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Autore: theuncommonreader    23/10/2015    9 recensioni
C'è una chiesa, ci sono ragazzi e ragazzi, e, su una panca, c'è una lei che dovrebbe guardare un lui, proprio poco distante da lì, ma invece guarda un'altra lei. L'attrazione non ti domanda se può entrare, la sfonda, quella porta.
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A parte quello strano aggeggio che si ostina a inforcare, non c’è nulla di degno di nota, in lei.
A parte i capelli, che Viola non smette di fissare. A parte le labbra, di un rosso quasi violaceo, che spiccano sulla faccia da mela, perennemente secche, e la sua linguetta rosa, come quella di un gatto, che ci passa sempre.
A parte il sorriso, bianco e dritto, che le rivolge anche ora, appena un accenno.

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Scritta per l'evento "Drabble Days 16-17 ottobre 2015" indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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the mysterious magnet

WE ARE OUT FOR PROMPT-  DRABBLE DAYS 16-17 OTTOBRE 2015

Titolo: the mysterious magnet

Personaggi: Originali.

Prompt © Alex Lucci: Introspettivo. C'è una chiesa, ci sono ragazzi e ragazzi, e, su una panchina, c'è una lei che dovrebbe guardare un lui, proprio poco distante da lì, ma invece guarda un'altra lei. L'attrazione non ti domanda se può entrare, la sfonda, quella porta.

Note: Il titolo è una citazione da Eat, Pray, Love, di Elizabeth Gilbert: "The mysterious magnet is either there, buried somewhere deep behind the sternum, or it is not".

OoOoOoOoOoO

C’è una chiesa.

E’ un edificio recente, anni Settanta al massimo. L’esterno è noioso – un parallelepipedo basso da cui svetta un campanile triste, di un pallido grigio che si sposa male col rosso delle tegole.

Dentro, è un tripudio del bianco sporco e giallo acido di muri e pavimento, le panche color castagna in file ordinate a formare un semicerchio di fronte all’altare, appena rialzato dalle mattonelle ruvide, aspre.

Come in ogni altra chiesa, fa freddo.

Viola si soffia sulle dita giunte in preghiera, l’ostia incollata al palato, gli occhi socchiusi. Dondola sulle ginocchia ossute, piegate sul legno della panca, e abbassa il capo, lasciando che la frangetta oscuri la direzione dello sguardo, una testa china tra cinquanta altre.

Così mimetizzata, si concede di sbirciare, inghiottendo i sensi di colpa assieme all’ostia e al vino, il cui sapore le macchia appena le labbra.

C’è una schiena.

Asciutta e robusta, avvolta nella stoffa pesante di una felpa grigio chiaro; il cappuccio appeso tra le spalle ampie, una nuca scoperta, vulnerabile.

Non può vedergli il viso, ma ne immagina l’espressione imbronciata, per nulla presa dal momento di preghiera; le labbra carnose piegate in una smorfia. Più tardi, si incolleranno alle proprie – il pensiero non le suscita particolari emozioni.

Anzi, vorrebbe tanto che si spostasse più a destra: le blocca la visuale, Marco, e lei non ha a disposizione che pochi attimi.

E’ un momento: il rosso dei capelli di Caterina cattura ogni fiammella delle candele vicino all’altare, in quel punto strategico dove il prete da loro l’ostia, e, quando la ragazza si gira, le ondeggiano sulle spalle come una coda di volpe (mai lo ammetterebbe, ma Viola passerebbe ore a guardarli, darebbe una mano per averli).

Stonano nella chiesa, stonano su Caterina, che si infagotta in quei jeans troppo larghi, in felpe informi da maschio, come a voler nascondere il petto pesante, le cosce morbide; tra la folla, quei ricci voluminosi spiccano come un faro.

Spuntano dal casco, sventolano come una sciarpa dietro le spalle quando arriva alle lezioni di canto, sfrecciando sul motorino giallo limone.

A parte quello strano aggeggio che si ostina a inforcare, non c’è nulla di degno di nota, in lei.

A parte i capelli, che Viola non smette di fissare. A parte le labbra, di un rosso quasi violaceo, che spiccano sulla faccia da mela, perennemente secche, e la sua linguetta rosa, come quella di un gatto, che ci passa sempre.  

A parte il sorriso, bianco e dritto, che le rivolge anche ora, appena un accenno.

Fa finta di nulla, Viola.

Abbassa di più la faccia, mentre Caterina le passa accanto, si inghiotte l’ostia ormai sciolta, si lecca via il vino dalla bocca, che poi tira in una linea sottile.

Si alza, e le ginocchia scricchiolano, nei jeans strettissimi.

Marco approfitta del momento di confusione – dello sguardo vigile del prete puntato sulle ultime file – per gettarle un’occhiata, il sorrisetto che le fa sempre, metà invito e metà ordine a raggiungerlo dopo, per una sigaretta e una pomiciata in cortile.

Le passa un brivido lungo la schiena; incolpa il freddo.

Caterina è dietro di lei, adesso, al suo posto negli ultimi banchi. Ma dopo, a lezione, siederanno vicine – e prima di inzupparsi della puzza delle cicche di Marco, potrà ubriacarsi del suo shampoo alle mandorle.

All’uscita, forse, le domanderà dove lo compra.

E quel burrocacao  che usa, anche, che pare renderle le labbra tanto morbide.

   
 
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