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Autore: Aru_chan98    16/10/2015    1 recensioni
Una song fic che parla del sogno di due ragazzi, irraggiungibile da uno di loro, ma che per essere realizzato costerà qualcosa di molto prezioso, il tutto nella cornice del 1943
Genere: Angst, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alice nella stanza chiusa restava
Senza sorridere più
Le sembrava mancare da sempre qualcosa
Per sentirsi speciale
 
“Sigh” sospirò Arthur per l’ennesima volta, gettando un’altra occhiata al salotto vuoto della sua casa: stava aspettando che arrivasse la sera, quando il suo migliore amico sarebbe passato a trovarlo, dopo aver aiutato i suoi genitori nella bottega di famiglia. La guerra stava prendendo una brutta piega ormai e la maggior parte dei ragazzi veniva richiamata per il servizio di leva. Ma Arthur era sempre stato cagionevole di salute e per questo non era stato ammesso nell’esercito. Si sentiva solo, perché c’erano sempre meno ragazzi della sua età in giro e, non essendo molto bravo con le ragazze, aveva sempre meno compagnia. L’unico amico che gli restava era un ragazzo che aveva all’incirca la sua stessa età che viveva non molto lontano da casa sua. Il suo nome era Alfred Jones. I due erano amici d’infanzia e avevano passato praticamente tutta la vita insieme. Aveva persino fatto progetti per il futuro: entrambi sognavano di diventare piloti e di servire il loro paese come meglio potevano. Ma le cose non erano andate così: quando finalmente arrivarono all’età necessaria per cominciare l’addestramento, il più grande dei due fu considerato non idoneo entrare nel corso, così anche Alfred decise di rinunciare a quel sogno, tutto per non abbandonare il suo più caro amico. “Sigh” sospirò ancora il biondo, mettendo via il libro che stava leggendo: era da giorni che si sentiva triste, come se gli mancasse qualcosa e sapeva bene cos’era. Aveva paura di essere un peso, che il suo unico amico si stancasse di lui e se ne andasse, ma era anche rattristato di non poter realizzare il suo sogno, ne fare niente per contribuire alla conclusione della guerra che infuriava da tre anni. Che cosa avrebbe potuto fare nelle condizioni in cui si trovava? E perciò non faceva che passare il tempo che non trascorreva a scuola a leggere e sospirare.

Il ragazzo dagli occhi di perla indagava
Senza capire perché
Così un giorno le disse, dritto negli occhi
“Dimmi che posso fare”
“Guarda nel blu e arriva lassù
E portami un grammo di nuvole”
Lui mise due ali sotto le mani
“Tornerò con quello che vuoi tu”
 
Alfred aveva visto Arthur dalla finestra e l’aveva visto sospirare di nuovo. Da giorni lo faceva, settimane addirittura e non sapeva che cosa pensare: anche se lo conosceva bene, spesso l’amico non gli parlava di ciò che gli passava per la mente. “Ehy, ciao Art, sono a casa” esclamò una volta varcata la soglia dell’abitazione. Ad accoglierlo arrivo la gatta di Arthur, Minerva, che lo salutò strusciandosi sulle sue gambe. “Arthur, va tutto bene?” gli chiese, entrando nel salotto: l’amico guardava fuori dalla finestra, con uno sguardo assente, perso in chissà quale pensiero e non si era minimamente reso conto della presenza del ragazzo. Si riscosse solo quando Alfred gli sventolò una mano davanti agli occhi. “Ah… ciao Al. Scusa, non ti ho sentito entrare” gli disse, con un attimo di smarrimento. “Che succede?” gli chiese Alfred e l’amico gli rispose che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi di nulla, ma il più giovane non se la bevve affatto: aveva capito che qualcosa non andava, ma non riusciva a capire cosa. Mise le mani sui braccioli della sedia di Arthur, bloccandolo e, guardandolo dritto negli occhi gli disse “Si vede lontano un miglio che qualcosa non va. Ti prego, dimmi che posso fare? Mi fa male vederti così triste”. Il biondo lo guardò per un qualche secondo prima di distogliere lo sguardo, sentendo lo stomaco stringersi per la serietà così insolita per quegli occhi blu.”Sto pensando al nostro sogno” disse piano, sempre senza guardarlo “A quanto sarebbe bello poterlo vivere adesso, invece che stare qui, giorno dopo giorno. Lo so che è stata per causa mia che non sei entrato nell’aviazione, non sono stupido”. “Invece lo sei” disse l’altro, attirando gli occhi verdi dell’amico su di sé: aveva un’espressione molto seria. “Non lo capisci? Senza di te quel sogno non ha valore” gli disse, arrossendo: Alfred era innamorato di Arthur, ma non gliel’aveva mai detto per paura di rovinare la loro amicizia e perderlo. Il ’43 non era un bell’anno per innamorarsi, figuriamoci poi di una persona del proprio sesso. Il biondo sembrò non farci molto caso e gli disse “Alfred… Io vorrei che tu entrassi nell’aviazione. Fallo per me, te ne prego. Almeno tu, vola e magari un giorno riuscirai a portarmi un grammo di nuvole” sorridendo leggermente pronunciando l’ultima frase. Il più giovane rimase in silenzio per un po’, infine gli scompigliò i capelli e gli disse “Va bene, tornerò con quello che vuoi tu” ed era vero: per Arthur avrebbe fatto qualsiasi cosa.
 
La città si fece piccola
Infondo agli occhi suoi blu
Lei restò immobile a guardare
Dalla finestra sola e con un gatto blu
 
L’addestramento militare era cominciato da mesi e quel giorno Alfred avrebbe sostenuto l’esame per il brevetto da pilota. Era incredibilmente teso e le mani gli tremavano, ma quando l’aereo prese quota e il suo esame cominciò, si calmò del tutto, rapito dalle bellezze del cielo. Man mano che saliva la città si faceva sempre più piccola e le nuvole sempre più vicine “Di questo passo riuscirò sicuramente a prendere qualche nuvola” pensò Alfred, sorridendo e scrutando il suolo, alla ricerca della casa del suo amico, anche se da quell’altezza era praticamente impossibile stabilire quale fosse. Dal canto suo, Arthur stava alla finestra e osservava il cielo, chiedendosi come doveva essere volare lassù, in quello sconfinato spazio celeste. Minerva gli si strusciò sulle gambe e il biondo la prese in braccio, mentre lei faceva le fusa contenta. “Secondo te rimarremo solo io e te alla fine?” le chiese, ottenendo come risposta un semplice miagolio dalla gatta. Arthur si sentiva contento per Alfred e un enorme sorriso gli si disegno in volto quando vide un aereo sorvolare il cielo: era un aereo inglese, senza dubbio, e il pilota poteva essere il suo caro amico. Uno di loro era riuscito a diventare pilota finalmente e, quando quella sera Alfred tornò a casa, Arthur si congratulò calorosamente con lui, ridendo quando il più giovane lo aveva abbracciato forte dicendogli che era passato col massimo dei voti. Per festeggiare, quella sera andarono in giro per la città e Alfred comprò all’amico un mega zucchero filato dicendogli “Le nuvole lassù gli assomigliano, quindi vedi che alla fine ti ho portato una nuvola?”. Stavolta ad arrossire fu Arthur, per poi sorridergli con gioia e dirgli ringraziarlo di cuore.
 
Alice non era ancora felice
Voleva ancora di più
Il ragazzo dagli occhi di perla le disse
“Cos’altro potrei fare?”
“Guarda più in alto e arriva lassù
E portami un pezzo di blu”
Poi lui la guardò, le disse “Va bene
Tornerò con quello che vuoi tu”
 
Anche se il sogno di Alfred si era realizzato, Arthur non si sentiva ancora felice. Sentiva come se gli mancasse qualcosa, soprattutto da quando, a causa delle esercitazioni, l’amico non poteva più venire a trovarlo ogni giorno come prima. Gli mancava e sentiva che qualcosa non andava bene, solo che non capiva che cos’era, come se di punto in bianco volesse qualcosa di più dall’amico, ma cosa? E poi, era veramente di punto in bianco? E se fosse stato in realtà un desiderio nascosto, celato dalle sue insicurezze. Questi pensieri non lo lasciavano mai in pace, facendolo dubitare sulla vera natura del suo affetto per Alfred. Ma la sua vita venne scossa da una lettera, recapitatagli per sbaglio una mattina di Settembre: era una lettera indirizzata ad Alfred. Era stato assegnato ad una divisione aerea che sarebbe andata a combattere contro le forze dell’Asse di lì a qualche giorno. Quando la vide nella cassetta delle lettere, sgranò i suoi occhi verdi nell’incredulità più assoluta: in qualche giorno non avrebbe più potuto vedere Alfred per molto, molto tempo e forse anche mai più. Però capiva che il paese aveva bisogno di lui, quindi mise da parte i suoi desideri e quando, una sera, Alfred gli chiese “Perché sei ancora triste? Cos’altro potrei fare per farti sorridere di nuovo?” lui gli consegno quella lettera, trattenendo per sé quei sentimenti sconosciuti. L’espressione del più giovane cambiò mano a mano che ne leggeva il contenuto e alla fine, guardando Arthur negli occhi con una tristezza infinita, gli disse “Cosa dovrei fare?”. Arthur lo racchiuse tra le sue braccia, come a volerlo proteggere da tutto e gli disse “Vai, ma ti prego, torna da me”. Alfred annuì e appoggiò la sua testa sulla spalla dell’amico, abbandonandosi al senso di protezione e sicurezza che Arthur gli stava trasmettendo e, chiudendo gli occhi, disse piano “Lo farò”.
 
La città si fece piccola
Infondo agli occhi suoi blu
Lei restò immobile a guardare
Dalla finestra sola e con un gatto blu
 
Il giorno della partenza Alfred e Arthur si erano salutati con un abbraccio molto lungo, scambiandosi parole come “Abbia cura di te” “Mi mancherai” e “Ti voglio bene”. “Ricordati che per me sarai sempre la cosa più importante” gli disse Alfred, con uno sguardo molto dolce, anche se si capiva che era molto triste, e gli diede un gentile bacio sulla fronte. Dopodiché prese la sacca contenente le sue cose e si voltò, pronto ad uscire di casa e raggiungere i suoi compagni d’armi sul camion che era parcheggiato davanti al vialetto: aveva detto loro che voleva salutare un suo parente, quindi nessuno si era insospettito per quella lunga permanenza nella casa di Arthur da parte del loro compagno d’armi. Ancor prima di rendersi conto di cosa stesse facendo, Arthur afferrò l’amico per un polso, per poi arrossire e lasciarlo subito andare, non prima di aver detto un “Mi mancherai” a fil di voce.
Mentre era in volo sul suo aereo, Alfred scoppiò in lacrime: amava Arthur e aveva perso la sua occasione finale per dirglielo. Avrebbe voluto fare molte più cose con lui e, mentre la città diventava sempre più piccola, i ricordi che aveva con Arthur gli ritornavano alla mente, uno per uno, facendolo piangere di più. Mancò quasi il suo posto nella formazione aerea a causa della vista appannata. Arthur era crollato sulle sue ginocchia qualche minuto dopo che la porta si era chiusa e calde lacrime avevano cominciato a scorrere dai suoi occhi verdi, che ora portavano dentro di loro disperazione. Aveva un brutto presentimento a riguardo. “Miao” sentì e Minerva gli mise una delle sue zampette sull’avambraccio del padrone, tentando di consolarlo. Arthur gli accarezzò la testolina, ringraziandola, sforzandosi di sorridere, ma senza grandi risultati. Andò alla finestra e guardò al cielo e vedendo un aereo  volare lontano pensò “Torna presto da me”
 
Alice sorrise ma solo un minuto
Poi tutto tornò come prima
Manca sempre un minuto
Un sorriso infinito
Potrebbe accadere anche a te…
 
Erano passato due anni dalla partenza di Alfred per la guerra e ancora non era tornato. Un giorno Arthur stava ascoltando pigramente la radio, quando la trasmissione venne interrotta da un messaggio “Ci scusiamo per l’interruzione del programma, ma è di vitale importanza questo comunicato. La guerra è finita! Gli Alleati hanno vinto!”. Arthur gioì: la guerra era finita, Alfred sarebbe tornato presto. Così lo aspettò, giorno dopo giorno, ma dopo due mesi di attesa cominciò a perdere le speranze: perché ci metteva così tanto a tornare? Ritornò ad essere infelice, ma stavolta si accorse di cosa lo rendesse triste: gli mancava il suo sorriso infinito, i sui occhi blu, le giornate trascorse con lui. Gli mancava Alfred in poche parole. E mentre aspettava cominciava a sentirsi fortunato di avere tutti quei ricordi con sé, impaziente di crearne di nuovi in futuro. Ma ogni sua speranza venne infranta un dì di Novembre: Arthur sentì bussare alla sua porta e vi si precipitò ad aprire, convinto che fosse il suo caro amico. Eppure, quando aprì la porta, si ritrovò davanti un ragazzo che gli somigliava incredibilmente, ma non era lui, portava i capelli più lunghi, di colore più scuro e i suoi occhi avevano una sfumatura di blu più intenso. “È lei il signor Arthur Kirkland?” chiese, un po’ titubante. Arthur annuì e cominciò a temere il peggio, che venne confermato quando l’espressione del ragazzo sconosciuto si fece amara, dicendogli “Il mio nome è Matthew Williams ed ero incaricato delle comunicazioni con i nostri aerei. Ho un messaggio per voi da uno dei piloti, da Alfred F. Jones per essere precisi. Mi dispiace davvero tanto, ma non ce l’ha fatta”. Quelle parole entrarono in un orecchio di Arthur e gli uscirono dall’altro: non poteva crederci, non poteva essere vero, Alfred…. morto? Che assurdità stava dicendo quel soldato dall’aria tanto dispiaciuta? “Capisco” riuscì solo a rispondergli, una volta che il suo cervello ebbe registrato quella tremenda notizia: si sentiva sconvolto, ma non riusciva a fare niente, come se la sua mente si fosse staccata dal corpo nel vano tentativo di non provare dolore. Il giovane soldato gli porse una lettera e si congedò dicendogli “Se n’è andato da eroe, cercando di combattere meglio che poteva. Quando ha capito che non ce l’avrebbe fatta mi ha chiesto di scrivere un lettera: era per una persona a lui molto cara. Ho scritto tutto quello che mi è stato dettato, ma avrei preferito non fosse stato necessario”.
 
La città si fece piccola
Infondo agli occhi suoi blu
“Goodbye mia dolce meraviglia
Io volo più in alto del blu”
Lei restò per sempre lì a guardare
Dalla finestra sola con un gatto blu

Arthur si sedette sulla sua poltrona e aprì la busta: al suo interno c’erano trascritte solo poche righe, impresse sulla carta da una grafia molto aggraziata. “Mio caro Arthur, mi dispiace davvero tanto di aver infranto la mia promessa e di non poter tornare. La città nella quale vivevamo ormai è troppo piccola per essere vista da quassù e sento che potrei persino afferrare un pezzo di cielo. Ci sono molte cose che rimpiango, ma la più grande è il non averti mai detto quello che provavo per te finché ero in tempo. I love you, goodbye mia dolce meraviglia, io sto per volare più in alto del cielo”. Gli occhi di Arthur cominciarono a riempirsi di lacrime, che presto oltrepassarono il confine delle sue ciglia, cominciando a correre libere sulle sue guance: era tutto vero, Alfred non c’era più e quella verità era come una secchia d’acqua così gelida da avergli congelato il cuore in un colpo solo. Alzò gli occhi verso la finestra del soggiorno, puntando lo sguardo al cielo celeste e vide un aereo che volava lontano nel cielo: non si era reso conto di amare quel vivace ragazzo dal sorriso così bello finché non lo aveva perso per sempre. Ma anche se il cuore gli faceva male, non riuscì a smettere di guardare quell’aereo che volava, forse perché gli ricordava quando Alfred sorvolava il cielo inglese durante le esercitazioni, andando a trovarlo solo nelle sere. Minerva miagolò ai suoi piedi, preoccupata di vedere il padrone in quello stato. Il ragazzo la prese in braccio e si avvicinò alla finestra, scrutando il cielo, senza staccare gli occhi da quell’aereo. E così andò avanti a fare negli anni, anche quando Minerva morì, lasciandolo con i suoi cuccioli e i cuccioli dei suoi cuccioli: Arthur puntava sempre gli occhi al cielo da quella piccola finestra ogni volta che poteva, e restava fermo per interi minuti, a volte persino ore, scrutando il cielo alla ricerca dell’aereo che Alfred pilotava, ormai così distante da essere più in alto del blu più accecante.  



Piccolo Angolo dell'Autrice:
Ok, forse sono stata molto cattiva coi miei cuccioli XD Ascoltare una canzone random dall'mp3 e buttarci su una storia? Posso tranquillamente depennare anche questa dalla mia lista delle cose da fare XD La canzone che ho usato in questo caso è "Alice e il blu" di Annalisa Scarrone (Dio, amo quella canzone) Non so se sia scritta bene, ma spero vi sia piaciuta. Alla prossima :3
   
 
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