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Autore: Nuel    29/10/2015    4 recensioni
Davvero il tempo delle straordinarie avventure di “Brian&Mickey” è concluso? Si può arginare quello che ha stabilito il destino o, forse, si può solo rimandare?
Michael ha sempre amato Brian in silenzio, relegato al ruolo di migliore amico, ha sposato un altro uomo, un altro amore, ma quel sentimento è sempre rimasto lì, in attesa che Brian superasse il confine sottile tra amicizia e amore.
[Brian x Michael]
♣ Questa fanfiction si è classificata seconda al contest “Manga cliché” indetto da Sango_79 sul forum di EFP per conto del forum “Disegni e Parole”.
Genere: Erotico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ben Bruckner, Brian Kinney, Michael Charles Novotny-Bruckner
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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1
Tutta colpa del destino


A volte, le cose succedono. Senza un perché, senza cercarle, anche se ci si dice che non succederanno mai, succedono. Forse perché è destino che, prima o poi, la vita segua il proprio corso, indipendentemente da quello che si vuole, e il destino non si può evitare per sempre: quando lui decide, ci si può solo far trovare preparati.
    Era così che era successo, tra loro: una mattina si erano svegliati nello stesso letto.

«Oh porca...», gemette Michael, svegliandosi accanto al suo migliore amico. Si guardò attorno, riconoscendo il loft di Brian, il letto di Brian e Brian.
    L'uomo accanto a lui mugolò in protesta un attimo prima di aprire gli occhi e, non appena mise a fuoco Michael, si accigliò. «Che cazzo ci fai tu qui?», chiese con la voce impastata dal sonno e dall'alcool ingurgitato la notte prima.
    Michael boccheggiò, in cerca di una risposta che non comprendesse dirgli che gli bruciava il culo per quante volte l'avevano fatto prima di svenire tra le lenzuola, ma i ricordi dovevano essere riemersi anche alla mente di Brian, dato il modo in cui cambiò la sua espressione.
    «Abbiamo scopato!», esclamò cinque secondi dopo, per poi mettersi a ridere.
    «Che c'è da ridere?!», si arrabbiò Michael, l'espressione ansiosa e le sopracciglia contratte.
    «Cristo, Mickey, l'hai desiderato per tutta la vita, dovresti essere contento!». Brian si allungò a prendere una sigaretta sul comodino e, dopo una lunga boccata di fumo, la passò al suo migliore amico con ancora l'espressione divertita sulla faccia da schiaffi.
    Michael prese la sigaretta e tirò nervosamente. «Perché l'abbiamo fatto?», chiese, ormai sull'orlo della crisi isterica.
    «Perché eravamo ubriachi e strafatti», rispose semplicemente Brian, rigirandosi sul fianco per riprendersi la sigaretta.
    «No, voglio dire: “perché” l'abbiamo fatto? Cosa è successo ieri?». In quel momento, il cellulare di Michael suonò, da qualche parte, sul pavimento, e l'uomo si paralizzò, strinse forte le lenzuola tra le dita e non si mosse.
    «Non rispondi?», gli chiese Brian, osservandolo con attenzione.
    «È Ben», rispose Michael, in un soffio, come se questo spiegasse tutto. Brian, però, annuì senza capire e si stese di nuovo, continuando a fumare, mentre Ben o chiunque altro avesse composto il numero di Michael si stancava di aspettare. «Abbiamo litigato, ieri sera. Ero così arrabbiato con lui che... che io...», le parole gli si strozzarono in gola e Michael si passò le mani sul viso, si stropicciò gli occhi e si sentì morire nel vedere la fede al proprio anulare sinistro. Aveva tradito suo marito.
    «Uhm, e per cosa avete litigato?», gli chiese Brian, voltando il capo verso di lui.
    «Per una sciocchezza... per una... per una cosa priva di importanza, perché mi sono impuntato e non volevo dargli ragione...», gemette Michael, la voce che ormai traboccava d'angoscia.
    «Quindi gli chiederai scusa e farete pace...», concluse Brian con un pizzico di divertimento nella voce, mentre si metteva a sedere e adocchiava la porta del bagno.
    «Come faccio a dirglielo?!», sbottò, invece, Michael. «Come faccio a dirgli che l'ho tradito? Che l'ho tradito con te!», sottolineò guardandolo con occhi che dicevano molto di più.
    «Vuoi dire, come gli dirai che l'hai tradito con l'amore della tua vita?», domandò Brian, diretto e implacabile come al solito, il tono improvvisamente annoiato, mentre Michael chiudeva gli occhi, maledicendolo per aver detto la verità.
    «Tu come lo dirai a Justin?», gli chiese inghiottendo a fatica la saliva e l'angoscia che gli chiudevano la gola.
    «Perché dovrei dirlo a Justin?», chiese Brian, mettendosi sulla difensiva e Michael si alzò a sedere, cercando i suoi occhi da rapace e fissandolo con determinazione.
    «Perché noi ci vedremo ancora. Sono il tuo migliore amico, non... non sono...». Michael chinò la testa, mordendosi il labbro inferiore, la paura di essere come chiunque altro, per Brian, che gli impediva di andare avanti.
    «Una scopata?», lo imbeccò Brian e, quando Michael annuì, lui si sporse a baciargli una tempia. «Tu non sei una scopata, Mickey», lo rassicurò, poggiando la fronte contro di lui.
    «Allora abbiamo un problema», concluse Micheal, appoggiandosi all'uomo che non aveva mai smesso di amare, anche se la vita l'aveva portato ad amare anche Ben. Con gli occhi chiusi e Brian a cingergli le spalle, Michael respirò a fondo il profumo del suo migliore amico, quell'odore di sesso in cui erano avvolti come in una coperta, e gli si strinse il cuore come non credeva sarebbe più successo. L'aveva desiderato tanto da quando era solo un ragazzino, da quando Brian l'aveva toccato la prima volta, per gioco, per curiosità, perché erano ragazzi e avevano l'uno l'altro.
    Michael aveva odiato sua madre per essere entrata in quel momento, mentre ansimava e Brian gli respirava sul collo, l'aveva odiata perché Brian aveva tolto la mano così rapidamente che si era portato via anche un pezzo del suo cuore. Aveva avuto bisogno di tempo per perdonare Debbie, ma quella ferita era rimasta lì, a bruciare e sanguinare per anni.
    Brian si alzò, grattandosi il sedere e scavalcandolo sul letto per andare in bagno e Michael rimase a guardarlo fino a quando la porta non fu chiusa. Aveva fatto sesso con Brian... sospirò e si stese di nuovo tra le lenzuola mentre il rumore della doccia giungeva ovattato alle sue orecchie. Allungò una mano verso la metà del letto dove aveva dormito l'altro, ancora in cerca del suo calore e chiuse gli occhi, concentrandosi sul profumo della sua pelle, rimasto tra le coltri.
    Pochi minuti dopo, il padrone di casa riemerse dalla stanza accanto con un asciugamano stretto in vita e i capelli gocciolanti. «Alzati, Michael, vatti a fare una doccia prima che il professore fiuti il tuo tradimento», gli disse andando verso l'angolo cucina. «Ti preparo una tazza di caffè e...», aprì un paio di stipetti, «e basta. Non c'è più niente in questa cucina da quando non c'è Justin a fare la spesa», si lamentò.
    Michael scivolò fuori dal letto e si concesse un ultimo sguardo alle sue spalle umide prima di entrare nel bagno borbottando: «Appunto, Justin non c'è». Da quando Justin era entrato nella vita di Brian, Micheal si era sentito un estraneo in quell'appartamento e, ora che se ne era andato, riusciva a vedere i posti rimasti vuoti, quelli in cui Brian aveva fatto spazio per il proprio compagno e che sembravano in attesa di essere riempiti nuovamente. Una contrazione delle natiche gli ricordò che non erano gli unici spazi rimasti vuoti e, con un sospiro tremulo si chiese come avrebbe fatto, da quel momento in poi, come avrebbe fatto con Ben, come avrebbe fatto con Brian... il solo pensare a lui lo costrinse a toccarsi mentre il getto caldo della doccia copriva i suoi mugolii soffocati.
    L'equilibrio tra lui e Brian si era spezzato di nuovo, e, all'improvviso, gli sembrava che il suo mondo fosse un castello di carta prossimo a crollare. Quando Michael lo raggiunse, Brian era già vestito e pronto a recarsi a lavoro e gli offrì una tazza di caffè fumante, accompagnata da un sorriso sardonico. «Avanti, Micky!», gli disse col suo tono più ironico, «Non è la fine del mondo! Lo sai quanti amici finiscono a letto assieme?». Si strinse nelle spalle mentre Michael sorseggiava il caffè.
    «Allora perché non hai mai voluto farlo, prima?», gli chiese con tono amaro quanto il caffè.
    «Ah no! Un paio di occasioni ci sono state. Sei stato tu a tirarti indietro!».
    «Quelle non contano!», gli fece presente Michael, che ricordava fin troppo bene le ragioni per cui aveva rifiutato quelle opportunità che aveva continuato a desiderare con tutto se stesso.
    Brian si strinse di nuovo nelle spalle e si girò ad aprire il frigo vuoto, cercando un po' troppo a lungo qualcosa che non c'era, e Michael capì che quella di Brian era solo una scena, che anche se non lo dava a vedere, anche lui era scosso.
    Brian gli diede uno strappo fino al negozio di fumetti e, dopo aver fermato l'auto, si voltò verso di lui. Per un momento Michael si aspettò che lo baciasse e si chiese se avrebbe dovuto sporgersi verso di lui, ma Brian tornò a guardare di fronte a sé. «Non pensarci, Michael: eravamo ubriachi. Non è come se...».
    «Se avesse significato qualcosa?», concluse per lui Michael, con tono lugubre. Avrebbe voluto vedere i suoi occhi dietro le lenti degli occhiali da sole e leggervi quello che pensava veramente.
    «Già».
    Michael uscì senza salutarlo o ringraziarlo per il passaggio, sbatté la portiera della corvette e andò ad alzare la serranda a passo di marcia. Il sogno della sua vita si era realizzato e Brian voleva che facessero finta di niente. Aveva fatto sesso con lui e... avrebbe voluto ricordarselo meglio, avrebbe voluto che ogni momento fosse rimasto impresso nella propria mente, invece era tutto sfocato a causa dell'alcool.
    «Fanculo!», imprecò a mezza voce: se non avessero bevuto non sarebbe mai successo, doveva farsene una ragione. Quando si ritrovò nel negozio, però, da solo, con l'odore della carta e dell'inchiostro che si mischiava a quello della polvere, chiuse gli occhi e un singhiozzo sfuggì al suo controllo: le mani di Brian su di lui, il calore della sua pelle sudata contro la schiena... Brian non era solo uno scopatore eccezionale, era l'uomo che aveva sempre avuto cura di lui, che lo capiva meglio di chiunque altro, che lo conosceva da una vita intera. Improvvisamente, Michael ebbe paura di perderlo, che la loro amicizia non sarebbe sopravvissuta a quell'incidente.
    Il cellulare cominciò a suonare di nuovo e Michael respirò a fondo prima di rispondere a Ben. «Pronto», fece con tono greve.
    «Michael!», Michael sentì il sospiro di sollievo di suo marito e non faticò ad immaginare Ben che alzava gli occhi al cielo a ringraziare un Dio cui si rivolgeva di rado. «Stai bene? Dove sei? Mi hai fatto preoccupare».
    «Sto bene... sono appena arrivato al negozio». La gola gli si chiuse e, per una manciata di secondi, dovette lottare con le lacrime che bussavano ai suoi occhi. «Mi dispiace, Ben... Mi dispiace tanto...», singhiozzò, cadendo a sedere sulla sedia, dietro la cassa.
    «Va tutto bene, amore. Non dovevo insistere. Faremo come vuoi tu, Michael», disse la voce sollevata di suo marito, dall'altra parte del telefono.
    «No, no, Ben, avevi ragione tu, e io mi sono impuntato perché sono un idiota...», Michael avrebbe voluto continuare, ma Ben rise piano, quella sua risata bassa e virile che gli faceva sentire le farfalle in pancia.
    «Ne parliamo stasera, amore. Devo andare a fare lezione adesso. Ti amo, Michael».
    «Anch'io... ti amo». Quando chiuse la chiamata, Michael si sentì morire. Come aveva potuto tradire Ben in quel modo? Come avrebbe fatto a dirglielo? Come avrebbe fatto a guardarlo ancora negli occhi?
    

Quando Michael rincasò, quella sera, dopo aver chiuso il negozio, Ben stava cucinando, il profumo delle spezie si sentiva sin dall'ingresso, e il suo cuore perse un battito: quel profumo di cibo esotico era l'odore di casa sua, il sapore della carne in agrodolce e dei ravioli al vapore preparati da Ben lo facevano sentire al sicuro. Entrò in silenzio, camminando senza fare rumore fino alla porta della cucina. Suo marito si stava dando un gran da fare per preparare la cena e lui aveva passato tutto il giorno a pensare a cosa dirgli, mentre la sensazione delle mani di Brian addosso lo distraeva e gli faceva desiderare che accadesse ancora.
    «Ben», cominciò, “dobbiamo parlare. È successa una cosa, ieri notte...”, ma quando Ben si girò e gli sorrise, Michael non riuscì a dire nulla.
    Ben Bruckner era l'uomo migliore che Michael avesse mai conosciuto e, grazie a Dio o a Buddha o alle canzoni di Gloria Gaynor, si era innamorato proprio di lui. Non appena lo vide, Ben lasciò da parte il cucchiaio di legno, abbassò il fuoco e andò ad abbracciarlo. Lo strinse forte, reclinando il capo per avvicinare il viso al suo e avvolgerlo completamente, respirandolo come se gli fosse mancato quanto l'aria, e Michael si sentì morire per il senso di colpa e per i dettagli che adesso bruciavano: Ben era alto quanto Brian, ma le sue braccia erano troppo grosse e muscolose e il suo odore... non era quello di Brian. Lo strinse, però, come a chiedergli implicitamente scusa, mentre gli si inumidivano le ciglia.
    «Scusa, Ben...», riuscì a mormorare, aggrappandoglisi come un naufrago ad una tavola di legno, la voce appesantita da tanti e tali sentimenti che non riusciva ad esprimere.
    «Non importa, Michael. Non dovevo insistere tanto». Ben gli baciò la fronte e lo trascinò in sala da pranzo, agguantando un mazzo di rose che attendeva sulla mensola del camino spento e glielo porse. «Per dirti che mi dispiace», gli disse con un sorriso buono, e Michael lo accettò con mani tremanti, incapace di dire alcunché. Non era la prima volta che litigavano, ma era la prima che se ne andava sbattendo la porta e passava la notte fuori. Ben doveva aver temuto il peggio, eppure non poteva immaginare quanto la realtà fosse andata oltre i suoi timori.
    Hunter rincasò in quel momento, sbattendo la porta e salutando in modo generico. Si avviò con andatura molleggiata verso le scale e si fermò sul primo gradino, a fissare i suoi due padri con quell'espressione un po' annoiata e un po' scanzonata tipica degli adolescenti. «Avete litigato?», chiese con un sorriso sghembo e l'aria saputa, osservando prima l'uno e poi l'altro e, sotto il suo sguardo indagatore, Michael si sentì trasparente. Gli sembrava di avere una grossa “A” rossa cucita sul maglione e abbassò lo sguardo. Rese i fiori a Ben e, a testa bassa, si allontanò di un passo. «Scusami Ben, ma non me la sento di cenare. Non ho dormito molto bene, ieri notte, e sono a pezzi». Non gli diede il tempo di fermarlo: salì al piano di sopra, superando loro figlio, e si chiuse in camera dopo aver sentito Hunter chiedere cosa ci fosse per cena.
    Con Ben e Hunter, la sua famiglia, al piano di sotto, Michael si ritrovò a rimuginare, incapace di addormentarsi: se Brian non avesse detto nulla a Justin, lui non avrebbe potuto dire nulla a Ben, altrimenti il rischio che Justin venisse a saperlo comunque sarebbe stato più alto. Quando si tradisce bisogna essere d'accordo sulla versione dei fatti, come complici in un delitto, e lui e Brian erano esattamente quello: complici.
    Non era molto diverso da quello che erano sempre stati: migliori amici, inseparabili, sempre pronti a spalleggiarsi in tutto. Doveva portarsi quel peso dentro, nascondere la verità a Ben e forse anche a se stesso: come aveva detto Brian, erano ubriachi. Non aveva avuto alcun significato. Doveva smettere di pensarci e fingere che non fosse mai accaduto. Si rigirò nel letto per quella che doveva essere la centesima volta, e si decise a mandare un SMS a Brian, avvertendolo che, se Ben glielo avesse chiesto, gli avrebbe detto di aver dormito sul divano, da lui. Una mezza verità sembrava più accettabile di una bugia.
    Brian era il suo migliore amico. Lo era sempre stato e lo sarebbe stato per sempre. Doveva solo dormirci sopra e dimenticarsene. Si strinse la coperta addosso, avvolto come in un bozzolo, cercando di rimpiazzare quel calore che gli mancava e, quando Ben entrò in camera e si mise a letto, Michael finse di dormire. Suo marito lo abbracciò con delicatezza, baciandogli la nuca. «Michael?», lo chiamò sotto voce, per verificare se fosse sveglio o se dormisse, e lui resistette solo un momento, prima di rispondergli.
    «Sono sveglio», disse mesto, dandogli le spalle.
    Il braccio di Ben si strinse un po' intorno a lui e l'uomo gli si accostò maggiormente, facendo aderire il torace alla sua schiena. «Come stai?», gli chiese preoccupato.
    Michael reagì scostandosi da lui e sospirò dolorosamente, con la sensazione sgradevole che il mondo si fosse capovolto, che stare tra le braccia di Ben fosse tradire Brian. «Mi fa male la schiena», inventò qualche momento dopo, per giustificarsi. «Deve essere colpa del divano di Brian». Per un attimo, Michael percepì l'irrigidirsi di Ben, ma non aveva potuto impedirsi di fare il nome dell'altro. Brian. Brian. Brian. Avrebbe passato ore a ripetere il suo nome, ad invocarlo mentre faceva l'amore con lui.
    Il nome di Brian era ufficiosamente vietato nella loro camera da letto, così Michael trattenne il fiato quando Ben gli chiese: «Hai dormito da Brian, ieri notte?».
    «Sì».
    Ben posò un bacio deciso sulla sua nuca e lo strinse di nuovo, facendo attenzione a non fargli male, cercò la sua mano per intrecciare con lui le dita e rimase in silenzio. Michael sapeva che, all'inizio della loro storia, Ben aveva accettato la sua cotta per Brian, ma sapeva anche che era convinto che, ormai, quell'amore che aleggiava come bruma, tra di loro, non sarebbe mai stato in grado di dividerli.
    Invece era accaduto; solo ventiquattr'ore prima, Michael stava bevendo più del dovuto, stava sniffando popper stretto a Brian e tutti i sui desideri erano tornati a galla, tutte le sue insoddisfazioni e quell'amore messo in un angolo, che non era mai passato, avevano gridato e si erano trasformati in un bacio affamato e rabbioso e in mani strette tra i capelli di Brian. Mentre gli mordeva le labbra come non aveva mai avuto il coraggio di fare, Michael aveva scoperto che era bastato un istante perché il resto della sua vita, i suoi successi, i suoi affetti, perdessero significato, lontano dall'uomo che amava. Respirò a fondo, struggendosi per quel profumo che mancava in casa sua, perché, l'indomani mattina, Ben gli avrebbe chiesto di fare l'amore e lui gli si sarebbe concesso per espiare le proprie colpe. Chiuse gli occhi, cercando di non pensare, ma non poté evitare di chiedersi ancora come avrebbe fatto, il giorno dopo e tutti quelli a venire.

Nuova ff sulla mia OTP, so che il pair non vi fa impazzire, ma spero che vorrete leggerla comunque e farmi sapere cosa ne pensate (e non vi preoccupate: sono solo cinque capitoli).
L'idea è nata da un contest e ho colto la palla (ma questa volta sarebbe meglio dire la mela) al balzo. Come sempre, potete insultarmi sulla mia pagina FB. ^^
Vi aspetto!

♣ Questa fanfiction si è classificata seconda al contest "Manga cliché" indetto da Sango_79 sul forum di EFP per conto del forum "Diegni e Parole".
Il cliché scelto è "amici d'infanzia": Questo è uno degli espedienti narrativi più usati nei manga, soprattutto negli yaoi. Il concetto è semplice: ci sono due ragazzi che si conoscono fin da quando erano piccoli, ma anche due uomini che sono diventati amici al liceo, e tutto a un tratto uno o entrambi capiscono di amarsi. Oppure uno è sempre stato innamorato dell'altro, che non se ne è mai reso conto, e soffre per questo.


♦ L'immagine di copertina è di Kourinthellama
 
   
 
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