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Autore: Hades_sama    19/10/2015    3 recensioni
Spesso, passato e presente, così come la vita e la morte, sono collegati tra loro: questo è ciò che Mu scoprirà in una notte di fine maggio.
Dal testo:
"E lì il ragazzino capì il perché di tutto ciò, e una profonda angoscia assalì le giovani, troppo giovani membra. Così piccolo, e già così consapevole del suo destino.
Il ragazzino si portò le mani al petto, come a volersi proteggere da un invisibile quanto spaventoso nemico."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Aries Mu, Leo Aiolia, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fiori di Liquirizia'
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Questa è una storiellina che prevede un po’ di modifiche alla saga di Hades: innanzitutto il Dio non è morto, ma si è redento ed ha riportato in vita tutti i caduti della Guerra Sacra (non credo che Athena, per quanto sia una Dea, possa far resuscitare così facilmente la gente; credo che il Dio dell’Oltretomba sia più indicato).
Secondo: ricordo a tutti che i Gold non hanno mai visto nessun Dio, all’infuori di Athena.
Terzo: vi prego, perdonate il mio azzardo, ma un personaggio avrà l’aggiunta degli occhiali (sì; sono una maledettissima feticista degli occhiali! Mi piacciono gli uomini che hanno un aria colta. [Silvia, fatti curare!!! Sei proprio grave! XD]) se volete uccidermi, vi prego di farlo dopo che avrete letto… e mal che vada, se vedrò che è un vero e proprio scempio, lo farò ritornare normale, ovvero senza occhiali ç_ç
Quarto: qui i personaggi hanno le caratteristiche dell’anime… sennò il titolo, anzi, tutta la storia non avrebbe senso! XD

Grazie per avermi ascoltato e buona lettura^^

Fiori di Ciliegio

 

 

 

I frutti di pesco sono bramosi di cadere, ma i rami non li mollano.

Se tu hai il coraggio, raggiungili fino in cima all’albero.

Quelle pesce belle e rosse in effetti, non hanno un colore alla moda.

Se non ti ispirano, puoi fare a meno di mangiarle.

Se i frutti di pesco sono belli, è per un destino predeterminato da una vita precedente.

Se tu scegli una pesca acerba, sei ancora tanto immaturo.”

Da un canto tradizionale tibetano(1)

 

Il canto della donna si disperdeva nell’aria fredda e ricolma delle prime luci dell’alba, dalle tinte rosee e aranciate. Quel tipo di visione che solo dal monte Kangchenchagzhong, luogo più insidioso e impervio di tutto il Jamir, nel Tibet, si poteva godere. Le nuvole si tinsero delle tonalità del fuoco, accompagnando leggere e soffici quell’astro mattutino che dava la vita alla Terra. Nulla vi era di più dolce di quella visione surreale accompagnata dalle soavi note della delicata e melodiosa voce della madre.

Quel giorno la donna lemuriana aveva portato il figlioletto all’antico albero di pesco consacrato alle divinità e al Buddha: luogo più alto di tutto il monte, dove alla sommità vi cresceva l’albero divino. Quel tronco possente piantava le proprie robuste radici nel terreno, scavando nella roccia, per raggiungere la tenera terra e trovare in nutrimento che per millenni, da quando la loro razza fu costretta a discendere nella Terra, lo sosteneva. L’enorme pianta, alta quasi quanto una quercia secolare, sfoggiava con fierezza la propria folta chioma: le foglie di un bel verde oscillavano producendo un piacevole e soave fruscio, sospinte dal vento, mentre la giovane donna danzava e cantava davanti ad esso.

Il piccolo fanciullo, che l’aveva seguita senza commentare per quella ripida altura, la guardava con occhi grandi e ricolmi di meraviglie per quelle fluide quanto magnifiche movenze, che facevano sembrare la madre una fata oppure una driade dei boschi. Quella tunica lunga, morbida, di una calda tonalità arancio, si muoveva seguendo i passi leggeri della figura femminile, mentre i capelli, lunghi e sciolti, del colore della terra che nutriva quel magnifico pesco, accompagnavano ogni più piccolo quanto ricercato ondeggiare del capo. E quello scialle lasciato cadere sulle spalle, le conferiva un’aura angelica.

La donna continuava ad intonare il proprio canto, innalzando le mani al cielo e muovendo i piedi ed il corpo in una danza sensuale e studiata. Quel motivetto, che suonava così strano al bambino, gli fece volgere lo sguardo verso quel maestoso pesco: dai suoi grandi rami poté vedere delle enormi e magnifiche pesche, grandi quanto il pugno di un uomo adulto. Non aveva mai visto frutti così belli ed invitanti in tutti i suoi sei anni di vita.

La donna fermò improvvisamente la danza, esattamente dinnanzi al pesco sacro e al figlioletto, che ora rivolse tutta la sua attenzione agli occhi grandi e dalle iridi verdi inteso della madre. La donna sorrise, ma il bambino sapeva che non era vero. Difatti quelle grandi giade erano tristi. Tanto tristi.

“I frutti di pesco sono bramosi di cadere, ma i rami non li mollano.

Se tu hai il coraggio, raggiungili fino in cima all’albero.”

E lì il ragazzino capì il perché di tutto ciò, e una profonda angoscia assalì le giovani, troppo giovani membra. Così piccolo, e già così consapevole del suo destino.

Il ragazzino si portò le mani al petto, come a volersi proteggere da un invisibile quanto spaventoso nemico. Il piede sinistro si portò all’indietro, mentre tutto il corpo veniva sbilanciato verso il torace, in modo da stringersi nelle spalle e, forse, nel tentativo di scomparire. L’espressione colma di meraviglia che qualche istante prima gli illuminava il volto venne sostituita da una maschera di paura e timore. Gli occhi si piegarono in una forma quasi disperata, e la luce che aveva acceso le grandi pupille ora era divenuta un luccichio di preannuncio di amare lacrime. La bocca, prima illuminata da uno smagliante sorriso sprizzante gioia e gradimento, venne sigillato, ed i denti del fanciullo si contrassero tra loro in una chiara affermazione di rigetto e paura.

No, non voleva farlo!

“Quelle pesce belle e rosse in effetti, non hanno un colore alla moda.

Se non ti ispirano, puoi fare a meno di mangiarle.”

La donna comprese i sentimenti del figlio, e con gli occhi lucidi ed un dolce sorriso affettuoso sulle labbra allargò le braccia, invitando il bambino ad un ultimo, intenso e caldo abbraccio. Il fanciullo le si gettò alla gola, stringendo le piccole mani attorno al collo alto della tunica della madre, piangendo silenziosamente. Quelle piccole perle di cristallo intrise di tutti i sentimenti contrastanti che stavano sussultando nel cuore dei due giovani lemuriani scivolarono languide lungo le loro guance arrossate per il vento ed il freddo pungente, per poi spezzarsi contro il suolo roccioso.

Solo allora il bambino si accorse della presenza di un uomo dietro di loro. Le lacrime gli impedivano di poterlo vedere bene, ma notò immediatamente lo strano elmo dorato, con un paio di ali di drago sulla fronte.

Chi era? Come era arrivato?

Tutte domande a cui presto avrebbe trovato risposta.

“Se i frutti di pesco sono belli, è per un destino predeterminato da una vita precedente.”

La donna prese il viso del bambino tra le mani e lo guardo negli occhi, quegli stessi, magnifici occhi che entrambi condividevano e gli posò un affettuoso bacio sui piccoli segni scarlatti che portava sulla fronte, chiaro segno dell’appartenenza alla razza lemuriana. Poi portò lo sguardo al pesco sacro in una tacita richiesta.

Intanto, l’uomo misterioso continuava a fissare in silenzio.

Il fanciullo guardò prima il pesco divino, poi portò i suoi occhi gonfi di lacrime di crudele consapevolezza al volto della madre, ed infine ancora all’albero. Poi si voltò verso l’uomo, restando fermo, in attesa. La misteriosa figura gli sorrise e piegò la testa in avanti, in segno di incoraggiamento e assenso. Allora il bambino si fece coraggio e si separò dal caldo abbraccio materno, per dirigersi ai piedi dell’albero consacrato al Buddha. Sapeva cosa doveva fare; avrebbe colto una pesca, simbolo dell’immortalità e l’avrebbe offerta a sua madre.

Il ragazzino prese lo slancio e saltò sul tronco, reggendosi alla spessa corteccia della grande pianta. Con le piccole mani si aggrappò sui robusti rami, fino ad arrivare al centro della chioma. Da quella posizione poteva avere una buona visione di tutti i sacri frutti. Su quei rami vi erano pesche enormi: alcune dal colore rosso acceso, altre dalle tonalità più chiare, sfumate più scure verso il punto di attracco con il legno, ed ancora frutti dalle tinte gialle mischiate al rosa pallido. Altre erano grosse, belle succose, mentre altre ancora erano piccole e graziose. Il tutto accompagnato dei giochi di luce che le foglie e i rami creavano, rendendo quel luogo fresco, simile ad una piccola tana di lucciole.

Non aveva mai visto uno spettacolo simile.

Indugiò parecchio, e la sua piccola mano si protese verso una pesca rossa e tanto grossa che non avrebbe potuto essere contenuta in un suo pugno, poi la sua attenzione venne catturata da un frutto più piccolo, di un bel colore rosa sfumato di rosso, dalla pelle morbida come la lana dello scialle che la madre portava alle spalle.

Quando il bambino scese dal pesco, i due adulti lo fissavano con trepidante attesa. Il fanciullo si diresse verso la madre, timidamente, e tolse dalla piccola sacca che si era portato appresso, non senza un poco di vergogna, la sua scelta. La pesca risultava tanto piccola nella mano della madre che poteva essere paragonata ad un mandarino. Le gote del bambino si tinsero di uno strano rossore, mentre portava l’indice destro alla bocca. Alla fine, la sua scelta era stata mitigata dai sentimenti nutriti per la madre…

“Se tu scegli una pesca acerba, sei ancora tanto immaturo.”

La donna guardò il figlio con occhi tremanti, e gli sorrise. Portò alle labbra il frutto e gli diede un morso.

Era maturo; morbido, succoso e di un bel colore ambrato.

La donna guardò nuovamente il volto del proprio foglio, portandosi alla sua altezza; chiuse gli occhi, mostrando le sue lunghe ciglia, piegò leggermente il viso ed ampliò il sorriso. Aveva scelto bene.

Il viso del bimbo si illuminò consapevole di non aver commesso errori… e poi la sua felicità crollò improvvisamente. Il corpo della madre si stava dissolvendo in una nuvola di polvere dorata, come lo sgretolarsi di una stella. Nuove lacrime riempirono gli occhi del ragazzino, che si lanciò verso la donna, ma venne bloccato dalle braccia dell’uomo misterioso, che fino un istante prima stava osservando passivo la scena. Quei due smeraldi si illuminarono della luce scintillante che stava espandendosi dalla giovane, così come quelle perle che gli scendevano lungo le guance, molto spesso paragonate ai frutti del pesco. Il piccolo petto si alzava e i abbassava in maniera frenetica ed irregolare, mentre dalle labbra uscivano suoni e lamenti striduli e sconnessi. Il piccolo braccio destro si protese con prepotenza verso quelle gentili fattezze che stavano sempre più sbiadendosi, nel tentativo di raggiungerla; ma l’uomo lo bloccava energicamente, impedendogli di raggiungere la propria progenitrice. Rimaneva solo il viso. Le lacrime, così come gli scossoni ed i tentativi di liberarsi da parte del bambino divennero più violenti e spasmodici. Il dolore e la tristezza avevano completamente accecato il piccolo cuore del fanciullo. Quando anche il viso si dissolse, raggiungendo quella dorata polvere che si era innalzata via via nel cielo, il bambino tentò l’ultimo, disperato assalto, spingendosi con le gambe verso l’alto e alzando le braccia verso quella scia di piccole lucciole color dell’oro, consumando tutte le proprie energie per lanciando l’ultimo, faticoso e terribilmente doloroso richiamo:

«母亲 !!! (Mǔqīn(2)

*

Mü si svegliò di soprassalto. Gli occhi sgranati e il respiro accelerato ed affannoso. Il corpo, protetto solamente da un candido lenzuolo di lino, era totalmente ricoperto da piccole gocce di rugiada salata che impreziosivano i pettorali e i pronunciati muscoli addominali. Nonostante fosse ritornato in Grecia da qualche anno a difendere la propria casa zodiacale, la Casa del Montone Bianco, non si era ancora abituato al caldo di quella terra baciata dal Sole. Eppure non era ancora arrivata l’estate…

Non poteva credere a ciò che aveva appena ricordato. La morte di sua madre, dissoltasi come polvere di stelle: la stessa polvere che usava per i suoi attacchi e per riparare le Cloth, di cui lui sentiva i lamenti e la sofferenza. A questo pensiero, le membra ebbero un sussulto, ed il cuore gli ringhiò nel petto come a voler fuoriuscire dalla sua morbida e bianca carne. Quell’acuto e improvviso dolore… no! Non poteva ripensare al passato. Sua madre era morta, così come il suo maestro, che quel giorno gli aveva impedito con tanto ardore di raggiungere la progenitrice. Basta!

Mü si mise a sedere sul materasso, muovendosi convulsivamente, sollevando il ginocchio destro e portandosi le mani tremanti alla testa, incurvando la schiena verso il basso come a voler proteggersi da dolorosi e, purtroppo, ancor vividi ricordi. Doveva calmarsi; non poteva andare avanti trascinandosi il proprio passato. Avrebbe ottenuto solamente nuova sofferenza.

Quando il respiro si fu quietato e le membra smisero di tremare, Mü allentò la presa sulle tempie, facendo scivolare la lunga chioma fluente a coprire il volto. Mentre il braccio sinistro si appoggiava al morbido materasso, il gomito destro si puntellò sul ginocchio sollevato, facendo in modo che la mano si portasse sulla fronte, intrecciando le dita bianche con le ciocche di capelli. Il tutto accompagnato dal frinire delle cicale, canto di dolci innamorati, sotto la pallida e lattea luce lunare che permeava dalla finestra in pietra, unico accesso per l’alba della stanza. Mü si passò il palmo lungo tutto il cranio, portando i capelli che gli oscuravano ancora la vista all’indietro per poi farli scivolare delicatamente sulla spalla destra. Si guardò intorno, constatando quanto fosse claustrofobica la sua piccola camera di pietra. Non c’era molto al suo interno, il proprietario non era amante delle cose materiali; preferiva la concezione spirituale della vita. Vi era un piccolo scrittoio di legno antico con una sedia riposta ordinatamente sotto di esso, una mensola con pergamene e rotoli contenenti il sapere della sua razza quasi scomparsa, un grosso baule, con i suoi attrezzi e i componenti principali per la riparazione della Cloth. Una piccola sacca di tela era riposta al suo fianco, contenente i pochi averi del giovane tibetano. Un portone di legno scuro era situato di fronte al letto a due piazze su cui il Saint di Aries sedeva. La grande finestra, che dava sul colonnato esterno alla casa, era decorata con delle tende di leggero tessuto, di colore arancione. Quando il suo sguardo si soffermò su quel particolare, la mente tornò ai ricordi della madre, e della sua morbida tunica… NO!

Mü scosse energicamente la testa, come a voler scacciare quei maledetti pensieri. Sospirò sonoramente e gettò il lenzuolo di lino sul fondo del letto. La sua figura lineare e muscolosa per via del duro addestramento venne completamente avvolta dal chiarore lunare. Il giovane portò il piedi sul freddo marmo, illuminato da quel magnifico candore, e rimase a contemplare i giochi di luci e ombre che il colonnato ionico(3) creava. Tuttavia quell’atmosfera lo soffocava: nonostante la finestra spalancata, l’aria di maggio era già molto calda e afosa. Troppo diversa da quella stagionale del Jamir. Mü si sollevò dal giaciglio, mostrando la sua figura scolpita ed atletica coperta solo da un fundoshi(4) che ne nascondeva la virilità. Si mosse con lentezza e misura, come sua abitudine, e si diresse alla finestra. Poggiò gli avambracci sulla cornice inferiore dell’infisso, portando le gambe più indietro rispetto al corpo e lasciando tutto il peso sulle braccia. La Luna, astro freddo e incostante, quella sera illuminava tutta la vallata, rendendo il panorama di una bellezza gelida e misteriosa. Il mare, che si muoveva ritmicamente, risplendeva d’argento e di brillanti. Il soave rumore che produceva e l’odore di sale calmarono l’animo del giovane ariete, che chiuse gli occhi e si lasciò inebriare i sensi.

Dopo aver respirato a pieni polmoni quell’aria calda e ricca di pensieri mai sussurrati, Mü decise di uscire e fare una passeggiata sul bagnasciuga; una nottata meravigliosa come quella non poteva di certo essere passata nel letto. Così il giovane lemuriano prese una tunica di lino bianca e la indossò, cingendosi la vita con una cintura di sacco color marrone. Mise i sandali ai piedi ed uscì dalla propria stanza. 

La luce lunare creava magnifici giochi con le ombre delle colonne. Sembrava di essere in un mondo bianco e nero. Questo pensiero fece increstare le labbra del Gold Saint in un leggero sorriso. Mai avrebbe immaginato che una simile sottigliezza lo avrebbe rincuorato a quel modo.

Uscito dai suoi alloggi privati, il giovine si diresse verso la scalinata di marmo che conduceva alla sua dimora e che lo avrebbe portato alla spiaggia sottostante il costone su cui sorgeva il Santuario. Percorrendo la strada di terra battuta che lo avrebbe condotto alla piccola insenatura naturale, Mü fermò il proprio passo. Volse il suo sguardo verso quel ciliegio secolare. Nonostante fosse quasi la fine di maggio, quella pianta non accennava a fiorire. Quella sagoma scura e massiccia che tanto gli ricordava il sacro pesco, creatura divina ed infernale che gli aveva portato via la propria madre. Tuttavia vi era un’enorme differenza tra i due alberi: difatti quella pianta era morta, secca, non fioriva da tempo. Il tibetano riportò alla mente ricordi del suo ritorno al Santuario, quando vi era giunto per poter aiutare i giovani Bronze Saint. Il giorno precedente a quel fatidico e nefasto dì, in quello stesso viottolo, venne raggiunto da Leo Aiolia, tornato da una missione in Giappone. Lo trovò in quel medesimo intento e così, il giovane greco, intavolò dopo quindici anni una conversazione con il suo amico di un tempo:

«Quel ciliegio oramai ha smesso di fiorire dalla Notte degli Inganni. Alcuni dicono che sia morto, e dicono che sia colpa mia… quella notte, appresa la notizia della morte di mio fratello, venni qui e colpii il tronco, tante volte, fino a sfregiarne la corteccia – e nel mentre il Leone parlava, i suoi palmi si chiusero in una morsa; le sue nocche sbiancarono, l’armatura scricchiolò sotto quella presa – ma tu te ne eri già andato…»

Il volto di Aiolia si fece scuro, le labbra si tesero in una smorfia di dolore e disappunto e gli occhi, di un bel verde prato, si strinsero, mostrando all’interlocutore tutto il loro sdegno e rimorso. Mü non poté far altro che ingoiare il rospo; non poteva biasimare l’astio del suo compagno, ma non rimpiangeva di aver abbandonato la Grecia. Tuttavia non avrebbe mai potuto rivelare il motivo della sua fuga.

«Quel ciliegio – riprese Aiolia, con voce tesa e roca – era il nostro rifugio, ricordi, Mü? O il tempo ti ha offuscato anche la memoria?»

Il tibetano volse il suo sguardo all’albero avvizzito, e teneri ricordi di un’infanzia strappata alla normalità, ma vissuta con dolcezza e serenità con quelle tre persone che erano divenute la sua famiglia… ma oramai, solo Aiolia gli era rimasto. Portò nuovamente il viso al compagno e gli regalò un caldo sorriso, lo stesso che spesso riservava a Kiki, il suo discepolo, quando la tenerezza ne sopraffaceva la compostezza. Lo sguardo di Leo si sgranò immediatamente, mentre i pugni si sciolsero. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che Mü gli aveva sorriso, e la nostalgia ed una straziante sensazione di vuoto gli attanagliarono il fiero cuore. Il lemuriano gli si avvicinò, pose la mano destra sulla spalla sinistra del compagno e disse con voce leggera:

«Sì, amico mio. Come potrei dimenticare.»

Quella fu la prima volta, dopo quasi quindici anni, che Leo Aiolia, Gold Saint e custode della quinta Casa dello Zodiaco, pianse.

La mente di Mü tornò al presente perché avvertì, anche se debole, una presenza cosmica. E poi lo vide.

Esattamente come accaduto nella sua infanzia, un uomo misterioso era appena apparso dinnanzi al ciliegio. La luna ne delineava perfettamente la statuaria figura: era molto alto, forse da poter essere paragonato ad Aldebaran, eppure non pareva massiccio come il compagno. Il portamento e la compostezza che quella figura manteneva gli ricordarono in maniera impressionante Virgo Shaka, ma l’aura regale che aleggiava attorno a quell’individuo fece portare alla mente del lemuriano la figura di Lady Saori, Dea Athena. Resosi conto di ciò, Mü sussultò appena, per poi posarsi immediatamente una mano alla bocca per evitare di venire udito o in qualche modo percepito dalla figura nera. Fortunatamente parve che la piccola sorpresa del Saint non fosse stata recepita, perché l’uomo non si mosse nella sua direzione, ma andò verso l’albero morto con passo solenne e maestoso, cosa che rapì, per quanto concesso, l’attenzione del lemuriano. Oramai non aveva più dubbio: quella era una Divinità. Ma cosa era venuto a fare un Dio al Santuario, a notte fonda? Un pensiero mise in allarme il Saint. Un attacco?! No, non poteva essere. Mü si sciolse dalla posizione di attacco che aveva assunto, dandosi dello stupido per il proprio pensiero avventato. Portò lo sguardo di nuovo verso l’albero, e vide il miracolo. Una cascata di fiori e petali di ciliegio libravano e danzavano leggeri nel cielo notturno. I rami, dapprima spogli e secchi, si riempirono di boccioli tanto simili alla pesca nefasta per poi aprirsi e riversare la loro nuova vita al candore lunare. Mü non aveva mai visto uno spettacolo simile.

Come attratto da una forza misteriosa quanto irresistibile, il giovane tibetano percorse a ritroso la strada sterrata per poi raggiungere l’albero e l’uomo che aveva compiuto il miracolo da un piccolo sentiero secondario. Il suo passo si fermò solamente dopo essere giunto sotto quella pioggia di petali rosa pallido. Il volto di Mü era assolutamente deliziato da quella visione, ma quando riportò lo sguardo verso l’uomo, notò che quello non era l’unico spettacolo. La figura nera, nel frattempo, si era voltata e lo stava fissando con volto impassibile.

Il giovane Saint si sentì il sangue risalirgli il volto fino a fermarsi sugli zigomi. E pensò di essere arrossito vistosamente, dato che l’uomo represse una risata ed increspò le labbra in un sorriso divertito. Tuttavia non riuscì a staccare lo sguardo da quegli occhi, come il buon senso e il pudore avrebbero suggerito, ma rimase lì, fermo, a contemplare quella figura diafana che gli si stagliava davanti, con una pioggia di fiori di ciliegio che rendeva l’atmosfera ancore più incantata. L’uomo si mosse con andatura solenne verso il Saint, fino a fermarglisi dinnanzi. Mü poté osservarlo meglio, e sentì ancora più calore arrivargli alle guance. Quella persona di fronte a lui, come aveva già constatato, era più alta di lui di all’incirca dieci centimetri, aveva un fisico atletico e possente, ma era particolarmente armonico e sinuoso. Il volto era diafano, affilato, contornato da una fluente e lunga chioma corvina; terribilmente affasciante. Tutta la sua figura lo era. La sua era una bellezza decadente, misteriosa e fredda, esattamente come quella Luna che brillava di luce riflessa nel cielo, ma affascinava ed attraeva come il Sole. E poi, quegli occhi, di un colore così particolare e puro, come la sorgente della vita che sgorgava sui monti della sua amata terra… e poi, quegli occhiali che ne incorniciavano ancora lo sguardo, donandogli un’aria così saggia e solenne…

Il cuore di Mü perse un colpo, quando si sentì sfiorare la guancia sinistra ed afferrare con delicatezza una ciocca di capelli. Oh Athena! Si era perso a contemplare un uomo! E per di più si stava comportando come una ragazzina alla prima cotta… probabilmente l’incubo lo aveva sconvolto più di quanto si aspettasse. Come se non bastasse, l’uomo in nero sembrava intenzionato a far impazzire i sensi del giovane Ariete, dato che si portò la ciocca vicino al viso, la osservò con cura e vi poggiò un casto bacio. La cosa fece scattare una serie di reazioni violente nel lemuriano: il respiro si arrestò, il cuore prese a palpitare freneticamente, un brivido percorse tutta la colonna vertebrale dando scariche elettriche a tutto il corpo, e dalle labbra candide del giovine uscì una flebile esclamazione di sorpresa. Tutto ciò fece arrossire ancora di più il Saint che, oramai, poteva vantare di essere diventato una versione in scala umana del Sole.

L’uomo, divertito e sentendosi un po’ in colpa per quella reazione eccessiva ma restando totalmente impassibile, giochicchiò con la ciocca con il pollice e l’indice, rigirandola ed arricciandola. Poi rivolse queste parole al Saint, con tono profondo e sensuale, mentre gli si avvicinava al volto:

«Chiedo venia per la mia scortesia, ma non mi aspettavo di certo una simile reazione da un Saint di Athena. 
Non avrei potuto comunque trattenermi in modo alcuno; i tuoi capelli sono meravigliosi, esattamente come questi magnifici fiori di ciliegio. Rappresentano la natura, la forza di Demetra, e rappresentano te. L’unico Saint in grado di ridare la vita, esattamente come la primavera. Il ciliegio ti personifica perfettamente; esso si nutre del sangue(5) dei cadaveri sepolti alle radici, per donar quel bel colore ai propri figli, ed ogni anno fiorisce affinché tutti possano ammirarne lo splendore. Così sei tu, Aries Mü: tu dal sangue dei Saint nutri le Cloth, tue figlie adottive, e le riporti a nuova vita.
Gold Saint di Aries, tu sei un meraviglioso quanto raro fiore di ciliegio.»

Detto ciò l’uomo fece scivolare dalle dita la ciocca di capelli, accompagnandola nella caduta, per poi sorpassare il giovane, che aveva ascoltato quelle parole con occhi sgranati e con il corpo rigido per ciò che quello sconosciuto gli aveva appena detto. Solo un rumore di passi si sentiva, in quella notte ormai addormentata. Mü era spiazzato; era la prima volta che non era in grado di contenere le proprie emozioni, ed era anche la prima volta che non sapeva come rispondere a qualcuno. Quelle parole, pronunciate in modo così strano quanto magnetico, gli avevano lasciato in corpo e mente incertezza e sgomento. Lui, come i ciliegi?

Mü si voltò deciso a chiedere qualcosa che avrebbe dovuto domandare immediatamente, ma che la situazione gli aveva reso impossibile:

«Ma voi…»

La sua voce si disperse nel vuoto mentre alcuni petali e fiori, sospinti da una leggera brezza primaverile, cadevano stancamente al suolo, lo stesso dove qualche istante prima vi era quell’uomo.

«… chi siete?»

 

 

 

(1): fonte “Saiyuki Reload Blast 1” di Kazuya Minekura

(2): madre in cinese (fonte Google Traduttore)

(3): stile architettonico greco, consistente in una colonna scanalata, alta e slanciata, con un capitello (parte superiore e che appoggia alla struttura portante del tetto/travi portanti) decorato con delle volute i quattro angoli (piccola spirale che ricorda un riccio, oppure l’increspatura dell’onda di mare; voleva simboleggiare la bellezza fanciullesca)

(4): perizoma cingi-lombi tradizionale giapponese indossato dagli uomini. Viene prodotto con una striscia di tessuto larga uno shaku (misura tradizionale giapponese corrispondente a trentacinque centimetri) e lunga due metri e quaranta centimetri, che viene avvolto su intorno ai fianchi e attorcigliato nella parte posteriore per ottenere l'effetto perizoma.

(5): antica credenza popolare giapponese, in cui si credeva che i ciliegi selvatici, per avere il loro colore rosato, succhiassero il sangue dei cadaveri che venivano sepolti ai loro piedi.

 

 

 

 

 

Angolo dell’Autrice:                  

Ma ciao a tutti! E dire che ho appena finito di scrivere la mia long, ma il mio cervello (cioè, volevo dire, il criceto), è già pronto per altre storie. So che molti non apprezzeranno un Hades… si era capito che era Hades, vero?! Come stavo dicendo, non tutti apprezzeranno un Dio dell’Oltretomba con gli occhiali, ma non posso farci niente; ho un feticismo assurdo per questi personaggi, e Hades ci stava benissimo. Già me lo immagino che se li sistema meglio sul naso… AAAAAHHHHHH!!!! *grido da fangirl* ahm, ehm… chiedo scusa. Se questo dettaglio non vi piace, fatemelo sapere: se una buona parte di voi mi dice che fa schifo, glieli tolgo (a malincuore).

Bene. Spero vi sia piaciuta.

A presto

 

P. S.: Mü è sempre stato il mio Saint preferito (anche se prima c’era Shiryu, ma quando vidi Mü… bye Shiryu!), ed oggi gli ho voluto dedicare qualcosa perché… MI È ARRIVATA L’ACTION FIGURES DI SOUL OF GOLD!!!  Felicità mia, ma non per il mio portafogli… ç_ç (vedete voi se sono lacrime di felicità o di sofferenza)

P.P.S.: Io questa coppia la vedo benissimo; hanno caratteri molto simili, ma hanno compiti totalmente opposti^^

Storia revisionata e corretta il 10 agosto 2016 (diavolo, ero proprio inesperta con la punteggiatura...)
   
 
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