Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Kary91    18/10/2015    2 recensioni
[Post-Saga|One-Shot|Gale e suo figlio Joel Jr.|Slice of Life]
Qual è la storia del mio nome?”
Il padre gli rivolse un’occhiata sorpresa.
“Ti chiami Joel perché era il nome di mio padre, pensavo lo sapessi” gli ricordò.
Il bambino si affrettò ad annuire.
“Sì, questo lo so bene. Però…” si strinse nelle spalle, tornando a fissare il quaderno con aria assorta. “… Mi hai detto che il tuo nome significa ‘vento forte’ e ‘burrasca’. Quelli degli zii hanno tutti un significato speciale. E il mio cosa significa?”
Si sistemò in ginocchio sulla sedia; la sua espressione, adesso, si era fatta incuriosita.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa storia è stata scritta per una sfida del Drabble Week-end con il prompt Daddy!Gale “Qual è la storia del mio nome, papa?” e per l’iniziativa Ready, Set, Prompt! con una citazione di Zafón segnata qui sotto come prompt. La storia partecipa anche alla challengeBanco di Prompt” indetta da Eireen_23, con il promptOrgoglio”.

 

Ogni tanto mi guardava brevemente e sorrideva. Io la osservavo di sottecchi e mi accorgevo che bastava guardarla e diventava meno difficile credere che forse restava qualcosa di buono e decente in questo schifo di mondo e, con un po’ di fortuna, anche in me.

C. R. Zafón.

 

 

La storia del tuo nome

collager

 

 

Papà?”

Joel sollevò lo sguardo dai compiti e indirizzò a Gale un’occhiata pensierosa. La maestra aveva chiesto a lui e ai suoi compagni di classe di descriversi in un tema e il bambino, un po’ riluttante, aveva incominciato a scrivere sotto lo sguardo vigile del padre. Quello era l’unico modo per convincere il ragazzino a fare i compiti. Non che fosse svogliato, anzi, il più delle volte era talmente obbediente da sembrare un piccolo adulto più che un bambino di sette anni. Le cose che diceva e le riflessioni in cui si perdeva di tanto in tanto, poi, erano talmente complesse e profonde da stranire Gale e le insegnanti del ragazzino. Era molto intelligente, Joel, forse troppo, ma con i compiti aveva sempre fatto fatica. Li trovava inutili o troppo semplici e l’unico modo in cui il padre riusciva a convincerlo a farli era sedendo accanto a lui e sorvegliandolo.

Gale ricambiò lo sguardo pensoso del bambino, prima di guardare il quaderno. Il bianco della pagina era stato riempito da un’unica frase, scritta in una calligrafia minuta e ordinata: mi chiamo Joel.

“Che cosa c’è, Joey?”

Il ragazzino si appoggiò la punta della penna sulle labbra, prima di aggrottare le sopracciglia.

“Qual è la storia del mio nome?”

Il padre gli rivolse un’occhiata sorpresa.

“Ti chiami Joel perché era il nome di mio padre, pensavo lo sapessi” gli ricordò.

Il bambino si affrettò ad annuire.

“Sì, questo lo so bene. Però…” si strinse nelle spalle, tornando a fissare il quaderno con aria assorta. “… Mi hai detto che il tuo nome significa ‘vento forte’ e ‘burrasca’. Quelli degli zii hanno tutti un significato speciale. E il mio cosa significa?”

Si sistemò in ginocchio sulla sedia; la sua espressione, adesso, si era fatta incuriosita.

Gale lo osservò per un po’, prima di abbozzare un mezzo sorriso. Gli piaceva vedere il figlio in atteggiamenti tipici dei ragazzini; in quei momenti era evidente che fosse ancora piccolo, a differenza di quelli in cui leggeva in silenzio in camera sua o si perdeva in riflessioni ì complicate.

“Joel è un nome particolare” rispose infine. “Significa ‘colui che ha forza di volontà’, qualcuno che è determinato a far accadere le cose. Joel è il nome di colui che guida gli altri, che li aiuta a vedere quello che da soli non riescono o hanno troppa paura di vedere.”

Lo sguardo del ragazzino si fece tutto a un tratto più luminoso.

“Che genere di cose?”

Il padre si strinse nelle spalle.

“Il valore delle persone, di qualsiasi persona” rispose poi, sforzandosi di trovare le parole adatte per spiegarsi. “La giustizia, la libertà.”

Il bambino rimuginò per un po’, rosicchiando il tappo della sua penna.

“Insomma, era il nome perfetto per nonno Joel” dichiarò dopo un po’, sorridendo orgoglioso. “Lui voleva che le persone potessero scegliere che lavoro fare da grandi, vero? E voleva che tutti avessero da mangiare, non come quando eri piccolo tu e certe persone morivano di fame.”

Il padre annuì.

“Esatto. Tuo nonno era una persona molto forte;  si è ribellato fino all’ultimo, perché ci teneva a fare il possibile per insegnare a me e ai tuoi zii che per essere liberi non basta aspettare: bisogna fare qualcosa.”

Lo sguardo dell’uomo si rabbuiò , mentre pronunciava quelle parole. Fin da ragazzo si era sforzato di seguire gli insegnamenti del padre, ma aveva fallito. Il troppo odio e la sete di ribellione avevano bruciato con violenza, sfuggendo al suo controllo. L’unica cosa di cui si sentiva orgoglioso, l’unica cosa davvero bella che aveva contribuito a far nascere, era seduta di fronte a lui. E lo fissava con fierezza, sorridendo al ricordo di un nonno che si chiamava come lui, ma che non aveva mai conosciuto.

“Che peccato che il nonno non abbia potuto vedere la fine della rivolta” commentò a quel punto il bambino, appoggiando una guancia al pugno chiuso. “Lo sai? Io credo che in qualche modo, però, abbia visto tutto, e che sia molto orgoglioso di te, perché è anche per quello che hai fatto tu che io adesso posso andare nei boschi quando voglio e dire che da grande voglio fare il pilota e non il muratore.”

Lo sguardo vivace del bambino incontrò quello improvvisamente turbato del padre.

Gale non disse nulla, ma qualcosa dentro di lui sprofondò; tutto a un tratto si sentì incapace di sostenere l’ammirazione che il figlio nutriva nei suoi confronti.

“Ho scelto un nome da quattro lettere per te…” proseguì a quel punto, per cercare di cambiare discorso. “… Perché tuo nonno avrebbe fatto lo stesso. Il quattro era il suo numero portafortuna e infatti ha avuto proprio quattro figli. Per questo, assieme a nonna Hazelle ha scelto per tutti noi nomi da quattro lettere.”

“Gale, Rory, Vick e Posy” snocciolò Joel, sorridendo sorpreso. “Ehi, è vero! Anche Prim ha quattro lettere” aggiunse, ripensando al nome della sua cuginetta, la figlia di Rory.

Il padre tornò a irrigidirsi e distolse lo sguardo. Joel, che se ne accorse, smise di sorridere. Si morse un labbro, sentendosi in colpa: suo padre non pronunciava mai il nome della nipotina. La sua difficoltà aveva a che fare con un’altra Prim, una bambina che – Joel lo sapeva – faceva visita agli incubi del papà diverse notti a settimana, facendolo agitare nel sonno.

“Ehi, papà…” mormorò a quel punto il ragazzino, scendendo dalla sedia. Circondò il collo del padre con le braccia e si lasciò prendere in braccio, affondando il volto nella sua maglietta come faceva quando era più piccolo. Sentì subito che i muscoli contratti del padre incominciavano a rilassarsi, mentre la mano dell’uomo gli arruffava con affetto i capelli.

“Papà, secondo te anch’io un giorno sarò forte come nonno Joel? Forte come dice il mio nome?”

Il padre annuì.

“Lo sei già, Joey” mormorò, appoggiando il mento sulla testa del figlioletto. Le ombre dentro i suoi occhi c’erano ancora, ma erano cadute in secondo piano, spinte lontano da una patina di affetto e orgoglio, prodotte dalla presenza del bambino.

Quando lo guardava così, di sottecchi, diventava meno difficile credere che forse restava qualcosa di buono e decente in quello schifo di mondo e, con un po’ di fortuna, anche in lui.

“Lo sei già.”

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Kary91