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Autore: Revy_Bart    21/02/2009    0 recensioni
Introduzione rimossa poichè non vi sono cenni relativi alla trama. Si prega di inserirne una valida.
Rinoa81, assistente amministratrice.
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era sera tarda, la luna si specchiava vanitosamente sulla superficie del mare, i raggi lunari illuminavano con la loro luce argentea qualunque cosa si scontrasse con il loro cammino, la spiaggia era solitaria e il silenzio vi si stendeva come una soffice coperta trasparente. Nessuno passeggia mai a quell’ora nella spiaggia di Los Angeles che affaccia allo storico oceano Pacifico, ma per qualche strana ragione mi ci trovavo io. Era un caldo giorno di Giugno ed io ero seduta su uno scoglio a canticchiare una melodia che mia madre mi cantava nella mia infanzia. Lo scrosciare delle onde accompagnava dolcemente la mia voce melodiosa che echeggiava nel silenzio di quella sera. Il vento increspava i miei capelli lisci e neri corvini e li muoveva allo stesso ritmo delle onde che s’infrangevano nel mare quella sera. I miei occhi, bianchi come due diamanti, brillavano come due stelle che squarciavano il buio della notte illuminando ogni cosa della loro luce bianca e splendente. Chiunque m’incontrava per la prima volta mi diceva che questi miei occhi intimorivano chiunque ed era forse per questo che non frequentavo molta gente. Altri dicevano che i miei occhi erano affascinanti e ipnotici con cui catturavo l’attenzione di qualunque ragazzo. Cosa che, effettivamente, era vera: qualunque ragazzo era affascinato da quegli occhi particolari e mi chiedevano, di solito, il numero di telefono dopo essersi presentati. Le ragazze erano invidiose, tranne le poche amiche che avevo, e qualunque cosa io facessi per loro era sbagliata e criticavano con cattiveria e disprezzo. Le mie amiche scherzavano sempre su quegli occhi fuori dal comune e ne ammiravano sempre la particolarità. Tutti, insomma, avevano una differente impressione ma nessuno si sarebbe immaginato che quel colore mi avrebbe portato a una storia così incredibile. Con gli occhi fissi sull’oceano piatto e una mano chiusa in un pugno, vidi qualcosa arrivare sul bagnasciuga accompagnata dolcemente dalle onde. << cos’è?>> pensai tra me e me. Corsi a prendere quell’oggetto prima che le onde se lo portassero via, e notai che era una bottiglia con dentro una lettera. Levai il tappo di sughero e estrassi la lettera che lessi a mente.
<< Cara Sally,>> il mio nome… ma come era possibile?
- No… sarà una coincidenza!- cercai di convincermi, ma la continuazione della lettera smentì velocemente ciò che pensavo.
<< Cara Sally,
Ciò che leggerai in questa lettera non è una sciocchezza. Sono il re del mare, Nettuno, e mi sono messo in contatto con te perché uno di questi giorni, mentre stavo nuotando verso il mio regno, ti ho notato mentre stavi sola a scrutare il mare quasi tentando di rifugiarti in quella vista così calma e pacifica. Ti ho pensato fino a quando non sono arrivato nel mio castello convinto di averti già incontrato. Quando finalmente ho raggiunto il mio letto, ho capito chi eri. Tu ed io ci siamo incontrati molto tempo fa quando tu sei nata. Non eri una bambina come tutte le altre e chiunque ci sarebbe arrivato solo fissandoti negli occhi. Il tuo colore era così insolito che per almeno un mese sei stata nella prima pagina di qualunque giornale di Los Angeles. Io stento ancora a crederci ma tu in verità sei quella che cercavo da molto tempo. Tu sei la figlia di una sirena del nostro regno e di un umano. Tua madre, però, non è una qualunque: è mia figlia. Perciò tu sei la principessa di quest’oceano. Se non credi alle parole di questa lettera, dentro la bottiglia c’è un qualcosa che dovrebbe riportarti alle tue origini. Indossalo e poi buttati in acqua, allora capirai… Cordiali saluti Re Nettuno ovvero tuo nonno.>>
Buttai l’occhio dentro la bottiglia e vi trovai un bracciale con un ciondolo a forma di stella marina. Lo tirai fuori e lo indossai. Solo allora mi resi conto del colore argenteo di quella stellina. Ancora un po’ insicura, decisi di fiondarmi in acqua. Corsi fino a che l’acqua non mi toccava le ginocchia e dopo di che mi tuffai chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Ciò che diventai non me lo so spiegare neanche adesso: aprii gli occhi e cominciai, con mia grande sorpresa, a respirare sott’acqua, al posto dei piedi avevo una coda argentata con delle grosse e maestose pinne bianche e i miei capelli si allungarono e si fecero strada tre strisce bianche che partivano dalla testa e dividevano a metà i miei capelli fino alle punte.
<< Ma cosa…?>> ero intontita e non riuscivo a capire niente. Per un po’ nuotai ininterrottamente ancora incredula di quello che mi stava succedendo. Dopo essere uscita dall’acqua bagnata ma felice, corsi a casa per andare a dormire. Mentre salivo le scale per giungere in camera pensavo ripetutamente a ciò che mi era successo. Mi sfilavo lentamente i vestiti bagnati e continuavo a ripetermi: <>. Per tutto il pomeriggio, cercai di trattenere l’euforia di quello che mi era successo quella notte con scarsi risultati. Le mie amiche mi chiedevano perché ero così felice. << non posso dire la verità… mi prenderanno per pazza!>> pensavo e così mi inventavo una scusa dietro l’altra per evitare l’interrogatorio. Finalmente arrivò la sera ed io, sempre più agitata, mi dirigevo di gran corsa verso la spiaggia. Attraversai la lunga costa sabbiosa cercando di raggiungere, pressappoco, lo stesso punto di ieri. Arrivai al solito scoglio bianco e levigato dall’acqua che guardavo ogni giorno. Guardai il mare blu scosso da un po’ di brezza che faceva ondeggiare la superficie dell’acqua. Tutto sembrava tranquillo come la sera precedente. D’improvviso un rumore, simile a quello di un tuffo, si fece spazio nel silenzio di quella serata. Una coda di color argento sbucò dall’acqua per poi ritornare a sprofondare nell’acqua profonda. Uno spostamento veloce d’acqua fu provocato da quella strana creatura che in seguito si mostrò davanti a me in tutto il suo splendore: era un uomo con lunghi capelli bianchi, una barba argentata gli copriva il mento, due occhi azzurri spuntavano appena sopra al naso, una coda gli appariva appena dopo la schiena che stava a indicare la sua origine. La figura mi appariva familiare seppur non mi ricordassi di aver mai visto quell’uomo. Dopo qualche secondo, il tritone si trasformò in un uomo di mezza età con le stesse caratteristiche che aveva nella forma precedente.
- Finalmente ci incontriamo Sally!- esordì l’uomo – è da tanto che volevo conoscerti-.
- Chi è lei?- chiesi un po’ indecisa. L’uomo mi fissò un po’ stupefatto ma poi mi sorrise dolcemente
- Sally, ti ho mandato pure una lettera per farti capire chi sono… Sono tuo nonno Nettuno, il re dei mari!-
- No, non è possibile.- commentai – mio nonno è morto in un incendio.-
- Beh… allora sarà un altro tuo nonno, perché io sono vivo come puoi vedere –
lacrime di felicità cominciarono a scendere dai miei occhi cristallini. Ma un po’ di delusione coprì la mia contentezza: dopo tanti anni che i miei genitori m’inventavano che nonno era morto, ora spuntava un tritone, figura leggendaria per giunta, che diceva di essere mio nonno. Pensando che mi potevano aver imbrogliato in qualcos’altro, persi la mia fiducia, in loro, in un solo secondo. Chiusi gli occhi e corsi verso mio nonno che mi attendeva a braccia aperte aspettandosi questo gesto. Mi buttai tra le sue braccia e cominciai a fargli un sacco di domande sulla mia origine ma lui mi ammutolì con un solo gesto della mano.
- Non c’è tempo da perdere. Seguimi. – mi prese per mano e mi trascinò verso il mare dove ci buttammo di gran foga. << di nuovo la coda!>> penasi quando mi mossi per raggiungere mio nonno. La coda da pesce scintillava ai raggi della luna che penetravano dalla superficie dell’acqua. Per abituarmi a nuotare con quella coda, feci qualche piroetta e, abituatami, mi mossi verso mio nonno che era già molto avanti a me. Dopo qualche minuto che nuotavamo, arrivammo in un castello enorme fatto completamente in argento, il cortile, dove passammo velocemente, era deserto. Quando entrammo nella struttura, ci aprì un uomo con una coda grigio spento. Rimasi incantata dalla sala principale: era enorme più di una pista di pattinaggio e luminosa come se fosse stato giorno. Il candore dello stanzone rendeva il luogo più accogliente. Un enorme scala si faceva strada davanti a noi.
- Quella sala –annunciò mio nonno – porta alla sala del trono. Lì ci sta aspettando il mio consigliere che ti deve parlare a proposito di una grave minaccia. –
corremmo fino al portone che poi apri Nettuno. In un attimo ci trovammo d’entro un enorme sala accecante, le pareti erano d’oro massiccio, i tappeti rossi erano rifiniti con fili d’oro, al centro della sala spiccava un enorme trono sempre in oro massiccio con incastonate enormi pietre di qualunque genere: dall’ametista al diamante, dal rubino allo zaffiro. Le code, mia e di mio nonno, riflettevano la luce giallo-oro delle pareti, del soffitto e del pavimento della sala. Affiancato al trono appariva una strana figura spigolosa e nera con una strana maschera a forma di teschio con tre denti. Dove ci dovrebbe essere stata la testa, vi era poggiato un cappello nero e spigoloso come il resto della figura. Infine, a coprir le spalle, vi era un corto mantello nero che si confondeva con il resto del corpo. La sagoma si avvicinò a me. A quel punto si srotolarono dal suo corpo due braccia nere che rivelarono due mani bianche ed enormi quanto una foglia di palma. Prese il mio volto tra le sue mani palmate e comincio ad urlare allegro
- Aaaaaaaaaaah!!!!!!!! Hello hello! Tu sei la nipote del grande Nettuno! Piacere io sono Levy sama e sono il consigliere personale di… -.
- Gliel’ho già spiegato Levy… - lo interruppe mio nonno – non serve che fai le presentazioni… -
- Ma da dove sei uscito? Da un cartone giapponese?!- nessuno aveva ancora notato che, dopo l’incontro tra la mia faccia e le mani di Levy, io avevo fatto un salto che bastò per allontanarmi di qualche metro da mio nonno e lui.
- Sally… non è cortese… -
- Si figuri Nettuno sama… - Levy interruppe mio nonno sventolando una delle sue mani possenti – questa domanda la sento spesso… -. Levy si riavvicinò a me e cominciò a parlarmi.
- Allora Sally, sei stata portata qui perché ci devi aiutare. Vedi quel grosso buco nero lassù?- Levy indicò con uno delle sue enormi dita il soffitto facendomi notare una macchia nera e viola che ancora non avevo notato.
- Quella è una maledizione inflitta al castello per mano di mio figlio che ha litigato con me qualche tempo fa. –
- E io che c’entro? Non può fare pace con suo figlio?- lo interruppi
- No, perché ci ho tentato ma lui mi ha buttato fuori – a qual punto una fontana di lacrime uscì dai due fori della maschera che fungevano da occhi – servi tu per sconfiggerlo e salvare il regno di Atlantis. È una cosa crudele, lo so, ma… ma… è mio figlio!!!-
singhiozzando, mi abbracciò cercando conforto ma tutto quello che riuscii a fare fu guardare a lungo quel buco nero finche Levy sama, come diceva di chiamarsi, non alzò la testa dalla mia spalla
- Ti prego, aiutaci e dì a mio figlio che gli voglio bene.-
- Certo…-
risposi << ma è matto?>> cominciai a pensare quando lo vidi allontanarsi e oltrepassare l’enorme portone che portava alla sala principale. Quando la porta fu chiusa con un gran boato, il silenzio calò nella stanza tanto da poter sentire i fruscii che provocava quel enorme buco nero che occupava tutto il soffitto.
- Ogni giorno diventa sempre più grande- irruppe nel silenzio mio nonno – se non ci aiuti il castello verrà inghiottito in pochi giorni, in poche settimane scomparirà il mare e in pochi mesi la terra…- lo fissai atterrita – cosa farai?- chiese con voce rassegnata.
- Vi aiuterò…- dissi – cosa devo fare?- a quel punto mio nonno mi consegno un medaglione a forma di cuore e mi disse
- Cattura la sua anima con questo. Con lui svanirà il sortilegio.-
- Dove lo trovo?-
- Nel castello qui di fronte. È a pochi metri lontano da qui. Non puoi confonderlo. È un castello completamente nero.-
guardai mio nonno dritto nei suoi occhi azzurri come il mare delle isole dei Caraibi e mi rasserenai. Non c’era niente da aver paura, ce l’avrei fatta. Se solo il mio cuore non mi avrebbe comandato. Dopo un saluto a mio nonno, uscii rapidamente dal castello senza guardarmi indietro: detestavo quei saluti, mi sarei messa a piangere per la paura e non volevo essere considerata codarda. Superai velocemente verso la collina che si parava davanti al castello di mio nonno e solo allora lo vidi: come aveva detto mio nonno era così scuro che nessuno sarebbe mai riuscito a confonderlo ma non mi aveva detto di quella paura che mi assalì quando oltrepassai il portone per entrare. La sala d’ingresso non aveva niente di accogliente come quello del castello di nonno: era nera come la pece, costruita con pietra nera levigata talmente tanto che, se non ci fosse stata acqua e se avrei messo piede nel castello in quelle circostanze, sarei scivolata cadendo e urlando dallo spavento. Neanche un filo di luce filtrava dentro e per cui non riuscivo a vedere niente. Un rumore di un bottone premuto invase tutta la stanza e, con mia grande sorpresa, l’acqua si ritirò facendomi tornare umana. Un momento di silenzio e poi presero ad echeggiare i passi di qualcuno uno dopo l’altro. Tip tap tip tap… la paura che avevo prima, diventò man mano terrore. Tip tap tip tap… l’attesa mi struggeva e non riuscivo più ad ascoltare quei terribili passi. Tip tap tip tap… una luce pian piano scendeva da scale che, con quel buio, non ero riuscita a vedere. Tip tap tip tap… quelli furono gli ultimi che udii prima di vedere qualcosa che mi avrebbe pienamente stupito: un ragazzo, alto, magro, capelli nero corvino con tre strane strisce bianche che sembravano dipinte, due occhi gialli come due ametiste che risplendevano in quel buio incredibile. Il suo volto fu solcato da un improvviso sorriso di malvagità.
- Chi sei?- si limitò a chiedermi ancora con quel sorriso odioso
- Io… io sono Sally, principessa di Atlantis!- esordii un po’ indecisa
- Certo… lieto di conoscerti… io sono Jack. - continuò lui. A quel punto schioccò le dita e si accesero delle candele che erano ai bordi della stanza.
- Che crudeltà…- disse lui mentre camminava verso di me – una ragazza così bella mandata a uccidermi…-
a quel punto strinse il mio mento tra l’indice e il pollice delle sue mani eleganti e con dita affusolate e lunghe. Il cuore cominciò a battermi così forte da farmi pensare che mi potesse partire in qualunque momento. Ma non era quello il mio problema: era quel suo sorriso malvagio, quella sua voce vellutata e, soprattutto, quei suoi occhi ipnotici che mi bloccavano il respiro. Continuava a fissarmi e io contraccambiavo il suo sguardo ma a fatica. << Perché devo ucciderlo?>> pensavo.
- Mi… mi dispiace… quello che devo fare è ucciderti…-
- Non vuoi farlo, vero?- restai ammutolita dalla sua domanda. Distolsi lo sguardo e fissai il pavimento.
- Come pensavo…- sussurrò – Però io venderò cara la mia pelle… -
mi mollò il mento e si allontanò con un balzo. Stese le due braccia e due bastoni, uno bianco e uno viola, si materializzarono nelle sue mani. Mi lanciò quello bianco e si piegò sulle due ginocchia. Lo imitai e cominciammo lo scontro: i due bastoni si incrociavano cercando di respingersi a vicenda, ogni tanto io o Jack lanciavamo un colpo sotto o sopra schivabile con un semplice piegamento delle gambe o con un salto. Il combattimento non sembrava essere altro che una lenta danza. Dopo un colpo alto dato da Jack, scivolai nel tentativo di schivarlo ma lui prontamente mi prese per le spalle scoprendosi. Non ebbi il coraggio di dargli il colpo che mi avrebbe fatto vincere ma neanche lui fece una mossa. Restammo lì a fissarci per qualche secondo. Alcune lacrime cominciarono a scendermi dagli occhi. Lui lanciando il bastone per terra, si affrettò ad asciugarle. Mi sorrise dolcemente e poi parlò
- Non voglio morire ma non voglio neanche ucciderti. Annullerò il sortilegio e tutto sarà risolto.-
rimasi immobile e muta. A quel punto si avvicinò lentamente con il suo volto fino a che le sue labbra non toccarono le mie. Un lungo e lento bacio seguitò a venire. Volevo che non finisse più e che quel momento durasse per sempre, ma ciò non accadde. Appena finì quel momento magico, lui schioccò le dita e a seguito ci fu un insieme di voci che urlarono di gioia. Ancora con gli occhi socchiusi, mi rialzai e lui mi abbracciò. Ciò che avvenne dopo fu ciò che mi scioccò di più in quella avventura: il castello nero pian piano si smaterializzò. Jack si staccò freddamente da quell’abbraccio. L’acqua ci trasformò in un tritone e una sirena anche lui con una coda argentata. Un ricordo mi attraversò la mente:
- Tuo padre ha detto che ti vuole bene… - singhiozzai capendo che quello era un addio.
- Digli che gli ho voluto bene anch’io e portagli le mie scuse… - mi fissò un’ultima volta e poi mi saluto con un – ci rivedremo - .
lo guardai allontanarsi e sparire e poi tornai nel castello di mio nonno, dove tutti mi festeggiarono. Dopo alcuni saluti ai sudditi, mio nonno mi riaccompagnò alla spiaggia dove ci eravamo incontrati. Passarono i tre mesi delle vacanze estive ma non incontrai più quel ragazzo. quando tornai a scuola, un nuovo compagno era arrivato nella mia classe. Capelli neri attraversati da tre strisce bianche, occhi gialli e ipnotizzati. << no, non può essere…!>>.
- Questo è Jack ed è il vostro nuovo compagno. – Jack si avvicinò a me e si sedette. Un bacio scoccò tra noi due con lo stupore dei miei compagni. Da quel giorno il nostro futuro ci attese con un sorriso e con un matrimonio inatteso…
  
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