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Autore: KH4    22/10/2015    1 recensioni
Estratto dal prologo:
"Io lo so…Tu non sei il tipo di persona che si lascia uccidere così facilmente. Non è nel tuo stile. Ti è sempre piaciuto essere teatrale in tutto ciò che fai, essere la svolta di una situazione prossima al fallimento. Ami essere egocentrico, vanitoso, arrogante, sai di esserlo, e non ti arrenderesti mai d’innanzi a una morte che non ti renderebbe il giusto onore. La sceglieresti solo dopo aver guardato a lungo una bella donna e averle sussurrato frasi che avrebbero fatto di te un ricordo prezioso e insostituibile. Soltanto allora, ne saresti soddisfatto." 
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Marian Cross, Nuovo personaggio | Coppie: Allen/Lenalee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Santi Oscuri.'
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Note: E…Sono tornata, sorpresa! (Io stessa me ne stupisco). Mi spiace essere rimasta assente tanto a lungo, ma non ho potuto fare altrimenti: fra impegni vari, ero molto indecisa se ricominciare da dove mi ero fermata o riscrivere la storia in una versione più accurata (progetto che ancora mi ronza per la testa). Ammetto di non aver ancora scritto il capitolo finale di questa storia, sono bloccata sul medesimo punto di tre e passa mesi fa, ma la notizia che la Hoshino ha ripreso la pubblicazione e il mio recente acquisto dell’ultimo volumetto italiano mi hanno spinta seriamente a riprendere in mano la situazione. E’ possibile che risistemerò tutti i capitoli senza però modificare in profondità la trama e al tempo stesso proseguire con la storia, almeno questo è il mio intento, se riuscirò a installare un programma decente (e a imparare a usarlo). Prima di lasciarvi al capitolo, avviso che qui voleranno un po’ di termini volgari e ci tenevo a mettere le note qui solo per anticiparvelo. Detto ciò, buona lettura!
 

Hell’s Road. 

 23: Door to…

 
La stanza vibrava del suo ansimare febbricitante, accarezzata da un’ombrosità sfumata dal chiarore di tenui lumini galleggianti in aria. Decine di lingue giallastre avvolgevano minute fiammelle elettriche, sferzando verso il soffitto piatto assieme al rimbombante strascicare del silenzio imperlato di una fatica incapace di trovare pace. La povertà di quelle mura ben si confaceva alla rabbia di Lulubell, il desiderio di scorrere calda e liquida fra i suoi anfratti non trovava ostacoli che potessero intensificare quel crescendo eccessivo che ne faceva affondare le unghie nere nei braccioli della poltrona. La fredda pelle di cuoio rosso abbracciava la sua nudità, il corpo perfetto e lucido di un sudore mai concepito come realizzabile, ancora tinto della delicata cenere di indescrivibile vanto personale. Il controllo annaspava fra le sponde dell’oblio sensibile a sentimenti che la mente tentava di zittire, dominare per porre sollievo al ritmo del dolore martellante che le ferite trasmettevano ai suoi sensi ottenebrati di ricordi freschi. Nessuno specchio avrebbe riflesso al meglio dei suoi occhi lo scempio che ne maciullava gli arti magri, l’esibizione aperta dei suoi strati muscolari alla mercé di spirali concentriche lasciatale come ringraziamento, così disgustosamente simili a quelli dei comuni umani, quegli stessi fantocci per cui non nutriva null’altro che apatia, pura indifferenza benché le risultasse fastidiosamente difficile cancellarne la presunta appartenenza. Appoggiò la nuca spoglia del nastrino viola inspirando profondamente. Non doveva temere più alcunché, il suo istinto di conservazione l’aveva ricondotta in alloggi sicuri, lontani dalla battaglia, ma alla scelta razionale era corrisposto il rimpianto di aver dovuto abbandonare il posto al fianco del maestro, pertanto poco importava se il suo rigenerarsi non avrebbe contratto difficoltà o impicci da parte di intrusioni esterne. Ciò nonostante, il dolore perseverava su una strada che ne stava impegnando tutta l’anima a resistere con le mascelle serrate e la bocca piegata in un’angolatura forzata. Tutto per colpa di quella donna. Il volto di alabastro dalle labbra tempestate di rubini ne ossessionava le ossa con martellii alternati dallo sfrigolare della pelle tranciata, odorante di carne bruciata, la sua carne, scavata e piegata in strati zampillanti di sangue grumoso. Ringhiò in preda alla rabbia nell’alzare l’avambraccio mentre la pelle tirava verso il gomito e i simboli impressi vi si attorcigliavano intorno a ogni cenno di movimento.
- MALEDETTA! – Le quattro pareti della stanza si incurvarono pericolosamente alla scarica di essenza nera che fiammeggiò negli occhi giallastri della Lussuria, acuminati e sinistri.
Mai nessuno aveva dimostrato di poterle infliggere un’agonia di quella portata, di fisicità arrivata a insidiarsi nell’orgoglio per la precisione con cui era stata abilmente scoccata. Fra i tendini lacerati, gli organi fibrillanti e i succhi gastrici del corpo pressato dall’effetto di quelle catene scarlatte, Lustor urlò ancora, la Memory divenuta un tutt’uno con lei gemeva sibili di vendetta che colmassero il vuoto lasciato da quell’innaturale follia prima che il gusto della rovina assaporata divenisse indelebile. Guardare all’indulgenza come fosse una fessura esposta troppo a lungo, ne fece contrarre le vertebre spezzate di una verità scioccamente presa sottogamba; l’aveva sottovalutata perché, nonostante le sue parole, si era lasciata crogiolare dall’ingenua convinzione che fosse come tutti gli altri e ora che quella sicurezza era stata abbattuta laddove i suoi poteri erano sempre intervenuti, il ricordo l’avrebbe perseguitata senza mai poter sperare nella sua completa cicatrizzazione. Riempiendo nuovamente i polmoni, trattenne l’aria e arricciò le labbra fino a sbiancarle. Fra note acute di dolore che giurò di restituire a quell’anima risonante alla sua, fredda e inespressiva, percepì finalmente l’assottigliarsi delle spirali concentriche, il loro dissolversi dal corpo libero di essere sciolto dalla forzata tensione. Il sonno non tardò molto a sopraffarne lo spirito con dolce nenia. I pensieri fiacchi di lucidità non potevano trarre sufficiente forza a sé per ruminare nuovi rancori. Ciò che le occorreva era altro, distante da tanta nocività. Una piccola condensa di calda anidride carbonica fece capolino dalle sue labbra sottili e le sante stigmate che ne coronavano la fronte lasciarono il posto a una carnagione più luminosa; ancor prima che il colore dei suoi capelli tornasse a brillare di luce solare e le palpebre calassero sulle iridi zaffirine, la marea onirica trascinò Lulubell nella sua dimensione di piacevole beatitudine, coricandone i sensi lontano da tutto.


Allen Walker avanzò sui luminosi scalini galleggianti senza chiedersi quanto ancora mancasse alla fine o se quella spirale dalla geometria contrastante le comuni leggi della fisica possedesse realmente un qualche punto di arrivo. Una concentrazione profonda ne contraeva il viso gentile, spartito fra l’avanzare imperterrito e il sostenere Lenalee, dalla mano ben salda alla sua e impegnata a mantenere un passo che non desse peso al vacillare delle sue gambe. La massa oleosa di colori cupi che scivolava dall’immaginario soffitto della torre cilindrica non consentiva alcuna misurazione del tempo e dello spazio, una qualche posizione dei piani ignoti lasciatisi alle spalle o che ancora dovevano visitare prima di giungere a destinazione; lo scheletro magico dell’Arca Bianca nascondeva tutte le sue più recenti scheggiature con una quiete intervallata dai loro respiri, provati dalle ferite nascoste sotto gli abiti sporchi di sangue e polvere. Potevano essere a meno di un metro dall’uscita oppure a nemmeno un quarto del cammino, ciò non avrebbe cancellato il fatto che quell’avanzata stesse mettendo a dura prova il credere che tutti quanti loro sarebbero tornati da chi li attendeva a braccia aperte.
- Allen-kun, va tutto bene? – Un sussulto fece rizzare la testa del ragazzino, al sentire una mano appoggiarsi alla propria spalla. L’Esorcista bianco si voltò velocemente, troppo, e subito dovette confrontarsi col crucio diversificato che i suoi compagni, la cinese per prima, gli stavano rivolgendo.
- Cosa c’è, Lenalee? Sei stanca? Vuoi che ti porti in groppa? – Si preoccupò lui.
- No, non preoccuparti: ce la faccio a camminare -, lo rassicurò – E’ solo che… -
- Ti stiamo chiamando da almeno cinque minuti abbondanti –, lo rimbeccò Lavi, pizzicandogli la guancia con ghigno pestifero – Guarda che tenere per mano Lenalee non ti autorizza a fare pensieri sconci su di lei! –
- Lavi! – La ragazza alzò la voce con il volto sbocciato in un rosso fluorescente, ritirando il pugno usato per colpire il viso dell’amico con quella potenza sviluppata a tempo di record e che compensava la mancanza dei suoi Dark Boots.
- Ahiaaaa! Lenalee, io scherzavo! – Piagnucolò il poveretto, tenendosi la parte colpita – Era per sdrammatizzare! –
- Se ti sentisse Bookman… -, fu il sospiro del quindicenne, mentre un attonito Chaoji seguiva il tutto da una ragguardevole distanza di sicurezza.
- Allora è una fortuna che non ci sia -, bofonchiò il rosso – Ma, scherzi a parte, che cos’hai? Sembravi completamente perso fra le nuvole. –
- Ah, io…Non saprei: è…Eh eh! E’ strano. – Rise flebilmente, dal profondo di quella sensazione criptica che ne accalorava il petto nascosto dalla pelle nera della divisa – E’ che questo posto, le stanze che abbiamo superato…Per qualche istante mi hanno suscitato, ecco, come dire…Familiarità.
- Cosa intendi dire? – Stavolta Chaoji si fece sentire, incuriosito.
Un qualche chiarimento, seppur vago, avrebbe fatto piacere anche ad Allen: cosa stesse succedendo dentro di lui ne agitava l’interiorità senza offrirgli la possibilità di scoprirne le molteplici tonalità, un chiarore che gli desse modo di spiegarsi il perché di quel tumulto che ne rapiva i battiti a manciate, inghiottendoli per lasciarsi così alle spalle la stessa sensazione che si provava quando l’inaspettato coglieva di sorpresa l’animo umano, ma più delicata e intrecciata a un’insolita dolcezza. Era un sentimento antico, labile e usurato dal tempo trascorso, uno scampanellio percettibile solo alle sue orecchie. Gli occhi di luna argentea vagavano senza uno schema preciso lungo tutto il vuoto scheletrico che li circondava, in cerca di una ridondanza che acuisse quell’impressione e le attribuisse dei tratti leggeri. Non sapeva dove fosse, come e perché avesse deciso di fiorire lì, ma per una ragione estranea alla sua comprensione, quel luogo, per cui sarebbe stato naturale provare sospetto o diffidenza, mai visto e visitato, evocava in lui un’ombrosa nostalgia, melodica e che, fra tutte le possibili similitudini, combaciava perfettamente al calore di Mana quando gli stringeva la mano.
- Mi sa tanto che sto perdendo la testa! – Prima ancora che lo scorrere dei suoi pensieri lo trascinasse verso memorie intoccabili, Allen allontanò ogni pericolo di preoccupazione dei propri compagni con una risata derisoria rivolta a se stesso – Stiamo vagando qui dentro da quelle che ci sembrano delle ore e la tensione sta mettendo a dura prova tutti quanti noi. Continuiamo? -


- FIGLIA DI PUTTANA! –
Timcampi era un golem che sapeva riconoscere il pericolo ancor prima che il presentimento divenisse certezza e in quel momento avrebbe desiderato essere da qualunque altra parte purché non fosse il medesimo angolino che grattava freneticamente con le tozze zampine. Una qualunque dimensione caotica o sul punto di dissolversi sarebbe stata un’alternativa ben più allettante del dover rimanere a portata di una mortalità capace di inorridirne i sensi al punto da classificare come quisquiglie tutti i suoi precedenti sbriciolamenti. Pezzo dopo pezzo, il degrado dell’Arca Bianca proseguiva verso il nucleo ancora intatto, bramoso di eroderlo una volta disossato il rivestimento, ma la sua rilevanza era stata messa da parte nel momento stesso in cui Amèlie Chevalier si era scoperta suscettibile ad attacchi di ira acuta, scatti che scioglievano le catene imbroglianti la bestia nascosta fra le sontuose pieghe dell’indole elegante e le conferivano una voce più isterica dell’assecondante e malsana crudeltà priva di scrupoli umani che giaceva fra le arsure tenebrose della sua anima. Contrastarla non era fra le scelte più sagge o coraggiose, ma soltanto suicide e quanto più premeva al piccolo boccino, schiacciato contro la parete opposta a piangere col terrore a colorarlo di un blu elettrico, era che gli occhi ardenti di fiamme oscure della francese non indirizzassero le loro mani verso le sue alucce.
- Il mio viso! Il mio bellissimo e inestimabile viso! – Il tuono iracondo fuoriuscito dalla gola della corvina rimbombò nel corridoio – Come ha osato, quella stronza immonda…! – La mano destra scaraventò il vetrino circolare dello specchietto contro il muro che le stava di fronte, spaccandosi in più parti fra ansiti incandescenti.
Amèlie aveva visto troppo e la sua sopportazione si era rifiutata di mantenere un controllo già lodevole per l’essere giunto fino a quel punto senza scivolare nell’istintività. Tanto oltraggio alla sua femminilità meritava di essere ricambiato con macabri ringraziamenti e le promesse suggellate da una Chevalier vantavano lo stesso peso della morte stessa. La Noah avrebbe pagato, come e quando erano dettagli di pertinenza temporale, ma una volta di nuovo una di fronte all’altra, la Maitresse della Rosa Nera avrebbe dato il meglio di sé per scorticarle dal delicato visino l’amata apatia. Un alone violetto le copriva la guancia destra accaldata, seguita da qualche taglietto – di cui uno sul labbro inferiore sbavato – e dall’ombretto nero impiastricciato di mascara. La maschera di pizzo nero non aveva neppure una scucitura, grazie al cielo, ma una sola nota positiva non poteva minimamente compensare al danno subito al vestito, strappato per fasciarsi il braccio e il fianco, e sul pregio di cui era più orgogliosa. Il solo sentire la sua lunga, preziosa e naturalissima chioma d’onice in disordine rischiò di scatenarle l’ennesima crisi di nervi.
- Cretino! Stupido! DEFICIENTE! Mandarmi a destra e a manca come se fossi una marionetta! – Sibilò – Lui e i suoi cavolo di piani…E io, idiota, che gli vado dietro..! - Affondò le dita in ogni tasca del vaporoso vestito solo per chiuderle in due pugni serrati prima di incorrere nel rischio di strapparne le cuciture interne.
L’adirata ondata nociva salitale in gola si ammansì al proverbiale ripristino del proprio temperamento, sfilatole dal viso con la sola consapevolezza che la colpa di tanto ardire si riallacciava sempre e solo a lui, Cross. L’immagine scolpita di quel sorriso arrogante ne intorpidiva la pazienza senza che altri riuscissero a replicarne gli effetti; combatteva contro quella dipendenza patologica da anni, l’aveva accettata per quello che era piuttosto che ossessionarsi inutilmente, ma rimaneva ugualmente assurdo come il solo pensare a lui la riducesse a parlare da sola e a non liberarsi dell’influenza sottointesa. La sua unica speranza era che su quel trabiccolo ci fosse qualcosa di vagamente prezioso da prendersi come personale ricompensa per i servigi che quel disgraziato sicuramente non le avrebbe mai pagato. Quando le mani tornarono a trafficare nelle stoffa scura, Amèlie strinse il manico di una piccola spazzola che si portava sempre dietro per ogni evenienza, insieme a un armamentario che comprendeva una maschera di riserva. L’ennesimo nervo scoppiò con lo stesso botto di un piccolo petardo quando vide che l’oggetto, oltre a non avere la testa, era sporco dei trucchi mischiatisi durante il combattimento.
- Pure la spazzola… – La mano frantumò quel che ne restava, mentre nuovi brividi calcavano sugli arti slanciati e Timcampi ridefiniva i confini di distanza.
L’avrebbe fatta a pezzi, la piccola e lurida Lussuria, oh, se lo avrebbe fatto! L’odio e la frustrazione per non averle tagliato la testa senza prima essersi divertita a sfigurarla un po’ tornò a canticchiare imperiosa e rovente, ma anziché scagliarsi in aria si affievolì gradualmente, sino a dissolversi nella cognizione che il suo ghigno sadico sarebbe rimasto nel cuore dell’avversaria per il simpatico regalino alchemico fattole poco prima dell’irruzione del Download.
- Goditi questo dolore, stronzetta, assapora la sua leggerezza. La prossima volta mi supplicherai in ginocchio di concederti una morte rapida. -
Un flebile sospiro e la schiena nuda della francese si abbandonò contro la parete spoglia del muro grigio. Il palmo sinistro si chiuse a coppa contro la fronte nell’avvertire un leggero capogiro offuscargli la vista.
- Un giorno all’altro finirò sul serio con il perdere la testa, Tim -, pronunciò esausta al piccolo boccino, appollaiatosi immediatamente sulla sua spalla, scordatosi della paura provata.
Poi, lesta, afferrò la parte inferiore della gonna e la strappò in più parti, ricavandone altri stracci improvvisati. Sotto le pezze imbevute di sangue, percepiva il calore pungente delle ferite incrostare l’epidermide scoperta, ma tendini e organi rispondevano ai leggeri movimenti delle dita e dei respiri calibrati. Uno dei tanti trucchetti che sua nonna le aveva insegnato quand’era un'apprendista, in vista di un futuro dove la cura esclusiva della propria persona sarebbe diventata una priorità indispensabile alla sopravvivenza. Niente che non avesse già assaggiato con la polvere a ingozzarle la trachea o le gambe cementate al terreno per una stanchezza mortale. Sì issò sui piedi soltanto all’affievolirsi del lieve cerchio alla testa che ne condizionava lo stomaco con un forte senso di nausea. Quattro passi contati e si ritrovò di fronte a un’enorme porta: le effigi dorate placcate sulla superficie scura disegnavano complessi arabeschi smussati a causa di alcuni pezzi di metallo mancanti. Amèlie la spalancò con entrambi i palmi. Un forte odore di legno consunto e cera di candela caduta sul pavimento solleticò le sue narici con nota bruciacchiante. Il discendere dall’alto di una luce più intensa di quella delle fiaccole sotterranee la costrinse a proteggersi gli occhi, battendoli un paio di volte prima di abituarvisi: uno sfavillante lampadario di cristallo illuminava con i suoi ninnoli impolverati la più sontuosa e aristocratica sala da ballo che si fosse mai presentata al cospetto della donna, con un’immensità perfettamente in grado di rasentare l’infinito. Lunghezza e larghezza spingevano le pareti così lontano da ridurre gli antichi mosaici dipinti a delle comuni macchie, ipotetiche raffigurazioni che si arrampicavano verso il soffitto chiuso a cupola e al tempo stesso svanivano dietro l’ombra del labirinto di scaffali colmi di tomi voluminosi che si districavano in ogni direzione.
- Deve essere una biblioteca o qualcosa che le si avvicina. Curioso che si trovi nei piani bassi dell’Arca. – Scesi i gradini che separavano la piattaforma di granito dal pavimento, Amèlie si inoltrò fra gli alti mobili, guardinga dal dare confidenza all’arcaico potere che avvertiva cullato dall’atmosfera soffusa e delicata di quell’intricato crocevia di legno e carta.
Volti demoniaci scolpiti nella pietra sporgevano dagli scaffali con i riverberi arancioni delle candele nascoste fra le dita aguzze a tracciarne i grotteschi lineamenti. La sinistrosità con cui la fissavano dava l’impressione che la vita potesse carezzarle da un momento all’altro, ma la corvina se ne sarebbe occupata soltanto se i suoi sensi le avessero trasmesso un qualche vago motivo di preoccupazione. La dimestichezza di Timcampi nel muoversi fra gli spazi stretti senza ostentare la benché minima esitazione sventolava nell’incomprensione totale come un piccolo faro in mezzo alla tempesta. Troppa era la sicurezza con cui planava fluido fra le rientranze che separavano i mobili l’uno dall’altro perché fosse frutto della memorizzazione di una qualche planimetria del posto; non un cenno di indecisione lo obbligava a sorvolare fra gli anfratti di quel luogo rimasto intoccato, ma la sua vastità non impedì certo alla Maitresse della Rosa Nera di constatarne le precarie condizioni di abbandono. Riccioli di polvere turbinavano lenti sotto la luce del lampadario, appezzando l’aria con il suo respiro pungente e gli scaffali ingrigiti dal suo ammassarsi fra pergamene e copertine contrassegnate da piccole placchette d’oro. Le dita inguantate vinsero il disgusto suscitato dalle leggere tele di ragnatele che filavano fra i volumi sistemati alla rinfusa solo per avere un’idea del loro contenuto.
- “Guida alla Materia Oscura, Anatomia dei peccati umani, Come imbottigliare un’anima dopo la morte”…Questi non sono semplici rudimenti di Magia Nera. – Dovette afferrare con il pollice e l’indice ogni singola pagina dei tomi estratti per evitare che la carta essiccata le si sbriciolasse nei palmi.
I trattati scritti in lingua antica si conquistarono la sua antipatia non appena realizzò che le sue conoscenze non potevano svelarne neppure il sommario, ma d’altro canto sbirciare negli affari del Conte del Millennio non era poi quell’attrattiva per cui valesse la pena mettere a rischio la propria incolumità. Non aveva scordato perché fosse lì e chi ce l’avesse mandata, ne aveva permesso che la casualità si inserisse nel contesto. Anche se flebile, un legame c’era e il muto esortare di Timcampi a seguirla incrementava sospetti impensabili. Che fosse già stato lì? Come? Quando? Le solite domande per cui non ci poteva mai essere una risposta al primo colpo. La cera delle candele lasciate a illuminare le biforcazioni toccava il pavimento a scacchiera senza che il lumino nascosto nell’incavo si esaurisse, ogni singolo pulviscolo di sporcizia si arrotolava libero da ogni tocco umano che ne avrebbe solo arrestato la crescita. Eppure c’erano troppe lacune, troppe inconsistenze, il presentimento che ci fosse di più, in quel posto destinato all’oblio, spingeva contro il suo raziocinio, scavando nel profondo dei sensi nel tentativo di farne vacillare l’imperscrutabilità.
- Cross vuole mettere le mani sull’Uovo prima che tutti i dati dell’Arca Bianca vengano scaricati su quella Nera. – La mente di Amèlie lavorava sulle informazioni passo dopo passo, costruendo un ordine semplice man mano che il quadro assumeva tinte più riconoscibili mentre seguiva la scia del boccino – E’ evidente che ha impiegato il tempo trascorso a Edo nel tentativo di intrufolarvisi senza che la sua presenza venisse rilevata, ma ha potuto riuscirci soltanto ora che sta per essere distrutta, tuttavia… - I suoi pensieri andarono alle creature dal cranio scheletrico incrociate al varco d’entrata e alla sghignazzante sicurezza delle loro voci riguardanti la protezione dell’Uovo.
La platealità del Conte del Millennio non abbandonava mai il fianco della scrupolosità, ogni scena era studiata perché a eventuali intoppi corrispondessero contromosse finalizzate a non corrompere l’evolversi della storia, per tale ragione Amèlie diffidava dall’esternare un’eccessiva confidenza con quel sapere allettante, ma pur sempre non suo; lo aveva imparato affiancando il Generale, inspirando il suo umore contrito quando rimaneva senza sigarette e fidandosi più del suo istinto che di qualche consiglio fornito sulla scia del dubbio. Quella biblioteca parlava, sì, un linguaggio composto di sospiri criptici nascosto fra gli scaffali, ma non sarebbe stato affatto un azzardo ipotizzare che la sua presenza fosse stata richiesta proprio per quell’enigmaticità; dopotutto, nessun’altro, oltre a lei, conosceva il corretto funzionamento delle Chiavi Alchemiche.
- Per quanto ancora hai intenzione di farmi camminare? – Il picchiettare dei suoi tacchi vertiginosi si arrestò davanti all’ennesimo scaffale dalle mensole marce, senza alcun pregio particolare che lo differenziasse dagli altri.
Timcampi si era appoggiato esattamente nella rientranza centrale, permeandosi dalla punta delle ali a quella della coda arrotolata di un tenue bagliore biancastro che si estese all’interno del mobile non appena la donna gli fu di fronte. Convergendo nel mezzo, la luce assunse una triplice forma circolare contrassegnata da sottili linee e insoliti simboli. I cerchi che affiancavano il centrale erano appena più grandi, roteanti in senso antiorario a differenza del primo; andava nel verso opposto e molto più lentamente, ma tutti e tre riproducevano a scatti irregolari lo stesso schiocco che emetteva un lucchetto invisibile, che smaterializzò la libreria e lasciò il posto a un passaggio nero e senza fondo.
- D’accordo: hai la mia attenzione -, proferì Amèlie, rimasta in silenzio per tutto il tempo. Non c’era vitalità nella sua voce o sorpresa.
Nessuna traccia di smarrimento per quel passaggio rettangolare e verticale da cui spirava aria tutt’altro che leggera, se non un ricordo che la spinse a frugare nelle tasche della gonna e a prendere in mano l’oggetto balenatole in mente al solo riconoscere i caratteri comparsi sullo scaffale. Le labbra si arricciarono. I simboli con cui erano state trascritte le Chiavi Alchemiche riportate sul foglietto spiegazzato e quelli appena osservati appartenevano allo stesso alfabeto, alla stessa lingua, ad un’Alchimia nettamente più intricata di quella che lei praticava, illeggibile come la persona per la quale si trovava lì e che volentieri avrebbe strangolato con la stessa forza con cui accartocciò il foglietto fra le sue dita. Se l’obiettivo era il prezioso Uovo del Conte del Millennio, era logico pensare che il suo ruolo dovesse unicamente agevolare la riuscita del piano senza che quel bastardo si sporcasse troppo le mani. Affondò con forza risoluta lo sguardo nell’oscurità del passaggio che si apprestava a varcare. La puzza di chiuso e stantio era nauseante, un vuoto dentro cui si correva il rischio di morire soffocati. Quell’ala doveva essere rimasta chiusa più della biblioteca, tuttalpiù se l’unica chiave per aprirla era Timcampi stesso. Una nota su cui avrebbe riflettuto attentamente non appena fosse riuscita a rispondere ad alcune delle molte domande rimaste in sospeso.
 
  
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