WE ARE OUT FOR PROMPT- DRABBLE DAYS 16-17 OTTOBRE 2015
Titolo: the mysterious magnet
Personaggi: Originali.
Prompt © Alex Lucci: Introspettivo. C'è una chiesa, ci sono ragazzi e ragazzi, e, su una panchina, c'è una lei che dovrebbe guardare un lui, proprio poco distante da lì, ma invece guarda un'altra lei. L'attrazione non ti domanda se può entrare, la sfonda, quella porta.
Note: Il titolo è una citazione da Eat, Pray, Love, di Elizabeth Gilbert: "The mysterious magnet is either there, buried somewhere deep behind the sternum, or it is not".
OoOoOoOoOoO
C’è una chiesa.
E’ un edificio recente, anni Settanta al massimo. L’esterno
è noioso – un parallelepipedo basso da cui svetta un campanile triste, di un
pallido grigio che si sposa male col rosso delle tegole.
Dentro, è un tripudio del bianco sporco e giallo acido di
muri e pavimento, le panche color castagna in file ordinate a formare un
semicerchio di fronte all’altare, appena rialzato dalle mattonelle ruvide,
aspre.
Come in ogni altra chiesa, fa freddo.
Viola si soffia sulle dita giunte in preghiera, l’ostia
incollata al palato, gli occhi socchiusi. Dondola sulle ginocchia ossute,
piegate sul legno della panca, e abbassa il capo, lasciando che la frangetta
oscuri la direzione dello sguardo, una testa china tra cinquanta altre.
Così mimetizzata, si concede di sbirciare, inghiottendo i
sensi di colpa assieme all’ostia e al vino, il cui sapore le macchia appena le
labbra.
C’è una schiena.
Asciutta e robusta, avvolta nella stoffa pesante di una
felpa grigio chiaro; il cappuccio appeso tra le spalle ampie, una nuca
scoperta, vulnerabile.
Non può vedergli il viso, ma ne immagina l’espressione
imbronciata, per nulla presa dal momento di preghiera; le labbra carnose
piegate in una smorfia. Più tardi, si incolleranno alle proprie – il pensiero
non le suscita particolari emozioni.
Anzi, vorrebbe tanto che si spostasse più a destra: le
blocca la visuale, Marco, e lei non ha a disposizione che pochi attimi.
E’ un momento: il rosso dei capelli di Caterina cattura ogni
fiammella delle candele vicino all’altare, in quel punto strategico dove il
prete da loro l’ostia, e, quando la ragazza si gira, le ondeggiano sulle spalle
come una coda di volpe (mai lo ammetterebbe, ma Viola passerebbe ore a
guardarli, darebbe una mano per averli).
Stonano nella chiesa, stonano su Caterina, che si infagotta
in quei jeans troppo larghi, in felpe informi da maschio, come a voler
nascondere il petto pesante, le cosce morbide; tra la folla, quei ricci
voluminosi spiccano come un faro.
Spuntano dal casco, sventolano come una sciarpa dietro le
spalle quando arriva alle lezioni di canto, sfrecciando sul motorino giallo
limone.
A parte quello strano aggeggio che si ostina a inforcare,
non c’è nulla di degno di nota, in lei.
A parte i capelli, che Viola non smette di fissare. A parte
le labbra, di un rosso quasi violaceo, che spiccano sulla faccia da mela,
perennemente secche, e la sua linguetta rosa, come quella di un gatto, che ci
passa sempre.
A parte il sorriso, bianco e dritto, che le rivolge anche
ora, appena un accenno.
Fa finta di nulla, Viola.
Abbassa di più la faccia, mentre Caterina le passa accanto,
si inghiotte l’ostia ormai sciolta, si lecca via il vino dalla bocca, che poi
tira in una linea sottile.
Si alza, e le ginocchia scricchiolano, nei jeans
strettissimi.
Marco approfitta del momento di confusione – dello sguardo
vigile del prete puntato sulle ultime file – per gettarle un’occhiata, il
sorrisetto che le fa sempre, metà invito e metà ordine a raggiungerlo dopo, per
una sigaretta e una pomiciata in cortile.
Le passa un brivido lungo la schiena; incolpa il freddo.
Caterina è dietro di lei, adesso, al suo posto negli ultimi
banchi. Ma dopo, a lezione, siederanno vicine – e prima di inzupparsi della
puzza delle cicche di Marco, potrà ubriacarsi del suo shampoo alle mandorle.
All’uscita, forse, le domanderà dove lo compra.
E quel burrocacao che usa, anche, che pare renderle le labbra
tanto morbide.