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Autore: Nanek    22/10/2015    6 recensioni
E da sciocco credo sia anche una buona idea prendere un pezzo di carta, una penna e fingermi come la mamma, piccoli miei, fingermi scrittore e non compositore, fingermi autore di questa storia che chissà se mai vi verrà voglia di conoscere, di leggere.
Io la scrivo lo stesso, forse perché mi sento troppo ispirato, forse perché ora capisco cosa prova la mamma quando dice di dover sfogare su carta quello che le frulla in testa.
E pensare che tutti non ci avrebbero scommesso un dollaro su di noi.
E pensare che doveva finire nell’arco di qualche mese.
E pensare che era considerato tutto impossibile.
Perché, dai, chi crede che un cantante famoso possa innamorarsi perdutamente di una fan?

Una tra mille, milioni, una che non la distingui neanche dalla folla, una che è lì e ti sembra uguale a quella accanto.
Solo una fan in mezzo ad un mare di volti che cantano le tue canzoni, volti sempre diversi.
Dai, chi ci crede che questo possa funzionare davvero?
Beh, io e la vostra mamma lo abbiamo fatto.
~
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=kLzoGYhAfeE
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lune's Love'
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12. Perfect

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I want to breathe you in like your vapour
I want to be the one you remember
I want to feel your love like the weather
All over me, all over me.
 
 
Sembra quasi impossibile credere che da quella notte, esattamente quattro anni dopo, siamo entrati in quella che ora è casa nostra.
Era il 5 settembre 2022, avevamo ventisei e ventinove anni, stavamo entrando a capofitto in quel che era il mondo degli “adulti”, dove l’università, i libri, gli esami erano solo un vago ricordo, dove le tue preoccupazioni per il futuro non erano più così vive, così laceranti, così tristi da notare nelle lacrime che lasciavi scivolare sulle guance qualche volta, quando non riuscivi a tenerti per te un po’ di delusione.
Non c’era più spazio per quelle preoccupazioni, non c’era più spazio per i sogni infranti, c’era solo il momento giusto per sognare in grande.
Quel libro alla fine ha avuto quello che meritava, mia mamma non aveva tutti i torti: è bastato un paparazzo, è bastato far fare il giro del globo a quella foto e il titolo di quel libro era già sulla curiosità generale. Ti stupivi pure tu di quanto una semplice foto potesse fare tanta pubblicità.
Non dimenticherò mai la tua chiamata, le tue lacrime di gioia, la tua sorpresa, perché quella che era –è- la tua grande passione, ti stava dando la possibilità di farti conoscere oltre le quattro mura di casa, oltre ad un semplice sito di storie: il tuo talento meritava di andare un po’ più in là.
E lo so che, leggendo queste righe, dici che non ti meriti nulla, che non sei così talentuosa ma, se permetti, io sono il marito di un’autrice che ha pur sempre firmato copie in alcune librerie e, dato che tu non ci riesci, lascia a me il compito di vantarmi per quello che sei, per quello che vali, lascia a me quella sensazione di sentire l’orgoglio riempirmi il petto, lascia a me quello che tu nascondi con la modestia, lasciamelo respirare, perché non sono mai stato così fiero di te.
La cartoleria ha perso una grande lavoratrice, ma tu non potevi restare, lo sapevano tutti che destino ti spettava, anche se ci è voluto più di un anno di attesa e di sconforto.
Alla fine quella biblioteca in centro ti ha contattata, e ti giuro che non c’entro, anche se lo pensi spesso, ma ti giuro che non ho fatto nulla, non ho pagato nessuno, non ho preso a botte nessuno: ti hanno cercata, ti hanno voluta, essere autrice di un libro conosciuto da diverse persone, ti ha solo aperto mille porte.
E lo so che sono stato fotografato con il tuo libro in mano, lo so. Ma non credi che, forse, quello che c’era stampato valesse la pena? Non credi che quella storia valesse la pena di essere letta? A volte mi chiedo perché continui a non ammettere che, diamine, quella storia è frutto di una mente geniale, la mente di mia moglie.
Esattamente quattro anni dopo quella notte, io e te abbiamo varcato la porta di casa nostra.
Nella tua amata Italia, nella tua amata città, in quella piccola periferia che ti consente ancora oggi di andare a lavoro in bicicletta, in quella che ora è la tua amata biblioteca.
Sappi che non rimpiango di averti seguito, anche se molto spesso te lo domandi, ma tu di domande te ne fai fin troppe. Non rimpiango questa scelta, anche se, devo ammetterlo, l'italiano è la lingua più difficile al mondo. Ma meno male che l'inglese è la lingua del turismo ed ho evitato di perdermi per il centro, le prime volte che camminavo da solo, cercando la biblioteca per poterti venire a prendere. Non ho mai rimpianto nulla, perché il sorriso che trovavo ogni giorno era la cosa più soddisfacente al mondo.
Casa nostra, un appartamento piuttosto grande, all'ultimo piano, dal salotto spazioso, la cucina arredata dalle nostre mamme, un corridoio lunghissimo che portava alle camere e al bagno.
Le terrazze enormi, dove già ti immaginavi noi due a cena, dove ti immaginavi delle feste, dove ti immaginavi Charlie a dormire beato sopra un tavolino... dove ti immaginavi i nostri figli.
Casa nostra era -è- fatta apposta per noi, come se fosse stata lei a sceglierci, la prima volta che l'abbiamo vista vuota, i muri bianchi, l'odore di vuoto.
Ma era perfetta per noi.
Non scorderò mai quei pomeriggi a colorare le pareti, non scorderò mai i tuoi scherzi idioti, sporcandomi la schiena con il pennello pieno di colore giallo; non scorderò mai gli interi pomeriggi passati all’IKEA con Mary e Ashton, alla ricerca dei mobili ideali; non scorderò mai quando Giada e Michael sono venuti a trovarci e noi eravamo ancora sul materasso, in salotto, sotto un misero lenzuolo completamente nudi, le risate imbarazzate e le corse a cambiarci.
Ha preso forma un po' alla volta, casa nostra: ha cominciato a riempirsi di colori accesi, colori che rispecchiavano noi due, come la nostra camera metà blu e metà gialla; ha cominciato a riempirsi di foto nostre, solo qualche quadro in entrata; ha cominciato a riempirsi di mobili e di regali da parte dei nostri amici e parenti.
Casa nostra è davvero... calda.
Accogliente, non eccessivamente grande; quando sono a casa, quando siamo a casa, io mi scordo di essere dall'altra parte del mondo, mi scordo di non essere a Sydney, perché tu ora sei la mia Casa, la mia famiglia.
Avevo il mio lavoro, sparivo in tour sempre un po' più di rado con il passare del tempo, tu avevi la tua biblioteca e lavoravi sodo, le nostre vite si intrecciavano alla perfezione, non potevamo chiedere di meglio.
Capitava -ma capita anche ora- di litigare per una scemenza, per una gelosia futile, per sfogare un po' di tensione: eppure non mi hai mai fatto dormire sul divano.
Litigavamo, tu mi insultavi in italiano -e sappi che ora ho capito cosa vuol dire “stronzo”- io balbettavo quando non capivo le tue parole, ma a notte fonda, ti raggiungevo a letto.
Non osavo toccarti, a volte, per paura di un ceffone o, semplicemente, perché mi andava di essere cercato da te: restavo girato di lato, gli occhi aperti nel buio, in attesa.
Poi ti sentivo.
Sentivo le tue mani accarezzarmi le spalle, sentivo la tua voce sussurrare il mio nome, sentivo quel “mi dispiace” che mi portava a voltarmi, un sorriso già in volto, nascosto dalle tenebre.
«Non volevo darti dello-»
«Stronzo?» e già ridevi per la mia pronuncia.
«Non volevo. Io... oggi è stata una giornataccia, ma non avrei dovuto prendermela con te» e le tue mani passavano sul mio viso, attente, leggere, mentre ti stringevi a me piano piano, lasciandoti abbracciare.
«Sei perdonata, micina» e quel nomignolo prometteva sempre cose interessanti, ma tu fingevi anche di essere innocente e sbalordita davanti alle mie richieste.
«Hemmings! Ti stai approfittando del momento!»
«Michael dice che il sesso dopo un litigio sia-»
«Perché devi sempre ascoltare Michael? Non puoi ascoltare Ashton, qualche volta?»
«Ashton dice che dovrei legarti al letto»
«Vedrò di informare Mary a riguardo»
«Vuoi davvero condannare Ashton?»
«Mi diverto a fare la cattiva»
«Meow. La micina si arrabbia... mi piace» e già ti baciavo il collo, mordendolo piano, sentendoti ridere, sentendo le tue labbra sfiorarmi la pelle.
Ed è proprio su quel letto, più di un anno dopo il nostro ingresso in casa, che ho deciso di chiederti di sposarmi.
 
Era una domenica di dicembre e avevamo appena finito di addobbare casa nostra, era il nostro secondo Natale in quella casa: l'albero di due metri in salotto, illuminato da mille luci colorate, il presepe su un mobile accanto, candele rosse e addobbi natalizi a non finire.
E poi tu, con il sorriso di una bambina che non vedeva l'ora che fosse Natale.
Te ne stavi seduta sul tappeto, ad ammirare le luci con occhi sognanti, ti ho guardata con il sopracciglio inarcato, come se stessi cercando il punto che stavi fissando da diversi minuti.
Poi, dal nulla, ti sei mossa, distendendoti per terra a pancia in su, mettendo la testa sotto l'albero, facendomi davvero credere che il tuo cervello se ne fosse andato completamente.
«Che stai facendo?»
«Guardo l'albero da sotto»
«Perché?»
E pure Charlie ti è venuto vicino, incuriosito dai tuoi gesti.
«Perché sono strana»
«Non ho mai avuto dubbi su questo»
«Vieni a vedere dai, è bello, ci sono le luci» e muovevi la mano per incitarmi a seguirti.
E meno male che nessuno ha bussato alla porta: un ragazzo e una ragazza con la testa sotto l'albero mentre il gatto li osservava con un punto interrogativo rosso sopra la testa.
«Non trovi sia bellissimo?»
«Già, sembra l'albero di Natale dei film»
«La nostra storia è un film, un film che lascia tutti senza parole»
«Mi piace il nostro film» ti ho preso la mano «Mi piace che ci sia tu in questo film» e ti sei voltata verso di me, avvicinandoti, baciandomi piano.
Eppure, nella tasca del mio giubbotto, c'era quella scatoletta blu in attesa di essere aperta sotto i tuoi occhi, scatoletta che non trovavo il coraggio di prendere, come se temessi di rovinare pure quella scena del nostro film.
Ho passato l'intera giornata a chiedermi quale fosse il momento più opportuno, ho passato minuti a fissare il giubbotto, mordendomi il labbro con fare nervoso.
Verso le undici di sera, però, la tua voce mi ha richiamato.
«C'è qualcosa che non va? Mi sembri nervoso» e mi sentivo arrossire, perché non ti sfuggiva nulla di me: eravamo due libri aperti l'uno per l'altra, bastava un nulla a captare cosa non andava per il verso giusto, bastava davvero poco a far capire che qualcosa ci turbava.
Non rimpiangerò mai di averti scelto, perché sembri l'unica persona al mondo in grado di capirmi così bene.
«Devo... parlarti» mi mordevo il labbro, conscio che quelle parole ti avrebbero solo spaventato: l'ho letto nei tuoi occhi, l'ho notato nel suo sospiro, mentre sedevi sul nostro letto a gambe incrociate.
«È successo qualcosa? I tuoi genitori non vogliono venire in Italia questo Natale? Ci sono problemi con la band? Ho fatto qualcosa di sbagliato?» non eri spaventata, eri terrorizzata.
Ho sorriso a tutte quelle domande, sedendomi davanti a te, prendendoti le mani nelle mie, sussurrandoti di calmarti e di non pensare al peggio.
«Vorrei solo... beh, è una bella cosa, non avere paura»
«Ho il cuore a duemila»
«Non avere paura, io... torno subito»
«Ma dove vai? Sei in pigiama»
«Aspettami qui» e ti mettevo ancora più confusione in testa, mentre lo stereo riproduceva quella canzone che era entrata, grazie a Mary, nella lista delle “nostre canzoni”: la voce di Ed Sheeran, le note di Tenerife Sea riempivano casa nostra, lievemente, calde, rendendo il tutto come me l'ero immaginato una notte, mentre tu dormivi e mi perdevo in mille pensieri riguardo a noi due.
Sono tornato con quella scatoletta tra le mani, notando come i tuoi occhi si sono spalancati di stupore.
«Dio... io...» e ho portato l'indice all'altezza della bocca, come segno per farti stare in silenzio.
Ti sei presa il cuscino, stringendolo al petto, coprendoti la faccia come se l'entusiasmo fosse troppo evidente: non potevi sbagliarti su quello che stavo per fare, non c'era alcun dubbio su quello che ti avrei chiesto.
«Vane... però... sarebbe carino se ci guardassimo» ti ho rimproverata, dato che mi ero appena inginocchiato davanti a una persona con un cuscino davanti alla faccia.
Ho riso a quel rimprovero, sentendoti ridere a tua volta, lasciando che questo dettaglio caratterizzasse pure questa scena di noi due, sempre i soliti diversi, sempre i soliti scemi, sempre i soliti, io e te.
«Non voglio rovinare la sorpresa che ti farò prima del fatidico “sì”, perché mi sono preparato delle promesse... che neanche Nicholas Sparks! Quindi, scusa, se sarò breve e scusa se sono in pigiama ma è tutto il giorno che cerco il momento adatto»
«Sei bello anche in pigiama, posso assicurartelo» e sono arrossito.
«Vanessa, Vane... vuoi sposarmi?»
Should this be the last thing I see
I want you to know it's enough for me
'Cause all that you are is all that I'll ever need
I'm so in love, so in love.

Ed Sheeran cantava giusto a pennello quelle parole, mentre aprivo quella scatoletta, facendo vedere quella fede d'oro ai tuoi occhi.
E ti sei portata ancora una volta le mani sul viso, coprendoti gli occhi, poi solo la bocca, lasciandomi lì, impalato, per fin troppi secondi.
Ti sei alzata di scatto, raggiungendomi fin troppo velocemente, tanto che quell'abbraccio ci ha fatti finire per terra: io a pancia in su, tu sopra di me, attaccata come un koala al mio corpo, mentre mi baciavi il viso, sussurrando ad ogni bacio «Sì, Luke, sì!» e lasciandoti scappare qualche commento che ancora oggi definisci “da fan isterica”, tipo “Diventerò la signora Hemmings e non è un sogno!”, facendomi ridere, mentre ti stringevo a me, portando le mani sulla tua schiena, sotto lo sguardo sempre più confuso di Charlie che, poverino, vederci sul pavimento così spesso non era mai successo.
*
Un'altra cosa che non scorderò mai, è quando ti ho vista avanzare verso di me, all'altare di quella piccola chiesa vicina al mare.
La prima delle due cerimonie che abbiamo celebrato, dato che tu volevi che mi sposassi anche nella mia amata Sydney; ma quella prima cerimonia in Italia... è stata la cerimonia.
Non scorderò mai come le mie mani hanno cominciato a tremare, mentre ti vedevo avanzare verso di me, con tuo padre che ti reggeva in piedi -o tu reggevi lui?- come se potessi svenire da un momento all'altro; non scorderò mai come il fiato mi sia venuto a mancare nel vederti così bella in quel vestito giallo, così insolito, che mi ha stupito davvero, nel vederti sorridere mentre mi rivolgevi lo sguardo.
Ho sentito la tua voce tremare a quel «Ciao» sussurrato una volta vicini, ho sentito la scossa mentre le mie labbra sfioravano la tua guancia, prima che il tutto cominciasse, prima che diventassimo ufficialmente marito e moglie.
Le tue promesse sono state le cose più romantiche che io abbia mai sentito: mescolate al tuo lato simpatico, soprattutto quando hai detto «Il mio lato da fangirl è morto per la troppa felicità, dato che mi stai sposando», parole che hanno fatto ridere tutti i presenti, che hanno fatto ridere entrambi.
Parole che non scorderò mai. Parole di canzoni, di libri, parole che hai messo insieme tu, da brava scrittrice che sei, in grado di far emozionare chiunque.
E poi è stato il mio turno.
Non scorderò mai i tuoi occhi blu, mentre estraevo dalla tasca della giacca le mie promesse.
Non scorderò mai il tuo stupore, come se non ci volessi credere, come se ti stessi sognando tutto.
Non hai idea di quanto tempo ci abbia perso per quelle promesse, non hai idea di quanto Calum, Michael e Ashton mi abbiano mandato a quel paese, prima di trovare l'idea geniale, prima di trovare la via da prendere per scriverle.
«Non starò ad elencare le ovvie ragioni per cui ho deciso di sposarti, come il ricordarti quanto tu sia meravigliosa ai miei occhi, come il ricordarti che quello che provo per te è ineguagliabile» e ho deglutito, mentre le mani tentavano di tenere ben saldo quel pezzo di carta «Mi sono domandato spesso, scrivendo queste promesse, quale potesse essere il motivo per cui ti ho scelta, scegliendo di condividere con te il resto della mia vita. Beh, ancora una volta la mia musica è riuscita a darmi la risposta. Non voglio elencare What I like about you, perché sono certo che annoierei i presenti, perché io, di te, amo tutto, anche quelli che tu definisci difetti, e te lo ripeterò Over and over. Quando ti ho vista, per la prima volta, non avrei mai creduto che fossi una persona così Unpredictable, una persona che mi ha fatto provare di tutto, Try hard, prima di avere la sua fiducia. Tu eri decisamente Out of my limit, ma alla fine mi sono ritrovato Wrapped around your finger e pure un po' Disconnected dal resto del mondo quando pensavo a te. Sappiamo entrambi che per colpa mia ti ho fatto passare momenti da Heartbreak girl e Invisible, momenti in cui una Voodoo doll nei miei confronti l'avresti anche usata, Just saying. Ma sono stati proprio questi momenti che mi hanno fatto capire quanto tu contassi per me, perché senza di te ero un Lost boy, Lost in reality, con l'anima in Broken pieces, con un Jet black heart che ripeteva I miss you. Pure in quei momenti distanti eri tu il mio pensiero fisso, anche se tu non ci credi sempre alle mie parole, ma posso assicurarti che volevo essere Beside you, anche quando tu mi odiavi, anche quando eravamo Close as strangers. Ho rivisto la Daylight quando mi hai perdonato, a quel concerto di ormai anni fa, quando hai deciso che io, per te, ero The only reason, lasciando che un'Amnesia scacciasse via quei momenti di buio tra di noi. Quando sono con te, mi sembra di Fly away, quando sono in tour, non vedo l'ora di prendere la Long way home per tornare da te» ho ripreso un po' di fiato, dato che ho letto il tutto con il cuore in gola, ho preso fiato e ti ho guardato, ho sorriso a quell'espressione quasi sconvolta.
«Queste promesse sono lunghe, ma spero di averti fatto capire il perché ti ho scelta. Tu sei nella cosa più cara che ho, la cosa che ci ha fatti incontrare, che ci ha unito: tu sei nella mia musica, nelle mie canzoni, nei titoli che ho creato, negli accordi che ho suonato davanti a milioni di persone, ma con la tua immagine nella testa. Scusa, se non le ho elencate tutte, scusa se mi sono perso per strada qualcuna di queste, ma tu sei ovunque, sei in Vapor, in Never be che non smetterò mai di cantarti, sei la mia Good girl che è andata ad innamorarsi di uno come me. Queste promesse sono Everything I didn't say, perché mai ti ho parlato di noi usando le mie canzoni tutte insieme. Ed ora, concludendo il tutto, prometto di amarti fino alla fine dei nostri giorni, prometto di starti vicino, prometto di saperti asciugare le lacrime che solcheranno il tuo viso...» e ti sei morsa il labbro a quelle ultime parole «Wherever you are, io ti amerò sempre» e ti ho vista portare le braccia attorno al mio collo, velocemente, sotto l'applauso generale, senza neanche aspettare il «Può baciare la sposa», hai appoggiato le labbra alle mie e mi hai stretto forte, lasciando che pure io ti avvolgessi.
Eravamo finalmente sposati.
Ero -sono- Wrapped around your finger, metaforicamente parlando di quell'anello che non toglieresti mai dal tuo anulare sinistro.
Lo stesso vale per te, legata a me da quella fede che non tolgo per nessuna ragione al mondo.
Ma sapevamo di essere già uniti dal primo istante in cui, i nostri occhi, si sono incrociati la prima volta.
*
«Giada la vuoi smettere di correre?! Santo Dio, sei incinta! E di due gemelli! I miei gemelli Clifford!»
«Michael, smettila di fare il noioso, voglio mangiare! Ho voglia di... fragole! Cazzo! Ho le voglie per colpa dei tuoi amati gemelli Clifford! Io lo sapevo che mi fregavi, sei uno stronzo!»
«Giada, lo so che sono gli ormoni, ma non puoi trattenere gli insulti nella tua testa?! Ti ho detto di non correre!» ma la zia Giada ha continuato per la sua strada, bambini.
La festa dopo la cerimonia tenutasi in spiaggia è stata un successo, e un sollievo per tutte le donne con i tacchi, dato che eravamo letteralmente in mezzo alla sabbia.
La zia Giada era incinta di circa quattro mesi, bambini, dei due cuginetti che conoscete bene: la piccola Daenerys Arya Ridley e il piccolo Nathan Andrea, che cominciavano già a farla impazzire ancora prima di nascere.
Le scene avvenute a quella festa sono tra i ricordi più esilaranti: lo zio Michael che le diceva di non correre e, più lo faceva, più la zia correva, e non era neanche ubriaca! Correva alla ricerca di fragole, cioccolata, pure di kebab -ma quello mancava-, correva in riva all'acqua perché diceva di avere i piedi gonfi e affermava di non entrare più nella scarpe a spillo, lo zio Michael che temeva sempre di vederla cadere, tanto che tra i capelli rossi appena tinti ne spuntavano già di bianchi dall'ansia.
Erano -sono- sempre stati così, gli zii: due anime compatibili, che dovevano solo trovarsi per rendersi conto che in due, arrivare alla fine dei giorni, è più divertente e salutare.
Per l'occasione, si sono presentati con due tinte nuove: lo zio Michael rosso fuoco, l'ho visto arrivare a metri di distanza, in vestito elegante e nero, con la camicia bianca, e questa chioma color semaforo; la zia, invece, nonostante le lamentele dello zio perché «Sei incinta! Non devi tingerti! I miei bambini!», è arrivata con i capelli color melanzana, viola, abbinati ad un vestito dello stesso colore, scollato così tanto da far partire il cervello allo zio.
Non a caso, li abbiamo pure trovati a imboscarsi verso fine serata ma, bambini, certe cose le saprete quando avrete minimo diciotto anni.
«Mary, perché hai del vino in mano?!»
«Ashton, perché vuoi scatenare il peggio di me?»
«Metti giù quel vino, subito»
«Fottiti»
«Mettilo giù, Mariachiara!»
Lo zio Ashton e la zia Mary, quel giorno, avevano una notiziona da farci sapere, notiziona che però, non trovavano il momento adatto per confessarla a tutti.
Si sono messi -come sempre- a litigare come due bestie, tra insulti di ogni tipo e minacce esagerate tipiche di loro due.
Il clou della litigata l'hanno raggiunto quando la zia stava per sorseggiare del vino, catturando l'attenzione di tutti.
Con lo sguardo dei presenti addosso, Mary ha abbassato gli occhi, rossissima in viso, mentre lo zio Ashton le prendeva la mano, sospirando, tossendo un po' nervoso.
«Forse c'è qualcosa che dobbiamo dirvi» ha annunciato poi, cercando qualcosa dal portafoglio.
Quando la mamma ha riconosciuto l'oggetto che lo zio ha estratto, l'ho sentita stringermi la mano.
Era un'ecografia.
«Diventerò papà!» ha annunciato Ashton con un sorriso troppo grande e con una lacrima a solcargli la guancia, lacrima che ha spaventato la zia Mary, tanto che si è affrettata a stringerlo forte.
«Sì, e io divento mamma, insomma. C'è un piccolo -o una piccola- Irwin in arrivo» ha continuato, mentre lo zio non riusciva a placare l'emozione.
Li abbiamo abbracciati, presi dalla felicità e dall'incredulità di quella notizia; e, sì, bambini, Andrew Seven stava per arrivare.
«Un piccolo Ashy boy, o una piccola Mary, non so cosa decidere» ha confessato la mamma.
«Magari sono due gemelli!» ha provato la zia Giada, ricevendo uno sguardo fulmineo da Mary.
«No, Giada, è uno solo, per fortuna. Ti ricordo che io ho già un bambino in casa, ed è colui che sta piangendo adesso» ha sorriso, mentre con la mano gli accarezzava i capelli ricci.
«Quindi ora mancano solo Luke e Vanessa, e Calum! Ma lui è un caso perso» ha aggiunto lo zio Michael, facendo sbiancare Calum a quell'affermazione.
«Per l'amor del cielo! Sono troppo giovane!» ha risposto, per poi allontanarsi a prendere altro vino, giusto per dimenticare quelle parole appena entrate nella sua testa.
E in mezzo a queste novità, la festa è andata avanti, tra balli, lenti, io e gli zii che abbiamo pure suonato qualcosa per l'occasione, facendo impazzire la mamma e le zie.
Tra brindisi, chiarimenti e nuovi desideri.
«A Vanessa e Luke, perché da poco ho capito quanto ho sbagliato in passato. Mi dispiace, Vanessa, spero che con il tempo potremmo riaggiustare quello che ho rovinato» le parole di Calum, un abbraccio inaspettato, lo stupore di tutti i presenti.
«Ai Lune, che sono gli unici sposati nel nostro gruppetto, bravi! Siete le persone più coraggiose che io conosca!» una Giada ancora convinta che il matrimonio non faccia per lei...
«A Luke e Vane girl, trattami bene la mia sorellina acquisita!» un Ashton commosso.
«Ai piccioncini più dolci che io abbia mai visto. Ho tipo tre carie per colpa vostra» il solito Michael.
Ed infine, la zia Mary.
«Ai Lune, e guardate che io aspetto i piccoli Hemmings, voglio diventare zia, Charlie ormai è grande!»

 
 




Note di Nanek
Pure in anticipoooooooooooooooooooo
Ditelo che sono brava, ma d’altronde HO FINITO DI SCRIVERE PURE L’EPILOGOOOOO
Cioè, sono o non sono un razzo?
In pratica basta postare e ho finito TUTTO.
Che brava che sono, sono davvero fiera di me U.U
E poi, ragazze… CHI VA A VERONA IL 13 MAGGIO!??!?!?!?!?!
UN MEGA APPLAUSO ALLA MARY CHE HA GARANTITO A ME E ALLA JADE DI ESSERE Lì QUEL GIORNOOOOOOOOO
Madonna, sclero troppo, sclero MALE.
Io la Jade e quei 4 fagioli!! *----------------*
In bocca al lupo a tutte coloro che prenderanno domani il biglietto <3
Spero che questo capitolo vi piaccia, insomma. È un mix di cose belle, mi ha emozionato molto rileggerle a distanza di giorni dalla prima stesura. E spero si sia capito che la parte iniziale è Luke che parla a sua moglie, a Vanessa T.T poi parla ai bambini dai nomi ancora sconosciuti ahahah qualcuno vuoi dare suggerimenti? :D
Le promesse poi… spero vi piacciano davvero, non sapete che fatica mettere insieme tutto!!
E quando le chiede di sposarla… boh, io sto male.
E LE ZIE JADE E MARY CHE INIZIANO CON I PARGOLI.
Vi conviene fare una lista belle mie, perché vedrete quanti bambini arrivano ;)
Ma lo scoprirete la prossima volta :D
Grazie per tutto quello che fate <3
A presto <3
Nanek

 
 
 
 
  
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