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Autore: dilpa93    26/10/2015    3 recensioni
Amy si ritrovò a sorridere vedendo il piccolo lentamente svegliarsi. Sentì le mani di Rory farsi strada lungo il profilo dei suoi fianchi arrivando così a circondarle la vita. Il capo poggiato delicatamente sulla sua spalla, il naso sfiorarle dolcemente il collo.
“Rileggimela”, lui, ruotando di poco il viso, incrociò il suo sguardo, fissandola interrogativo. “La lettera di River. Rileggimela, ti prego”.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amy Pond, Brian Williams, Doctor - 11, River Song, Rory Williams
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato"
William Faulkner



 

Le tempie le pulsavano, non riusciva a scrivere nulla che potesse avere almeno la parvenza di un senso.
C’era qualcosa, come una forza magnetica, irresistibile, che la attirava nella stanza accanto.
Entrò a passi leggeri, sporgendosi titubante su quella culla improvvisata quasi con la paura di poterla trovare inaspettatamente vuota.
Tornò a respirare quando vide il corpo del piccolo spuntare avvolto nella coperta. Gli occhi chiusi, l’espressione serena, il pugnetto stretto vicino al viso. Lo prese tra le braccia, sollevandolo con lentezza nel tentativo disperato di non svegliarlo. Se lo strinse al petto, la testolina poggiata piano contro il suo seno.
Era un sensazione che aveva provato solo una volta, indimenticabile, indelebile nella sua memoria.
Demons Run e tutto quello che ne era conseguito, ma soprattutto lei, la sua piccola Melody Pond, un nome da supereroina. La prima volta che aveva visto i suoi occhi aprirsi, la prima volta che l’aveva accolta tra le sue braccia.
Involontariamente strinse il bambino di più a sé, sostenendosi quasi con le unghie ai ricami in lana sulla coperta che lo avvolgeva.
“Non svanirà, non questa volta”, la voce di Rory le arrivò in un sussurro alle spalle, prima di sentire le sue labbra poggiarsi sulla sua nuca per lasciarvici un bacio.
Rory, il meraviglioso Rory, il fantastico, comprensivo e paziente Rory, che ancora una volta aveva capito cosa la preoccupasse senza bisogno che lei dicesse nulla, senza doverla guardare in volto. Gli era bastato vedere la rigidità nelle sue spalle e quel gesto protettivo con cui si aggrappava al bambino.
“Mi sembra tutto così surreale”, aveva mormorato sfiorando la guancia paffuta del piccolo.
“Nella nostra vita c’è mai stato qualcosa che non lo fosse? Guarda dove siamo…”, ruotò il capo squadrando la stanza, fissando poi un punto imprecisato al di là della finestra. “E pensare che storia non è mai stata la mia materia preferita.”
Sembrò impossibile in quel momento, eppure con un semplice battuta riuscì a strappare un sorriso ad Amy.
“Ci occuperemo di lui, lo vedremo crescere e, chissà, forse r-rigenerarsi”, balbettò passando una mano tra i capelli radi alla base del capo.”E un giorno, quando sarà pronto, o quando saremo pronti, gli racconteremo di sua madre.”
 
 
 
Un flash di luce irruppe nell’inquietante oscurità della sera.
Guardò il manipolatore vortex al suo polso.
1942.
Erano passati mesi -molti, troppi- dall’ultima volta che aveva visto il Dottore, dall’ultima volta che quella versione di lei aveva visto il Dottore. Aveva avuto bisogno di tempo. Si era occupata di sé e aveva viaggiato godendosi la libertà dopo essere stata per anni a Stormcage, anche se con quelle piccole uscite notturne la prigione alla fine non era stata poi tanto male. Aveva affrontato la sofferenza per la perdita dei suoi genitori. Il tempo poteva essere riscritto ma loro no, loro non sarebbero potuti tornare e lei avrebbe avuto una sola ed ultima occasione per rivederli, ed era arrivata.
 
“Questo libro che devo scrivere, Melody Malone, suppongo che lo darò ad Amy per farlo pubblicare?”
“Si. Si.”
“Le dirò di scrivere una postfazione. Per te. Magari l'ascolterai.”

 
Il libro era ormai completo.
Era stato difficile scriverlo, più di quanto avesse immaginato. Ogni parola le era bruciata nel petto, così come le lacrime che le avevano rigato il viso, accingendosi a scrivere il finale, le avevano infiammato le guance nonostante avesse cercato di reprimerle. Era pur sempre River Song, la donna che non si era permessa di accasciarsi a terra e piangere nemmeno nel momento in cui anche sua madre venne presa dall’angelo piangente, perché quell’ultimo superstite doveva essere fissato da qualcuno o anche il Dottore sarebbe stato portato via, chissà dove, lontano da lei e le conseguenze sarebbero state ben peggiori.
Si guardò intorno respirando l’aria satura degli odori di quella guerra che stava sconvolgendo il mondo, di paura e terrore, di polvere da sparo e proibizionismo, di fuga e disperata ricerca di riparo.
Era stata in Germania all’alba dello scoppio di quel pandemonio ed ora si trovava di nuovo immersa in quegli orrori, nella straordinaria Manhattan, e non poteva che ringraziare quell’angelo perché, nonostante tutto, aveva condotto i suoi genitori in America. Grandi risorse, ampie distanze… la guerra era arrivata anche lì, ma certamente meno marcata che in Europa.
Sarebbero stati bene, lei lo sapeva.
Carica di un bene più prezioso che del semplice libro da lasciare ad Amy, si incamminò per le strade deserte mentre il cielo plumbeo cominciava a tuonare sopra di lei.
Doveva affrettarsi o di lì a poco sarebbe stata fradicia.
I suoi passi rimbombavano nei viottoli scuri, nelle pozzanghere formatesi nei giorni tra gli avvallamenti del cemento. La sua ombra si stagliava leggera sui muri coperti da manifesti ormai consunti e strappati, e dalle scritte che proclamavano l’anonimo odio verso il Terzo Reich.
Scorse un parco, deserto e cupo, oltre la ringhiera che aveva al suo fianco.
Uno degli ultimi momenti felici con il Dottore i suoi genitori lo avevano vissuto lì, quando il sole era alto, benché la giornata fosse avvolta da una leggera aria frizzantina, e l’idea che di lì a poco tutto sarebbe andato a rotoli era ancora lontana.
Attraversata la strada si trovò davanti ad una schiera di villette. Non si sarebbe aspettata nulla di diverso da loro, riusciva ad immaginarseli nel tepore di quella casa. Vivere insieme, felici anche se lontani dai viaggi nel tempo e nello spazio. Lontani dal loro migliore amico e dalla loro unica figlia.
Rory sicuramente impegnatissimo. La guerra porta vittime e le vittime richiedono cure e attenzioni, il che significa molto lavoro per lui che, da semplice infermiere di Leadworth, si sarebbe ritrovato immerso in pazienti con ferite da arma da fuoco, magari anche in basi ospedaliere improvvisate.
Ed Amelia, invece, con le sue storie e il suo animo indagatore… reporter per un giornale, bollettini di guerra, seduta al tavolo da pranzo con la sua ormai inseparabile macchina da scrivere, e di lì a breve avrebbe potuto aggiungere al suo curriculum il titolo di redattrice.
Aprì il cancelletto che dava accesso al breve viale che la separava dalla porta di ingresso, il cigolio venne coperto da un forte tuono che attirò per un istante la sua attenzione, permettendole così di vedere il cielo squarciato da quelle che sembravano luci al neon intermittenti. Aveva visto stelle bruciare e lentamente spegnersi morendo, altre le aveva viste nascere, aveva assistito alla formazione e alla distruzione della Terra, era stata su pianeti di cui gli umani ignoravano l’esistenza, eppure non si era mai avvicinata a fulmini, tuoni o qualsiasi cosa avrebbe potuto mettere consapevolmente in serio pericolo il Tardis.
Sorrise, involontariamente.
Impensabile come delle volte si sentisse quasi minacciata da quella cabina della polizia, gelosa dell’importanza che il Dottore le dava.
Scosse il capo quando sentì una goccia colpirle il viso. In pochi passi raggiunse il portone, accarezzandone con attenzione le insenature in legno.
Aveva un bene di enorme valore da lasciare ai suoi genitori, ma non poteva permettersi di parlare con loro. Il rischio di creare un paradosso era già abbastanza elevato solo presentandosi lì, non poteva permettersi di mandare in frantumi lo spazio ed il tempo un’altra volta, senza contare che un ulteriore addio l’avrebbe letteralmente distrutta. Raccontare ad entrambi ciò che era successo in quel periodo -storia che si era limitata a scrivere nella lettera imbustata ed inserita tra le pagine della bozza di Melody Malone- sarebbe stato complicato e a tratti imbarazzante.
Per suo padre e sua madre almeno, non certo per lei. Le situazioni delicate, spinose e in una certa misura sconcertati in un qual modo la divertivano.
Si chinò sul gradino in cemento poggiandovi delicatamente ciò che teneva tra le mani, la pioggia aveva cominciato a cadere abbondantemente, ma la piccola tettoia del portico avrebbe fornito sufficiente protezione da quel rovescio.
Bussò e poi sparì.
 
 
 
Amy si ritrovò a sorridere vedendo il piccolo lentamente svegliarsi. Sentì le mani di Rory farsi strada lungo il profilo dei suoi fianchi arrivando così a circondarle la vita. Il capo poggiato delicatamente sulla sua spalla, il naso sfiorarle dolcemente il collo.
“Rileggimela”, lui, ruotando di poco il viso, incrociò il suo sguardo, fissandola interrogativo. “La lettera di River. Rileggimela, ti prego”.
Si allontanò non prima di averle lasciato un bacio sulla guancia, un po’ contrariato dall’essere costretto a lasciare quella posizione, certamente non comoda ma che ben si confaceva a quel momento.
Prese distrattamente la lettera, ancora aperta sulla scrivania di Amy, ma prima di tornare da lei la sua attenzione fu catturata dal foglio nella macchina da scrivere, ancora bianco se non per quelle due piccole e semplici parole. “Salve amico”, e capì immediatamente a cosa stesse lavorando. Sorrise, scuotendo la testa, tornando a passo svelto da lei. La trovò seduta sulla poltrona, tra le braccia ancora il piccolo, cullato regolarmente, forse sperando che così potesse ritrovare il sonno perduto. Le si mise accanto, sul bracciolo, la schiena inarcata di poco in avanti. Si schiarì la voce ed iniziò a leggere.
 
“Cari Amy e Rory,
sono passati quasi un paio d’anni da quel giorno a Manhattan, mi ci è voluto del tempo per riuscire a portare a termine il libro, spero perdonerete l’attesa.”
 
Il velo d’ironia e sarcasmo di River era palpabile già in quelle prime righe, potevano entrambi vederla, come se fosse davanti a loro e gli stesse parlando a voce alta.
 
“Come potrete immaginare, non è stato facile stare dietro al Dottore. Ah, quell’uomo! Gli mancate, terribilmente, fa di tutto per non ammetterlo ma, mamma, sai meglio di me che in alcune cose è davvero un pessimo bugiardo.
Quel giorno gli ho promesso che avrei lasciato spazio per una postfazione scritta da te, Amy, per dargli speranza e conforto perché quando leggerà quel tuo saluto sarà  totalmente smarrito, ed io mantengo sempre le mie promesse.
Un regalo d’addio, se vogliamo chiamarlo così.
Ma il mio regalo per voi è di tutt’altro genere.
Le cose hanno preso una piega inaspettata, insieme a quel diario avrebbe dovuto lasciarmi anche un libretto d’istruzioni sulla vita a fianco di un Signore del Tempo. Credo che sarebbe stato utile.”
 
Amy ridacchiò a quella frase, “Lo sarebbe stato eccome, anche se noi non le avremmo mai seguite. Le regole sono… sono regole, sono noiose.”
“Oh tesoro”, scosse la testa Rory fissandola negli occhi verdi. “Sei così scozzese!”, Amy gli sorrise, dandogli poi una leggera gomitata all’altezza della coscia incitandolo a proseguire nella lettura.
 
“…l’ho accompagnato per un po’ nei suoi viaggi, non potevo rimanere con lui per quanto mi sarebbe piaciuto. Non temete, mi sono assicurata stesse bene prima di lasciarlo, ma con lui non si può mai dire quale sarà la prossima mossa.
Ho fatto in modo di rimandare il più possibile i nostri incontri non appena mi sono accorta che mi aveva lasciato più di quanto entrambi avremmo mai immaginato.
So di non avere il diritto di chiedervi così tanto, ma vi prego, vi supplico di prendervi cura del mio bambino.
Per quanto vorrei, non posso occuparmene. I viaggi nel tempo possono essere estremamente pericolosi, lo sapete anche voi. Non posso permettermi di mettere a rischio la sua vita. Con voi potrà crescere normalmente, essere al sicuro, circondato da quell’amore che non avete avuto la possibilità di dare a me.
Sta bene, è forte… un solo cuore come, caro padre, ti sarei subito premurato di constatare, ma come forse immaginerete il dna è quello di un Signore del Tempo. C’è un’elevata probabilità che sia come me, che si rigeneri ad un certo punto della sua vita, ma so che riuscirete a gestirlo e a spiegarglielo. Io l’ho imparato da sola, nella New York del 1969, lui avrà voi, sarà più facile, fidatevi di me.
Il Dottore non sa della sua esistenza e non dovrà mai saperlo, non da parte vostra almeno. Non so se prima o poi lo scoprirà, se lo incontrerà o se sarà una futura me a parlargliene, ti prego perciò, Amy, di non accennare a nulla di tutto ciò nella postfazione che, conoscendoti, sono certa ti metterai subito a scrivere.
Sono quasi sempre stata un passo avanti a voi e al Dottore, ma questo non lo avevo minimamente previsto. Lo lascio a voi, alle vostre cure, sapendo che non ci sarebbe nessuno di più adatto a crescerlo. Non so se gli parlerete mai di me, sta a voi deciderlo, ve lo affido sperando che possa regalarvi un po’ di felicità, la stessa felicità che ho provato quando l’ho guardato negli occhi  per la prima volta.
Spero mi perdonerete per essere fuggita via.
Vivete bene, amatevi come vi ho sempre visto fare. Io riprenderò a viaggiare, non posso stare troppo lontana da mio marito, ogni tanto ha bisogno di una controllatina e una spinta nella giusta direzione e magari, beh… spoiler!
 
Sempre vostra,
Melody.
 
P.s.: Anthony… mi è sempre piaciuto come nome. Anthony Williams… suona bene, non trovate?”.
 
Rory lasciò cadere la mano che si fermò immediatamente contro il suo ginocchio, facendo così penzolare la lettera a mezz’aria. “Siamo nonni… beh, genitori-nonni”.
“Non ti stancherai mai di dirlo, non è vero?”, domandò divertita Amy, avendolo sentito pronunciare quelle esatte parole qualche giorno prima, dandosi poi un lieve slancio per alzarsi dalla poltrona. Si avvicinò nuovamente al lettino improvvisato adagiandovi il piccolo.
“Ti prometto che entro domani gli troverò una culla. Gliela costruirò se dovesse essere necessario.”
“Rilassati, Centurione. È qui solo da un paio di giorni, non avrà alcun trauma per aver dormito qualche notte tra coperte e cuscini”, lo prese in giro con un sorriso furbo appena accennato sulle labbra. Poggiò poi la testa sulla spalla di Rory che, avendola raggiunta, le si era messo accanto.
“Sai”, esordì dopo qualche secondo in cui aveva regnato il silenzio, riempito solo dal ticchettio della pioggia contro i vetri della finestra. “Il Dottore una volta mi disse che sarebbe stato solo una storia nella mia testa, ma che non importava perché... perché siamo tutti storie alla fine. Credo che avesse ragione e River sarà una bella storia per lui, avremo così tante avventure da raccontargli. Su sua madre e su quel pazzo con la cabina blu”.
“Suo padre”, sembrò quasi correggerla Rory.
“Già... oddio, se ci penso un minuto di più impazzisco”, scosse la testa Amy, forse per cacciare ancora una volta l’immagine di lei che provava imperterrita a baciare quell’uomo che poi era diventato suo genero ed ora padre di suo nipote. “Dormi bene, Anthony. Fai bei sogni”, lasciò un bacio sulla fronte del bambino tornando poi alla macchina da scrivere.
Ora sapeva, sapeva cosa avrebbe detto al Dottore in quell’ultimo saluto.
Speranza.
 
***
 
Londra,
29 Settembre 2012
 
Brian lo aveva stretto ancora una volta prima di lasciarlo andar via.
Si era rimesso il capello e, con un sorriso gentile, Anthony si era chiuso la porta alle spalle.
Si sentì liberato come di un peso, lieto di aver finalmente potuto realizzare una delle ultime volontà di suo padre. Ancora ricordava quando lo aveva visto scrivere quella lettera ed imbustarla, e aveva continuato imperterrito a domandargli di cosa si trattasse. Era sempre stato un ragazzo curioso ma comunque molto posato e, fatta eccezione per i suoi genitori, sapeva rispettare le barriere che gli venivano poste.
Rory non si era mai sbilanciato nelle sue risposte, “un giorno capirai”, gli diceva. Adorava quel modo di dire, lo faceva sembrare un uomo particolarmente saggio, dalle grandi responsabilità. E poco prima che lui lasciasse la casa dove era cresciuto, Rory gli consegnò la busta, facendosi promettere che non l’avrebbe letta, per alcun motivo, e che avrebbe aspettato a consegnarla fino all'autunno del 2012, il 29 di Settembre.
Così aveva fatto, trovandosi a Londra circondato da villette a schiera, fino a trovare quella indicatagli anni prima da suo padre. Aveva bussato, nervoso, e ad aprirgli -con aria stanca e l’innaffiatoio tra le mani- era stato Brian Williams, suo nonno o, per meglio dire, il suo bisnonno.
Si era trattenuto qualche ora. Aveva goduto della buon vecchia ospitalità inglese che per anni Rory aveva elogiato, specie quando si lamentava di certe usanze americane sotto lo sguardo divertito di Amy.
Avevano bevuto un tè nel silenzio che era calato dopo quell’abbraccio iniziale. Brian gli aveva offerto altro ma lui aveva sempre declinato. D’un tratto, seppur sempre molto garbatamente, gli chiese di poter leggere la lettera e, nel farlo, gli sembrò di sentirla, la voce di Rory. Tra quelle righe c’era la fragilità che suo padre gli aveva raramente mostrato, l’amore per la famiglia che sia lui che Amy gli avevano insegnato.
Il calore del tè, con il suo deciso aroma di limone, era riuscito ad attenuare l’iniziale disagio così, un po’ più sicuro di sé, aveva risposto alle domande di Brian, raccontandogli a grandi linee com’era stata la vita durante e dopo la guerra. Il successo di sua madre come scrittrice e quello di Rory, diventato un dottore a tutti gli effetti, senza tralasciare le importanti innovazioni in campo medico che aveva apportato. Gli aveva parlato anche di sé, vedendolo muovere le labbra a vuoto -come intenzionato a fare una domanda senza sapere da dove cominciare- quando gli aveva detto chi fossero i suoi genitori biologici e quando gli aveva spiegato dettagliatamente chi fosse River Song.
Fu allora che Anthony gli raccontò della sua prima, e per il momento unica, rigenerazione.
Aveva diciassette anni, il salotto si era trasformato in un tale disastro. Lui era mortificato ma Amy aveva cominciato a ridere e non aveva più smesso, contagiando a seguire anche lui e Rory. Qualche mese dopo avevano cambiato casa, trasferendosi in un appartamento, al terzo piano, nell’Upper West Side.
Poi l’orologio aveva segnato le cinque, con il suo costante ticchettio ed il pesante dong per i cinque rintocchi.
Si era fatto tardi.
Lo aveva lasciato con la promessa che si sarebbero risentiti. Per Brian, Rory ed Amy erano via da appena un paio d'ore ed ora sapeva per certo che non sarebbero mai più tornati. Ma nel frattempo loro avevano vissuto tutta una vita, e non erano sicuramente sufficienti un paio d’ore per raccontarla.
 
Sollevò il colletto della giacca, l’aria era fresca e pungente, il tepore del caldo vento estivo sembrava ormai un lontano ricordo.
Camminò per un po', fino ad arrivare davanti alla casa che doveva essere stata dei suoi nonni. Aveva l'indirizzo, indelebile nella sua memoria, e la villetta azzurra era lì, ancora esattamente come gliela avevano descritta.
Infilò la mano nella tasca dei pantaloni del completo tirandone fuori una seconda lettera, piegata in quattro parti. Le linee su di essa erano diventati dei solchi ormai indelebili, le parole a ridosso di queste erano quasi illeggibili, l’inchiostro sciolto e assorbito dalla porosità della carta.
La lettera che River aveva lasciato, quando si era vista costretta ad affidarlo alle cure di Amy e Rory, la portava sempre con sé. Aveva ascoltato più e più volte le storie che la riguardavano, le avventure del Dottore erano diventate le sue favole della buonanotte preferite. Una cosa sapeva per certo, Londra era come una calamita per il Dottore, o almeno sembrava esserlo per il Tardis, ma Rory ed Amy erano appena scomparsi -per quanto suonasse strano a lui che li aveva visti invecchiare e lentamente spegnersi-, non si aspettava certo di girare l’angolo e trovarsi faccia a faccia con lui e la sua cabina. Per questo, sentendo il vento alzarsi ed un rauco gracchiare non si insospettì, continuando a camminare tranquillo verso la fine della via.
Seguì un tonfo che l’obbligò a voltarsi.
Si nascose malamente dietro una comunissima cabina del telefono londinese, trattenendo il respiro nell’attesa che le porte del Tardis si aprissero.
Ne uscì quello che aveva tutta l’aria di essere un ragazzino iperattivo, con giacca in tweed e papillon, che fece scivolare la mano sinistra sullo stipite della porta mentre l’altra agitava in aria uno strano oggetto dalla punta luminosa. “Secondo questo siamo a... Londra! Di nuovo!”, sembrava spazientito e scocciato all’idea. “E...”, si interruppe bruscamente cominciando a guardarsi intorno, fino a riconoscere il quartiere in cui era atterrato. “Cosa ci facciamo qui? Perché mi hai portato qui?”.
Amy aveva parlato spesso del legame tra il Dottore e il Tardis.
Parlava con lei, le poneva domande aspettandosi risposte, trattava la sua cabina come fosse una persona e, dopotutto, loro la sua forma umana l’avevano vista. Perciò Anthony non si sorprese nel vederlo agire in quel modo, ma quella volta una risposta arrivò davvero e non poteva certo essere stato il Tardis.
“Non sono stata io, non accetta ordini. Mi ricorda qualcuno”.
Ed accanto al Dottore apparve lei, una donna.
Ricci biondi, pistola nella fondina, sarcasmo pungente.
Non c’erano dubbi, doveva essere River Song, i tempi coincidevano.
“Allora voglio sapere perché continua a portarci qui! Giriamo da giorni e questa stupida cabina ci.riporta.sempre.qui!”, aveva detto battendo nervoso il pugno contro le porte.
La mano di River gli aveva carezzato la guancia, regalandogli poi un sorriso comprensivo.
“Il Tardis ha rilevato tracce di energia dei Signori del Tempo, quello che questa stupida macchina non vuole capire è che probabilmente quella che sta rilevando è mia, la mia energia! Dal momento che ho passato l’ultimo anno in quella casa!”, gridò puntando il dito verso la villetta dalle mura azzurre che Anthony aveva appena lasciato.
River non lo aveva mai visto così. Fino a quel momento era sempre riuscito a mantenere la calma, le lacrime le aveva versate tutte in quel cimitero in cui erano comparsi a seguito del paradosso, ed una volta messo piede nel Tardis non aveva lasciato che la sua emotività prendesse il sopravvento, ma anche per un Signore del Tempo con più di mille anni sulle spalle arriva un punto di rottura.
“Mi dispiace”, mormorò appena verso di lei, che scosse la testa prendendo in mano la situazione. “Scusarsi non serve a nulla. Devi ragionare con lucidità, come hai sempre fatto!”, una vera e propria ramanzina in stile Pond.
Tale madre, tale figlia.
“Quella che il Tardis rileva non è la tua energia e lo sai bene. Altrimenti, considerando tutti i luoghi che hai visitato, continueresti a girare in tondo rincorrendo te stesso”. Raccolse i ricci in una coda portando poi le mani sui fianchi. “Sai bene che non mi fido granché del tuo cacciavite ma smettila di puntarlo a casaccio e cerca di usarlo per capire con esattezza da dove provenga quell’energia. Escludi il tuo e il mio dna dall’equazione del software, o non appena lo attiverai ti farà girare come l’ago di una bussola.”
Il Dottore sorrise compiaciuto dandosi un colpetto sulla fronte, “Usarlo come segnalatore! River, sei un genio”, le schioccò un bacio sulla guancia, vedendola sbilanciarsi al contatto in quel momento inatteso.
Con un movimento rapido ed esperto del polso, accese il cacciavite sonico puntandolo lentamente in diverse direzioni, quasi avesse tra le mani un metal detector. Si avvicinò sospettoso alla cabina del telefono, fino a trovarsi faccia a faccia con Anthony, immobile ed intrappolato nei suoi pensieri tanto da non sentire neanche una parola di quelle uscite dalla bocca del Dottore.
“Bene, bene, bene”, sentenziò River iniziando a girare intorno a Anthony. “Giovane, di bell’aspetto, sarebbe potuta andare peggio”, gli fece l’occhiolino venendo poi scansata dal Dottore. “River...”, l’ammonì con tono leggermente arcigno e con una punta di gelosia, iniziando, dopo aver controllato rapidamente che il cacciavite non si fosse sbagliato, a sonicizzare Anthony il quale, ruotando il capo ora a destra, ora a sinistra, cercava di seguire i movimenti del Gallifreyano.
“Cos-?”
“Ah!”; lo zittì il Dottore.
“Ma...”, tentò nuovamente lui ottenendo solo un altro ammonimento.
“Dolcezza, non puoi andare in giro a scannerizzare la gente con il tuo giocattolo, li spaventi.”
Lievemente spazientito, spense il cacciavite sonico riponendolo nella tasca interna della giacca. “Va bene”, sbuffò. Sfregò la mani tra loro nel tentativo di concentrarsi e trovare le parole adatte. “Vediamo... non per essere indelicato ma andiamo dritti al sodo. Chi sei, da dove vieni e come mai ti trovi qui, e con qui non intendo Londra, intendo questa parte della città, questa precisa via. Hai dieci secondi per rispondere. Pronto? Via!”.
Anthony non si scompose e non balbettò parole incomprensibili, anzi, mantenne la compostezza e l’aplomb mostrato a casa di Brian. Ma, per quanto esteriormente sembrasse tranquillo, nella sua testa vorticavano mille possibili risposte alle domande che gli erano state poste, sebbene nessuna sembrasse essere quella adatta.
Non vedendolo reagire, il Dottore passò ad un diverso approccio. Si grattò rapidamente la guancia aggiustandosi poi il papillon in quel gesto che River riconobbe come sintomo di sicurezza e fiducia in sé stesso. “D’accordo, partiamo da qualcosa di più semplice. Sei umano?”.
“Si”, rispose sicuro e per niente turbato da quella domanda, domanda a cui, come ancora indistintamente ricordava il Dottore, Donna -anni addietro- aveva risposto chiedendo a sua volta “è forse un’opzione?”.
“D’accordo quindi, River correggimi se sbaglio, abbiamo un umano che rilascia, in giro per il mondo, energia temporale tipica dei Signori del Tempo che non dovrebbe in alcun modo avere. È corretto?”.
“Si, anche se non capisco dove tu voglia arrivare”.
“Lui non dovrebbe esistere, è come una... un’anomalia. Scusami”, aggiunse poi rivolto ad Anthony che replicò scrollando le spalle ed aggiungendo a quel gesto un, “nessun problema”.
A quelle parole il Dottore, che si era voltato verso la sua compagna, socchiuse gli occhi riducendoli ad un fessura. Con lentezza, girando sui tacchi, si rivolse nuovamente verso di lui.
“Ohhh”, sussurrò colto da un’intuizione, “Invece un problema c’è, ed è proprio questo, il fatto che per te sia tutto normale. Un uomo e una donna spuntano dal nulla uscendo da una cabina della polizia blu, ti si avvicinano, lui ti punta un bizzarro arnese addosso, ti chiede come mai tu sia qui, se tu sia umano, parlando poi di energia temporale e Signori del Tempo e tu... tu non sei minimamente scosso. Non fai domande, non fai quella cosa con la faccia”, mormorò facendo roteare l’indice a pochi millimetri dal viso di Anthony. “Sai”, cercò di spiegarsi, “spalancare la bocca o aggrottare le sopracciglia. Oppure scappare. Anzi, fin dall’inizio tu ci stavi osservando, nascosto”.
Anthony lo guardava senza che dal suo viso trasparisse alcuna emozione, una faccia da poker che persino i migliori giocatori gli avrebbero invidiato, mentre River, con le braccia incrociate al petto, scuoteva quasi impercettibilmente la testa, divertita dai modi di fare del Dottore, da quel suo credersi Sherlock Holmes e dal modo, di quel giovane, di fronteggiarlo scegliendo come arma l’impassibilità.
Curiosamente, gli ricordava molto se stessa.
“Sai dell’esistenza di altre specie, di pianeti abitati anche al di fuori del Sistema Solare e la cosa non ti preoccupa minimamente. Beh, è anche vero che con tutte le invasioni che avete subito in questi anni la cosa non dovrebbe stupire più di tanto. A proposito, mi dispiace per gli attacchi, specie sotto Natale. In ogni caso, questo mi porta ad una conclusione, tu sai cosa sta succedendo”.
Anthony sistemò il nodo alla cravatta che si intravedeva appena sotto la giacca. Il vento era calato, così aggiustò il colletto e si schiarì la voce. “Ragionamento impeccabile, assolutamente all’altezza della tua fama.”
Il Dottore alzò le sua appena visibili sopracciglia, tacitamente sorpreso che lui sapesse chi fosse.
“So chi sei Dottore, ho sentito storie su di te, centinaia di racconti, e so per certo essere tutti veri”, non c’era presunzione nella sua voce, al contrario questa era calda e a tratti sentimentale. Dal suo sguardo sembrava rivangare un passato lontano eppure, almeno esteticamente, sembrava essere tremendamente giovane, se non fosse stato per quegli occhi chiari carichi delle fatiche di molti anni. “E come non conoscere lei, Professoressa Song, la sua fama è pari a quella del Dottore”, un sorriso compiaciuto adornò le labbra di River, mentre un grugnito uscì da quelle del vecchio Signore del Tempo. “E quella...”, si avviò verso la cabina blu lasciandosi alle spalle River e il Dottore, i quali lo seguirono come rapiti dalle sue parole. “Il Tardis. È davvero più grande all’interno?”.
Gli occhi del Dottore si illuminarono di fierezza e orgoglio per la sua macchina del tempo. “Perché non lo scopri?”, restò a guardarlo entrare, prendendo poi la mano di River e trascinandola dentro con sé.
Gli occhi di Anthony divorarono voracemente ogni cosa lo circondasse, con il naso all’in sù girò su se stesso ancora incredulo che tutto ciò che Amy e Rory gli avevano sempre raccontato sulla cabina blu fosse reale. In ogni angolo in cui puntava lo sguardo si apriva un corridoio, stanze e stanze che si dividevano sui diversi piani e, al centro, la consolle con le sue mille leve e i suoi pulsanti colorati.
“Woah!”, sospirò estasiato.
“Fa più o meno questo effetto a tutti”, gongolò il Dottore.
“Come potrebbe non farlo”, mormorò fra sé e sé. Poi calò il silenzio, sospeso sopra le loro teste come un’invisibile teca di cristallo. “Perdonatemi”, si riscosse all’improvviso il nuovo figlio del Tardis. “Ero talmente preso da tutto questo che non mi sono nemmeno presentato, solitamente sono molto più educato. Mi chiamo Anthony.”
“Bel nome”, gli sussurrò River ammiccando mentre gli passava accanto per andare a prendere il suo posto ai comandi.
“Si, si, tutto molto interessante”, liquidò rapidamente l’informazione il Dottore, giocherellando con il cacciavite sonico allo stesso modo di un cowboy con la sua pistola, forse nella speranza di intimorire il ragazzo con il finto sguardo da duro. “Ma chi sei in realtà?”.
Anthony si appoggiò con la schiena alla sottile balaustra in metallo che circondava la consolle, riuscendo appena ad intravedere River oltre l’agglomerato centrale di cavi, e si voltò poi verso il Dottore.
“Chi sono...?”, la bocca gli si deformò in un sorriso compiaciuto e divertito prima che quell’unica parola gli uscisse dalle labbra, “Spoiler!”.




Diletta's coroner:
Non so esattamente come mi sia venuto in mente, ma quel mini episodio mai registrato, P.S., mi ha lasciata un po' così.
Più lo guardavo e più l'idea che Anthony non fosse un bambino qualunque si faceva strada nella mia mente evientemente non troppo normale.
Spero di non aver reso i personaggi troppo OOC.
Grazie a chiunque abbia deciso di leggerla!
Buona serata
 

  
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