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Autore: DalamarF16    26/10/2015    1 recensioni
Post stagione 1- Dopo essere riusciti a incastrare Fisk, Matt e Foggy sono diventati molto popolari a Hell's Kitchen e la loro amicizia si è rinsaldata. Il mondo di Daredevil ha ora una rassicurante routine, ma il ritorno di Stick rimescolerà le carte in tavola. Cosa vuole il vecchio ninja da Matt? Matt accetterà di aiutarlo anche a costo di uccidere qualcuno?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claire Temple, Foggy Nelson, Karen Page, Matt Murdock, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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PERSONAL SPACE: Ed ecco qui il quinto capitolo! Voglio ringraziare tutti quelli che mi leggono e mi recensiscono, in particolare RagDoll_Cat! Oggi la faccio breve e vi lascio al capitolo, buona lettura!
E ricordate: non mordo chi recensisce, ma potrei mordere chi non lo fa!


Chapter 5: False impressions don't speak

-Uccidilo, ragazzo! Forza!- ordinò Stick, la sua voce più arrabbiata del solito.
Era la quarta, o forse quinta, volta che glielo ripeteva negli ultimi cinque minuti e, non per la prima volta da quando avevano lasciato Hell's Kitchen, era stato tentato di obbedire, così come gli era successo con Fisk dopo l'omicidio della signora Cardenas.
Era piena notte e pioveva a dirotto. Erano ormai tutti zuppi e stanchi, stanchi di quella nottataccia e Matt, in particolare, era stanco di tutto. Stava combattendo per qualcosa in cui non credeva, eseguendo (più o meno) senza fiatare gli ordini di un uomo che non rispettava più come un tempo, che lo trattava come un bambino viziato ogni volta che prendeva una qualsiasi iniziativa sul come gestire le situazioni.
Spesso lo picchiava come faceva in passato, con la sola differenza che ora Matt era cresciuto, quindi le punizioni erano diventate più dure e dolorose rispetto a quando aveva nove anni, e ora si ritrovava con lividi e abrasioni che non erano solo il risultato solo delle loro attività notturne.
L' "uomo" che aveva tra le mani era responsabile dell'omicidio di 5 bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Erano tutti figli o nipoti dei politici più influenti del New Jersey e, come tali, sia la Yakuza (la mafia giapponese) che la Triade (il suo equivalente cinese) stavano cercando di controllarli per guadagnare potere sul mercato delle droghe nell'intero stato, e le uccisioni erano state una sorta di dimostrazione di forza senza alcuno scopo preciso (almeno, questo era quello che Stick gli aveva detto, e il vecchio era l'unica persona che Matt non riusciva a leggere. Era stato lui a insegnargli a capire quando qualcuno mentiva, ed era anche un maestro nell'evitare di essere scoperto).
Matt riusciva a malapena a concepire che qualcuno potesse arrivare a tanto senza un motivo. Avrebbero "semplicemente" potuto prenderli come ostaggio e ricattare i genitori, e invece no. Li avevano sterminati.
-Uccidilo! Ora!- la voce di Stick lo riportò drasticamente alla realtà.
Quell'uomo, ora, era completamente in loro potere. In suo potere. Matt lo stava trattenendo in una presa mortale, una di quelle che Stick gli aveva insegnato anni prima. Avrebbe potuto finirlo con un unico, semplice gesto, e di fronte a quello che aveva fatto, con le immagini di quei corpi ancora piantate nella testa (o almeno l'idea di esse), era nel bel mezzo di una lotta con la propria coscienza per combattere l'istinto di obbedire.
Hai promesso, Matthew. La voce di Foggy gli risuonò all'improvviso nella mente, non per la prima volta. Non oltrepasserai quel confine. Se ne può occupare la polizia. Tu non sei Dio.
A fronte di quelle parole, riuscì a fermarsi un istante prima di compiere un insano gesto che gli avrebbe cambiato completamente la vita. Sfortunatamente, Stick non condivideva il suo ideale di giustizia.
-Fermo!- nello stesso istante in cui udì l'ordine, sentì anche la freccia che veniva scoccata dall'arco dell'uomo. Stick l'aveva distratto, e da una distanza così ravvicinata, non potè fare altro che sentire il dardo conficcarsi con forza nella gola dell'uomo. Un minuto di agonia dopo, era morto.
Cazzo. Fu l'unica cosa che riuscì a pensare, perchè il suo mentore era riuscito ad aggirare ancora una volta i suoi sensi. Il suo corpo si ribellò ancora una volta con l'unico mezzo che conosceva per esorcizzare il dolore e lo schifo che provava. Lasciò cadere il cadavere che ancora stringeva tra le braccia, e fece appena in tempo a voltarsi prima di vomitare la pizza che aveva mangiato per cena. Tutto questo era troppo da sopportare anche per i suoi standard. Quella non era giustizia.
Stick non gli lasciò nemmeno il tempo di riprendersi. Senza troppi complimenti lo afferrò per un braccio e lo trascinò, ancora barcollante, via da quel molo e poi fino a casa. Matt riusciva già a sentire le sirene della polizia in arrivo: avrebbero trovato i cinque cadaveri dei ragazzini e quello del capo. I suoi complici invece erano pronti per essere spediti in carcere.

-Stupido, inutile, ragazzino!- gli ringhiò contro nonappena misero piede nella casa, lanciandolo direttamente sul pavimento. Matt picchiò la testa contro l'angolo dell'armadio con un gemito di dolore. Un altro livido che si andava ad aggiungere a quelli già sofferti in battaglia e alla nausea.
Rimase a terra, tenendosi lo stomaco dolorante e tremando per lo shock e la stanchezza, ma sapeva che non era ancora finita per lui. Stick non si lasciava commuovere da così poco e Matt aveva sentito la rabbia crescere in lui mentre lo trascinava per le vie della città, come un padre che aiutava un figlio malato a tornare a casa. Ora però erano soli, e tutto quello che aveva trattenuto era pronto a uscire; Matt poteva solo prepararsi alla punizione.
Il primo colpo arrivò dritto allo stomaco, proprio dove faceva più male, e l'avvocato non riuscì a trattenere un grido. Era appena all'inizio e ben presto si ritrovò al limite, rannicchiato sul pavimento nel vano tentativo di proteggersi.
-In piedi!-
Matt sapeva che se non avesse obbedito, le cose sarebbero solo peggiorate. Perciò puntò i palmi a terra e cercò di sollevarsi, ignorando quanto gli tremassero le braccia. Ricadde sul pavimento prima ancora di arrivare alla piena estensione degli arti.
Stick lo colpì di nuovo.
-In piedi!-
Fallì una seconda volta, e il calcio che raggiuse il suo stomaco fu talmente forte da sollevarlo da terra prima di farlo rotolare su sè stesso. Quando si fermò era sulla schiena, le mani sullo stomaco per cercare di attutire i colpi.
-In piedi!-
Questa volta non ci provò nemmeno. Scosse la testa e rimase sul pavimento, incapace di muoversi. Stick ricominciò a colpirlo, passando da pugni e calci al bastone, fino a quando Matt rinunciò anche a cercare di proteggersi. Si fermò solo quando dalla bocca non uscivano più nemmeno i gemiti.
-La prossima volta che non esegui i miei ordini lo rimpiangerai, ragazzino- promise il vecchio prima di dirigersi verso il bagno, lasciandolo inerme sul pavimento, a malapena in grado di respirare.
Matt non gli rispose. Tossì un paio di volte, sentendo in bocca il sapore metallico del sangue mentre lo sputava sul pavimento, poi tutto divenne nero.

***

Quando lo vide, stava andando al supermercato.
E' impossibile. Si disse. Non può essere lui. E' solo un ragazzo con gli occhiali da sole. Devi smetterla di vederlo in ogni angolo. E' a New York.
Ma non potè fare a meno di osservarlo molto, molto attentamente: la sua camminata, il modo in cui zoppicava ma allo stesso tempo cercava di nasconderlo; un'esitazione nel camminare che cercava probabilmente di ridurre una qualche sorta di ferita, o di dolore. Non riuscì a vederlo in faccia, perchè a parte l'istante in cui l'aveva notato, le dava la schiena; inoltre, non aveva con sè nessun tipo di bastone, il che minava ulteriormente le sue poche certezze, anche se, da dietro, quel ragazzo poteva benissimo essere Matt, se non fosse che al posto dei suoi soliti completi indossava dei jeans e un giubbino sportivo. Non l'aveva mai visto vestito così prima d'ora: a casa, di solito utilizzava delle tute da ginnastica, e sul lavoro era impeccabile. Cercò di fare mente locale per ricordare se nel suo armadio ci fosse qualcosa di simile a quello che indossava, ma senza successo.
Allo stesso tempo, con quel vestiario e senza nessun aiuto nella camminata, poteva benissimo essere un qualunque ragazzo, anche perchè di solito quel pazzoide cercava (e riusciva) a spacciarsi per una qualunque persona cieca, ma non aveva dubbi che, se avesse voluto, in una giornata di sole nessuno avrebbe notato la sua disabilità.
L'uomo entrò nella piccola chiesa proprio di fronte a loro, un altro punto in favore di Matt.
Ignorò la parte di sè stessa che le stava dando della paranoica e lo seguì.

***

Quando riprese i sensi, Matt poteva sentire il calore del sole colpirlo dritto in faccia attraverso i vetri chiusi della finestra. Aveva ancora addosso il suo fedele costume nero (che aveva preferito utilizzare al posto di quello rosso in quanto non aveva idea del tipo di missioni a cui sarebbe andato incontro e non voleva che Daredevil venisse associato ad attività criminali) e sentiva il freddo del pavimento sulla schiena, in netto contrasto con il tepore sul viso. Evidentemente, Stick non si era dato pena a spostarlo dopo che era svenuto in seguito al suo trattamento. Sentiva i vestiti appiccicarglisi addosso, ancora bagnati, e si rese conto poco dopo di stare tremando, con la sensazione di avere freddo fin dentro le osse.
Provò immediatemente a muoversi, e le fitte di dolore provenienti da diverse parti del suo corpo lo fecero quasi gridare. Si prese un minuto per rilassarsi dopo l'involontaria contrattura in seguito allo spasmo e poi fece un secondo tentativo, questa volta avendo cura di muoversi lentamente. Anche se non sarebbe stato piacevole, doveva assolutamente alzarsi, medicarsi le ferite e trovare il modo di mettersi addosso dei vestiti puliti.
Dopo svariati minuti, capì che sarebbe riuscito solo a completare il primo dei tre obiettivi che si era dato. A malapena.
Il petto gli faceva malissimo, soprattutto nella parte bassa dello stomaco, dove Stick si era divertito a colpirlo maggiormente la sera prima, e quando finalmente riuscì a mettersi seduto per terra, il mondo in fiamme era un vortice di vertigine che quasi lo fece vomitare.
Quando gli sembrò che l'equilibrio fosse ristabilito, fece un nuovo tentativo di alzarsi in piedi, reggendosi al tavolo per non cadere. Alla fine riuscì a trascinarsi sul divano dove si stese di nuovo, cercando di calmarsi mentre contemporaneamente cercava di fare il punto della situazione.
Ormai era al limite. E non solo fisicamente.

Stick non aveva nessuna pietà e ogni notte si trovava costretto a guardarlo uccidere persone, che non erano sempre colpevoli. Aveva infatti scoperto che il suo mentore aveva la pessima abitudine di eliminare chiunque li vedesse un po' troppo da vicino per i suoi gusti. E il vecchio aveva una definizione di "vicino" che era abbastanza discutibile.
Aveva scoperto, con qualche giorno di ritardo, che dopo averlo riportato in albergo, Stick quella notte, quella in cui avevano salvato le ragazzine, era tornato indietro e aveva ucciso la ragazzin che Matt si era dato tanto da fare per salvare. E Matt, legato anche dal patto che aveva fatto, non potè farci niente; era in parte troppo spaventato dall'idea che il cieco potesse andare a cercare vendetta su Foggy e Kare, senza contare che ormai qualunque cosa avesse fatto o detto non avrebbe riportato indietro la ragazzina.
Tutto questo, però, lo stava lentamente uccidendo dall'interno, e Matt poteva avvertirlo chiaramente come ora avvertiva il dolore fisico alle ferite.
Essere Daredevil non era sempre facile, l'aveva imparato dopo poche uscite; durante la sua crociata contro Fisk aveva visto cose terribili, e pensava di avere toccato il fondo quando si era intrufolato nel magazzino in cui aveva scoperto centinaia di persone che erano state accecate per fare da corrieri nel traffico di droga dell'uomo; eppure, questo forse era ancora peggiore, perchè Stick uccideva a sangue freddo, e non sempre aveva una valida ragione (ammesso che fosse esistita una valida ragione per togliere una vita). E soprattutto, quando lo faceva, Matt poteva avvertire chiaramente la soddisfazione dell'uomo: la sera che aveva incontrato Claire, aveva detto all'uomo che avevano fatto prigioniero che trovava piacevole far del male alla gente, ma alla fine erano solo parole che servivano a intimidire, mentre per il suo ex mentore, torturare qualcuno era un mero divertimento.
Anche le punizioni che gli infliggeva non avevano poi molto senso. Non era più un bambino di nove anni da addestrare, era un uomo adulto ed era discretamente abituato a prenderle, e di certo non era spaventato dalla minaccia delle botte, senza contare che non sarebbero stati calci e pugni a convincerlo a uccidere. Il riassunto era che Stick non aveva davvero la necessità di picchiarlo: era semplicemente il suo modo di rilassarsi, o almeno questa era la conclusione più logica a cui fosse riuscito a giungere, e la cosa non lo rendeva particolarmente felice, ovviamente, ma aveva deciso di sottomettersi senza provare a controbattere o chiedere spiegazioni: il prossimo bersaglio sarebbe potuto essere Foggy, e Matt ne era fin troppo cosciente.
Non ce la faceva più.
Di nuovo, non per la prima volta, avvertì la sensazione di stare soffocando.
Aveva bisogno di aria. Doveva uscire. Al più presto.
Più facile a dirsi che a farsi.
Scoprì subito che era a malapena in grado di camminare, e rinunciò a terminare di cambiarsi dopo averci messo qualcosa come 10 interminabili minuti per sfilarsi i pantaloni. Aveva provato anche a togliersi la maglia nera a maniche lunghe, ma era così bagnata da appiccicarglisi alla pelle e lo sforzo era stato sufficiente a dargli un capigiro tale da farlo quasi cadere.

Alla fine era riuscito a indossare un paio di quegli odiosissimi jeans che aveva comprato qualche giorno prima. Di solito evitava di usarli, la superficie ruvida del tessuto gli provicava sempre una fastidiosa sensazione di prurito, ma con i pochi soldi che aveva portato con sè non poteva permettersi di meglio.
Non riuscendo a togliersela, coprì la maglia nera con un bomber, avendo cura di allacciarlo fino al collo, in modo da non prendere freddo; stava già abbastanza male di suo, ci mancava solo che si prendesse l'influenza. Si mise gli occhiali da sole e uscì senza prendersi il disturbo di controllare se Stick fosse o meno in casa: se lo era, stava probabilmente dormendo o meditando, e se non lo era... la cosa non gli importava.

Dopo mezz'ora, riuscì finalmente a raggiungere una chiesa. Di norma non gli sarebbe servito così tanto tempo, ma non aveva idea di dove si trovassero, forse a Boston, ma non ne era troppo sicuro, e non riusciva a camminare troppo a lungo prima di doversi fermare per il dolore. Alla fine si era arreso e aveva preso un taxi, che però era stato costretto a lasciarlo a quasi mezzo kilometro dalla destinazione, all'inizio della zona pedonale. La corsa gli era costata metà di quello che gli era rimasto, ma non ne era dispiaciuto, o preoccupato. Aveva bisogno di stare da solo e di sentirsi al sicuro, di trovare un posto dove perfino Stick non avrebbe osato fargli del male. Quando, grazie ai suoi sensi, capì quanto distante si trovasse il luogo sacro, si sentì quasi male, ma alla fine il desiderio di un luogo famigliare lo convinse a muoversi.
Beh, non esattamente, se doveva essere sincero.
Quella chiesa era solo un'illusione, e Matt lo sapeva. Matt sapeva che quello che voleva davvero: voleva tornare a Hell's Kitchen, anche se solo per un minuto. Voleva controllare se Foggy, Karen e tutti quelli a cui teneva stessero bene e respirarne l'aria inquinata, sentire il suo caratteristico mix di odori e sapori, piacevoli o meno, che la caratterizzavano.
Voleva andare a casa, e non si sentiva un bambino capriccioso ad ammetterlo.
E mentre camminava a fatica verso la chiesa, perso nei suoi pensieri, considerò per un momento la possibilità di comprare un telefono usa e getta e utilizzarlo per chiamare Foggy, anche solo per sentirne la voce dalla segreteria telefonica. Il suo amico lo avrebbe probabilmente maledetto in tutte le lingue che conosceva, punjabi incluso, ma Matt sapeva che dietro agli insulti, sarebbe stato contento quanto lui di sentirlo.
Stava già iniziando a fare i conti su quanto gli sarebbe venuto a costare per decidere se avrebbe potuto permetterselo, quando all'improvviso ebbe paura. Era al limite, lo sapeva bene, e la nostalgia lo divorava ogni giorno di più, minacciando di sommergerlo come non accadeva dal giorno del funerale di suo padre.
Capì, poichè grazie a Stick aveva una conoscenza pressochè assoluta della propria psiche, che chiamare Foggy avrebbe causato un totale collasso, e che non sarebbe più riuscito ad andare avanti. Per una volta, decise di essere egoista, e scegliere la strada più facile, quella che non lo avrebbe distrutto, e allontanò l'idea della telefonata.
Era ormai arrivato alla chiesa, e quando spinse il pesante portone di legno, venne accolto da un accogliente profumo di incenso e candele bruciate, e per un attimo visse nell'illusione di sentire Padre Lantom venirgli incontro, pronto a offrirgli una tazza di latte macchiato, il conforto della confessione e, quello che più stava a cuore a Matt, la parola di un amico.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma in qualche modo riuscì a tener duro. Sapeva che non era sbagliato piangere, ma se si fosse arreso ora la disperazione avrebbe preso il sopravvento e avrebbe distrutto quel poco di determinazione che gli restava.
Quando riuscì ad arrivare abbastanza vicino all'altare, si sedette (ok, quasi collassò) su una panca, incapace di riuscire a restare in piedi per un secondo di più. Sentiva dolore in ogni muscolo del proprio corpo, anche in alcuni che non aveva saputo di avere, fino a quel momento. Il legno caldo e lucido era quasi rassicurante contro la sua schiena, e solo con tanta forza di volontà riuscì a resistere all'impulso di sdraiarsi.
Chiuse gli occhi e appoggiò il mento sui pugni chiusi, pensando a casa e a Claire, che si era occupata di lui anche quando non se lo meritava. Se si concentrava a sufficienza, poteva quasi riuscire a percepire il profumo della ragazza come se fosse accanto a lui; immaginò i suoi passi leggeri mentre camminava per il suo appartamento; poteva quasi sentire fisicamente la mano della ragazza, morbida e delicata, prendere gentilmente la sua e non riuscì a evitare di pensare a quanto potesse essere strana la mente umana. Di tutte le persone che amava, riusciva a pensare all'unica che sapeva per certo di aver perso, probabilmente per sempre. Aveva fatto un casino con lei, e Claire aveva messo in chiaro che sarebbe stata la sua infermiera, e niente di più, e il battito del suo cuore gli aveva confermato che era convinta di quello che diceva.
L'intensità delle sue emozioni, della sua nostalgia, era tanta che il suo cervello stava ricreando perfettamente l'immagine della ragazza mentre si avvicinava a lui e gli sfiorava la mano. Il loro potere era tanto che stava rendendo l'irreale, reale.
-Matt...-
Un attimo... le illusioni non parlavano, giusto?

***

Entrò nella chiesa pochi secondi dopo di lui, ma decise di non affrontarlo direttamente. Voleva essere sicura di non fare la figura della stupida con un estraneo, quindi decise di camminare lungo una delle navate laterali, quella alla sua sinitra. Lo guardò sedersi e dopo pochi passi riuscì finalmente a guardarlo in faccia.
Oh mio Dio. E' lui.
E... erano lacrime quelle?
Matt…
Nonostante quello che era ( o meglio, non era) successo tra di loro, aveva rimpianto le proprie parole non appena aveva avuto modo di pensarci su a mente fredda. Aveva lasciato New York con un dolore sordo nel petto e la paura che quello che gli aveva detto avrebbe potuto spingere Matt a fare qualcosa di molto stupido. E ora era qui, a pochi metri da lei, in preda a una qualche sorta di dolore fisico e psicologico, e proprio non se la sentiva di lasciarlo solo.
Claire tornò sui suoi passi e si avvicinò lentamente a lui, mentre allo stesso tempo si preoccupava del fatto che ancora non stava reagendo. Sapeva fin troppo bene che era in grado di ricevere suoni e odori letteralmente a isolati di distanza, e non aveva dubbio che avesse sentito i suoi passi e profumo. Perchè non reagiva, allora?
Non essere stupida, pensi davvero che si ricordi?
Che c'è che non va, Matt?
Si sedette sulla sua stessa panca e, lentamente, scivolò verso di lui fino a quando non riuscì a prendergli la mano, sempre muovendosi senza fare movimenti bruschi, e sempre più preoccupata dalla sua mancanza di reazioni, perchè ora doveva sentirla. Per forza.
-Matt...- sussurrò quando non rispose neppure al suo tocco. -Matt, che succede?-

***

-Matt,  che succede?-
Aprì gli occhi di scatto, un gesto abbastanza inutile considerando che i suoi occhi non erano in grado di vedere; era stata una reazione prettamente istintiva, così come l'atto di girarsi verso la fonte di quella voce che sembrava davvero reale, come se avesse potuto davvero vederla e assicurarsi che non fosse tutto un sogno.
Si voltò verso il sussurro di scatto. Il suo profumo, la delicatezza del suo tocco, la dolcezza nella sua voce, il battito unico del suo cuore, che aveva memorizzato come la più bella delle melodie, formavano  la sua famigliare sagoma infuocata nella sua mente e, anche se non aveva una fiseonomia definita, la riconobbe immediatamente. Claire.
Era reale.
Era lì.
No. No.

***

L'aveva riconosciuta. Ne era certa. L'aveva visto chiaramente rilassarsi per una frazione di secondo dopo che aveva parlato, salvo poi spingerla lontano da lui l'attimo dopo, come se fosse un nemico di cui avesse paura, salvo il fatto che finora Matt non aveva mai avuto paura di nessuno, almeno che lei sapesse.
-Matt- sussurrò, afferrandolo fermamente per le braccia -Matt. Sono io. Sono Claire-
-No. No-  stava cercando di liberarsi dalla sua presa, ma senza riuscirci, nonostante non è che Claire fosse poi così forte, e non stava esattamente combattendo per trattenerlo.
-Matt. Matt, ti prego, calmati.-
-Vattene, Claire. Stai lontana da me- la voce del ragazzo era così bassa che riusciva a malapena a capire cosa stesse cercando di dire -Stammi... lontana. Ti prego, Claire. Ti prego.-
Per tutta risposta, Claire lo lasciò andare, ma solo per abbracciarlo forte, ignorando le sue parole confuse e I suoi tentativi di spingerla via. Lo sentiva tremare forte contro di lei, e infatti, poco dopo smise completamente di respingerla, perdendosi completamente nel suo abbraccio. Lo sfogo successivo iniziò con dei singhiozzi, seguiti poco dopo da un pianto disperato.
-Matt...- Claire sussurrò il suo nome, stringendolo più forte mentre lui nascondeva il viso nell'incavo tra la spalla e il collo. Lo lasciò fare, ignorando le lacrime che le bagnavano la t-shirt. Era troppo preoccupata per farci caso: non aveva mai visto il Diavolo di Hell's Kitchen in questo stato finora, nemmeno dopo la lite con Foggy, e, onestamente, non aveva mai pensato che una cosa del genere potesse succedere.
-Matt...- ripetè a bassa voce, cercando di suonare dolce e rassicurante come faceva talvolta per confortare I bambini che arrivavano al pronto soccorso dopo un incidente. -Shh... va tutto bene, Matt. Andrà tutto bene. Ci sono io. Ci sono io...-

***

Matt voleva davvero smettere di piangere come un bambino.
Matt voleva davvero allontanarsi da lei.
Matt voleva davvero evitare di metterla nei guai.
Ma l'unica cosa che riuscì a fare fu rimanere tra le sue braccia, lasciare che lo stringesse forte e ascoltare il suo cuore battere regolare sotto la sua maglietta, mentre gli sussurrava a dolce litania fatta di parole rassicuranti, e respirare il suo profumo. Sapeva di casa.
Era casa.
Lentamente, cercò di riprendere il controllo delle sue emozioni. Si concentrò sulla respirazione per smettere di singhiozzare e, poco dopo, riuscì anche a smettere di piangere, anche se gli occhi gli rimasero comunque pieni di lacrime. Sentendosi anche un po' stupido, alzò il volto e si liberò dall'abbraccio.
-Stai bene?- gli chiese con un sussurro, e Matt potè sentire nella voce dell'infermiera quanto fosse preoccupata dal suo collasso emotivo, ma anche il suo sollievo ora che si era ripreso.
Annuì.
Mossa sbagliata.
La testa riprese a girargli mentre di nuovo tratteneva a stento la nausea.
-Ehi. Piano, Matt. Piano- Ovviamente Claire si era resa conto di cosa gli stava succedendo e, di nuovo, le sua braccia erano arrivate, pronte a sostenerlo. La sua voce era la cosa più bella del mondo.
Lo afferrò per le spalle e lo aiutò a stendersi sulla panca, facendogli appoggiare la testa sulle proprie gambe. Sentì che gli slacciava la giacca per aiutarlo a respirare meglio, e quando lui accennò a una breve lotta, trovò la maglietta bagnata, dopo aver assolutamente ignorato I suoi tentativi di fermarla.
-Dio, Matt. Sei zuppo! Stai cercando di ammalarti?- la sua voce era un misto tra il dolce, l'esasperato e l'arrabbiato, ma per lui era comunque magnifica -Andiamocene da qui. Ti serve aiuto-
Questo lo riportò alla realtà. Non poteva coinvolgerla, non di nuovo.
-No... No, Claire.- cercò di ribellarsi -Devi... Devi starmi... lontana. O... ti farà... del male-
-Chi?-
-Abbiamo... abbiamo fatto un patto... Devo... obbedire... Foggy...- Stava iniziando a balbettare parole sconnesse, ma non riusciva a evitarlo: c'erano tcosì ante cose che voleva dire in pochissimo tempo che i concetti si erano inesorabilmente mischiati nella sua mente confusa: la testa non smetteva di girargli, mentre iniziava a sentire i segni premonitori di uno svenimento mentre lottava per rimanere cosciente. L'incontro con Claire l'aveva mandato completamente in tilt.
Aveva bisogno di aria.
Voleva andare a casa.
Voleva rimanere tra le sue braccia per sempre.
-Matt! Matt. Ascoltami. Ascolta la mia voce. Concentrati su di me, puoi farlo?- La voce della ragazza era ancora molto bassa e dolce, ma adesso poteva sentire anche una punta di autorità, un qualcosa che lo costrinse, volente o nolente, ad ascoltarla, come se avesse capito perfettamente che stava entrando in uno stato di confusione e panico -Matt. Concentrati. Su. Di. Me-
Cercò di alzare la testa e girarsi verso la direzione da cui proveniva la sua voce, puntando i propri occhi ciechi più o meno nel punto dove sapeva avrebbe trovato quelli della ragazza, o almeno ci sperava. Sentì che gli toglieva gli occhiali e gentilmente gli passava una mano sul volto, per asciugargli le lacrime. Concentrandosi su quei gesti, riuscì più o meno a calmarsi definitivamente, anche se tremava ancora incontrollabilmente.
-Matt...-
-Claire... ti prego. Vattene- la pregò, ormai sull'orlo della disperazione.
-Non se ne parla-
-Se ti...-
-Ci inventeremo qualcosa. Tipo... - Claire fece una pausa, mentre pensava a qualcosa di credibile -mentre eri qui per confessarti sei svenuto, quindi ti ho portato al pronto soccorso e poi a casa mia-
-Conosce... il tuo profumo. L'ha sentito... a casa mia-
-Allora lo cambierò- detta da lei sembrava tutto così semplice che Matt quasi si convinse che avrebbe funzionato -Adesso prendiamo un taxi, ti calmi e lasci che io ti aiuti, ok?-
-Cosa succede se dico di no?-
-Chiamo il 911- e per non lasciare spazio a nessun tipo di dubbio, estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni e iniziò a comporre il numero, perfettamente conscia del fatto che avrebbe sentito tutto. Matt rimase fermo, quasi del tutto certo che alla fine, anche se lui non avesse ceduto, avrebbe terminato la chiamata senza chiedere soccorso. Si decise ad afferrarle il braccio solo quando lei iniziò a parlare, e l'avvocato realizzò che questa volta faceva sul serio.
-No. No. Ti prego- la implorò, cercando di guardarla negli occhi, certo di non dover fare molta fatica per assumere uno sguardo da cucciolo sufficientemente dolce da farla cedere. Peccato che Claire non fosse quel tipo di ragazza. Però guadagnò una breve tregua quando mise la chiamata in stand-by.
-Allora facciamo a modo mio-
Era una condizione a cui non sapeva come ribattere, perchè Claire, essendo Claire, non avrebbe accettato un no come risposta. E Matt era stanco di lottare, stanco di tutto.
Annuì, sconfitto e riuscì a produrre l'ombra di un sorriso quando la sentì mettere via il telefono.

PERSONAL SPACE: Ok, forse dovrei sentirmi in colpa... povero Matt... ma non lo farò. Non ancora, almeno.
Che succederà adesso? Stick scoprirà che si trova con Claire? E come reagirà? Stay tuned!



   
 
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