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Autore: Darik    18/08/2003    2 recensioni
Racconto di fantascienza e cross over di Evangelion con Trigun
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LOVE AND PEACE

Autore: Darik

Il sole picchiava come un martello, la sabbia e le pietre erano cosi calde da sembrare sul punto di bruciare.

In cielo neanche una nuvola, ne un alito di vento che desse un po’ di refrigerio. Mai come allora il deserto appariva come una trappola mortale. Nessuno poteva essere cosi pazzo da avventurarsi in esso.

Ma d’un tratto si alzò un polverone all’orizzonte, non poteva essere il vento perché come già detto non c’era.

Il polverone, una nuvola molto densa di sabbia gialla, era provocato da un gruppo di uomini a cavallo.

Erano in quattro, quello in testa sembrava essere inseguito dagli altri tre.

Uno dei tre, tutti tipi con delle facce poco raccomandabili, vestiti con abiti da pistolero sporchi e super consumati, avevano un espressione molto determinata e anche feroce.

“Ci sta sfuggendo, come l’altra volta” ringhiò quello in mezzo.

“Stavolta no Rob. Finora si è sempre salvato perché ha un cavallo molto veloce, ma il signor Gendo ci ha dato questo” rispose quello a destra. Cacciando da dietro la schiena un grosso fucile con mirino.

“Diavolo! Tod, quello è un fucile ad alta precisione. Questi gingilli costano parecchio”.

“Già. Ma il signor Gendo è stanco di avere quel ragazzino tra i piedi, perciò ci ha detto di farlo correre fuori dalla fattoria in modo che non ci siano testimoni, e poi farlo fuori e lasciare la sua carogna agli avvoltoi” disse l’uomo a sinistra.

“ Hai detto una cosa giusta Slim. Era ora che il capo si decidesse. Ma non farlo fuori al primo colpo, Tod. Mira solo al cavallo. Possiamo ucciderlo noi con un bel gioco” propose Rob.

Quello con il fucile sorrise malignamente: “Ho capito. Buona idea. Non ci divertivamo da un po’”.

I tre uomini fermarono i loro cavalli, l’inseguito si allontanava sempre di più, Tod prese la mira e sparò.

Nonostante la distanza, riuscì a colpire il cavallo del fuggitivo, entrambi caddero a terra in una nuvola di sabbia e terra.

Gridando come animali, i tre pistoleri si diressero verso di lui e lo raggiunsero subito. Scesi dai cavalli si avvicinarono.

“E’ morto?” chiese Slim.

Come risposta giunse un gemito.

“No” rispose sorridendo soddisfatto Rob.

L’inseguito era rimasto sotto il corpo ormai senza vita del suo cavallo, i tre sollevarono insieme il cadavere dell’animale e afferrarono la preda: era un ragazzo di circa diciotto anni, vestito poveramente con un pantalone nero e una camicia bianca.

Slim: “Svegliati, figlio di un cane!”

Il ragazzo lentamente si riprese, si guardò intorno e si irrigidì per la tensione quando vide che l’avevano preso. Poi però guardò per terra e vide il corpo senza vita del suo cavallo: “No! Sogoki!” gridò e iniziò a piangere lentamente.

I tre uomini risero: “Ma guardatelo, piange per quella stupida bestia” commentò Tod.

“Non era una stupida bestia. Me l’aveva regalato la mia mamma, era il mio unico amico e l’avete ucciso. Maledetti!”

Tod lo colpì con il calcio del fucile allo stomaco, facendolo inginocchiare: “E’ tutta colpa tua, Shinji Ikari. Sai bene che il signor Gendo non vuole vederti nella sua proprietà. Gli straccioni come te devono stare lontani. E il fatto che tu giri intorno anche a sua figlia, la signorina Asuka, non migliora certo la situazione”.

“Io e Asuka ci amiamo. E’ quella proprietà spetta a me. Gendo la rubò ai miei genitori dopo averli uccisi”.

Tod lo colpì di nuovo col calcio della sua arma, stavolta alla schiena e sbattendolo per terra: “Basta ragazzino. Puoi ingannare lei, non noi. Il signor Gendo ha avuto pazienza con te finora, ma ora ci ha dato il permesso di ucciderti. Le altre volte sei scappato grazie a quel cavallo velocissimo. Ora sei fatto. Ti elimineremo con un bel gioco”.

Shinji cercò di rialzarsi, li fissò, mescolando nello sguardo rabbia e paura.

Dopo qualche minuto, il gioco era pronto: i tre uomini avevano legato con delle corde Shinji ai loro cavalli. Due corde lo tenevano per le braccia, una terza per le gambe. Shinji sembrava crocefisso.

“Bastardi” urlò Shinji “lo sceriffo Kaji vi prenderà”.

“Lo sceriffo Kaji è fuori città, e tornerà tra una settimana. Per allora sarai solo uno scheletro dilaniato” lo canzonò Slim.

“Vediamo quanto tempo dureranno le tue membra dopo che i cavalli cominceranno a tirare. Scommettiamo?” propose Tod.

Rob: “Si. Io scommetto che regge trenta secondi”.

Slim: “No. E’ ancora troppo giovane, non è robusto questo pezzente. Facciamo dieci secondi”.

“Lo vedremo subito” tagliò corto Tod con un sorriso malvagio, che stava per sparare in aria col suo fucile per far correre via i cavalli.

Shinji era terrorizzato, pensava: “Rei aveva ragione, non dovevo più farmi vedere. Ma io non resistevo all’idea di stare lontano da Asuka. Asuka, se solo potessi rivederti ancora. Ma ormai è finita”.

Tod stava per dare il via ai cavalli, i suoi due compagni sghignazzavano, quando all’improvviso si fermò.

“Che ti prende?” chiese Slim.

“Mi sembra di sentire qualcuno cantare” rispose perplesso l’uomo.

“Cosa? Dico, quante bottiglie ti sei scolato ieri sera? Quaranta anziché le solite quindici?” provò a scherzare Rob.

“No, ascoltate in lontananza”.

I due uomini tesero le orecchie: qualcuno stava davvero cantando.

Aguzzando la vista videro che all’orizzonte era apparso un uomo.

Il nuovo arrivato indossava un lungo cappotto rosso, tutto quello che si vedeva degli abiti che aveva sotto il cappotto erano solo un paio di stivali marroni, aveva una pesante borsa sulla schiena, i capelli biondi a spazzola e degli occhiali con le lenti gialle.

Camminava saltellando allegramente e cantava: “Love and Peace! Love and Peace!”

“Ma chi diavolo…?” I tre uomini rimasero sbalorditi. Quel tizio, incurante del calore del deserto, cantava come se niente fosse. E poi, sembrava essere arrivato dal deserto… a piedi! Cosa impossibile! Quel deserto era una trappola mortale.

Anche Shinji guardava stupito lo strano uomo vestito di rosso, mentre i tre uomini impugnarono le loro armi. Quello straniero era troppo strano.

“Fermo dove sei!” tuonò Tod puntandogli contro il suo fucile.

Lo straniero si fermò, ma continuava a cantare, con un espressione da bambino felice (e anche un po’ da ebete): “Love and Peace!”

I tre rimasero di stucco: ma come, gli punti contro un arma e quello continua a cantare come se niente fosse?

Lo straniero esordì: “Salve a tutti. Love and Peace fratelli” e fece il segno di vittoria con le dita.

“Chi accidenti sei?”

“Sono solo un passante che guardando tutto questo si è detto: che cosa brutta stanno facendo. Perché gli uomini cercano sempre di farsi del male? Love and Peace, questo conta”.

“Ci stai prendendo in giro? Guarda che se sei un amico di questo ragazzino pezzente, ti riserviamo lo stesso trattamento” lo minacciò Slim.

“Perché? Perché tanta cattiveria? Via le pistole” rispose lo strano uomo con voce felice ( e pure questa un po’ da ebete), e d’un tratto, facendo cadere a terra la sua borsa, si mosse come un fulmine, passò davanti ai tre uomini e gli tolse le armi.

I tre rimasero di stucco per la sua velocità, fissarono le loro mani vuote.

L’uomo col cappotto rosso gettò in aria le loro armi e gridò con voce allegra: “D’ora in poi, solo Love and Peace! Cantate con me!”

“Brutto bastardo!” gridarono i tre uomini insieme e gli si avventarono contro.

L’uomo vestito di rosso però, si mise oltre che a cantare, anche a ballare: “Love and Peace!” cantò, saltò il primo, Slim, che cercava di dargli un calcio, con un agilità straordinaria e lo stese atterrandogli sopra con le gambe.

“Ti faccio a pezzi!” gridò Rob, che si lanciò in avanti con un destro. Lo straniero fece una piroetta su se stesso, alzò una gamba: “Love and Peace” disse, girò da destra a sinistra e lo colpì alla schiena, fece piegare Rob indietro, poi compì un'altra piroetta da sinistra a destra, sempre con la gamba alzata e lo stese colpendolo allo stomaco.

Rimase solo Tod, che lo guardò con occhi furenti e spaventati insieme, poi decise di scappare.

Lo straniero prese una delle pistole che aveva gettato prima a terra, si mise nella stessa posizione di un giocatore di baseball che sta per lanciare la palla, scagliò la pistola e colpì l’uomo dietro la testa stordendolo.

Aveva messo tutti e tre al tappeto come se niente fosse, e sempre cantando con quella espressione allegra (e sempre un po’ da ebete).

“Eh, se aveste detto anche voi Love and Peace” disse sconsolato lo straniero.

Si avvicinò a Shinji che lo guardava stupito: il ragazzo non sapeva se considerarlo come un salvatore, e quindi ringraziarlo, oppure se aveva di fronte un pazzo, che poteva prendersela anche con lui.

Ma l’uomo cacciò una lama dalla punta di uno dei suoi stivali e tagliò le funi.

“Appena in tempo ragazzo. Come stai?”

Shinji si rimise in piedi: “S-sto bene, grazie”.

“Meno male che passavo di qui. Ma perché volevano farti una cosa cosi orribile quei tre?”

Shinji era sospettoso nei confronti dello straniero, che se ne accorse e disse sorridendo: “Oh, non preoccuparti. Non voglio farti niente. Passiamo alle presentazioni, ti va? Io mi chiamo Vash”.

Shinji rimase di stucco: aveva detto Vash? Possibile che si trattasse del famigerato Vash The Stampede, il tifone umanoide?

L’abilità mostrata contro i tre uomini che volevano ucciderlo sembrava confermarlo, ma poi Shinji si ricordò le strane espressioni dell’uomo, con un sorriso da ebete, che cantava continuamente “Love And Peace”.

Del tutto improbabili se si fosse trattato dell’uomo temuto da tutti, che aveva spazzato via un’intera città, July City, e seminava ovunque la distruzione.

“No, non può essere. Un tipo cosi assurdo è impossibile che sia il tifone umanoide. Sarà una semplice omonimia” concluse Shinji

Comunque ispirava fiducia, perciò si presentò anche lui: “Io mi chiamo Shinji Ikari”.

“Bel nome. Allora, mi vuoi dire perché ce l’avevano con te?”

“Ben volentieri. Sei in gambe e credo che potresti aiutarmi. Ma prima mi aiuteresti a seppellire il mio cavallo?”

“Certo”.

Sogoki fu sepolto e sopra ci misero una croce fatta con due arbusti secchi.

Vash aveva notato il dolore di Shinji per la perdita del suo cavallo. Aveva infatti gli occhi lucidi.

Shinji si mise in ginocchio davanti alla croce e recitò sottovoce una piccola preghiera.

“Gli volevi davvero bene” disse Vash.

“Si. Mi era stato regalato da mia madre per il mio quattordicesimo compleanno. Era l’ultima cosa che mi legava a lei, ormai. L’ultimo momento di pace prima che si scatenasse l’inferno per me”.

“Andiamo in città, so che c’è perché me l’hanno detto alcuni membri di una carovana. Mi racconterai tutto strada facendo” propose Vash.

I due si incamminarono verso la città, che distava due miglia, prendendo “in prestito” i cavalli di Slim e Tod. Il terzo lo lasciarono per quei tre quando si sarebbero risvegliati.

Shinji raccontò la sua storia a Vash: “La città che si trova qui si chiama Neo-Tokyo, fu fondata da mio padre 15 anni fa. Il sottosuolo è ricchissimo, si trovano sorgenti di acqua e anche materiali preziosi, ma l’unico punto in cui è possibile prelevarli è quello dove mio padre ha costruito la sua casa. Lui lo aveva fatto per proteggere quella ricchezza dalle mani degli speculatori, finchè un giorno non arrivò Gendo Rokubungi. All’inizio si presentò come un semplice collaboratore di mio padre e se ne guadagnò la fiducia. A me però non era mai piaciuto. Lo trovavo sospetto. E infatti un giorno, due anni fa, nel giro di una notte, mise l’assedio alla casa della mia famiglia insieme ad un gruppo di balordi, uccise mio padre, io mi salvai solo perché mia madre, prima che la uccidessero, mi mise in groppa a Sogoki e riuscì ad allontanarmi. Gendo aveva curato tutto nei minimi particolari: la mia casa era fuori città, perciò non c’erano testimoni, e il giorno dopo si presentò in città e disse a tutti che i miei genitori erano stati uccisi da me in vista della possibile eredità e che le proprietà di mio padre spettavano a lui grazie ad un falso testamento. Fu molto convincente, e cosi grazie a lui non solo non potei partecipare ai funerali dei miei, ma tutti cominciarono a darmi la caccia accusandomi di averli uccisi. Non potevo entrare in città, sarei morto di fame e di sete se non mi avesse aiutato Rei Ayanami, una mia amica di infanzia che lavora come cameriera nel saloon della città. Mi nascose in un granaio e mi portò regolarmente da mangiare”.

“Ma in città sono tutti convinti che sei stato tu?” chiese Vash.

“Solo lo sceriffo Kaji con sua moglie Misato e la maestra Ritsuko Akagi, insieme a due ragazzi, Toji Suzuhara e Kensuke Aida, credono nella mia innocenza: i primi due perché sanno che Gendo è un criminale, ma non hanno prove, e gli altri tre perché sono stati rispettivamente la mia insegnante e miei compagni di classe, mi conoscono bene e sanno che non avrei mai fatto nulla di simile”.

Shinji aveva parlato tenendo lo sguardo sempre davanti a se, quando all’improvviso sentì qualcuno piangere: era Vash, che al suo fianco piangeva come un bambino.

Shinji lo fissava con un aria allibita: “Ma… ma cosa fai? P-piangi?”

“Si. E’ una storia troppo drammatica” rispose Vash tra le lacrime.

Shinji sorrise nervosamente: avrebbe dovuto essere lui a mettersi a piangere in quel modo, non Vash. D’accordo, era un segno di sensibilità, ma era pur sempre un uomo adulto, e ora si lamentava come un bimbo dell’asilo.

“Non preoccuparti per me” disse Vash tra i singhiozzi “continua la tua storia”.

“Ehm… dunque… si… Allora, ormai la mia vita non mi sembrava avere più senso, avevo perso tutto, non temevo più la morte, e allora decisi di andare alla mia ex-casa per vendicarmi e uccidere Gendo. Ma quando arrivai, nascosto dentro un carro delle provviste, vidi che davanti all’ingresso c’era una ragazza che si divertiva a colpire con una pistola delle bottiglie disposte in fila su una staccionata. Quando la guardai in volto rimasi estasiato: era una ragazza bellissima, con i capelli rossi. Averla vista fece sparire in me ogni pensiero di vendetta, me ne innamorai sul momento. E decisi di scoprire chi fosse. Rei mi disse che si trattava della figlia di Gendo, si chiamava Asuka ed era arrivata alla fattoria in quei giorni. Io rimasi stupefatto: come poteva un simile Angelo essere la figlia di quel mostro? Comunque decisi di conoscerla. Mentre un giorno uscì da casa per farsi una cavalcata, la seguì, attesi che si fermasse per dissetarsi, e mi avvicinai di soppiatto. La sua prima reazione fu alquanto… pericolosa. Pensando che volessi aggredirla mi saltò addosso e mi puntò un coltello alla gola. Per fortuna mi lasciò il tempo di spiegare, e scoprì che lei già mi conosceva. Aveva ascoltato di nascosto il padre, che in realtà l’aveva adottata, parlare di quello che aveva fatto alla mia famiglia. Era curiosa di conoscermi e da quel momento cominciammo a frequentarci di nascosto. Alla fine anche lei si innamorò di me”.

“Ah, che cosa stupenda che è l’amore! Love and Peace!” esplose per la gioia Vash.

Shinji rimase di nuovo sbigottito: questo Vash passava dalla serietà alla tristezza e alla felicità con una facilità incredibile.

“Comunque… “riprese il ragazzo” cominciammo a frequentarci. Due settimane fa però, qualcuno la vide mentre usciva di soppiatto per venirmi a trovare. Ci scoprirono, ma grazie a Sogoki riuscì a fuggire. Fortunatamente il padre non l’ha punita perché pensa che io cerchi di plagiarla, quindi lei non avrebbe colpe. Invece io non voglio assolutamente coinvolgerla nella mia vendetta. Alla fine le dissi di non venire più a trovarmi, sarei stato io ad andare da lei. Purtroppo mi hanno scoperto e quando mi hai visto, io stavo appunto fuggendo da li”.

“Che triste storia” disse Vash con le lacrime di nuovo agli occhi.

Shinji rimase di nuovo di sasso: che tipo bizzarro. Era assolutamente impossibile che fosse lui il tifone umanoide.

Intanto stavano per arrivare in città, Shinji non poteva entrarci perciò si separarono. Il ragazzo disse a Vash di andare al saloon e chiedere di Rei. Li avrebbe aiutati. Si sarebbero rivisti nella bottega del saloon.

Vash entrò nella città, una cittadina abbastanza popolata, ma non tanto diversa da altre.

Scese dal cavallo e si diresse verso il saloon.

“Mmm, sembra un bel posto” pensò Vash, che aprì la porta a doppio battente del saloon, aperta sopra e sotto. Ma proprio in quel momento vide dietro di se una bella ragazza che gli fece l’occhiolino, Vash le rispose con lo stesso gesto, si girò e quindi non vide la porta del saloon che si richiudeva… su di lui.

La porta diede a Vash una botta pazzesca sulla schiena, facendolo finire per terra a pancia in giù.

La ragazza si allontanò ridendo sommessamente, mentre Vash si rialzava dolorante, con la faccia sporca di terra, pensando: “Che figura! Sob”.

Dopo essersi ripulito la faccia entrò nel saloon, nessuno sembrava essersene accorto dell’incidente (con suo grande sollievo) , i tavoli erano quasi tutti occupati da pistoleri intenti a bere o a giocare a carte, e andò dal barista.

Vash fece il tono da duro: “Barista! Dammi una birra!” e sbatte il pugno sul bancone. Peccato che non si fosse accorto delle forchette che il barista stava in quel momento pulendo e posando proprio sul punto dove Vash aveva sbattuto il pugno.

Risultato: Vash divenne rosso come un peperone, la faccia gli si gonfiò, sembrava sul punto di scoppiare, mentre lui si mise una mano davanti alla bocca per non urlare.

Cercando di trattenersi, chiese al barista: “C’-c’è un bagno qui?”

“Di là” rispose il barista impassibile continuando a pulire le posate.

Vash corse nel bagno, si chiuse dentro e lanciò un urlo disumano di dolore.

Tutti si voltarono, un grosso gocciolone di sudore scese sulle loro fronti, mentre Vash uscì dal bagno con la mano avvolta da un fazzoletto.

Ritornò al bancone, stando attento stavolta a dove metteva le mani, e chiese, di nuovo col tono da duro: “Barista, una birra. Vorrei sapere anche dove posso trovare Rei Ayanami”.

Il barista lo servì, non preoccupandosi eccessivamente del suo strano comportamento: di pazzi ne girano tanti.

“Quella è Rei Ayanami” rispose il barista indicando una splendida ragazza, sui diciotto anni, con i capelli azzurri e gli occhi rossi, che indossava un abito bianco con la gonna e stava servendo delle birre ad un tavolo.

Vash appena la vide, rimase incantato, i suoi occhi presero la forma di due cuori pulsanti.

“Rei, questo tizio vuole parlarti” la chiamò il barista, Vash si riprese dallo stupore.

“Arrivo” rispose Rei, che pensava: “Speriamo non sia un altro che vuole farmi la corte”.

La ragazza fu davanti a Vash, che balbettando per l’emozione, disse: “S-salve, v-vorrei parlarti in p-privato…”

“Si” rispose con voce atona la ragazza.

I due si diressero verso il retro bottega del saloon, entrarono, Rei chiuse la porta, Vash le dava le spalle guardando la stanza, piena di scaffali con bottiglie di liquore di ogni dimensioni. Ma quando si girò, Rei gli mise una pistola di piccole dimensioni, che aveva cacciato subito da sotto la gonna, in bocca.

Vash iniziò a sudare freddo, parlò con la voce alterata dalla canna che teneva in bocca: “V-vue signiufiva cuesto?”

“Credevi davvero che mi fidassi di uno sconosciuto?” rispose inflessibile Rei. “L’ultima volta che un uomo ha detto di volermi parlare in privato, ha provato a saltarmi addosso, e io l’ho sistemato dandogli una bella serie di calci in mezzo alle gambe”.

Vash deglutì nervosamente, quando sentì un rumore alle sue spalle.

“No Rei, aspetta” disse qualcuno alle sue spalle: era la voce di Shinji.

“Shinji? Meno male” esclamò la ragazza, tenendo sempre la pistola in bocca a Vash.

Il ragazzo era entrato nel retro bottega da un piccolo sportello alto circa un metro e costruito tra le assi di legno delle pareti.

“Abbassa l’arma Rei. Lui è un amico”.

Vash, sorridendo come un ebete, annuiva.

“Come puoi fidarti? E se fosse un mercenario assoldato da Gendo? Meglio farlo fuori!”

La ragazza caricò un colpo in canna, Vash cominciò a sudare come una fontana.

“L’ho pensato anche io. Ma stamattina mi ha salvato dagli uomini di Gendo che stavano per uccidermi. E poi, anche se non so il perché, mi fido di lui”.

Dopo qualche attimo di silenzio, Rei abbassò l’arma, Vash tirò un enorme sospiro di sollievo e cominciò ad asciugarsi il sudore: era bagnato come se si fosse fatto la doccia.

“Come ti chiami straniero?” chiese Rei.

“Il mio nome è Vash. Piacere” rispose Vash inchinandosi e facendo per baciarle la mano.

Ma Rei spaventata indietreggiò: “H-hai detto Vash?!”

“Non è lui. E’ solo un omonimo” la tranquillizzò Shinji.

Rei si calmò, ricordandosi anche il modo in cui si era spaventato l’uomo prima, non poteva davvero trattarsi del leggendario Tifone Umanoide.

Vash sorrise e le disse: “Il ragazzo ha ragione”. Ma dal modo in cui lo diceva non sembrava.

I due ragazzi si sedettero su delle casse piene di liquore e cominciarono a parlare.

Rei: “E cosi oggi ti hanno preso eh? Te l’avevo detto che era troppo pericoloso. Recarti a casa di Gendo: come andare nella tana del lupo. Lascia perdere per adesso il rapporto con Asuka. Finché c’è suo padre, sarà una storia impossibile”.

Shinji: “Non posso rinunciare ad Asuka. Mi ha fatto ritrovare la gioia di vivere. Ma hai ragione, suo padre è un ostacolo troppo grande. E mi ha già inflitto troppa sofferenza. Devo eliminarlo”.

“Vuoi davvero eliminarlo?” si inserì Vash, che fino a quel momento era impegnato a riempirsi le tasche del cappotto con le bottiglie di liquore sugli scaffali.

“Ma… ma che cosa stai facendo?” chiese allibita Rei.

Vash non le badò e continuò: “Hai detto davvero di voler eliminare Gendo?”

“Si. Perché non dovrei farlo? Quell’uomo mi ha portato via tutto. E’ giusto che gliela faccia pagare” rispose Shinji.

“D’accordo punire i colpevoli, ma a tutto c’è un limite. Non puoi ucciderlo”.

“E perché mai?”

“Perché nessuno di noi ha il diritto di togliere la vita agli altri” rispose Vash facendosi tremendamente serio.

Shinji si alzò in piedi di scatto: “Ma che idiozia! Quel bastardo ha ucciso i miei genitori, si è preso tutto quello che aveva la mia famiglia e ora che ho finalmente trovato l’amore, lo ostacola. Cosa dovrei fare? Ringraziarlo?”

“No. Ma se quell’uomo è un assassino, allora se lo uccidi scenderai al suo stesso livello. Ti macchieresti le mani di sangue. Un omicidio è un omicidio. Una cosa orribile, non importa se giustificato o no. Neanche i tuoi genitori lo vorrebbero”.

Shinji, fremendo per la rabbia, si girò dando le spalle a Vash.

Anche Rei si alzò e gli mise le mani sulle spalle per consolarlo.

Rivolta a Vash, Rei disse: “Le tue parole sono giuste straniero, ma nel mondo in cui viviamo, sono inutili”.

Un silenzio totale scese nella stanza, interrotto all’improvviso da un bussare ritmato alla sportello nella parete: prima due colpi, poi tre, e dopo di nuovo due, intervallati da qualche secondo.

“Chi è?” chiese Vash preoccupato.

“Sono Toji Suzuhara e Kensuke Aida. Questo è un segnale di riconoscimento” spiegò Rei.

I due ragazzi entrarono dallo sportello: Toji, alto e con la carnagione scura, indossava un abito nero, mentre Kensuke, che aveva gli occhiali e una faccia simpatica, teneva un abito di colore soprattutto marrone.

“Ciao Shinji” dissero insieme i due ragazzi.

“Salve ragazzi” rispose Rei.

“Chi è questo tizio?” chiese Toji un po’ sospettoso verso Vash.

“Piacere. Mi chiamo Vash” disse sorridendo.

“Vash?!” esclamarono insieme i due ragazzi sorpresi e anche un po’ spaventati.

“Non è lui!” rispose ancora leggermente adirato Shinji.

“Beh, se lo dici tu. Allora, grosse notizie Shinji” disse Kensuke.

“Di che si tratta?”

“Come sai, io e Toji lavoriamo come garzoni da Gendo, per spiarlo. Ebbene, proprio oggi sono arrivati dei grossi camion dal quale hanno scaricato tonnellate di dinamite. Anche se sotto casa tua c’è la galleria che conduce alle miniere trovate da tuo padre, la dinamite è troppa perché serva solo per gli scavi. Temo che abbiano in mente qualcosa di molto brutto” spiegò Kensuke.

“Abbiamo ascoltato i loro discorsi” si inserì Toji “ e qualunque cosa vogliano fare, accadrà oggi, entro stasera”.

Shinji: “Allora dobbiamo per forza agire oggi. Non avrò altre occasioni per vendicarmi”.

“Ma Shinji…” cominciò Vash.

“Sta zitto! Sei solo uno stupido sentimentale! Mi sorprende che tu sia riuscito a sopravvivere finora. Pensavo che potessi aiutarmi, ma mi sono sbagliato. Vattene!”

Vash non disse una parola, e uscì dal retro bottega, sotto lo sguardo di Rei, mentre Shinji discuteva con Toji e Kensuke sul come entrare nella casa di Gendo.

Vash si avviò con un espressione dispiaciuta verso l’uscita del saloon, quando Rei lo chiamò in disparte in un angolo.

“Mi dispiace che Shinji ti abbia trattato cosi. Ma cerca di capirlo, è consumato non dall’odio, ma dal dolore”.

“Questo l’ho capito. Non me la sono presa, tranquilla”.

“Ti chiedo però di non abbandonarlo. Anche se Shinji ha detto di voler uccidere Gendo, in realtà lui odia la violenza. Sa a malapena maneggiare una pistola. Come hai visto infatti va in giro disarmato. E in fondo lo stesso vale per Toji e Kensuke, e anche per me. Se si troverà di fronte a Gendo, dubito che riuscirà a sparare, ma quel mostro non si farà scrupoli. Shinji ha bisogno di qualcuno che lo aiuti. Ti prego, vai con loro, magari di nascosto, ma aiutali”.

Rei aveva uno sguardo triste e supplichevole, ma prima che Vash potesse risponderle, il barista la chiamò perché servisse altri clienti.

Vash andò all’uscita del saloon, aprì la porta.

In quel momento si girò verso il bancone dove Rei stava prendendo un vassoio con le bevande.

“Poveri ragazzi” pensò l’uomo “Non posso abbandonarli”.

Si rigirò per uscire, ma proprio in quel momento la porta si richiuse stavolta sulla sua faccia.

Vash finì per terra con la schiena, a gambe all’aria, ma prima che i gestori del saloon potessero accorgersene, lui era già schizzato fuori dal locale.

“C’è mancato un pelo” commentò Vash col fiatone fuori dal locale “ora sarà meglio che vada da questo Gendo, per capire cosa vuole fare”.

Si avviò velocemente verso il suo cavallo.

Nella fattoria di Gendo, una grande casa circondata da un recinto, c’erano molti uomini in agitazione. Andavano e venivano in continuazione dall’ingresso alla miniera posta sotto la fattoria, una grande buca dentro la quale si scendeva con una specie di ascensore.

Gendo supervisionava il lavoro, ed era vestito con un elegante completo nero.

“Signor Gendo” lo chiamò un uomo alle sue spalle.

“Rob, Tod e Slim sono rientrati?” chiese Gendo.

“Poco fa” rispose l’uomo.

“Accidenti. Gli avevo mandati dietro a quello stupido di Shinji Ikari, avevano l’ordine di farlo fuori e non si sono più fatti vedere per l’intera giornata. Ma è impossibile che quello smidollato di Shinji li abbia sistemati. Qualcuno deve averlo aiutato”.

“Infatti. Hanno raccontato di essere stati sconfitti da un tipo assurdo vestito di rosso che non faceva altro che cantare”.

“Davvero? Qualche idea su chi possa essere?”

“No. Forse un mercenario”.

“Può darsi. Ma i mercenari vanno pagati e quello stupido di Shinji Ikari non ha un soldo. Sarà stato qualcun altro…”

“Sospetta di sua figlia?”

“No. Quella teppista di mia figlia tiene troppo a me per farsi convincere a tradirmi da un pezzente”.

“Ma sembra che lei e Shinji Ikari si siano incontrati più volte di nascosto. E l’ultima volta che l’abbiamo visto, stava tentando di entrare nella stanza della signorina Asuka attraverso la finestra”.

“Questo non vuol dire niente. Infatti Asuka sa quello che ho fatto ai genitori di Ikari e non mi ha tradito neanche allora perché altrimenti rimarrebbe sola. E’ un ottima cosa avere a disposizione una persona che soffre di solitudine, perché in questo modo lei, pur di non restare sola, non ti tradirà mai”.

“Se lo dice lei signore”.

“Come vanno i preparativi?”

“Saranno ultimati stasera entro le otto”.

“Bene. Mi raccomando, prima di dare il via al tutto aspettate che siano tornati in città anche lo sceriffo Kaji e quell’oca di sua moglie Misato. Quegli impiccioni sono andati ad Augusta City a cercare prove contro di me e dobbiamo sistemarli in una volta sola”.

“Signorsì” rispose l’uomo che fece per andarsene.

“Un ultima cosa” lo richiamò Gendo “non dimenticatevi di quella faccenda al saloon”.

“Certo signore. Manderò subito Tod, Rob e Slim”.

Rimasto solo Gendo sorrise malignamente e disse a bassa voce: “E’ arrivato il momento di trovarmi una nuova compagna”.

Intanto, nascosto dietro un altura a poca distanza dalla fattoria, Vash, con un binocolo, osservava il tutto.

“Mmm, c’è un via vai continuo da quella apertura nel terreno, che sicuramente è l’ingresso per la miniera. Dovrei avvicinarmi per dare un occhiata” pensava. All’improvviso sentì un rumore alle sua spalle, si girò e si ritrovò la canna di una grossa pistola in bocca.

“Oh no. Di nuovo!” pensò spaventato Vash che alzò le mani.

Chi lo minacciava era una bellissima ragazza con lunghi capelli rossi, vestita con un capellaccio sgualcito, una giacca in pelle marrone ugualmente sgualcita e una corta gonna in tessuto jeans. Sul davanti teneva il cinturone per la pistola. Indossava degli stivaletti.

“Chi sei? Cosa ci fai qui?” chiese la ragazza minacciosa.

Vash, di nuovo con la pronuncia distorta dalla canna in bocca: “K-kalua, s-sono un emivo”.

“Cosa?” chiese la ragazza togliendoli la pistola dalla bocca ma tenendogliela sempre puntata contro.

“Sono un amico. Credimi. Sono qui per aiutare Shinji Ikari”.

Al nome di Shinji la ragazza si innervosì, tirò fuori un coltello da sotto la giacca e glielo puntò alla gola.

Vash deglutì alquanto preoccupato, mentre al ragazza gli domandò: “Come fai a conoscere il nome di Shinji? Se gli hai fatto del male ti sgozzo come un maiale”.

Vash si spaventò moltissimo, sembrava davvero pericolosa questa ragazza che gli puntava un coltello alla gola.

Questo particolare però gli fece venire in mente qualcosa: il primo incontro tra Shinji e Asuka. Anche in quella occasione la ragazza aveva puntato un coltello alla gola di qualcuno.

Vash: “S-scusami, ma non è che tu sei… sei Asuka?”

“Come fai a conoscere il mio nome? Non ti ho mai visto”.

Vash aveva indovinato: questa ragazza era davvero Asuka.

“Accidenti, è una rossa fuori e anche dentro” pensò, mentre diceva: “Senti, non ho fatto del male a Shinji. Sono venuto qui ad aiutarlo, davvero”.

“Perché dovrei crederti?”

Vash, per farsi credere, le raccontò del primo incontro tra lei e Shinji, un fatto che questo estraneo poteva conoscere solo se glielo aveva raccontato Shinji, proprio perché quando accadde non c’era nessuno. E Shinji non sarebbe certo andato a raccontare un fatto cosi privato ad uno di cui non si fidava.

Asuka ripose pistola e coltello: “Va bene. Se Shinji si è fidato di te, posso farlo anche io. Come ti chiami?”

“Vash”.

“Cooosa? Non sarai per caso…”

“No no” rispose prontamente Vash “è un semplice caso di omonimia”.

“Uhm… va bene” disse Asuka non troppo convinta.

“Bene. Ascolta adesso. Devo andare a vedere cosa sta facendo tuo padre. Shinji è stato avvertito da due suoi amici, che sono arrivati nella fattoria grossi carichi di dinamite e ha deciso di venire oggi per vendicarsi di Gendo”.

“No. Quello stupido! Non ce la farà mai. Non è capace di uccidere. Gli sgherri di mio padre se lo mangeranno in un sol boccone. Dobbiamo fermarlo” disse preoccupatissima Asuka.

“Vedo che di tuo padre non ti importa niente” notò Vash.

“Di quel bastardo? Figurati, non è il mio vero padre, mi ha adottato, e l’ha fatto solo per mettere le mani sull’eredità di mia madre, di cui era l’amante. Conosco tutte le sue malefatte, ma finora avevo sempre taciuto perché in un certo senso era la mia famiglia, e non volevo restare sola. Ora però ho Shinji, perciò non temo più la solitudine. Anche adesso, mi stavo facendo una passeggiata per trovare un modo per incastrarlo”.

“Io posso aiutare te e Shinji, ma devi farmi entrare nella fattoria”.

“Vediamo… potrei farti passare per un mercenario che vuole lavorare per lui. Ma sai sparare?”

“Ehm… un pochino” rispose titubante Vash.

“Cosa? In questo mondo, a meno che non lavori in un luogo dove di solito non si spara, se non sai usare una pistola sei morto. Shinji non lo fa perché è molto sensibile, ma tu sei un uomo adulto. Devi essere un vero imbranato”.

“Oh, perché dici cosi?” piagnucolò Vash.

Asuka si spazientì: “Non ci posso credere. Sei davvero un bambinone. E’ meglio se resti qui, avrò più possibilità di cavarmela se non dovrò badare anche a te” e se ne andò.

Vash rimase di sasso: “Ma guarda questi… io voglio aiutarli e loro o mi cacciano o mi scaricano. Non hanno la minima fiducia nel prossimo” pensò offeso.

Intanto arrivarono i carri con le provviste per i numerosi uomini che vivevano al servizio di Gendo.

Nascosto dentro uno di questi carri, c’era Shinji. Il carro era guidato da Toji e Kensuke.

Il carro superò l’ispezione perché Shinji era nascosto dentro una cassa in apparenza sigillata.

Ma non lo era, quindi, dopo aver scaricato tutto il materiale in un grosso magazzino, quando tutti se ne andarono, Shinji uscì dalla cassa. Era armato. Toji e Kensuke erano tornati in città in attesa che tornasse lo sceriffo Kaji per informarlo di quello che succedeva nella fattoria di Gendo. Shinji invece sarebbe andato subito alla ricerca di Gendo per ucciderlo, poi avrebbe tentato di scoprire cosa voleva fare Gendo nella miniera. Infine, insieme ad Asuka, se ne sarebbe andato per rifarsi una vita altrove.

Ma i dubbi lo tormentavamo: le parole di Vash risuonavano nella sua mente, e poi temeva che Asuka lo avrebbe lasciato se lui uccideva il padre della ragazza, anche se adottivo.

Comunque, non poteva restare inerte nel territorio nemico, allora cambiò la tabella di marcia: sarebbe andato prima nella miniera per scoprire le intenzioni di Gendo.

Nascondendosi dietro delle casse disposte fuori dal magazzino, si avvicinò all’ingresso della miniera.

Aspettando un momento di sospensione del continuo via vai di uomini da li dentro, si infilò velocemente.

Addentrandosi dentro la grande galleria, piena di binari per i carrelli che trasportavano i metalli preziosi e piccoli pozzi per l’estrazione dell’acqua, notò degli strani fili per terra.

Seguendoli vide tre uomini che stavano applicando qualcosa alle pareti della galleria.

Quando se ne andarono Shinji, nascosto dietro un carrello, si avvicinò e vide di cosa si trattava: erano grosse cariche esplosive collegate con dei fili rossi a dei detonatori sicuramente.

“Vuole far crollare la miniera” pensò spaventato Shinji “ma per quale motivo?”

Sentì dei rumori dietro di lui, corse a nascondersi di nuovo dietro il carrello, e vide arrivare Gendo insieme ad un altro uomo.

“Questa è l’ultima Tokida?” chiese Gendo.

“Si signore. Abbiamo posizionato nei punti strategici tutte le altre. Ormai, giusto il tempo di farci sloggiare da qui e poi dovrà solo premere un pulsante e… boom!” fece Tokida allargando le braccia.

“Bene” rispose Gendo con un sottile sorriso di soddisfazione.

Shinji aveva ascoltato tutto: non poteva permetterlo. Quella miniera era il frutto del duro lavoro di suo padre, ed era anche l’unico sostentamento della città di Neo-Tokyo. Senza quella miniera, Neo-Tokyo sarebbe diventata una città fantasma.

Shinji spuntò fuori dal carrello e puntò la pistola contro Gendo: “Non te lo permetterò bastardo!”

Tokida, disarmato, si spaventò, mentre Gendo rimase immobile: “Guarda chi si vede, il piccolo Ikari. Come stai?”

“Perché vuoi far crollare la miniera?”

“Beh, siamo arrivati ormai alla fine, il classico scontro finale, ed è il momento in cui i nodi vengono al pettine di solito, perciò posso dirtelo: ho assicurato la miniera per 70 miliardi di doppi dollari, il doppio del suo valore e voglio farla saltare per intascare quei soldi. Esplodendo la miniera, che si estende per chilometri sotto il suolo in direzione della città, come saprai provocherà sicuramente una voragine che ingoierà Neo-Tokyo, e in questo modo mi libererò di eventuali testimoni e soprattutto di quello spione dello sceriffo Kaji”.

“Ma in questo modo uccideresti migliaia di persone, non puoi farlo!”

“Oh si che posso. Credi che mi importi qualcosa di quei pezzenti? Quando avrò preso i soldi dell’assicurazione, mi recherò alla capitale e grazie ad essi potrò farmi eleggere presidente. Una posizione adatta ad un uomo della mia intelligenza, non credi?”

“Tu tra qualche secondo sarai morto” tuonò Shinji.

“E come credi di uscire vivo da qui dopo?”

“Non mi importa. Anche se morirò, morirò contento sapendo di aver eliminato un mostro come te. E libererò anche Asuka”.

“Davvero? Pensi di avere il coraggio di uccidere una persona? Fammi vedere”.

Tokida diventava sempre più nervoso, mentre Gendo era molto sicuro di se.

La mano di Shinji cominciò a tremare: il dito era sul grilletto, bastava uno scatto e la vendetta era compiuta.

Ma qualcosa bloccava il ragazzo. Shinji sudava moltissimo per la tensione, aveva il fiatone.

Le parole di Vash continuavano a risuonare nella sua mente, e si unirono ad una vocina del suo cuore che lo implorava di non farlo. Questa vocina era la voce di sua madre, Yui, quando era piccolo lo teneva sulle gambe e gli insegnava quanto fosse sbagliato uccidere.

L’insegnamento della madre era stato coperto dalla sete di vendetta, ma ora era riapparso.

Yui diceva: “Ricorda Shinji, per quanto il mondo diventi cattivo, tu non devi mai perdere la speranza. Alla fine il bene trionfa sempre. Uccidere è male, e tu non dovrai mai farlo”.

Arrivò la voce di Vash: “Nessuno di noi ha il diritto di togliere la vita agli altri”.

Queste due voci si confondevano nella mente di Shinji, che alla fine abbassò l’arma e cominciò a piangere: se da un lato si malediva per la sua incapacità a compiere la vendetta, dall’altro era contento di non aver compiuto quel gesto estremo.

Gendo ne approfittò, estrasse la sua pistola e sparò a Shinji colpendolo volutamente di striscio alla testa.

Shinji cadde a terra svenuto.

“Tokida” ordinò Gendo “prendi questo stupido, legalo e portalo in una delle cavità che stanno qua sotto. Mi sembra giusto farlo morire insieme alla galleria scavata da suo padre”.

“Subito” rispose Tokida che andò da Shinji.

“Fermi dove siete” risuonò una voce alle loro spalle.

Si voltarono, era Asuka che impugnava la sua pistola contro di loro.

“S-signorina Asuka, cosa s-sta facendo?” domandò allibito Tokida.

“Esigo una spiegazione Asuka”. La voce di Gendo era fermissima.

“Stai zitto bastardo. E getta quella pistola. Se hai fatto del male a Shinji…”

“Io sono tuo padre. Non puoi farlo”.

“Mio padre? Ah, tu, grandissimo bastardo, mi hai adottata solo per poter gestire l’eredità di mia madre tramite me. Ma ora la festa è finita per te. Grazie a Shinji ho l’opportunità di costruirmi una vita vera, che tu non mi hai mai dato. Peccato solo che abbia impiegato tutto questo tempo per decidermi”.

“Anche se mi uccidi, non uscirai mai viva dalla fattoria. I miei uomini…”

“I tuoi uomini li ho chiusi tutti nel magazzino, è stato facile. E’ bastato dire loro che qualcuno li dentro ti aveva aggredito e subito sono corsi ad aiutarti. Non hai più nessuno. Ora portate Shinji fuori da qui, poi andremo in città dallo sceriffo Kaji e tu confesserai tutte le tue colpe. Anche io non sono del tutto innocente, avendo taciuto per tanto tempo, ma almeno non ho mai ucciso, al contrario di te”.

Gendo gettò la pistola, ma ad un tratto disse: “Sembri molto sicura, peccato che la fortuna sembri voltarti le spalle”.

“Cosa…?”

Asuka non fece in tempo a reagire, quando un ombra spuntò all’improvviso dietro di lei e la colpì alla nuca con il calcio di un fucile.

Asuka cadde a terra priva di sensi.

Gendo: “Era ora che arrivaste voi tre. Si può sapere perché ci avete messo tanto?”

Dalle ombre dietro Asuka uscirono Rob, Slim e Tod. Era stato quest’ultimo a colpire Asuka col suo fucile di precisione.

“Scusi il ritardo signor Gendo” ripose Slim.

“Non importa. Avete risolto la faccenda al saloon?”

“Tutto a posto” disse Tod.

“Lo sceriffo Kaji è in città?”

“E’ arrivato poco fa” informò Rob.

“Bene. Allora legate questi due piccioncini e andiamocene. Tra poco Neo-Tokyo, questa fattoria e tutto il resto si potranno cancellare dalle cartine geografiche”.

Legarono Asuka e Shinji alle braccia e alle gambe, mettendoli schiena contro schiena in una cavità laterale alla galleria.

I due ragazzi si ripresero in quel momento.

“Oh, la mia testa” si lamentò Shinji.

“M-ma che cosa è successo?” si chiese Asuka.

“Asuka?”

“Shinji?”

Insieme: “Cosa ci fai tu qui?”

“Bene, vi siete svegliati” disse Gendo.

L’uomo stava davanti a loro.

Asuka e Shinji sempre insieme: “Maledetto!”

“Potete dire quello che volete, ormai siete morti. Ma per farvi contenti vi farò morire insieme, e tu Shinji te ne andrai insieme al lavoro di tuo padre. Come vedete anch’io ho sentimenti” concluse ironicamente.

Shinji gli sputò addosso, Asuka si dimenava nel tentativo di liberarsi.

“Fatica sprecata. Anche se riusciste a liberarvi, tra pochi minuti qui crollerà tutto, insieme a Neo-Tokyo”.

“Cosa?!” esclamò Asuka “ma non puoi farlo. Moriranno migliaia di innocenti!”

“Toji, Kensuke, Rei…” disse sottovoce con voce preoccupata Shinji.

“Oh, non devi preoccuparti per Rei. Lei verrà con me” gli disse Gendo.

“Che vuoi dire bastardo?” esplose Shinji.

“Rei è qui fuori. Mia cara Asuka, tu avevi chiuso nel magazzino tutti i miei uomini, è vero, ma Tod, Rob e Slim ti hanno fregata proprio perché erano andati in città a prendere Ayanami, per questo non erano qui quando hai tradito”.

“Ma perché hai preso Rei?”

“Beh, quella ragazza mi piace davvero molto, e siccome è passato tanto tempo dall’ultima volta che mi sono sposato, ho deciso di riprovare quella splendida sensazione”.

“Rei non ti sposerà mai!” ringhiò Shinji.

“Parli come se Rei potesse scegliere” concluse Gendo che se ne andò.

Shinji e Asuka cercavano di liberarsi.

“Mi dispiace Asuka per averti coinvolto” disse Shinji.

“Per quale motivo? Io potevo benissimo continuare a far finta di niente e non mi sarebbe successo nulla. Ma il tuo coraggio mi ha svegliata e accetto le conseguenze delle mie azioni. Non preoccuparti Shinji, tu non hai colpe”.

“Grazie. Però per noi sembra sia finita, e il pensiero della morte che incombe sugli abitanti di Neo-Tokyo… e il sapere Rei nelle mani di quel mostro….”

“Non siamo ancora morti” tagliò corto Asuka per dare coraggio a Shinji e cercava di liberarsi.

Fuori dalla galleria intanto Gendo si dirigeva con fare sicuro verso la macchina dove lo attendeva Tokida al volante, e Slim, Tod e Rob a cavallo.

“Come sta la passeggera?” chiese ironico Gendo.

“E’ nel sedile posteriore. Oltre che legarla, abbiamo dovuto anche imbavagliarla, non faceva altro che gridare aiuto”.

Gendo sorrise in maniera poco rassicurante, entrò nell’auto e vide Rei sdraiata sul sedile, mani e piedi legati dietro la schiena, gli occhi pieni di lacrime per la disperazione, si dimenava impaurita.

Gendo le accarezzò il viso, ma lo sguardo della ragazza si tramutò: dalla paura passò all’odio nei confronti di quell’uomo spregevole.

Gendo, per nulla intimorito, le tolse il bavaglio: “Nonostante la tua apparente fragilità, possiedi il fuoco dentro di te. Per questo mi piaci”.

“Vai all’inferno bastardo! Dove sono Shinji e Asuka? Cosa vuoi fare?”

“Tra poco lo capirai con i tuoi occhi” rispose con calma l’uomo.

Rei gli sputò in faccia, colpendolo sugli occhiali, Tokida vedendo quella scena si arrabbiò: “Lurida cagna!” sbraitò e stava per colpirla, ma Gendo lo fermò, con calma prese un fazzoletto dalla tasca, si pulì gli occhiali e poi con la mano afferrò Rei per il mento, stringendo forte.

La sua voce rimaneva però sempre calma: “Ti consiglio di non farlo mai più. Le brave mogli rispettano sempre i loro mariti”.

“Preferisco tagliarmi le vene piuttosto che sposarti” rispose Rei.

Gendo, non rispose, le lasciò il mento e andò a sedersi sul sedile a fianco a quello del guidatore.

“Signore” disse Slim “devo liberare gli altri?”

Dal magazzino li vicino provenivano infatti le grida degli uomini chiusi dentro da Asuka, che invano cercavano di sfondare il robusto portone dell’edificio.

“Perché mai? Quando il lavoro sarà finito, avrei dovuto spartire il guadagno con loro, ma se, per disgrazia, dovesse succedergli qualcosa, ne resterà di più per noi. Non credete?”

“Ha ragione signore” risposero insieme i tre pistoleri con un ghigno beffardo.

Il gruppo si allontanò in tutta fretta dalla fattoria, e dopo una decina di minuti arrivarono sopra un altura situata dietro la fattoria qualche chilometro.

Gli uomini scesero dai loro mezzi, Gendo fece scendere anche Rei dall’auto e le liberò i piedi.

Tutti fissavano l’orizzonte, la fattoria con le luci ancora accese e in lontananza Neo-Tokyo, con tutti i suoi abitanti.

“Ora assisteremo al mio trionfo Rei” disse Gendo tenendosi vicino la ragazza che invano si dimenava per cercare di fuggire.

“Tokida, il telecomando dei detonatori” ordinò Gendo.

“Subito signore” rispose l’uomo dandoglielo.

“Sarà un bello spettacolo. Peccato non avere una macchina fotografica” commentò sarcastico Tod.

“C-cosa vuoi fare? Bello s-spettacolo? Detonatori? Non capisco… vuoi distruggere la fattoria?” chiese Rei.

“Pure” rispose Gendo.

Rei intuì tutto, perché Shinji in passato le aveva detto della posizione della miniera: “No! Non puoi farlo. E’… è orribile!”.

Gendo non le badò e premette il pulsante sul telecomando, Rei chiuse gli occhi per non guardare quello spettacolo apocalittico: una zona di almeno trenta chilometri che sprofonda su se stessa.

I secondi passavano: non successe nulla.

“Ma.. ma cosa?” Gendo allibito premeva più volte il pulsante, ma non accadeva nulla.

Rei, aprì gli occhi, tirò un enorme sospiro di sollievo e commentò sarcastica: “Il tuo trionfo! Eh bastardo?”

Gendo non le badò, si voltò furibondo verso Tokida: “Idiota! Hai controllato le cariche?”

“S- si signore, glielo giuro, prima di andarcene le avrò controllate una cinquantina di volte” rispose spaventato.

“Andiamo a vedere cosa è successo. Tokida, resta qui e sorveglia la ragazza” ordinò Gendo, che a bordo della macchina, con Slim, Tod e Rob, si diresse verso la fattoria.

Una volta arrivati, tutto sembrava tranquillo. Dal magazzino giungevano ancora le voci degli uomini chiusi li dentro.

“Andate nella miniera a controllare i cavi che collegano le cariche. Io do un occhiata intorno” disse Gendo.

Si divisero. Slim, Tod e Rob. Armi in pugno, entrarono nella miniera.

Si avventurarono nella intricata serie di gallerie, quando videro per terra delle corde tagliate.

Slim: “Ehi guardate”.

Tod: “Ma queste, sono le corde che legavano Ikari e la signorina Asuka”.

Rob: “Allora sono stati loro”.

“E come? Queste funi sono robuste, per tagliarle ce ne vuole. Almeno mezz’ora” gli rispose Tod.

“E allora come diavolo…”

All’improvviso sentirono qualcuno canticchiare. Un brivido corse lungo la schiena dei tre uomini.

“Non può essere. E’… è…” balbettarono spaventati.

Dalla galleria davanti a loro spuntò fuori Vash che cantava: “Love and Peace. Love and Peace”.

“Aaaahhhh! Ancora tu?!” esclamarono di nuovo insieme i tre uomini.

“Oh salve” li salutò Vash agitando la mano.

“Maledetto pazzoide. Allora è tutta colpa tua!” ringhiò Slim.

“Beh, se vi riferite a quei ragazzi, sapete com’è, mi facevano tanta tenerezza che li ho liberati” rispose con la voce da innocentino.

Li puntarono le armi contro, ma Vash sembrò non accorgersene e domandò con tono innocente:” Piuttosto, sapete dirmi a che servivano questi fili rossi?” mostra in una mano un mucchietto di fili tutti strappati “li ho trovati per terra un po’ dappertutto e mi sono divertito a raccoglierli. Sono forse vostri?”

“I cavi delle cariche!” sbraitò Tod, che sparò su Vash seguito dai suoi due compagni.

Vash evita i primi colpi, esclamò spaventato: “Ahoooooouuuuuu!” e scappò.

I tre lo inseguirono e passando nella intricata serie di gallerie rispuntarono in superficie, ma Vash era sparito.

“Dove sarà finito quel maledetto?” si chiese Slim.

D’un tratto qualcuno gli toccò la spalla: era Vash, che teneva le mani dietro la schiena e diceva: “Scusami”, sorridendo come un ebete.

I tre si voltano e stanno per sparargli: “Scusami per cosa?” chiede però Slim incuriosito

“Per questo” rispose prontamente e cacciò le mani da dietro la schiena, con le quali reggeva due grossi sassi.

Con velocità impressionante schiaccia la mano di Slim che impugna la pistola, Slim urla per il dolore, lascia cadere l’arma, prova a dargli un pugno con l’altra mano ma Vash gli schiaccia anche questa tra i due sassi.

Slim si allontana stringendosi le mani tra le braccia e lamentandosi: “Ouch ouch ouch”.

Tod e Rob volevano sparare a Vash, ma prima Slim si mise sulla traiettoria ostacolandoli, e quando se ne andò, Vash era sparito.

“Si muove come un fulmine quel biondino” notò Rob.

“Andiamo a cercarlo. Gliela faremo pagare” disse Tod.

Slim invece era corso a un pozzo per immergersi le mani nell’acqua.

Gli altri due davano la caccia a Vash, Tod si trovò davanti ad una porta della casa che da su uno stanzino, la aprì e ci trovò dietro chi cercava.

“Sei fatto” ride Tod, ma Vash disse: “Un momento, guarda questo. E oplà”.

Prese i due sassi e li lanciò verso l’alto, Tod sorpreso alzò d’istinto lo sguardo per osservarli e Vash gli diede due mega-ceffoni, prima con una mano, poi con l’altra. Tod cadde a terra con le guance segnate da due grosse macchie rosse a forma di mano.

“A me non mi fregherai” disse Rob arrivando in quel momento.

Ma Vash gli mise una mano davanti come a dire alt, sorpreso Rob si fermò, Vash riprese in mano le due pietre che proprio allora stavano ricadendo e gliele sbattè sui piedi.

“Yhoouuu! I miei calli!” urlò Rob chinandosi per il dolore.

Vash con un calcione nel sedere lo sbattè dentro lo stanzino, poi cercò di spingerci dentro anche Tod.

Arrivava allora Slim, che prese la rincorsa per chiuderci dentro Vash, mise le mani avanti per spingerlo, ma proprio mentre stava per toccarlo, Vash si chinò in avanti per afferrare meglio Tod e Slim fece un volo dentro lo stanzino.

“Mmm. Non male il salto” commentò indifferente Vash, che dopo aver chiuso anche Tod, chiuse a chiave la porta e conclude il tutto canticchiando: “ Ta Ta Ta Ta Ta Ta Ta Ta” e accennando qualche passo di danza.

Poi sentì un clik alle sue spalle e una voce che diceva: “Davvero niente male. Non sei il buffone che sembri. Li hai sistemati senza usare armi, di sicuro non ne porti”. Era la voce di Gendo, che puntava la sua pistola contro Vash.

Vash si fece serio, si voltò: “Allora sei tu il cattivone della storia”.

“Già. Hai rovinato il mio piano, ma solo temporaneamente. Vorrà dire che ricollegherò pazientemente tutti i fili e poi darò il via al tutto. Ma tu non vivrai abbastanza per vederlo”.

“Ne sei sicuro? Forse stai dimenticando qualcosa” rispose Vash.

“Cosa?” esclamò Gendo, quando poi udì un altro clik stavolta dietro di lui.

“Ciao paparino” gli disse sprezzante Asuka.

“Asuka… credevo che tu e il tuo fidanzatino Shinji foste scappati” commentò Gendo.

“Permettendoti da farla franca? Mai” si inserì Shinji.

“A quanto pare per me è finita. Va bene, sono un uomo ragionevole. Mi arrendo” e gettò la pistola.

Asuka e Shinji si avvicinarono, ma proprio in quel momento Gendo si girò verso di loro, diede le spalle a Vash perché il biondino era disarmato e lontano una decina di metri, cacciò un coltello dalla manica della giacca e con uno scatto mirò alla gola di Asuka: evidentemente, perso per perso, voleva farla pagare alla figlia per il suo tradimento. Shinji vedendo quella scena si mise davanti ad Asuka, pronto a morire per lei. Tutto avvenne in pochi secondi.

Risuonò uno sparo, seguito dal rumore di una lama che si spezzava.

Gendo, come Asuka e Shinji, fissava stupefatto il suo pugnale spezzato.

“Ma chi… come…” si chiedeva Shinji.

Gendo si voltò verso Vash: era stato lui a sparare, con una grossa pistola argentata, un modello mai visto.

Gendo sussurrò: “N-non può essere. Io ti davo le spalle, come hai fatto a colpire il coltello che tenevo davanti?”

Poi Gendo notò una cosa strana: su un palo di metallo al suo fianco c’era una piccola ammaccatura, come se fosse stato colpito da qualcosa. Con un rapido calcolo mentale, Gendo intuì il tutto e rimase a bocca aperta: “Vuoi dire che hai mirato al palo in modo che il proiettile rimbalzasse e colpisse il coltello? Ma è assurdo… potevi intuire la posizione del coltello solo guardando il braccio. E come hai potuto calcolare la traiettoria in uno o due secondi? Ma chi sei?”

Anche Shinji e Asuka erano sbalorditi, mentre Vash, ammiccando con lo sguardo, riponeva la pistola in una tasca del suo cappotto.

Shinji: “M-ma allora tu…”

“Chissà” rispose Vash malizioso.

Dopo essersi ripresi dallo stupore, Shinji e Asuka legarono Gendo, e mentre il ragazzo diceva che dovevano andare a salvare Rei, sentirono un gran rumore di cavalli e macchine in direzione della fattoria.

Vash prese il suo binocolo e guardò nella direzione da cui veniva il rumore: “Anche se non lo conosco, sembrerebbe lo sceriffo, visto che porta la stella. E si sta portando dietro tutta la città. Saranno qui a momenti”.

“Lo sceriffo? Allora sarà meglio che scappi Shinji. Sei ancora ricercato per l’omicidio dei tuoi” disse allarmata Asuka.

“No. Basta fuggire. Affronterò il mio destino. Ora che Gendo è finito, ho qualche speranza di cavarmela. Purché tu mi stia vicino”.

“Certo” rispose la ragazza sorridendo e prendendolo per mano.

“Che farai tu Vash?” chiese Shinji girandosi verso Vash: ma era sparito.

Il ragazzo rimase di nuovo senza parole: “Ma come ha fatto? In un attimo, senza alcun rumore…”

“Sai, sono sempre più convinta che non fosse una semplice omonimia” disse Asuka.

“Credo anch’io. Ma è davvero diverso da come lo descrivono”.

Intanto lo sceriffo e gli altri abitanti di Neo-Tokyo arrivarono alla fattoria. Shinji non era scappato, ma non aveva bisogno di farlo. Infatti Kaji, con sua moglie e l’insegnate Ritsuko Akagi, si era recato ad Augusta e aveva trovato il falsario che creò per Gendo il falso testamento secondo cui il padre del ragazzo lasciava tutto a lui. Già questo fatto lasciava intuire la verità sulla morte dei genitori di Shinji, verità confermata poi dalla testimonianza di Asuka.

“E Rei?” si chiese allarmato Shinji.

“Sono qui” disse Rei spuntando all’improvviso.

“Rei? Ma… ma ti sei liberata da sola?”

“Certamente. E ho anche avvisato lo sceriffo”.

“E come hai fatto con Tokida?”

“Beh, l’ho riempito di calci nei… gioielli di famiglia” rispose sorridendo “funziona sempre quando l’avversario è un maschio. Ma dov’è… quello?” Rei non aveva fatto il nome di Vash perché non voleva scatenare il panico tra la gente.

“Se ne andato” rispose semplicemente Shinji

Intanto, fuori dalla fattoria, un uomo con un cappotto rosse e una borsa sulle spalle si allontanava con tranquillità e pensava: “Mi sarebbe piaciuto restare ancora un po’ con loro. Sono bravi ragazzi. Ma è meglio evitare che passino altri guai a causa del mio nome”.

Poi si mette a canticchiare: “Love and Peace. Love and Peace”.

FINE

  
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