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Autore: RealxMex    24/10/2015    5 recensioni
"Viene chiamata anche la “città dai cento volti”, una città dove ogni aspetto della nostra vita trova modo di soddisfarsi ampiamente. Era senza dubbio la capitale americana dell'arte, dell'editoria, del teatro, della pubblicità, della moda e dei pettegolezzi da prima pagina. E quale città migliore poteva darmi l’opportunità di iniziare una nuova vita?"
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
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CAPITOLO 1

Ero in macchina seduta sui sedili posteriori, mentre mia zia guidava verso casa sua, quella casa che da oggi sarebbe diventata anche casa mia. La casa in cui abitavo prima, a Los Angeles, era una bella casa, ma non la consideravo mia.
Mi sentivo esclusa da quel posto, a me non trasmetteva niente, mi trasmetteva freddezza e soprattutto terrore, ogni volta che rientravo in quella casa sapevo che mi aspettavano botte, lividi e sangue, per me non era “casa mia”, ma la casa degli orrori.
E poi c’era lui che mi aveva risollevato e poi distrutto in un secondo, dovevo staccare la spina, iniziare una nuova vita e soprattutto darle un senso.

Questa era l’opportunità per riniziare, per avere un nuovo inizio, perché fino ad allora niente aveva avuto un senso e quindi quando mia zia Mary mi ha proposto un posto alla Juilliard ho colto subito l’occasione.
Ah a proposito lei è la preside della scuola.

Stavamo attraversando New York e che dire era davvero una città spettacolare.
Dei grattacieli enormi si ergevano davanti a me, masse di persone attraversano la strada andando chissà dove, forse l’unica
cosa negativa era quel snervante odore di uova marce dovuto al traffico e allo smog.

Passando per Central Park l’odore era migliorato e vedevo un piccolo laghetto con delle papere e un bellissimo cigno, mentre su una panchina lì vicino un’anziana signora dava da mangiare a dei piccoli uccellini spargendo un po’ di briciole di pane qua e là. Sul laghetto c’era un piccolo ponte dove una coppia d’ innamorati era lì a coccolarsi e mi scappò un piccolo sorriso pensando se forse un giorno sarei riuscita
di nuovo a sentirmi felice tra le braccia di qualcuno.

Central Park era davvero enorme, una piccola area verde in quell’enorme città, dove molti bambini giocavano, facevano volare gli aquiloni e camminano mano nella mano con i loro genitori gustandosi un gelato. A quella vista un gusto amaro in bocca, una profonda sensazione di vuoto, perché io non ho mai potuto fare qualcosa del genere e tanto meno con i miei genitori.

Appena Central Park usci fuori dalla mia visuale cercai di allontanarmi dai quei brutti pensieri e misi in moto il cervello e iniziai a pensare alle opportunità che avrebbe potuto darmi New York. Molte persone consideravano quella città come la fredda realtà del business che si fonde con innumerevoli forme d'arte, creando uno spettacolo in continua evoluzione. Viene chiamata anche la “città dai cento volti”, una città dove ogni aspetto della nostra vita trova modo di soddisfarsi ampiamente. Era senza dubbio la capitale americana dell'arte, dell'editoria, del teatro, della pubblicità, della moda e dei pettegolezzi da prima pagina. E quale città migliore poteva darmi l’opportunità di iniziare una nuova vita?

Amavo l’arte, la musica e il teatro, ma odiavo cantare, l’unica persona che mi aveva sentito cantare era mia zia, dato che ogni volta che veniva a trovarmi, mia cugina di 10 anni, Lia, mi costringeva a cantare e quindi adesso che andavo a vivere da loro probabilmente dovrò cantare ogni giorno. Cantare mi riporta in mente brutti ricordi, pieni di dolore e sofferenza, mi riportava in mente lei, il mio sogno era quello di diventare un’artista, una di quelle artiste che trasmettono la loro passione e i loro sentimenti attraverso la loro voce, volevo essere una di quelle cantanti che mettono anima e corpo in ciò che fanno, in ogni parola, in ogni canzone, ma mi ero promessa che non sarebbe accaduto, avevo rubato un sogno, il suo ed era solo colpa mia se lei era morta.
Stavo pensando troppo, pensare troppo a volte fa male, infatti mia zia se ne accorse e mi risvegliò dai miei pensieri:
“Hey come è andato il viaggio?” era una donna alta, con i capelli rossi e mossi, occhi castani e carnagione chiara, con un po’ di lentiggini sulle guance, lei era dolce, coraggiosa e soprattutto riusciva a trovare il lato positivo in qualsiasi situazione, era una mamma per me, l’unica che mi capiva, l’unica che sapeva chi ero davvero, l’unica che mi voleva bene.

“Tutto bene, solo un po’ di nausea durante il volo” mi fece un leggero sorriso guardandomi dallo specchietto per poi ripuntare lo sguardo fisso sulla strada. Non parlammo più dopo quelle poche parole, sapeva che parlare non era il mio forte, ma soprattutto aveva paura di ferirmi in qualche modo e quindi rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio e io amavo il silenzio.

“Eccoci” annunciava zia Mary e in quel momento mi accorsi che mi ero addormentata, ma appena guardai di fronte a me mi ritrovai qualcosa di spettacolare e mimai un piccolo “wow” con le labbra. Ci eravamo fermate davanti un cancello in ferro, era incredibile, il ferro, era stato modellato in alcuni punti a forma di rosa dandogli un non so che di elegante.
Quando si apri il cancello, quello sì che era davvero bellissimo, avevo di fronte un enorme villa bianca a due piani ed era circondata da un enorme giardino, dove in quel momento un paffuto signore anziano passava il tosa erba, e proprio di fronte all’entrata della casa c’era un enorme fontana, dove al centro si ergeva una statua di una donna fatta di cristallo e le piccole gocce d’acqua che percorrevano il corpo della donna, illuminate dalla luce del sole, brillavano, era bellissima, sembrava una dea e rimasi alcuni minuti incantata a fissare quella bellezza.

La macchina parcheggiò davanti alle scale, bianche ed in marmo, che portavano all’ingresso e scesi dalla macchina dando una mano a zia Mary a scendere le valige. Arrivata all’ingresso aspettai mia zia che stava prendendo le chiavi e quando entrammo mia accorsi che l’interno era tutto in legno, con alcuni mobili antichi ed altri moderni, mi ricordavo perfettamente quella casa anche se eravamo venuti a trovare zia Mary poche volte negli ultimi anni, ma come scordarsi di una casa cosi stupenda!

C’erano le scale sulla destra che portavano alle camere da letto, sulla sinistra, invece, c’erano due porte, una era la cucina, con un piano cottura professionale ed enorme e di fronte ad esso c’era un tavolo in marmo bianco con alcune sedie. La seconda stanza portava al salotto, appena entravi trovavi sulla destra una televisore a schermo piatto con un divano e una poltrona in pelle nera, a sinistra c’era il caminetto con un tavolino in mogano tra due sedie a dondolo, ma la bellezza di quella stanza era il terrazzo, che ti offriva un panorama spettacolare, potevi vedere New York in lontananza e goderti il tramonto, amavo quella stanza.

Ero rimasta ferma sulla soglia a ricordarmi quella stupenda casa che adesso sarebbe stata anche mia quando mia zia mi toccò la spalla:“Ti piace?” mi fece un sorriso gentile e io non potei far altro che ricambiare
 “ovvio ho sempre amato questa casa”
“mi fa piacere” mi rispose lei”
“vado a posare le valige in camera, sono stanca voglio riposarmi” e mi scappò uno sbadiglio

“ok ci vediamo a cena, comunque prima porta a destra, quella di fronte è il bagno” mi fece l’occhiolino e mi sembrò molto strano.
Salutai mia zia con un bacio sulla guancia e trascinai a fatica la valigia su per le scale, arrivai davanti alla porta della stanza che sarebbe dovuta diventare casa mia e prima che potessi girare la maniglia sentii la porta dietro di me aprirsi, mi girai di scatto e mi trovai davanti un ragazzo mezzo nudo con solo un asciugamano addosso che mi fissava.
 
 
 

 
 
 
   
 
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