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Autore: bibersell    24/10/2015    3 recensioni
Tra le vie seicentesche di un napoletano sotto il dominio spagnolo e in piena crisi economica vive una famiglia benestante con una concezione di vita e dei principi morali fin troppo legati al secolo precedente.
Camelia non conosce altra verità se non quella raccontatale dalla società, ma l’incontro con un gentiluomo inglese farà vacillare ogni sua certezza.
Il giovane James Farewell, uomo di cultura e di ragione, permetterà all’ingenua Camelia di conoscere le nuove teorie scientifiche che ormai stanno rendendo sempre meno solida la base di cristallo sulla quale la Chiesa aveva eretto le proprie dottrine e sacre verità.
Tra incontri letterari e lezioni segrete James farà conoscere a Camelia il nuovo mondo ponendola sempre davanti ad una scelta: fede o ragione. Ragione e sentimento. Sentimento e menzogna.
Il reating potrebbe cambiare.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Consiglio l'ascolto di questa melodia che ha dato il nome al racconto.


Capitolo primo
 


Non c’è nulla di tanto illecito quanto rimpicciolire
il mondo con le nostre manie
e le nostre cecità, sminuire la realtà,
sopprimere immaginariamente parti di ciò che è.
Gianfranco Pecchinenda. 
Lo Stupore e il Sapere.
 




Le giornate soleggiate stavano cedendo il passo a quel tempo uggioso congedando definitivamente i caldi raggi mattutini e le belle vesti sottili e colorate.
Dalla mia finestra con balconcino riuscivo a vedere le rade persone in strada munite di ombrelli scuri affaccendarsi per ritornare alle loro dimore. La strada buia e umida rispecchiava il mio stato sconsolato e malinconico. L'estremità del mio labbro stavano già prendendo quel cipiglio imbronciato tipico di una persona insoddisfatta e vagamente nervosa.
Con la fine dell'estate non dicevo addio solo alla parte più bella del mio guardaroba ma anche alle lunghe e interminabili passeggiate al borgo con le amiche sotto i cocenti raggi solari. L'autunno ero uno dei periodi che più detestavo. Non solo era una stagione umida e piena di precipitazioni ma anche triste: non ti permetteva di far nulla.
Sbuffai preparandomi ad un'ennesima annata boriosa ed abitudinaria. La cosa più interessante sarebbe stata la solita partita a carte al tavolo delle vecchie signore. Rassegnata mi allontanai dalla finestra e corsi in corridoio per chiamare Ersilia, la mia dama personale.
Non dovetti pronunciare il suo nome una seconda volta che lei si materializzò davanti ai miei occhi in tutta la sua serietà. Come tutti i giorni portava i capelli tirati sulla nuca in una croccia e il viso pulito e pallido. Era molto giovane ma quell'acconciatura e quelle vesti scure da dama di compagnia la facevano risultare una maggioranda. Gli occhi piccoli e marroni erano attenti e seri. Le labbra dritte e affilate non acquisivano mai una piega. Né di broncio né di gioia.
Ersilia mi affiancava da quando avevo quattordici anni ed ero stata catapultata nell'alta società. Erano ormai tre anni che provvedeva a farmi il bagno e ad acconciarmi le vesti e i capelli. Era di soli pochi mesi più grande di me eppure mi era stata affidata come dama. I primi tempi credevo che fosse un'incompetente per nulla alla mia altezza ma il tempo mi aveva dato modo di pentirmi dei miei stessi pensieri.
Ersilia era austera e dimostrava fierezza in tutto ciò che faceva. Era diligente e servizievole ma non per questo permetteva agli altri di scavalcarla. Col tempo avevo imparato ad apprezzarla.
«Preparami il catino. Stamattina gradirei un bagno bollente con dell'estratto di gelsomino e una crema di erbe curative per il volto». Dissi in tono scocciato reprimendo malamente uno sbadiglio.
«Come desidera, signorina». Rispose la dama abbassando leggermente la testa in forma di riverenza.
Ersilia uscì dalla stanza lasciandomi sola coi miei pensieri. Mi sedetti sulla punta del letto e ripresi ad osservare lo scenario oltre il vetro della finestra. Conoscevo quei palazzi a memoria. Anche ad occhi chiusi avrei potuto disegnarli nei minimi particolari elencandone ogni fattezza. Alti, imponenti, in pietra lavica ruvida al tatto. Quando camminavo per le strade del paese mi divertivo a passarci sopra la mano e infilare le dita nei buchi più profondi. Mi piaceva scoprire se il mio polpastrello ci sarebbe stato in un'apertura così piccola.
Il campanile in fondo alla strada era perfettamente visibile dalla mia camera. Le lancette erano troppo piccole per quel grosso orologio e vedere i numeri da quella distanza era praticamente impossibile, ma quando le campane rintoccarono otto volte riuscii a visualizzare con efficacia la lancetta delle ore posarsi sul numero romano e formare con quelle dei minuti un angolo ottuso.
La sera era ormai già calata da diverso tempo ed insieme al buio erano giunte anche le nubi portandosi con sé una tenue pioggerella autunnale. Quel tempo mi rattristava davvero molto. Sbuffai malinconica.
La porta della camera di aprì ed Ersilia comparve sulla porta in tutto il suo rigore. «Il bagno è pronto signorina».
Mi alzai con lentezza e a passi concisi uscii dalla camera da notte per attraversare il corridoio e giungere alla sala da bagno. Mi svestii dei miei abiti rimanendo nuda davanti allo sguardo imperscrutabile della mia dama ormai abituata alla nudità del mio corpo. Non mi sono mai lavata da sola anche se ammetto di non essermi mai totalmente abituata a mostrarmi senza abiti ad occhi estranei.
Mi immersi nell'acqua bollente inebriandomi dell'odore del gelsomino. Ersilia provvide a strofinare la schiena con un'apposita spazzola per poi passare a braccia e gambe. Massaggiò la mia cute per poi strofinarla con voracità mentre il mio capo chino dondolava da destra verso sinistra.
Dopo essermi lavata con accuratezza mi avvolsi in un telo e mi diressi nella stanza attigua nella quale erano riposti tutti i miei vestiti.
«Cosa vuole indossare per la cena di stasera, signorina?». Si rivolte gentilmente Ersilia ammirando i miei abiti fatti con stoffe pregiate e raffinate.
«Fai tu, per me è lo stesso». Risposi scocciata non emozionandomi più davanti a belle stoffe.
«Come desidera». Rispose e prese un abito di velluto rosso coi panneggi interamente decorati. La parte superiore che occupava in decolté era piena di minuscoli rubini rossi mentre la parte inferiore era decorata con spirali nere. Era un vestito stupendo ma fin troppo importante per una tranquilla cena. Per non parlare di quanto era pesante quella gonna vellutata.
«Questo è troppo elegante. Prendi qualcosa di più semplice». Ribadii districando con le dita i nodi dei capelli ancora bagnati.
«Signorina stasera avete ospiti e vostro padre mi ha dato precisi ordini». Tentò di controbattere Ersilia.
«Tu sei la mia dama non quella di mio padre» dissi in tono calmo e per niente alterato. «Il vestito blu di panno andrà benissimo per una cena con vecchi banchieri» conclusi riferendomi agli ospiti. Era ormai consuetudine avere commensali non appartenenti alla famiglia a tavola. Erano sempre noiosi vecchi che parlavano di politica. Un argomento così barboso per una graziosa signorina come me.
Ersilia fece come da me detto e io indossai il semplice vestito di panno blu con decorazioni in pizzo color avorio sul decolté e ai bordi delle maniche.
Dopo aver indossato la veste mi sedetti sul puffo mentre Ersilia provvedeva ad acconciarmi i capelli. Pettinò a lungo i miei capelli biondi per poi legarli in una coda bassa sul lato destro della nuca. Morbidi boccoli rimbalzavano sul mio seno per poi terminare sotto le costole. Il viso era lasciato interamente scoperto ed era ben visibile il suo pallore.
Pizzicai le mie guance per acquisire un minimo di colore. Sotto gli occhi portavo i segni della notte trascorsa quasi completamente insonne. Puntai lo sguardo scuro nel mio riflesso e cercai quella scintilla che mi aveva sempre distinto. Non avevo le irridi di un colore particolare ma le mie pupille avevano un bagliore e una luce particolare per nulla comune. La cercai anche quella sera ma non trovai nulla eccetto occhi spenti e privi di vitalità. Chiusi e riaprii le palpebre diverse volte ma la luce non c’era. Era scomparsa. Era diverso tempo ormai che non riuscivo più a scorgerla nel mio sguardo. Avevo perso la mia luce, la mia vitalità. Non c’era più niente che mi entusiasmasse.
Il colpo di tosse di Ersilia mi riportò alla realtà. «Signorina..» cominciò «è ora di andare».



La sala da pranzo era imbandita a festa come solo poche volte lo era stata. Il tavolo che sapevo essere in mogano era coperto da una pesante tovaglia giallo ocra e candelabri di bronzo erano posizionati ogni due piatti. Era stato usato il servizio completo e per ogni posto erano stati disposti tre piatti, uno per portata, le sei posate e i due bicchieri per l’acqua ed il vino. Le tende erano state abbassate e tutti i lampadari erano accesi. La sala non era mai stata così luminosa. Un profumo di arrosto riempiva la sala facendomi venire l’acquolina.
«Signorina non puoi stare qua, non è ancora ora di cera» mi riprese Amelia, la capo cameriera. Era una donna di una certa età bassina e paffutella. I capelli erano di un grigio chiaro e la pelle era rugosa e raggrinzita. A lei erano andate le mie cure quando ero nata. Ero veramente affezionata a quella donna. «Tuo padre è in salotto». Continuò Amelia.
Sbuffai. «L’ora del brandy, come dimenticarla». Sollevai gli occhi al cielo stufa della solita rutine.
«Tua madre ti aspetta in salotto». Disse la capocameriera non badando alle mie parole. Feci per sedermi a tavola con ostinatezza. Non mi importava di quello che diceva mia madre, io non volevo andare in salotto. Tutte quelle vecchie signore alla ricerca di pettegolezzi mi avrebbero davvero fatto saltare i nervi quella sera.
«Camelia..». Il tono di rimprovero di Amelia mi bloccò congelandomi sul posto. «Ormai sei una donna e non puoi permetterti bambinate».
«Ma io non voglio andare di là» mi lamentai mettendo perfino il broncio.
«Suvvia non ti lamentare».
La guardai con i miei occhioni cercando di addolcire il più possibile lo sguardo.
«Dai che ti metto un mestolo in meno di zuppa». Mi concedette sapendo quanto poco mi piacesse quel pastrocchio di verdure lesse. Un sorriso mi nacque spontaneo.
«Grazie» le dissi riconoscente e schioccai un bacio sulla sua guancia. Quella donna era davvero come una madre per me. Con lei mi sentivo a mio agio e facevo e dicevo cose che normalmente non era consuetudine fare con una cameriera.
Uscii dalla stanza dirigendomi in salotto armata di buona pazienza e pronta ad ingoiare tutti i commenti sprezzanti di quelle vecchie megere.


Mezz’ora dopo potei affermare di essermi sbagliata. Giunta in salotto mia madre aveva preteso tutta la mia attenzione e non aveva certo mancato l’occasione di criticare il mio abbigliamento giudicato da lei poco consono. A mio parere la comodità non era mai poco consona ma lei non era certo del mio stesso parere. Fortunatamente le altre dame di corte erano troppo impegnate a parlare di un nuovo fantomatico giovane giunto dalla lontana Gran Bretagna per badare all’inadeguatezza delle mie vesti.
Il salotto era gremito delle famiglie più importanti di tutto il Mezzogiorno. Gli uomini erano quasi tutti riuniti intorno ad un unico grande tavolo a sorseggiare brandy e discutere d’affari mentre le giovani donne si scambiavano commenti frivoli, solo poche di loro erano così ardite da parlare con qualche ragazzo già all’inizio della serata.
Mi ero diretta al tavole delle signore ed avevo affiancato mia madre facendo finta di prestare attenzione alle loro chiacchiere mentre con la testa ero da tutt’altra parte.
«Lei cosa ne pensa, signorina Camelia?» mi chiese una delle amiche di mia madre seduta al tavolo. Era in assoluto una delle più false ed ipocrite e per questo si era guadagnata il primo posto nella mia classifica personale delle donne di alta società più detestabili.
«Perdoni la mia disattenzione signora Ranieri, ma non capisco a cosa si riferisca». Risposi cercando di sovvenire alla mia mancanza. La donna mosse la mano ingioiellata e l’allungò sul tavolo per prendere il ventaglio. «Ovviamente la perdono anche se mi è difficile comprendere la poca chiarezza della mia domanda. Sono costretta a pensare che le nostre chiacchiere la annoino eppure stavamo parlando del giovane inglese che vostro padre ha invitato proprio a questa cena» rispose la donna in tutta la sua cattiveria.
Strinsi le mani a pugno costringendomi a rispondere con educazione. «Non so cosa dirle se non invitarla a rivedere le vostre conclusioni erronee» dissi lentamente e con tono fermo «E mi dispiace comunicarle che non so come rispondere alla vostra domanda sottesa. Non ho ancora conosciuto l’uomo che suscita in voi tanta curiosità e non saprei cosa dirvi a riguardo. Anzi, non capisco come un altro uomo d’affari possa indurre a tante domande e chiacchiere».
La donna mi guardò per poi fare un gesto di non sufficienza e continuare le chiacchiere con la signora Neri seduta al suo fianco.
«Con permesso» dissi alzandomi e allontanandomi dal loro tavolo fingendo di non vedere lo sguardo di disapprovazione di mia madre.


Camminai per la sala attraversandola in diagonale intenzionata a rifugiarmi in biblioteca e di ritornare solo al momento della cena, ma i miei piani furono rovinosamente infranti da mio padre.
«Cara, sei splendida» mi disse accarezzandomi una guancia.
Il rapporto con mio padre era sempre stato decisamente migliore rispetto a quello con mia madre. Lui era molto più pratico e tranquillo. Era un ottimo ascoltatore e sapeva dare consigli eccezionali.
«Grazie, padre» gli sorrisi bonariamente.
«Come stai bambina?» si informò.
«Bene» risposi semplicemente rinunciando alla menzione delle mie inquietudini notturne.
«Sono contento» disse «Mi concederesti l’onore di presentarti il figlio di un caro amico? È appena tornato da Londra».
Annuii ricollegando le parole di mio padre con quelle della signora Ranieri. Adesso ero davvero curiosa di scoprire l’oggetto di tanta curiosità e degno dell’attenzione di quelle chiacchierone. Sotto il braccio di mio padre, il gran duca, attraversai l’intero salotto giungendo davanti al caminetto acceso e fumante. La legna ardeva scoccando scintille che deliziavano i miei sensi. L’odore di legna secca e bruciata inebriava il mio olfatto riportandomi indietro di anni e anni, ripercorrendo col pensiero stagioni ormai passate. I colori di quell’alta fiammata catturavano il mio sguardo come se fossero la cosa più bella all’interno della stanza. D’istinto si è portati a dire che il fuoco sia di colore rosso che si associa per transitività alla passione, ma se solo lo si scruta con occhi più attenti è possibile notare che il fuoco non solo non è rosso, ma al suo interno ha una miriade di colori che vanno dalle tonalità più scure di blu al rosa pallido.
Quella fiammella aveva catturato la mia intera attenzione e distolsi lo sguardo da esso solo nel momento in cui alle mie orecchie giunse il suono della voce di mio padre.
«Signore Farewell permettetemi di presentarvi mia figlia Camelia» disse l’uomo elegantemente vestito che mi aveva scortata sottobraccio.
«Certamente, duca». Un accento fortemente inglese pronunciò quelle parole rendendole quasi incomprensibili al mio orecchio non abituato all’ascolto di lingue straniere.
«Camelia, lui è il giovane James Farewell, nipote del cancelliere dello scacchiere». Parlò mio padre presentando il giovane. Lo scrutai con severità e accuratezza come se fosse un soggetto da studiare nei minimi dettagli. Il viso era indiscutibilmente di un uomo giovane ma i lineamenti marcati e l’accenno di peluria lungo le guance facevano ben intendere di aver superato da diversi anni l’età adolescenziale. Non era più un ragazzino ma un uomo d’alta società.
I capelli erano lunghi come da tendenza degli ultimi anni ma, invece di essere legati, erano tenuti sciolti in una massa indomata di capelli mossi e vagamente crespi. Quelle ciocche scure gli incorniciavano un volto pallido, ancor più del mio, e ben squadrato. I suoi lineamenti erano così inusuali. Non ero solita vedere mascelle così nettamente definite e nasi perfettamente tondi con morbide linee che ricordavano quelli femminili. Gli occhi erano piccoli e stretti in un’espressione attenta che metteva agitazione.
Fremetti sotto quello sguardo indagatore. L’ospite raddrizzò le spalle e assottigliò ancor di più lo sguardo nascondendo quasi completamente le sue irridi. Non ero riuscita a vederle chiaramente ma sembra proprio che fossero chiare.
«Lieta di fare la sua conoscenza» dissi in tono sicuro allungando il braccio e mostrando il dorso della mano. Lui prese tra le sue dita la mia mano inguantata e prima di lasciare un bacio sul tessuto azzurrò sussurrò una parola a me sconosciuta. «Nice».
«Il piacere è tutto mio, miss». Parlò di nuovo e questa volta il suo accentò sembrò sentirsi ancora di più. Sorrisi cordialmente prendendo le distanze da quell’uomo così diverso da tutti quelli con cui ero entrata in contatto fino a quel momento.
«Il signorino mi stava raccontando le bellezze della sua terra poco prima che incontrassi te» intervenne mio padre argomentando il dialogo.
«Oh la prego, chiamatemi pure Mr James» sorrise l’ospite d’onere di quella sera. Quel sorriso donò al suo voltò una bellezza sinistra che non rassicurava ma, anzi, angosciava.
«Le terre inglesi hanno davvero tanto da offrire. Ci sono splendidi giardini che ogni lady dovrebbe visitare». Continuò il signore Farewell rivolgendosi direttamente a me.
«Non metto in dubbio la vostra parola, Mr James, ma sono convinta che qualche albero verde non volga tanti giorni di viaggio in carrozza». Risposi riacquistando quel cipiglio acido che mi distingueva.
Lui rise di gusto. «Ne deduco che le vostre parole siano dettate dalla mancanza di conoscenza. Green Park è così incantevole adesso. Grazie al re Carlo II adesso è un delizioso giardino reale e non più un cimitero per lebbrosi». Spiegò rivolgendomi la sua completa attenzione.
«Se insiste così fortemente su questo argomento mi trovo costretta a concederle una possibilità. Se mai un giorno mi sarà possibile fare un viaggio così importante mi ricorderò di queste tenute reali». Risposi guardandolo negli occhi.
Solo quando mio padre mi strinse il braccio con maggior vigore mi resi conto di averlo completamente escluso dalla conversazione. Stavo per l’appunto per proferire parola quando James Farewell mi interruppe. «Vogliate scusarmi ma ho appena visto un vecchio amico e ci terrei a salutarlo». Esordì nel suo italiano fluente ma ancor troppo legato al dialetto inglese.
Se avessi dovuto definire la sua voce in soli due aggettivi sarebbero stati di sicuro nasale e possente. «Certamente, Mr James. Avremo occasione di continuare questa chiacchiera in altro luogo» lo congedò mio padre.
James annuì col capo chinandosi nuovamente verso di me per un baciamano di saluto. Con le labbra ancora sul tessuto setoso del guato sussurrò: «Goodbye, Camelia».
Ebbi un brivido lungo tutta la schiena nel sentire il mio nome così semplice ed italiano pronunciato da quella voce con quell’accento così inusuali ed estranei alle mie orecchie.
«Arrivederci» sussurrai semplicemente.
Il nuovo arrivato si allontanò per poi scomparire tra la folla. I miei occhi lo persero per tutto il resto della serata per poi ritrovarlo diverso tempo dopo a tavola, seduto proprio vicino a mio padre e agli altri uomini facoltosi del secolo.


 
My space..
Salve e benvenuti in questa nuova folle storia. Grazie per averne aperto il primo capitolo e un doppio grazie a chi è arrivato fin qui. Siete davvero coraggiosi!
Spero che non abbiate trovato questo inizio noioso, anzi spero di avervi suscitato un po’ di curiosità che vi porterà a leggere il capitolo successivo.
A tutti quelli che già mi conoscono come autrice do un caloroso bentornato. A tutti i nuovi lettori mal capitati do, invece, il benvenuto su questo vascello un po’ vecchiotto e malridotto.
La mia mente folle e fuori controllo ha prodotto questa cosuccia qui sopra e spero vivamente chi vi piaccia. Fatemi sapere ogni parere, considerazione e consiglio. È la prima volta che provo a scrivere qualcosa del genere e sono bisognosa di aiuto. Spero di leggervi in tanti.
Al prossimo viaggio nel tempo
-B

P.s. Vi lascio le immagini dei due protagonisti.

Camelia la immagino molto simile alla bellissima Lily James



Mentre Mr James Farewell ha una cera affinnità con Ian Somerhalder, passatemi il cliché.
Mi sembra inutile lasciare una sua foto.

Fatemi sapere cosa ne pensate!!

 
  
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