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Autore: Olivia Spich    20/10/2015    0 recensioni
Inadeguata, ecco cosa ero. Proprio come nella realtà.
Inadeguata, anche in un sogno, dove avrei potuto far finta almeno per una volta di essere all'altezza.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Stanotte ti ho sognato ancora una volta. Pensavo sarebbe finita, un giorno, e invece ogni volta è come se il mio inconscio avesse voglia di fare affidamento su quello che per me sei stato. Un grande amico, senza dubbio, ma anche fratello e padre. Tutto in una volta. Forse perché per la tua età sei più maturo della media, come se avessi già vissuto almeno dieci vite precedenti, mentre io mi sento alla prima, invece. Quasi mi avessi aiutato a capire come si deve vivere, secondo il tuo parere oggettivo.
Sei sempre stato autoritario, a volte anche scortese. La verità è che non hai mai avuto tempo. Sempre troppo occupato a far tornare i tuoi conti che non ad avere rispetto per le esigenze altrui. O forse così mi sembrava, perché con me non hai mai avuto pazienza. Sarà che per te oramai ero qualcuno che già ti aveva visto per come eri, e non avevi bisogno di mentire quando eri con me, non avevi bisogno di mettere nessuna maschera, nemmeno quella della gentilezza.
Ho sognato che stavi facendo mille cose, eri impegnato, come sempre. Avevi da fare e non avevi tempo, proprio come ti ho conosciuto: indaffarato e con mille pensieri in testa, mentre altre mille hai da farne. Proprio come non sono io: una cosa in testa e non riesco a fare bene nemmeno quella.
Siamo così, completamente diversi, come il giorno e la notte, il sole e la luna. Chi è sveglio e chi dorme. E come la costanza io sono anche la pazienza, la malinconia. Diversa da te, che sei l'istinto, il controllo, il coraggio. E siamo linee parallele che non si toccano, nemmeno tra mille anni, nemmeno mai. Sarà per questo che continuo a sognarti, perché voglio credere che almeno lì io possa raggiungerti e dirti che ti voglio bene anche se sei così, anche se io sono così. E che ti sopporterei ogni giorno, e che litigheremmo sempre, ma che poi riusciremmo a trovare il modo di fare la pace. Con la mia serenità, con il tuo ascolto. E ti direi che sapremmo come ridere insieme. Che saprei piangere perché tu sapresti come farmi smettere. Ti direi che sono sicura che sapresti scusarti, perché io avrei l'accortezza di non farti notare i tuoi difetti, che tanto odi. E allora vivremmo bene, tutto sommato, insieme. Almeno in sogno, almeno per qualche ora. E ti preferisco così, forse perché non lo sei mai stato.
Ti ho sognato che mi chiedevi un aiuto. Mi dicevi che dovevi fare in fretta, tutto di corsa, come sempre. Mi chiedevi un piacere, “potresti mettere in ordine te, per favore?”. Io mi sono guardata intorno e mi sono accorta subito dove eravamo: nella stanza che ti hanno dato a quel campo estivo in cui ero presente anche io. Eri orgoglioso di tutto questo, mi chiamasti, mi prendesti a braccetto e mi dicesti “vieni a vedere, guarda che bella stanza che ho” e io ero felice per te, ti guardai e ti dissi “adesso hai anche il bagno personale, niente più fila la mattina”, e ti ho sorriso. Ma poi mi sono ricordata perché ti eri aggiudicato quella camera. Lo stesso motivo per cui non posso dirti che ti voglio bene. Lo stesso motivo per cui continuo a sognarti.
Il sogno, appunto. Ti chiedevo che cosa dovevi fare, perché non potevi mettere a posto da solo la tua stanza. Ma tu non mi hai nemmeno risposto, come avresti fatto nella realtà. Hai continuato a camminare su e giù per la stanza, finché non ti sei avvicinato alla porta e hai detto “grazie”. Semplicemente grazie. Un ringraziamento che nella realtà mi avrebbe fatto arrabbiare da morire, perché significava dare per scontato il mio aiuto. Ma un ringraziamento che poi mi avrebbe fatta sorridere, perché hai sempre avuto il carisma di farmi fare quello che vuoi, proprio come è accaduto nel sogno. Hai chiuso la porta e sono rimasta da sola con il tuo disordine. Ho fatto del mio meglio, davvero. Ho pulito tutto, ho impiegato ogni energia, perché sapevo che avresti apprezzato. Fino all'istante in cui non ho trovato i tuoi panni sparsi a terra. Ero sicura andassero lavati, così mi sono accorta che erano già divisi. Divisi in ordine al colore. Il mucchio dei panni sporchi bianchi, quelli neri e quelli colorati. E mi sono accucciata. Davanti la lavatrice un rumore insopportabile. Sì, mi sono inginocchiata e ho pensato che forse ti avrebbe fatto piacere. Forse se fossi tornato e avessi visto che avevo fatto qualcosa per te che tu nemmeno avevi chiesto avresti apprezzato, mi avresti abbracciata e mi avresti detto “sei davvero in gamba”. Senza sbilanciarti, senza andare oltre, rimanendo sempre ambiguo. Perché io so che non puoi dire altro, non puoi esagerare. E mi sarebbe bastato. Ti avrei sorriso perché in fondo mi sarebbe bastata una pacca sulla spalla e una parola buona, come si fa con gli amici. Ed eccomi, una tua amica.
D'un tratto, mentre cercavo di decidere quali panni dovessi mettere in lavatrice, ho capito. Mi è stato tutto più chiaro, cristallino, anche se avrei voluto continuare a vedere male. È stato terribile. Ho iniziato a piangere, ma nessuno mi sentiva. C'erano solo le lacrime che scendevano, senza suoni, senza rumore. Io nemmeno so farla, la lavatrice!
Inadeguata, ecco cosa ero. Proprio come nella realtà. Inadeguata, anche in un sogno, dove avrei potuto far finta almeno per una volta di essere all'altezza. Mi hai spinto fino al punto di non ritorno, fino a fare cose che tu non mi hai chiesto, come amare. È un verbo ridicolo, ma mi hai costretto ad usarlo. Perché non so chiamarlo in altro modo! Mi hai istigato a fare cose che tu non mi hai chiesto, ma che volevo fare e basta, per compiacerti. Per una pacca sulla spalla e un sorriso. Per essere tua amica.
Buffo. Quando sei tornato mi hai guardata piangere per terra, davanti la lavatrice. E senza dirmi niente te ne sei andato.
Nemmeno in sogno sono riuscita a soddisfare le tue richieste. E mai sarà possibile, ora lo so.
  
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