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Autore: L u x    16/10/2015    2 recensioni
Dal testo:
Quel sorriso fu come un insieme di aghi che si conficcavano nella pelle e l'attraversavano fino a squarciargli il cuore.
[Malec post CoLS]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA:Un'altra Malec, angst o almeno ci ho provato perché il finale dei Malec in Città delle anime perdute mi ha distrutta.


Era passata più o meno una settimana da quando Alec aveva raccattato le sue ultime cose dal loft di Magnus, dopo che quest'ultimo l'aveva lasciato senza pensarci due volte.
Alec aveva il cuore spezzato in due, tre, quattro ed infiniti pezzi, come quando cade un vaso di ceramica o un bicchiere di vetro: raccogli i cocci più grandi sperando di rimetterli insieme, ma ci sarà sempre un pezzo mancante che non li farà combaciare alla perfezione.
La cosa più frustante, forse, è che non esiste nessuna cura, nessuna runa per i cuori infranti; devi, semplicemente, sopportare il dolore costante nel petto, il macigno sopra i polmoni che ti impedisce di respirare, il nodo alla gola che ti vieta di parlare, di urlare e anche di piangere.
Alec non usciva dalla sua stanza da quella stessa sera che voleva solo poter dimenticare in fretta, voleva che non fosse mai esistita. Non mangiava, come se così facendo potesse risolversi qualcosa, e non riusciva nemmeno a fare quello che aveva sempre fatto fin da bambino: combattere. 
La forza nelle gambe era inesistente, la voglia di vivere sembrava essergli scivolata via dal corpo come sabbia dalle mani, il sangue gli si era raggelato nelle vene.
Le guance gli bruciavano per i pianti incessanti che ogni sera accompagnavano il suo riposo, come se da quegli occhi arrossati uscissero lacrime di fuoco, e le labbra erano screpolate, mordicchiate, corrose.
Mentre ordinava i libri sul comodino, gliene sfuggì di mano uno e si aprì, lasciando scivolare fuori una foto.
Alec si abbassò sulle ginocchia per riprendere il libro, ma quando i suoi occhi videro quale foto era nascosta al suo interno, iniziarono a diventare lucidi e il suo corpo si abbandonò al pavimento: era una foto che ritraeva lui e Magnus, scattata dalla polaroid dello stregone, ed entrambi sorridevano felici.
Quel sorriso fu come un insieme di aghi che si conficcavano nella pelle e l'attraversavano fino a squarciargli il cuore.
La prese tra le mani, tremanti, e la osservò da vicino, cogliendo ogni piccolo particolare che in un altro momento gli sarebbe sfuggito.
Ricordò le sue parole quando gli chiese cos' era quell'aggeggio:

"È una polaroid, una fotocamera che scatta foto istantanee! Guarda!"
Lo stregone gli scattò velocemente una foto di nascosto, sotto lo sguardo scocciato di Alec.
Sbuffò.
"Magnus, smettila e facciamo una foto seria insieme, in modo tale che quando saremo lontani o io andrò in battaglia e mi mancherai, la guarderò e mi mancherai di meno. Mi ricorderò per quale motivo devo sempre tornare vivo da ogni battaglia e chi mi aspetta a casa."


In quel momento, però, non gli mancava di meno, gli mancava troppo. Troppo per vivere.
In quel momento, nessuno lo avrebbe aspettato sul ciglio della porta.
Una goccia cadde sulla foto, fino ad espandersi su tutta la superficie liscia, e Alec capì di star piangendo di nuovo, il respiro stava tornando ad essere affannoso, il suo corpo vittima di spasmi e singhiozzi.
Diede un calcio al comodino, così forte da farlo rovesciare e far rompere l' abat-jour in mille pezzi, ferendosi la mano che venne intaccata da schegge di vetro. Sgorgava sangue, che di solito puliva sul pantalone nero - per lui era una cosa di tutti giorni ferirsi-, ma stavolta non lo fece e lasciò che il sangue cadesse sul pavimento, come se in quel modo potesse alleviare il dolore che portava nel petto.
Sentì il rumore della finestra aprirsi dietro le sue spalle, ma non si voltò come di solito avrebbe fatto per difendersi da un eventuale pericolo.
Al contrario, si immobilizzò sul posto, avvertendo subito un profumo familiare, un profumo di sandalo, di uomo. 
Era Magnus.
Si alzò di scatto, asciugò le lacrime che continuavano comunque a scendere, sfuggite al suo controllo, e nascose la foto nel libro che chiuse con un tonfo. Magnus si avvicinò a lui e si abbassò per aiutarlo. 
Anche se Alec non lo stava guardando negli occhi, Magnus sapeva che stava piangendo per colpa sua, perché aveva il respiro convulso di chi è in cerca di aria. Quella vicinanza fece rompere qualcosa nel petto del cacciatore, forse l'ultimo e unico frammento di un cuore ormai infranto.
Gli occhi felini di Magnus si spalancarono quando vide la mano di Alec che, nonostante fosse insanguinata, stava ancora rccogliendo i cocci dell'abat-jour, procurandosi ulteriore dolore.
Fece per prendergliela, ma Alec fu più veloce e lo scansò con bruschezza.
Lo stregone rimase con la mano sospesa a mezz'aria e l'unica cosa che riuscì a fare fu chiamarlo come solo a lui Alec aveva dato il consenso, la voce ridotta ad un sussurro.
«Alexander...»
Lo vide trasalire e avvicinarsi alla porta della sua camera; stava cercando una via di fuga, voleva scappare da lui. Sapeva quanto fosse dura stare nella stessa stanza a pochi centimetri dall'altro, ma a chilometri di distanza, perché era dura anche per lui, nonostante fosse stata sua la scelta di lasciarlo andare. 
«Alexander.» Lo chiamò di nuovo, stavolta con voce alta e ferma.
Alec aveva appoggiato la mano sulla maniglia e stava per girarla, ma quando sentì la voce di Magnus si strinse nelle spalle come se avesse paura. 
Lo stregone stava per avvicinarsi, ma la voce di Alec lo congelò sul posto.
«Magnus, non ti avvicinare.» 
Sapeva quanto Alec fosse orgoglioso e quanto quelle parole fosse dettate da nient'altro che quell'orgoglio, ma gli fecero male comunque, gli trafissero il cuore quasi come lo fece il pugnale di Amatis in battaglia, soltanto molto più forte.
«Alec, ascoltami--» La voce di Magnus si spezzò insieme al suo frammento di cuore.
«Magnus, non voglio sentirti, ti prego.»
Perché lo pregava, se era stato lui ad averlo ridotto così? 
«Aku cinta kamu.» Disse velocemente Magnus, con una spontaneità che meravigliò anche lui. Tre parole di cui solo loro due conoscevano il significato.
«Sei venuto qui per dirmelo e poi lasciarmi di nuovo? L'ho capito e, onestamente? Puoi risparmiartelo.» Disse Alec con la voce più tagliente che aveva, senza neanche girarsi verso di lui. 
Se l'avesse guardato anche solo per un istante sarebbe corso tra le sue braccia, senza pensarci neanche una volta.
«Sono venuto qui per dirtelo, sì, è vero. Ma stavolta è diverso.»
Magnus si avvicinò a lui, senza farsi sentire.
«Diverso?! Magnus, risparmia il fiato e vattene adesso.» Alec venne interrotto ancora una volta; sentì la voce dello stregone più vicina e capì che si era pericolosamente avvicinato, quindi si voltò verso di lui e si appiattì contro la porta dietro la sua schiena, respirando a fatica come se l'ossigeno stesse iniziando ad esaurirsi in quella stanza. Continuò a non guardare quegli occhi che amava ancora.
Magnus sospirò pesantemente.
«È diverso perché stavolta non ti lascio. Stavolta e tutte le altre volte che ci saranno finché saremo ancora in vita. Non ti lascerò mai più, Alexander.»
Alec rimase impietrito, forse per un secondo aveva anche trattenuto involontariamente il fiato, ma sentì che lentamente il suo cuore iniziava a ricomporsi, i suoi polmoni ritornare a respirare, a vivere. 
Magnus lo abbracciò, forte, come se non aspettasse altro che quello, e Alec si strinse contro di lui con tutta la forza possibile, nascondendo il viso nel suo petto e respirando il suo profumo. In quel preciso istante realizzò che una cura a tutto quel male c'era, ma non era una medicina, né una runa: era il suo Magnus.
   
 
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