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Autore: Neera Everdeen    20/10/2015    0 recensioni
Luce non è una ragazza come tante: pochi amici, una vita passata tra lo studio e il mondo degli artisti, appassionata di arte, letteratura e di tiro con l'arco, la sua vita cambia radicalmente quando perde i genitori in un terribile incidente stradale. Una lettera spedita da un'anziana signora, sua nuova tutrice, la porterà alla scoperta di un mondo diverso, un mondo che sente suo.
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Aslan, Susan Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Paro un colpo di Edmund e mi lancio subito in un affondo, ma non riesco a colpirlo, perché lui si sposta quanto basta per schivare il colpo. Cerco di colpire il centauro alla mia destra, ma riesce a bloccare la lama a terra con gli zoccoli. Facciamo una breve pausa per rifocillarci, visto che ci alleniamo senza vere e proprie soste da tre ore.  Prendo uno degli asciugamani attaccati ai rami degli alberi,che ogni combattente ha con sé. Il mio è un panno bianco con i bordi azzurrognoli. Me lo passo sulla fronte sudata e lo appoggio sul collo, mentre mi riallaccio lo stivale.
- È sempre così?- chiedo ad Edmund, che sta bevendo da una borraccia di pelle.
- Oh, e di solito è anche peggio.- mi risponde con un sorriso, mentre si appoggia a una delle decine di querce che adornano la Serra. Mi appoggio allo stesso albero, sedendomi sull’erba soffice e verde. Si potrebbe dire che questo è un bosco artificiale. È una specie di enorme radura costruita in una delle stanze del castello, con il tetto in vetro spesso diverse decine di centimetri e altro materiale. Alla mia destra c’è un bosco di alti abeti, mentre alla mia sinistra un bosco di salici e pieno di laghetti. Di fronte, invece, c’è una radura piana in cui le guardie si allenano tra loro. Dietro di noi continua una foresta di querce come quella contro cui sono seduta. Metto una mano sulla fronte mentre osservo Peter sconfitto da Evelin , che gli fa un inchino con un sorriso di trionfo. Poco dopo vedo la centaura aiutare il vecchio consigliere a mettersi seduto su una sedia a dondolo all’ombra di un salice.
Ho notato che la donna è più dolce nei confronti dell’anziano, ma non ho mai osato chiedere nulla. Ricominciamo gli allenamenti.
Parata. Affondo. Schivo. Finta, tentato affondo. Parata.
L’allenamento prosegue a ritmo frenetico, e quasi salto di gioia quando mi mandano alla postazione di tiro. Gli archi sono in legno e lucidi, con le corde tese e frecce dalle piume scure e perfette. Incocco la freccia, faccio qualche prova, e il risultato non è niente male. Rientro nella mia stanza dopo pranzo, per riposarmi. Mi sdraio sul letto, osservo il soffitto del letto a baldacchino, ricamato con un leone rosso e alcuni disegni. Ne seguo le linee con le dita, giocherellando con la mia fantasia, fino ad addormentarmi.

Apro gli occhi, e mi trovo sopra un soffice mantello di erba verde e profumata. Dall’albero sopra di me scorgo tra le foglie i raggi del sole e alcuni fiori bianchi e dalle forme sinuose. Ne raccolgo uno a terra. È un fiore dai petali tozzi e dalla punta sottile, bianchi ma con qualche nervatura violacea, che manda un profumo dolce. gli alberi davanti a me cominciano a muoversi e a danzare. La cosa mi lascia piuttosto basita, ma ne seguo uno che sembra chiamarmi. È un piccolo salice dai movimenti aggraziati e veloci, che mi guida fino a una pietra in rovina, con sopra delle incisioni. La pietra sembra un rettangolo spaccato, immerso in delle rovine coperte di muschio e rampicanti. Vecchie catene pendono dai lati, e scorgo un movimento alla mia destra, ma quando mi giro, non vedo nulla, fuorchè una vallata immensa. Ma è in quel momento che li vedo: i due eserciti in battaglia. Il clangore delle spade mi arriva alle orecchie con un rumore assordante e crollo sulle ginocchia, cercando di coprire le orecchie con le mani, ma il suono non mi abbandona. Sento ogni singola morte come se fosse mia. Muoio mille volte, e per mille volte rinasco, se non per morire di nuovo, ogni volta in modo ancora più atroce del precedente. E urlo. Urlo fino a non avere più voce, fino a che non mi rendo conto di avere la faretra in spalla e l’arco davanti a me. lo prendo , tremando. Pian piano, il rumore si fa meno intenso. Mi rialzo a fatica, appoggiandomi a uno dei muri ricoperti di edera. Incocco la freccia, miro al cielo. E quando la freccia colpisce il bersaglio, l’unica cosa che vedo è un bagliore accecante e qualcosa di dorato saettarmi davanti.
Poi, il vuoto.

   
 
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