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Autore: norawasabi    18/10/2015    5 recensioni
Newtmas | AU | OOC
« Non voglio che tu te ne vada. »
« Succede, Tommy. »
« Non è giusto. »
« Non ho detto che lo sia. Abbiamo intenzione di fare i sentimentali tutta la serata? »
Thomas si alzò, dopodiché recuperò il suo zaino e si avviò verso la porta.
« No, se non è quello che vuoi. A domani. »
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Newt, Thomas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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In tanti sono convinti che la felicità, prima o poi, arrivi per tutti.
Non importa quanto tu stia soffrendo al momento, non importa quanto tu abbia sofferto in passato, ciò che conta è impegnarsi.
Impegnarsi ai limiti delle proprie capacità e sperare che, dopo aver sopportato tanto più dolore di quanto il proprio animo fosse in grado di sostenerne, la gratificazione sarebbe piombata dal cielo come se fosse un premio obbligatorio per coloro che hanno resistito fino a quel punto.

Thomas non ci credeva.
Poco a poco si rese conto che niente di tutto ciò che riguarda la vita fosse un “dai e ricevi”.
Anche se ci si sforza e si è convinti che dopo tutto l’impegno ci spetti di diritto la somma richiesta, a volte può capitare di ritrovarsi a mani vuote.

E così, Thomas aveva smesso di illudersi.


 
***
 

« Non sei solo, Thomas. Ci sono i tuoi genitori. »
Lui, prontamente, rispondeva con uno dei suoi migliori sorrisi alla signorina Wells, l’insegnante di letteratura, nonché unica persona ad aver avuto il privilegio di conoscere quel poco che Thomas mostrava di se stesso.
“I miei genitori? Vuole dire quei due farabutti che fanno finta che non esista da quando ne ho memoria?”
Ma questo, ovviamente, non poteva dirglielo.
Non avrebbe mai osato deludere l’unica persona che cercava di aiutarlo, malgrado non sapesse neanche la metà delle cose che c’erano da sapere su di lui.
A volte, Thomas dimenticava persino quale fosse il suo nome.
Nessuno si era mai impegnato nel ricordarlo, o quantomeno utilizzarlo al posto di qualche nomignolo irrimediabilmente stupido.
Per i professori, lui rappresentava uno dei tanti piccoli androidi che di lì a poco sarebbero usciti in serie da quella penosa scuola.
Loro lo chiamavano per cognome, e giorno dopo giorno si ritrovava a sorprendersi del fatto che non gli avessero ancora affibbiato un codice, o inserito un chip nel collo.
L’assenza di umanità nella scuola privata che frequentava era allarmante, per lui.
Non tanto per la serietà che aleggiava negli infiniti corridoi dell’edificio quanto per il fatto che nessuno si accorgesse che un sistema del genere non avrebbe mai funzionato.
A parte la signorina Wells, tutto il resto gli dava il voltastomaco.
Così come i suoi genitori che, non appena appresero che il loro ragazzo desiderava frequentare lo stesso liceo della cugina Brenda, gli risero in faccia ricordandogli per l’ennesima volta che le decisioni in casa non spettavano a lui.
In questo modo, Thomas si era trovato solo.
Di nuovo.
E nonostante cercasse di convincersi che ci si sarebbe potuto tranquillamente abituare, al contempo sapeva che avrebbe sofferto in eterno.
Non aveva idea di come funzionassero le relazioni interpersonali, né tantomeno cosa avrebbe dovuto fare per cominciarne una.
A meno che qualcuno, per caso, non avesse voluto farlo al posto suo.
E quel qualcuno arrivò, in un giorno piovoso come tanti altri.
Si chiamava Newt.



***


« Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? » domandò Thomas, cercando lo sguardo di Newt.
« Come potrei dimenticare, Tommy? Ora, se permetti, te la faccio io una domanda. »
Thomas annuì, entusiasta.
« Perché nell’ultimo periodo non fai altro che chiedermi se ricordo cose sul nostro passato? »
Non ci fu alcuna risposta.
Thomas si alzò dallo sgabello, si avvicinò al letto di Newt e gli porse il bicchiere d’acqua riposto sul tavolino. « Non bevi da un po’. Tieni. »
« Non ho sete, Tommy. Voglio che tu mi dica cosa ti prende. »
Thomas sapeva benissimo cosa rispondere, semplicemente non voleva farlo.
Che si trattasse di non voler rovinare uno degli ultimi momenti insieme o che si trattasse di puro e semplice egoismo, evitando di ammettere la verità a se stesso, Thomas non avrebbe comunque proferito parola a riguardo.
« Perché sono ricordi felici. » esordì con un sospiro.

“Stronzate. Non fai altro che riempirlo di stronzate.“

Newt stava morendo.
Stava morendo in una camera d’ospedale.
Thomas odiava quell’ambiente, eppure ci passava le giornate.
Thomas odiava le bugie, e in quel momento odiava anche se stesso.
« Ti amo. »
Quello no, non era falso.
« Ti amo anch’io, Tommy. »
Si sentì temporaneamente sollevato.
Poi percepì nuovamente il vuoto che l’accompagnava da mesi.

Newt stava morendo.
Di lì a poco non avrebbe più potuto amare.

“Ma io ti amerò per sempre.”

« A cosa stai pensando? » riprese Newt, dopo qualche minuto di pausa.
Thomas si voltò di scatto verso di lui, distogliendo lo sguardo dai meravigliosi fiori in un vaso blu.
Cominciò a stuzzicarsi le pellicine sulle dita e mordersi il labbro, picchiando nervosamente il piede sul pavimento.
Sospirò un paio di volte, sonoramente, mentre rifletteva.
La voce di Newt si affievoliva ogni giorno di più, quasi faceva fatica a pronunciare una sola parola.
Non udiva una sua risata da giorni, a malapena riusciva a godersi qualche sorriso.
Quelli, però, non avevano abbandonato il loro splendore.
Quando non era distrutto o assonnato, Newt gli regalava un sorriso.
E Thomas li catturava tutti, imprimendoli nella sua memoria.

Ecco il problema.

Spendere le giornate a rimpiangere i tempi passati piuttosto che godersi gli ultimi attimi nel presente lo aveva portato a diventarne dipendente.
Non riusciva ad assaporare una carezza senza ripensare ai momenti intimi, quando rimanevano stesi sul suo letto per ore a raccontarsi segreti mai rivelati, a scoprire l’uno il corpo dell’altro.
Ogni bacio stampato sulle labbra fredde e deboli di Newt lo riportava alle serate invernali trascorse nella baita in montagna, quando il camino non era sufficiente e facevano l’amore per riscaldarsi.
Thomas era convinto che fosse rimasto ancora qualcosa in Newt che moriva dalla voglia di essere svelato.
Non si smette mai di conoscere una persona, ma oramai non c’era più tempo per creare altri ricordi.
Doveva tenersi stretti quelli che già possedeva, ma nel farlo tralasciava qualcosa di importante.

Newt glielo aveva chiesto.

Aveva chiesto di non essere commiserato.

Aveva chiesto di non essere costretto a trascorrere i suoi ultimi giorni circondato dallo sconforto delle persone che amava.

Una delusione era l’unica cosa che probabilmente aveva ottenuto.

Newt voltò il capo dall’altra parte, abbandonando lo sguardo di Thomas.
« Okay, non c’è bisogno che tu risponda. »
« Newt… »
« So cosa stai per dire. Non voglio che tu lo faccia. »
Thomas si sedette sul bordo del letto, poggiando la mano su quella di Newt.
« Non ho intenzione di farti uno di quei discorsi per le persone malate di cancro. »
« Bene, perché non ti avrei ascoltato. »
« Secondo te sono così banale? »
« No, però so cosa pensi. »
« A cosa starei pensando? »
Newt tossì, poi si girò cercando di mettersi a sedere.
« Non a me, per cominciare. »
« Ti penso tutto il tempo, idiota. »
« Non in quel senso. Ti vedo distante, so che stai pensando agli anni passati. »
« Perché, tu non lo fai? »
« Ovvio. »
« E allora che c’è? »
« Vorrei che pensassi a me adesso, non ai ricordi che hai di me. »

Thomas non voleva ricordi così.

Thomas era codardo.

Thomas era egoista.

Thomas era umano.

« Al posto mio tu cosa faresti? »
« Non lo so. Non sono in vena di immaginarmi sano, sinceramente. »
« Non voglio che tu te ne vada. »
« Succede, Tommy. »
« Non è giusto. »
« Non ho detto che lo sia. Abbiamo intenzione di fare i sentimentali tutta la serata? »
Thomas si alzò, dopodiché recuperò il suo zaino e si avviò verso la porta.
« No, se non è quello che vuoi. A domani. »
Newt poggiò la schiena sui cuscini e chiuse gli occhi, come se non fosse interessato alla sua decisione.
Thomas uscì dall’ospedale e cominciò a correre verso casa sua, con la vista offuscata e gli occhi gonfi di lacrime.
 

« Non fare rumore, tuo padre dorme. »
La madre di Thomas era distesa sul divano, sorseggiava vino e sfogliava le pagine di uno dei suoi romanzetti rosa.
« Fottetevi entrambi. » esordì il ragazzo, asciugandosi le lacrime.
Prese a salire gli scalini due per volta, noncurante del fatto che il rumore dei suoi passi sul legno echeggiasse in tutta la casa.
Dopo essersi chiuso la porta della camera alle spalle, girò la chiave nella serratura per poi scagliarla contro il muro.
Si buttò sul letto e cominciò ad urlare come non aveva mai fatto.
E intanto fuori pioveva.
Pioveva come quel giorno di qualche anno prima che rese l’esistenza di Thomas degna di essere vissuta.
Prese il cuscino e lo premette sul viso, quasi come volesse soffocarsi.
Inspirò profondamente e il profumo di Newt gli inebriò i sensi.
Un solo pensiero occupava la sua mente.
Era riuscito a liberarsi del resto per potersi concentrare su Newt.
Il Newt del presente, il Newt sul letto di un ospedale, il Newt costantemente incazzato con chi prova pena per lui, il Newt che dimostra di aver accolto la malattia già tempo addietro, il Newt che solo Thomas riesce a comprendere fino in fondo.
Infatti lui lo sapeva.
Sapeva che non aveva accettato niente di tutto quello che gli capitava, così come non lo faceva lui.

“Newt.”

Una volta morto, gli sforzi che Thomas aveva fatto sarebbero morti con lui.
Tutto ciò in cui credeva sarebbe svanito nuovamente, riportandolo nel suo buco nero, nelle braccia della solitudine.

“Newt.”

È possibile che un vuoto colmato in precedenza torni a sussistere più forte di prima?
Thomas non voleva saperlo.
Thomas decise che, per un giorno, avrebbe cambiato le regole.
Voleva portare Newt sul tetto dell’ospedale.
Organizzò tutto per filo e per segno.
La notte seguente, lui e il suo ragazzo avrebbero avuto un appuntamento sulla montagna artificiale e, anziché osservare le stelle, si sarebbero accontentati delle luci della città.
Thomas conosceva alla perfezione i desideri bizzarri di Newt, e quello ne faceva parte.
Per quanto pazzo potesse sembrargli, lo avrebbe fatto.
Per lui.
Per loro.
 
Ma non sapeva che, dopo quella sera, non ne avrebbe più avuto la possibilità.
 
 
 
A/N
Ero sconvolta emotivamente e ho deciso di scrivere questo.
Di banalità ne abbiamo a sufficienza, ma almeno ho scaricato il disagio su un documento word.
Ho visto The Scorch Trials, tutto è partito dall’instabilità mentale che mi ha procurato quel film.
Wes vuole che muoro.
E vabbè, detto ciò vi saluto.
Grazie a chi leggerà e a chi recensirà.
Bacini e gattini
- Nora

 

   
 
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