni interesse, picchiettai la spalla del nuovo arrivato con la penna. 
«Benvenuto.» gli dissi, sfoggiandogli un sorriso. «Io sono Will Solace.»
-
“Died last night in my dream…” 
*La canzone di Adam Lambert rimbombava nelle Quattro mura della mia camera, arredata soprattutto con poster di band rock e personaggi del mio libro preferito “storie dell’orrore”. 
Sembrava tutto un insieme di una serie Tv, legno malridotto e cigolante con vestiti sporchi a destra e a sinistra, vigorosamente neri –non che siano sporchi al tal punto di essere neri- ma preferivo vestirmi così. 
Jeans stretti, magliette abbastanza larghe per il fisico asciutto e ossuto, Converse All stars nere (ovviamente) e una giacca da aviatore abbastanza malconcia per tutte quelle volte che l’avevo messa. Anche quella mattina quello sarebbe stato il mio look. Non che mi importasse di essere vestito decentemente per il branco di scimmioni che avrei incontrato nella mia nuova scuola. Si. Avrei cambiato scuola, di nuovo. 
“Walking the streets…”
Passavo da un luogo all’altro senza mai fermarmi, Italia (paese di origine di mia madre), poi Las Vegas dove io e mia sorella Bianca siamo restati lì per un po’ e dopo Los Angeles, dove mio padre Adelaido (preferisce farsi chiamare Ade), aveva un lavoro presso…un coso cososo per fare i film, credo. Ora eravamo lì, nella grande mela. I miei genitori avevano preparato tutto il programma, in inverno avrei frequentato una stupida scuola e in estate uno STUPIDO campo, il campo mezzosangue. Che nome idiota.
“Of some old ghost town…” 
I passi di mia madre contro le scale di marmo bianco ronzavano nella mia testa, per non tralasciare il suo urlo di prima mattina “Nico, svegliati, sono le dodici e mezza. Dovresti sbrigarti per andare a scuola, ti accompagno io!”. Affondai la testa nel cuscino, scacciando fuori un urlo tormentato, okay. Potevo farcela come avevo fatto le atre volte.
(…) 
Il mio umore era come il clima, piovoso. Mentre nostra madre ci lasciava davanti all’ingresso della scuola ci diede due moduli da consegnare in segreteria per poter entrare più tardi. Sempre la solita storia. Con bianca che aveva in mano il suo ombrello con i procioni, io passavo sotto la chioma degli alberi con le mani nella tasche della giacca di pelle marrone. La tracolla mi scendeva lungo il fianco, fin sopra alla coscia mentre saltavo tra una pozzanghera e l’altra facendo intravedere la mia pelle biancastra e i lineamenti ben visibili per la mancanza di peso. Si, ero abbastanza magro, ma non anoressico, stavo bene con il mio corpo. Capelli corvini e occhi scuri come le ombre…
Riuscii dopo varie peripezie a trovare la mia aula, io e Bianca avevamo lezioni totalmente diverse. Chimica. Entrai nell’aula con sguardo alto, quasi con fare superiore, piazzandomi di fianco ad una donna che sembrava più un troll che un essere umano con la sua voce strillante da venditrice di tappeti persiani. Gli mancava solo il turbante. 
Con delle rapide occhiate scrutai in generale la classe, con fare freddo e distaccato –tirando qualche occhiataccia ad alcuni- mentre un mormorio riempì l’aula. 
Quando il troll mi indicò il mio posto, scrutai attentamente il ragazzo. Capelli ricci e biondi, occhi azzurri, uno spruzzo di lentiggini qua e là e un colorito piuttosto abbronzato per la stagione. Facendo cigolare le scarpe bagnate sul pavimento andai a sedermi sullo sgabello del bancone di chimica. Presi i miei libri dalla tracolla e li buttai sul banco in modo goffo, facendo rimbombare il rumore per tutta l’aula. Con fare distratto cercai di ascoltare la lezione, si parlava della…tavola perpendicolare o cose così. O era quella parallela? Bah, la chimica. 
Un ticchettio disturbò la mia “concentrazione”, poi sentì una voce chiamarmi. Doveva essere il biondino. Will Solace aveva detto. Senza voltarmi gli risposi:
<
Dissi con fare annoiato, mostrandogli un solo dito.
-
«E a me non interessa» si limitò a rispondermi il moro.
Non era la risposta che io avrei voluto, anche se un po' se l'aspettava a causa del suo atteggiamento freddo e distaccato.
Ci tenevo a diventare suo amico, nonostante non potessi essere quello di tutti, faceva parte del mio carattere e ci sarei riuscito. O almeno, ci avrei provato.
«Hai origini italiane?» gli domandai, senza ricevere alcuna risposta.
«Come ti sembra la lezione?» ancora nulla.
«Hai un bel nome.»             
Al terzo tentativo, ricevetti una seconda volta il dito medio dal ragazzo. 
Sospirai, appoggiando la testa alla finestra. 
La pioggia continuava a scendere senza interrompersi, cosa che mi fece formare una smorfia di disgusto e di terrore; avevo paura dei tuoni che avevano iniziato a manifestarsi come ripetuti colpi secchi e forti.
Mi sarei volentieri messo ad urlare o a nascondere sotto il banco, ma non volevo fare la figura dell'idiota davanti a tutti, Nico compreso.
Estrassi quindi il cellulare dalla tasca dei jeans e ci infilai le cuffie, sobbalzando leggermente appena sentii nuovamente un tuono.
Amavo la musica e aveva una playlist per ogni momento: una per le giornate al mare, una per quando ero particolarmente felice, una per quando era triste, una per quando mi annoiavo, una per quando tiravo le frecce e una per quando c'erano i tuoni.
Quest'ultima era interamente composta da canzoni forti, dove i cantanti urlavano a squarciagola per ogni parola. 
Era un ottimo metodo. 
Premetti il dito sulla canzone Die, Die My Darling dei Metallica e, quando iniziò, sentii ogni muscolo del mio corpo iniziare a rilassarsi.
"Die, die, die my darling"
Abbassai lo sguardo sul suo orologio, notando che mancavano venti minuti al suono della campanella.
Non mi preoccupai perciò di non sentire quella spiegazione, di qualsiasi cosa essa si trattava.
Mio padre era bravo in materia e, se fosse riuscito a trovare del tempo per me, magari avrebbe anche potuto spiegarmelo una seconda volta.
La professoressa di chimica non si accorse di niente, cosa che non mi sorprese affatto.
Non era la prima volta che lo facevo.
"Don't utter a single word"
Decisi di ammazzare il tempo disegnando ed estrasse così le sue penne dai colori forforescenti e glitterate.
Quelle penne erano odiate tantissimo dai miei amici, le consideravano 'acceccanti'.
La concentrazione sul disegno venne interrotta da una pallina di carta che mi colpì la testa, facendomi girare verso Travis.
Faceva sempre così quando non lo degnavo di un'attenzione, che fosse fatto apposta oppure no.
Sussurrò di aprire il foglio e così feci, leggendo in seguito tutto un piano elaborato perfettamente per uno scherzo ai ragazzi più grandi della scuola.
Alla fine del foglio c'erano le firme di Leo Valdez, Travis e Connor Stoll, Jason Grace, Percy e Noah Jackson, Jake Mason e Zoey Tolomei.
In pratica, tutti i componenti del nostro gruppo di scherzi, fatta eccezione per me e mia sorella Erin a cui il foglio dovevo poi passare.
Scrissi il suo nome con una delle penne colorate e lo porsi  al legittimo propretario, togliendomi poi le cuffie con la speranza che i tuoni fossero finiti.
«La firma obesa di Will...» osservò Travis. «Non lo so, vuoi un altro foglio? Un muro? Una muraglia cinese dove scrivere comodamente il tuo nome composto da quattro fottutissime lettere, Will?»
Il giovane Stoll non era conosciuto certo come il ragazzo dalla vocina soave e quasi tutta la classe si voltò verso di noi, ridendo per ciò che era stato appena proclamato apertamente. 
«Sei un idiota, Solace.» sentenziò una voce fredda e pacata, facendomi quasi venire i brividi. 
Nico Di Angelo si era finalmente voltato verso di me, per insultarmi.
Era già un passo avanti e, avrei potuto giurare, rideva sotto i baffi.

Quanto poteva essere idiota una persona? Molto, a dire la verità, William Solace e il suo gruppetto di idioti ne erano la prova. Erano l’idiozia umana concentrata in un solo gruppo di persone.
Con gli occhi corvini puntati sui suoi, scossi il capo con disapprovazione facendomi uscire dalle labbra semi-aperte dei lievi sbuffi d’aria irregolari. 
Gli rubai sotto i suoi occhi uno di quei /stupidi/ pennarellini e mi voltai. Ovviamente fu color crepuscolo. Aprii il libro di chimica ancora incelofanato, mentre l’odore di libro nuovo mi pervase le narici facendomi fare una smorfia di disgusto. Decorai l’intera copertina con teschi e faccine poco rassicuranti, inserendo citazioni delle due mie canzoni preferite che sovrastarono la voce della professoressa (o anche detta arpia).
“When your dreams all fail and the ones we hail…”
Snobbai i suoi tentativi di riprendersi il pennarello, osservando la sua faccia ogni volta che un tuono lampeggiava nel cielo semi-buio, sogghignando sotto i baffi. 
“Oltre ad essere idiota è anche un codardo”, pensai, alzandomi dal mio posto e uscendo fuori dall’aula sotto gli occhi di tutta la classe. Gettai il pennarello vicino all’uscio della porta, imprecando rumorosamente. Perché? Per il gusto di farlo. Dietro le mie spalle l’arpia iniziò a urlare “DI ANGELO! DOVE STAI ANDANDO?!”.
Perché questa improvvisa uscita teatrale? Beh, la noia. Non ero un tipo che seguiva alla retta le regole, anzi, non le seguivo affatto. Non mi importava cosa pensava la gente di me. Non mi era mai importato, in realtà. “Nico? Il tizio emo?” o anche “Il ragazzo che fa le cose sporche su mortporn invece che youporn?”, cose del tutto normali. No?
Entrai nel bagno maschile, aspettando pazientemente la fine delle lezioni.



Angolo autrice.
Salve!
Io sono Gaya e ho scritto questa storia insieme al mio migliore amico, Alessandro.
Ci siamo divisi i ruoli, io scrivo dal punto di vista di Will e lui dal punto di vista di Nico.
Potete trovare questa fan fiction anche su wattpad, basta scrivere il titolo oppure "cromo_" il nome utente di Ale.
E niente, spero che vi sia piaciuta.
Fateci sapere cosa ne pensate.
A presto,
give_me_love.

  
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