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Autore: dreamey    28/10/2015    4 recensioni
Un momento inatteso, quella vista che ti cambierà la vita. Quel magico momento che entra dentro di te e non va più via, ma che resta per trasformarsi in qualcosa di davvero inaspettato. Quando l'alchimia tra due persone non è altro che il preludio di una vera vita insieme.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La prima cosa che ricordo della prima volta che l'ho incontrata , è quella sensazione di smarrimento che mi assalì non appena la vidi e  che non voleva   più andarsene via.
Entrò in quella stanza e io persi completamente ogni contatto con la realtà. Rimasi a guardarla come in trance. Non riuscivo a muovere nessun muscolo.  E a distogliere lo sguardo da quella donna che non avevo mai visto sino ad allora. 
Era bella.  Era bella in modo incredibile. Mi mancò letteralmente il fiato pensando a come fosse possibile che una donna  potesse essere bella in un modo così perfetto.
Varcò la soglia di quella porta in un modo così naturale e la perfezione entrò in quella stanza.
Eravamo a casa di Cristina Yang, strutturato di cardiochirurgia e moglie di Owen Hunt, nuovo primario di chirurgia. Stavamo festeggiando la sua promozione.
Era una festa come tutte le altre. Si beveva, si mangiava, si parlava e soprattutto si stava in piedi.
Ero in piedi all'angolo, con la mia cerchia ristretta di amici e colleghi dell'ospedale in cui lavoravo, quando la vidi entrare.  Parlavo sorridendo completamente a mio agio tra i miei amici, ero proprio di fronte a quella porta, alzai lo sguardo in modo disinteressato, percependo qualcuno entrare.
 E invece vidi lei.
 Ingoiai a vuoto e non riuscii a respirare per qualche secondo. Mi bloccai completamente. La sua bellezza mi colpì in pieno stomaco.
Era talmente bella da far quasi male.
Era in compagnia di Teddy Altman, primario di chirurgia toracica e mentore della padrona di casa.
Ero ancora immobilizzata da non rendermi conto che stavano avanzando verso di noi. Mi destai non appena udii la voce stridula di Teddy che farfugliava qualcosa.
Distolsi rapidamente il mio sguardo da lei per rivolgere il mio saluto a Teddy che mi abbracciò. Ricambiai l'abbraccio calorosamente sorridendo. Ma non mi sentivo per niente bene.  Faticavo a rimanere con loro, tra le loro risate, i loro saluti. Mi sembrava di percepire tutto così lontano, indistinto.
Sorridevo facendo finta di partecipare con loro, in realtà non afferravo niente. Ero come persa, immersa in una bolla dove tutto era ovattato e così strano. L'unica cosa che riuscivo a percepire era quella morsa allo stomaco che non riuscivo a mandare via.
Ritornai a guardare nella sua direzione. Era solo a pochi passi da me.
Sorrideva e si presentava agli altri, sembrava particolarmente a suo agio. E io contemplavo il suo impeccabile profilo.
Era semplice e delicata.  Si muoveva e parlava in modo così naturale che mi sembrò di nuovo di perdere il respiro per la seconda volta in così poco tempo.
E senza avere la possibilità di ridestarmi, di prepararmi  al momento,  mi ritrovai con i miei occhi piantati nei suoi.
Persi ogni speranza di riprendere a respirare.  Erano blu, grandi, magnetici.  
Quasi per inerzia allungai la mano per afferrare la sua che mi stava porgendo.  Ricambiai la stretta, lottavo con tutta me stessa per poter essere reattiva e non fare la figura dell'imbecille.
E invece  cominciai quasi a tremare non appena vidi quel sorriso dolce e quelle fossette meravigliose.
Staccò la sua mano dalla mia sorridendomi  con quel suo sorriso inaspettato e straordinario.
Era perfetta da  non sembrare reale.
- Arizona Robbins-
- Callie Torres-
Cercai di rispondere dissimulando lo stato di turbamento in cui stavo piombando.
Dovevo ritornare in me. Dovevo essere me.
Ne approfittai dell'attimo in cui, la mia cerchia coinvolse Teddy nelle loro congetture circa la nomina a capo di Owen. Scommettevano su quanto sarebbe durato.
Cominciai a parlare con lei, volevo in qualche modo mantenere un contatto con lei.
O forse volevo semplicemente che lei mi notasse.
Cercai di farlo cercando di non sembrare completamente un idiota.
Era ben disposta. Era gentile e mi guardava.
- Allora, conosci Teddy da molto?-
- Da un bel pò in effetti-
Forse si accorse del mio sguardo sorpreso e continuò a parlare.
In effetti, conoscevo anch'io Teddy da un pò, ma non l'avevo mi vista in sua compagnia.
- Abbiamo fatto insieme la specializzazione e lavorato nello stesso ospedale per quasi tre anni, poi lei si è trasferita qui e io in Africa.-
Continuava a sorridere e a sorprendermi in modo indicibile.
- Africa? - Le feci eco subito, con tono stupito.
- Si, ho fatto il chirurgo in una clinica in Malawi.-
Lo buttò li,semplicemente,in modo così franco come se fosse una cosa ordinaria.
Ma non lo era per niente.
Il suo modo di essere continuava a meravigliarmi e ammaliarmi.
- E quindi sei anche tu un chirurgo-  affermai  stupidamente.
Annuì sorridendo semplicemente.
Passò proprio in quel momento il cameriere del catering, con un vassoio ancora pieno di flutes con vino bianco e rosso.
Sembrò illuminarsi a quella vista. Mi fece sorridere.
La osservai prendere un bicchiere. Scelse il bianco.
- Per me rosso.- chiesi al cameriere non distogliendo lo sguardo da lei.
Aspettò me per fare il primo sorso, dopo aver brindato insieme.  Fu lei a prendere l'iniziativa, ad avvicinare il suo bicchiere al mio.
Notai ancora una volta, che era completamente a suo agio nel nostro ambiente.
- Sono un chirurgo pediatrico.-
Riprese la conversazione, mi diede l'impressione che non volesse smettere di parlare con me.
Ebbi quasi un'illuminazione all'improvviso.
- Si è liberato da poco un posto in pediatria. Il vecchio primario, il...-
- Il dottor Miller ha terminato da poco il suo incarico. Già.-
Ebbi un sussulto che mi fece tremare lo stomaco.
Teddy scelse proprio quel momento per assalirmi alle spalle come al solito.
- Allora Callie, ho visto che avete fatto amicizia. Che pensi del nuovo primario di pediatria?-
Guardò l'amica sorridendo con espressione  eccessivamente allegra.
Sorrisi debolmente e tracannai il resto del vino, nascondendo il mio viso nel bicchiere.
Volevo scrollarmi da dosso quella sensazione che il suo sguardo mi stava provocando.
In un attimo fummo di nuovo sole.
- Te lo stavo per dire, ma..-
- Ma Teddy ti ha anticipata.-
Mi raccontò che aveva avuto il colloquio con Owen due giorni prima della festa. Le aveva subito dato l'incarico.
- Comincio lunedì-
Fece un altro sorso di vino e riprese a guardarmi.  Mi ero di nuovo ammutolita.
Mi sentivo a disagio con quella strana sensazione  che le sue parole stavano scatenando in me.
Perchè mai stavo reagendo in un modo così insolito alla notizia di un nuovo collega che sarebbe entrato a far parte del nostro team di chirurghi.
Era successo spesso che l'ospedale  si arricchisse di nuovi validi colleghi, come Teddy, Owen o Amelia.  Ma non avevo mai reagito in quel modo. Con nessuno dei tre.
L'idea che lei venisse a lavorare al Seattle Grace, che da lunedì l'avrei vista quasi sicuramente ogni giorno, mi elettrizzava. E mi piaceva.
Feci il mio miglior sorriso, prima di dire quella banale frase. Ma a cui mi sembrò di dare un'accezione tutt'altro che convenzionale.
- Allora benvenuta-
Avvicinai il mio bicchiere al suo e insieme facemmo l'ultimo sorso di vino.
Non mi sbagliai. Ci incontrammo quasi ogni giorno in ospedale.  E quasi ogni giorno potevo ammirare la sua bellezza. 
E quando ciò succedeva da vicino, sentivo quasi come fosse un privilegio.
Guardare in quegli occhi intensamente blu, ascoltare la sua risata e apprezzare il suo sorriso, mi faceva sentire fortunata.
L'ammiravo  muoversi in sala operatoria. Mi ammaliavano la sua sicurezza, i suoi toni di comando e la sua smania  di esigere la perfezione.
E mi lasciavo distrarre facilmente da lei  quando la incontravo fuori dalla sala operatoria.
Mi sorprese la prima volta che la vidi sfrecciare per i corridoi con ai piedi le scarpe con le rotelle.
Stavamo percorrendo lo stesso corridoio per raggiungere il pronto soccorso, quando la vidi superarmi su quelle bizzarre scarpe. 
- Forse dovrei prestartele qualche giorno. Sono così lunghi i corridoi di questo ospedale-
Guardò prima in basso verso i suoi piedi e sorridendo alzò gli occhi nella mia direzione appena la raggiunsi.
Eravamo state chiamate in pronto soccorso per lo stesso caso.
- Si dovresti. Sai non mi piace arrivare seconda.-
Scherzai, stetti al gioco.
- Ah, no.  Credo che per questo motivo non sia possibile. Sono io la leggenda, qui. Il chirurgo di serie A.-
Rise mandando indietro la testa e mi strizzò l'occhio subito dopo.
Dovetti richiamare tutte le mie forze per restare ancorata alla realtà.
Come ogni mattina, da quando lavoravo li, passavo dal bar dell'ospedale per la mia consueta colazione.
Cappuccino senza zucchero era quello che mi serviva per cominciare la mia giornata di lavoro.
Solo, che da quando era arrivata lei, la mia consuetudine di far colazione lì, era diventata ben altro.
Semplicemente mi appostavo al bancone del bar, completamente rivolta verso le porte d'entrata.
Aspettavo quel momento, aspettavo di vederla entrare tra le porte scorrevoli .
E come ogni volta, quando avevamo il turno di mattina,mi lasciavo sorprendere da quanto fosse bella.
Usava spesso i tacchi che la slanciavano in maniera perfetta. E mi faceva sorridere il pensiero di come, di li a poco, li avrebbe sostituiti  con le scarpe da ginnastica con le rotelle.
Si vestiva in modo semplice e portava con naturalezza tutto ciò che indossava.
Se mi andava bene, se riusciva ad arrivare in anticipo, la vedevo dirigersi verso me e farmi compagnia a colazione.
E ogni volta che la vedevo avanzare nella mia direzione, non facevo altro che chiedermi come fosse possibile che non si rendesse conto  dell'effetto che poteva fare a chiunque.
Inclusa me.
Non era vanitosa, non si vantava, non ostentava la sua bellezza.
Prendeva anche lei un cappuccino, ma con un pò troppo zucchero per i miei gusti.
E parlava, parlava per tutto il tempo.
E ogni volta, speravo di avere almeno un caso clinico con lei.
Un intervento o un consulto magari anche banale.
Poi mi resi conto di come, sempre più spesso, arrivasse anche lei in anticipo.  Mi salutava con le sue immancabili fossette e ordinava il suo cappuccino.
Fino a quando, cominciai io ad ordinare anche per lei. Riuscivo ad anticiparla solo di qualche minuto e quando arrivava le piazzavo davanti la sua bevanda preferita.  Mi ringraziava strizzandomi sempre l'occhio.
Venivo chiamata sempre più spesso in pediatria per dei consulti.
 E cominciò ad aspettarmi  per la fine del turno.
E io ad aspettare lei.
- Odio i turni di pomeriggio.-
Eravamo in pausa pranzo, sedute allo stesso tavolo con lo stesso tramezzino di fronte.
Alzai lo sguardo e guardai nella sua direzione.
- Beh,  la colazione qui al bar, è il mio momento preferito della giornata.-  Aggiunse.
Feci silenzio.  Poi il suo cercapersone squillò.
- Scusa. A quanto pare, devo lasciarti finire anche il mio tramezzino - Sbuffò e poi sorrise subito dopo.
Come intontita la guardai uscire dalla sala pranzo.
Non ebbi più fame. La sua frase prese a martellarmi in testa per tutto il tempo.
Avevo da poco finito il turno di notte.  Sfinita, mi dirigevo verso le porte scorrevoli.
Per mia fortuna abitavo a soli cinque minuti dall'ospedale e la doccia tanto desiderata e il mio letto, non erano un desiderio tanto lontano.
Un brusco movimento mi fece alzare di scatto la testa.
Me la vidi davanti, fresca e immancabilmente bella.  Aveva due cartoni del caffè in mano.
- Secondo me, non riesci nemmeno ad arrivare dall'altro lato della strada senza questo.-
Mi porse il mio cappuccino praticamente ad altezza della bocca.
La sua ironia riusciva sempre a farmi sorridere.
Lo afferrai, illuminandomi alla sola vista di quel liquido che adoravo.
- Sai, sarebbe stato un gesto carino, se non mi avessi presa così esplicitamente in giro.-
Sorrise, fingendo un'espressione sbalordita.
- Hai da ridire sulla mia gentilezza?-
Aprii la bocca per controbattere qualcosa, ma non mi fece parlare.
- Sai, dovresti rimediare in qualche modo per aver sminuito il mio gesto carino.-
Continuavo a guardarla confusa, senza ancora parlare.
- Magari, portandomi  fuori a cena.-
Mi strizzò l'occhio per l'ennesima volta da quando la conoscevo e, piantandomi lì in asso, si allontanò correndo su quelle scarpe.
Non mi bastò la doccia che tanto avevo pregustato alla fine del turno. Ne tantomeno, riuscii a trovare sollievo nel mio letto. Il mio cuore non voleva saperne di smettere di voler schizzarmi fuori dal petto.
Mi aveva esplicitamente chiesto di invitarla fuori a cena. O era lei che in qualche modo, stava invitando me.
Era passato un giorno dalla strana conversazione avuta quella mattina e io varcavo la soglia dell'ospedale ventiquattro ore dopo, con ancora quello stesso pensiero in testa.
Era rimasto fisso lì, immobile, non era servita la notte per mandarlo via.
La mia mente era stata troppo occupata ad immaginare lei e me sedute una di fronte all'altra ad un tavolo di un ristorante.
Ad immaginarla senza camice, sorseggiare del vino e sorridermi con quella naturalezza che si portava dietro ovunque.
E più o meno così, trascorsi il resto della giornata.
Lei aveva fatto il primo passo, mi era sembrato abbastanza chiaro. O almeno cercavo di convincermi che fosse così. E io non avevo ancora fatto nessun secondo passo.
Così, quasi alla fine del mio turno, andai nella stanza riservata agli strutturati e decisi di premere quel pulsante.
Sapevo che lei aveva da poco iniziato il suo turno di pomeriggio.
Impiegò cinque minuti a raggiungermi.  Sola in quella stanza, li avevo contati.
-  Ehi, è successo qualcosa? il mio cercapersone mi diceva di recarmi qui.-
Era tranquilla come al solito. Io non lo ero per niente.
- Si, ti ho chiamata io. E in realtà mi sembra un'emergenza. Cioè..-
Cominciai a blaterare quelle parole, capendo visibilmente che non riusciva a seguirmi.  Decisi di essere vpiù chiara, ma qualcosa nello stomaco, mi tradiva.
- Hai detto qualcosa ieri mattina, riguardo ad una cena fuori.. Insomma tu ed io..Cioè io che dovrei..-
Mi bloccai vedendola  annuire divertita e subito dopo stringersi le labbra.
Mi guardava con quell'espressione che mi sembrò irresistibile.
Stavo per aprir bocca, per continuare il mio discorso sconclusionato e invece, lei decise di avvicinarsi di un passo e fermarmi.
- Mi sto innamorando di te, Calliope.-
Mi ero come impietrita. La morsa allo stomaco la sentivo farsi sempre più stretta.
Non riuscii a dire niente. Perlomeno non subito.
Rimase per qualche secondo in silenzio anche lei. Poi continuò a parlare.
- Mi piaci e credo di piacerti anch'io. E ci stai mettendo un pò troppo tempo per chiedermi di uscire-
Ostentò un'aria risoluta che mi fece sorridere. Presi parola subito dopo.
- Passo da te alle otto. Sii puntuale.-
La vidi rivolgermi il suo più bel sorriso.  Non disse nient'altro, uscì da quella stanza, lasciandomi nel mezzo in piedi ancora incredula.
Fu puntuale.  L'aspettai fuori dalla macchina. E mentre avanzava verso di me, in quel vestito che era perfetto per lei, mi convinsi ancora una volta che era la donna più bella che avessi mai visto.
E in quel momento io mi sentii la donna più fortunata al mondo.
E quel nostro primo appuntamento fu esattamente proprio come lo avevo immaginato. 
Il momento in cui mi baciò, davanti al suo portone, le sensazioni che mi scatenò, quelli, non erano nemmeno lontanamente immaginabili.
Nessuna immaginazione poteva essere lontanamente paragonabile a quel nostro momento.
Fu dolce, intenso, intimo.
Fu strano e seducente.
E lei fu perfetta.  Me ne andai a letto percependo ancora il suo calore addosso. E il suo sapore.
Da quella sera, ci vedemmo tutte le sere.
Al bar di Joe, a casa mia o a casa sua. Ma non eravamo mai andate oltre.
Fu come assaporarci piano. Quel conoscersi lentamente.
Ero stesa sul divano del mio soggiorno a leggere una rivista medica.
Sentì bussare alla porta, sapevo che era lei.
Ci sedemmo sul divano con la tv accesa. Aspettavamo la cena che avevamo ordinato al bar di sotto.
La vidi alzarsi e spegnere la tv. La guardai confusa senza fiatare. E poi accese la radio. Ballammo come due adolescenti tra i divani del mio soggiorno.
Mi faceva stare bene.
E io l'amavo. In ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni sorriso e in ogni futile litigio.
Una sera si presentò a casa mia dopo il turno in ospedale, con la scatola di pizza in una mano e delle birre nell'altra.
-La mia cena preferita.- Esclamai sorridendo a trentadue denti, guardando nelle sue mani con l'espressione entusiasta di bambina.
Mi sorrise. E poi disse quelle tre parole che non mi aspettavo.
- Io ti amo.-
Il mio sorriso tramutò in espressione seria, quasi incredula.
- Davvero?-  Chiesi quasi implorante.
- Si.-
- Ti amo anch'io.-  Sospirai tutto d'un fiato.
Mangiammo la pizza a letto coperte solo dal lenzuolo.
Fu indescrivibile e straordinario.
Avevo scoperto molte cose di  lei e lei di me.
Fumava quando era nervosa o sentiva di aver combinato qualche guaio. La beccai solo due volte. L'ultima, mi promise che avrebbe smesso.
Aveva vissuto in molti stati, era la prima del suo corso di specializzazione, aveva problemi con le autorità, poichè figlia di un colonnello e aveva una strana passione per i polli.  E non sapeva cucinare, ma in compenso, parlava, parlava in continuazione.
E tutto ciò che scoprivo di lei, mi piaceva.
Mi piaceva addormentarmi con lei a letto la sera e risvegliarmi con lei accanto.
Guardare nei suoi occhi appena aprivo i miei e deliziarmi del sorriso che mi rivolgeva tutte le mattine che ci svegliavamo insieme. 
Ascoltarla parlare sempre, da quando ci svegliavamo a quando ritornavamo a dormire.
Adoravo guardarla seduta al bancone della mia cucina mentre aspettava che fosse pronta la colazione che le preparavo.
E adoravo quel broncio che metteva su ogni volta che la rimproveravo di essere una ritardataria.
E per questo, correva ovunque. In casa o tra i corridoi dell'ospedale.
E io volevo farla fermare nella mia vita.
E allora, le chiesi di sposarmi. Mentre stavamo litigando per uno stupido motivo che non ricordo nemmeno più.
 Era li, in piedi di fronte a me, nel mio soggiorno, che Infilava una parola dietro l'altra, perchè lei, era una che parlava davvero, davvero veloce e spesso facevo fatica a starle dietro. Soprattutto quando era arrabbiata e gridava contro di me e non ero mai riuscita a fermarla.
- Vuoi sposarmi?- mi uscì di getto.
E la feci stare zitta. Solo per qualche secondo.
- Cosa?-
- Ti sto chiedendo  se ti va di fermarti nella mia vita.-
Rimase ferma ancora per qualche secondo a guardarmi. E io a guardare lei.
- Ad una condizione, Calliope.-
- Quale?-
- Che sia per sempre.-
La guardai dolcemente.  Prima di vederla aprire di nuovo la bocca.
- Oh.. un'altra cosa.-
Mi sorrise e le sorrisi di rimando.
- Cosa?-
- Dovrai cucinarmi le lasagne almeno una volta a settimana.-
La tirai verso di me e la baciai stringendola più forte che potevo.
Ci sposammo appena due mesi dopo.
 Ancora non mi sembra vero che quella donna che non conoscevo e  che mi fece perdere il fiato quella sera quando entrò in quella  stanza, ora sia mia moglie.
Sono passati quasi cinque anni da allora e continua a farmi lo stesso effetto.
Mi manca il respiro ogni volta che la vedo all'improvviso.

 

Grazie a chi si è fermato qualche minuto a leggere la mia storia.
  
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