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Autore: Always_Always    30/10/2015    4 recensioni
Quando Jeremiah Arkham ha aperto i cancelli per la prima volta, non sapeva certo a cosa stesse andando in contro. Era stato più un salto nel buio, il suo: il sogno di realizzare qualcosa di grande. Col pugno di ferro non si era fermato e non aveva mai ceduto alla paura, conscio che quelle che aveva davanti fossero solo persone. Persone che - seppur piene di problemi, di violenza latente e con una concezione di giusto e sbagliato altamente precaria - potevano essere gestite con il giusto personale e la giusta determinazione.
Ma con quest'ultima annata sta per cambiare tutto, perché qualcosa non quadra.
È la classe dell'ultimo corridoio che non quadra, con i suoi studenti. Come se concentrasse in sé qualcosa di sbagliato che fa tremare le pareti di tutto l'Arkham High School.

...
AU ambientato tra i banchi di scuola che cercherà di raccontare dei personaggi quando ancora non sono quelli che conosciamo. Di quello che succede in quel lasso di tempo tra il prima e il dopo.
...
{BrucexSelina, BrucexTalia, HarveyxRachel, JokerxHarley}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Batman, Due Facce, Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo n°8
"The dark side of the mood"
 

 
 
In quanto a me, mi troverai tra le spine
Sono quello che vorresti dire ma non vuoi sentire mai
Io non cerco un lieto fine, ma se vivere è morire 
Allora è meglio benedire i guai
 
E vai giù
Dove il buio è affascinante
E il lato oscuro ti sembra più interessante
Imprigionati per sempre dentro un istante 
In cui il dolore lancinante è ormai distante
Mi chiedo se mi vedi?
Se mi credi?
Come ieri tu cerchi chi eri ma non c'è un richiamo, 
Immersi tra i sentieri dei pensieri più sinceri…
Ti amo

 
(The dark side of the mood, Nitro)
 
 
 
 
 
 
 
Questo Venerdì sera è appiccicoso e poco accomodante.
L'umidità affonda nelle pozzanghere di Gotham City, si veste di acqua, di sporco e di nero e assume la consistenza di una bava viscosa.
Jonathan Crane ne avverte le viscide fila attaccarsi alla faccia e si pulisce con la manica dello smoking. I piedi, uno dietro l'altro, inseguono la strada di sassi bianchi che conducono alla porta di casa Quinzel.
 
Casa Quinzel. Questa è davvero incredibile.
 
Non vuole fermarsi a pensare, non deve. Se lo facesse, le domande convulse che ha categoricamente ignorato fino a questo momento gli perforerebbero il cervello palesando l'assurdità della situazione.
Io e Harleen. Dopo il suo chiaro rifiuto nei miei confronti.
Distrarsi, per l'appunto. È proprio quello di cui ha bisogno. Senza contare che Pamela Isley non sarebbe entusiasta di un suo possibile fallimento o di una sua improbabile fuga – anche se Jonathan ammette a se stesso che, a dirla tutta, non ha mai avuto possibilità di opporsi al volere della sua compagna.
 
"Crane, devo chiederti un favore… "
 
Una voce armoniosa e due zigomi appuntiti; due pozzi smeraldo velati di timore ma imbevuti di una determinazione feroce.
Con quel tono maledetto, con quel viso maledetto, come avrebbe potuto negarle il suo aiuto?
Come avrebbe potuto negarle qualunque cosa[1]?
 
E poi hai sempre avuto un debole per Harleen, Jonny.
Anche questo è vero, ma non è il punto focale della questione.
 
Pamela Isley l'ha caldamente invitato all'Iceberg Lounge in occasione della festa di Talia Al Ghul.
Pamela Isley l'ha caldamente invitato a stare incollato ad Harleen Quinzel come, cita testualmente, "se tutta l'aria del mondo fosse concentrata nel suo corpicino 55 kili".
 
Jonathan non sa per quale strano allineamento cosmico non abbia fatto domande ma ha noleggiato uno smoking, si è preparato a dovere spruzzandosi addirittura il profumo ed è arrivato al luogo dell'appuntamento con venti minuti di anticipo.
Tutta questa situazione è particolarmente inquietante.
Assolutamente corretto. Deve ammettere però di essere curioso di come andrà a finire. Stare accanto ad Harleen è stimolante, non soltanto per il corpicino 55 kili che è da togliere il fiato, ma anche per tutto quello che le sta attorno: Harleen è un soggetto altamente imprevedibile. Sospetta – ne è certo – che dietro quel sorriso genuino ci sia qualcosa di più profondo, annidato nel fondo della sua mente e quello che lo sconvolge tanto è che lei non se ne sia mai resa conto.
Harleen Quinzel… cosa nascondi nel tuo subconscio?
 
Fa appena in tempo ad avanzare di un passo che il portone di legno si spalanca scricchiolando e una figura bionda fa capolino dall'interno.
 
"Ciao, Jonny."
 
Sarebbe il caso di interrogarsi sullo sconforto che trasuda dal tono piatto e dagli occhi vuoti di Harleen, ma la sua bellezza ha la capacità di lasciare Jonathan imbambolato. È un miracolo che non abbia la bocca spalancata.
 
"… Ciao, Harleen."
 
È un vestito turchino. Non blu, ne azzurro o qualche altro colore banale per persone banali. Turchino e limpido, come il cielo che Gotham non ha mai visto, come il mare che si disegna all'asilo, quando il mondo è semplice come appare e non si è trascinati a fondo dalla verità che si cela sotto.
Harleen non si nasconde, ostenta la sua bellezza inconsapevole: il tacco nero lucido sfila le gambe già magre, lasciate nude da quel vestito fasciato che le arriva a metà coscia e si ferma poco sopra il seno. Lei si stringe un po' nella giacca di pelle e mostra il collo abbracciato da una collana brillante; guarda Jonathan con un sopracciglio alzato. Ha giusto un velo di trucco e nient'altro.
Nient'altro. Soltanto lei.
 
Jonathan allenta il nodo alla cravatta e tossisce: "Harleen, sei— "
 
"Pronta ad andare," ribatte lei, superandolo. Alcuni ciuffi biondi sfuggono dallo chignon e le ricadono sulla fronte. "Pamela ci raggiunge".
 
Jonathan non ha il tempo di aggiungere altro che Harleen è già in fondo al vialetto. La guarda, muto. L'imbarazzo gli colora gli zigomi sotto gli occhiali, ma tanto Harleen non se n'è accorta, intenta com'è a fissarsi i piedi.
È distante. Imprigionata dietro un muro di superficialità e apatia che la rendono così diversa da come Jonathan si aspettava.
 
Un soggetto altamente imprevedibile…  
 
Tutto sommato, Jonathan sorride: starle accanto sarà una sfida singolare. Qualche parola, un ballo o due e potrà dissetare la curiosità che gli brucia la gola.
Harleen Quinzel… cosa ti preoccupa?
 
"Andiamo, allora."
 
Di che cosa hai paura?
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Rachel Dawes arpiona con le dita la mano di Harvey Dent, arricciandosi dietro la sua figura rilassata nel vano tentativo di sparire dalla faccia della Terra.
 
"Benvenuti all'Iceberg Lounge," mormora il cameriere che li ha accolti con un sorriso non troppo sincero.
 
Rachel abbassa lo sguardo e stringe la mano di Harvey ancora di più, chiedendosi perché mai sia in capitata in una situazione tanto surreale.
Resta calma, Rachel. Resta calma.
È un locale particolarmente lussuoso, questa è la sua prima considerazione non appena varcano l'ingresso. La zona bar è laterale alla pista da ballo, accanto a loro c'è un'immensa scala che porta al piano superiore e il tutto è offuscato da luci soffuse, molto soffuse: Rachel fa fatica a distinguere le figure.
Almeno nessuno noterà l'occhio nero…
L'ha coperto con quantità industriali di trucco, ma il gonfiore è ancora visibile. Ha raccontato ad Harvey di aver sbattuto contro il mobile – una confessione che le è costata una lunga serie di scherzi e battute, ma ha preferito questo alla storia pietosa di Talia che schiaccia la sua dignità.
Una dignità che questa sera potrebbe perdere completamente.
 
"Allora," comincia Harvey, voltandosi verso di lei. La camicia è slacciata all'ultimo bottone, un tocco sbarazzino che lo rende particolarmente sexy: "Possiamo gettarci sugli alcolici e poi ballare in mezzo alla pista, oppure ballare in mezzo alla pista e poi gettarci sugli alcolici".
 
Rachel increspa le labbra.
E la parte divertente che non potevo assolutamente perdermi sarebbe… ?
 
La ragazza scruta l'ambiente con gli occhi a fessura: la festa è iniziata da poco ma può già stimare che il grado alcolico della maggior parte degli invitati sia ampiamente sopra il livello zero. L'atmosfera onirica le fa ben sperare di poter passare inosservata per tutta la sera, anche se non può abbassare la guardia: all'entrata ha avvistato l'energumena lecca piedi di Talia e c'è mancato poco perché la vedesse.
Se Talia dovesse scoprirla, la camicetta verde acqua irrimediabilmente danneggiata sarebbe soltanto un piccolo assaggio.
Maledizione, Rachel! Perché diavolo ti sei cacciata in questo casino?
 
Poi Harvey l'abbraccia e le scocca un bacio sulla punta del naso. Gli occhi nocciola si allargano, l'angolo della bocca si alza appena e il mento si poggia sui capelli profumati di Rachel.
 
"Sono contento che tu sia qui. Con me."
 
Rachel sorride di cuore, allaccia le braccia attorno alla sua schiena e si gode il suo profumo di pulito e di buono. Con Harvey basta davvero poco per sentirsi sereni. La sua presenza, così forte eppure gentile, riempie un vuoto che Rachel non aveva mai saputo di possedere e che adesso, quando lui non c'è, è profondo e fastidioso.
 
Ma poi arrivi tu e tutto torna a posto…
 
In questo momento si rende conto quanto valga la pena essere qui, a questa stupida festa di questa stupida ragazza, con delle luci che non illuminano e la musica a volume altissimo. E non le importa più di Talia, dell'occhio nero o della sua camicetta: Harvey ne vale la pena. Ne varrà sempre la pena.
 
"Portami dove vuoi," mormora lei al suo orecchio, una voce melliflua e pregna di affetto, dolce quanto il bacio che gli regala sulle labbra. "Portami dove vuoi."

Harvey sorride e Rachel riscopre la felicità.

Per te, ne varrà sempre la pena.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Carnaby Street è una lunga e stretta stradina che costeggia uno dei pochissimi parchi rimasti a Gotham City ed è per questo che a Pamela piace. Oltre allo smog e al freddo, se respira profondamente può distinguere l'odore di pino e, in primavera, il profumo delicato dei primi germogli che sbocciano poi col giungere dell'estate. Fortunatamente, è una strada piuttosto tranquilla e non ha paura di attraversala, nemmeno la sera. Anche se, a quest'ora, sarebbe dovuta essere altrove.
Finirà che arriverò tardi alla festa.
 
L'ha preventivato non appena ha letto il messaggio di suo padre. Le ha chiesto di raggiungerla in laboratorio il più in fretta possibile e lei non se l’è fatto ripetere: quando si tratta del lavoro di suo padre tutto passa in secondo piano, comprese la festa e Harleen. Non si sente in colpa perché Jonathan Crane è insieme alla sua bionda e la sta tenendo d'occhio al posto suo – non ha dovuto minacciarlo per fargli capire che deve fare un ottimo lavoro se non vuole incombere nella sua furia; Crane sa che Pamela non si è mai fatta problemi a picchiare i ragazzi con gli occhiali.
 
Harleen ha bisogno di distrarsi.
Dopo quello che le ha rivelato, dopo lo stato in cui l'ha trovata, è imperativo che si prenda del tempo per ritrovare se stessa e la lucidità pericolosamente annebbiata.
Se Pamela pensa allo sguardo disperato che le ha visto in volto e ai lamenti che sfuggivano dalle sue labbra…
Quel brutto bastardo.
Deve fare qualcosa. Deve fare qualcosa ora. Quel pazzo non può continuare a tormentare la sua bionda in questo modo – non può continuare a scorrazzare in libertà dopo tutti i crimini che ha commesso. Non ci vuole un genio per capire che è pazzo, basta guardarlo negli occhi – se quelle cicatrici orrende non fossero sufficienti. Chiunque perderebbe la ragione, con un volto così.
 
Pamela blocca il flusso dei suoi pensieri soltanto quando entra nell'appartamento 2A di Nothing Hill. Il laboratorio di botanica non è mai stato appariscente o di un gusto particolarmente ricercato, eppure è uno dei luoghi preferiti di Pamela. Ricorda quando suo padre le stringeva la mano e la conduceva nei meandri di quel posto che, ai suoi occhi di bambina, sembrava misterioso, magico e grottesco. Camminavano per i corridoi traboccanti di verde e tutto quello che Pamela vedeva pareva essere incantato, una favola come quelle che suo padre le leggeva quando s'infilava sotto le coperte.
"Questo è il mio mondo, Pammy Pammy," le ripeteva sempre, "l'ho costruito pensando a te," e Pamela si premurava di imparare quanto più poteva su quel luogo incantato; ascoltava suo padre a bocca spalancata e con gli occhi vispi, perché, se era il suo regno, doveva sapere come prendersene cura.
Così Pamela si aggirava come una principessa in quel reame di foglie e vita, dialogando con rose grandi quanto la sua faccia paffuta e arrampicandosi su rami imponenti, sfogando la sua fantasia e la voglia di avventura. E suo padre rideva, la guardava e rideva, infilato in un camicie bianco candido e con ampolle alla mano – gonfio di gioia, d'orgoglio e d'amore.
 
"Papà?" chiama ad alta voce, un sorriso radioso legato a quei ricordi.
 
Si avvicina all'appendiabiti per liberarsi della giacca e sostituirla con il camice – il regalo della nonna per i suoi diciassette anni. Poggia la pochette verde sulla scrivania e soltanto in quel momento avverte un insolito calore stuzzicarle la schiena. Scocca un'occhiata al termometro ambientale: per la corretta crescita delle piante, la temperatura deve essere un po' più calda del normale, ma così è eccessivo! È praticamente un clima africano!
Forse papà sta lavorando a un nuovo ibrido che ha bisogno di più calore.
 
Pamela percorre il corridoio illuminato, premurandosi di controllare le piante che crescono rigogliose. Sono tutte bellissime, anche se particolari: suo padre ha l'ossessione per gli intrecci genetici e riesce a creare sempre qualcosa di spettacolare. Pamela non ha mai avuto dubbi sulla sua genialità, ancora prima dei riconoscimenti ufficiali che abbelliscono le pareti dell'ufficio. E anche se ogni tanto hanno avuto alti e bassi – come quel tale di cui non ricorda il nome che ha tentato di rubare le ricerche di papà e ha inviato messaggi di minaccia dopo il suo fallimento – Pamela non ha mai demorso e si è sempre impegnata al massimo, cercando di aiutarlo con ogni mezzo disponibile, in ogni occasione.
Voglio che realizzi il tuo sogno, papà. E voglio esserci quando lo farai.
 
"Papà?" chiama un'altra volta, arrivata alla fine del corridoio. Il calore si sta facendo via via più intenso, per questo Pamela ne segue la scia: trovata l'origine, è certa di trovare anche suo padre; a quel punto lo sgriderà per la scarsissima attenzione che nutre per il mondo esterno: quando è impegnato in un nuovo progetto, s'isola completamente come se non esistesse nient'altro.
La nonna lo prendeva sempre in giro per questo suo piccolo difetto.
 
Ad un tratto una luce più forte, più calda e più ampia attira la sua attenzione: proviene dall'ultima stanza del laboratorio e pare espandersi sempre di più.
Ma che…
 
Pamela avverte il cuore avere un mancamento quando abbassa la maniglia – stranamente rovente – e spalanca la porta.
 
 
 
∞∞∞
 

 
Il getto della doccia sputa acqua bollente, si riversa sulla sua pelle e condensa l'aria che scema verso il soffitto in una nuvola di vapore.
Edward Nashton ha gli occhi chiusi e non intende riaprirli: vuole lavare via tutti i pensieri e le brutte sensazioni che si sono accumulate nel suo stomaco durante la giornata, fino a quando non resterà soltanto il buio cullante dell'indifferenza.
Odia quando le cose non vanno come previsto.
 
E questa faccenda si sta facendo più complicata di quanto pensassi.
 
Involontariamente, gli torna alla memoria la figura secca di Jack Napier accanto alla madre obesa. Stramba donna, la signora Napier. Ignorante e senza un briciolo di dignità. Gli ricorda un po' sua madre, per certi aspetti, ma Edward scaccia in fretta quei pensieri e si volta dall'altra parte. Non gli piace pensare a sua madre. O a suo padre.
"Sei un idiota, Ed. Sai come vanno trattati, gli idioti?"
La profonda cicatrice sulla scapola sinistra tira la pelle e gli impone di pensare ad altro.
 
Qual è il collegamento tra Jack Napier e il ragazzo delle cicatrici?
 
È questa la domanda che lo consuma, per lo più. Perché. Quale contorto ragionamento ha portato alla scelta di Jack Napier come finta identità? È forse un parente? Un amico? Un tizio anonimo incontrato per caso in un luogo altrettanto anonimo?
O forse è un piano ben congeniato per prendersi gioco di noi?
 
Un nervoso pulsante si arrampica sui suoi organi interni e risale lungo le pareti della sua gola, trasformandosi in un ringhio profondo.
Tutta questa storia ha dell'incredibile e Edward non ne è affatto contento: sa per esperienza che l'incredibile non esiste. C'è sempre una spiegazione razionale a quello che succede nel mondo, un ragionamento logico che sbaraglia le stupide congetture di fede e lui non intende tirarsi indietro. L'ha detto anche a Vicki, quando lei ha suggerito che forse si trattava di una questione più grande di loro e che dovevano informare chi di dovere. Arkham in primis.
"Un po' di spirito d'indipendenza, Vicki", le ha risposto lui, "pensi che con tutto quello che succede in questa città, a qualcuno importerà di un ragazzino che gioca a Indovina Chi?"
L'ha convinta, alla fine e non ha nemmeno usufruito a pieno del suo charme.
 
Lo devi ammettere, Nygma: la ragazza è in gamba.
Ha un fastidioso – e morboso – senso di giustizia, ma Edward riconosce che è confortante poterle parlare senza palesare ovvietà inutili.
È l'unica persona che comprende il sottotesto dei tuoi discorsi – dei tuoi silenzi.
Una mente medio-alta. Merce rara, al momento.
 
Perché non la chiami?
 
Lo shampoo cola sulla mano e sul petto. Accarezza un'altra cicatrice sbiadita all'altezza dello sterno, un po' più piccola rispetto a quella sulla schiena ma più fredda e dolorosa, specialmente quando calano le temperature.
Edward Nashton insegue quei segni bianchi e ne ripercorre le memorie in un silenzio affollato di emozioni.
"Non mentire, Ed: io sono tuo padre e so quando menti. Non mentire, Ed: mi fai solo arrabbiare di più."
 
Rabbia.
Il sapore rugginoso è qualcosa che non si dimentica facilmente. Brucia come una ferita aperta, pulsante e viva, dà la spinta che serve per andare avanti e reagire.
Edward si chiede se anche Vicki ne conosca il retrogusto ispido. Se sappia cosa si prova. Se ne conosca rimedio.
E in quel momento, per un fugace e stupido istante, pensa che potrebbe farlo: chiamarla e chiederglielo. E magari parlarle di sé, del perché si sia arrabbiato tanto con la signora Napier e – perché no? – di tutto quello che non ha mai rivelato a nessuno.
 
Ma poi cambia idea.
Non è mai stato tipo da raccontare aneddoti privati della sua vita.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
L'ala riservata al privée dell'Iceberg Lounge è una balconata circolare che si staglia lungo tutto il perimetro del locale e che comprende un immenso buco nel mezzo, esattamente sopra la pista da ballo.
Talia si specchia nella superficie riflettente che insegue tutto il muro e non è particolarmente soddisfatta di quello che vede. Non è sicura se si tratti di una distorsione ottica o dell'effettiva realtà, ma i suoi fianchi sono più gonfi rispetto al giorno prima. Sporgono dall'attillato vestito beige dandole una forma che non le piace per niente.
Si morde le labbra laccate di rossetto scuro e scompiglia di un poco i capelli lisci.
 
Nello specchio, un uomo rotondo infilato in una pelliccia si palesa dietro di lei.
Il cilindro nero poggiato elegantemente sul capo gli conferisce un'aria regale – ma incredibilmente sinistra.
 
"Spero che tutto sia di suo gradimento, signorina."
 
Talia si volta verso di lui; sfoggia un sorriso bianchissimo: "Come sempre, signor Cobblepot[2]."
 
Oswald Cobblepot allarga le labbra in un sorriso sgraziato, allunga le dita lungo la mano di Talia e la intrappola con un bacio.
Talia lo lascia fare, premurandosi di ignorare la sensazione di viscido che la pervade: con lui è sempre così. Ha fatto presente più volte a suo padre quanto detesti l'atteggiamento morboso del signor Cobblepot, ma non è mai servito: suo padre ha decretato che è necessario e quando lui decreta, non si transige.
 
"Se avesse bisogno di qualcosa, signorina Al Ghul, sarò subito da lei."
"Il suo locale non mi ha mai delusa."
 
Un guizzo di avarizia e orgoglio allarga gli occhietti neri del signor Cobblepot – Talia ignora anche quello, e con esso la certezza che quell'uomo abbia a cuore soltanto il suo potere.
 
"Buona serata, signorina Al Ghul."
"Buona serata a lei, signor Cobblepot."
 
Talia lo guarda imboccare le scale e, dopo un'ultima occhiata allo specchio, si poggia alle sbarre della balconata regalando un'attenta occhiata all'affollamento che si muove di sotto. Gli invitati stanno arrivando con una velocità che non si aspettava e non è particolarmente certa di voler cominciare questa serata. Le piacerebbe annullare tutto e tornare a casa. Non sa il motivo, ma ha una brutta sensazione: un formicolio che pizzica lungo la schiena e arriva fino al collo.
Che ti prende, Talia? Da quando ti fai scoraggiare da delle sciocche impressioni?
Si riscatta, smuovendo con un gesto secco del capo i capelli morbidi. Lei è Talia Al Ghul, accidenti, la ragazza più temuta e adorata di tutto l'Arkham High School. Lei vive per il palcoscenico e per i riflettori, ha una spiccata abilità nel mentire per ingraziarsi chiunque voglia – e altrettanta costanza nel punire chi osa sfidarla.
Questa festa è il suo marchio: il simbolo della sua supremazia incontrastata e sarebbe sciocco non godersela per futili pensieri.
Gli Al Ghul hanno una fama da preservare… giusto, padre?
 
Talia imbocca le scale, rinvigorita da una nuova euforia, mentre i tacchi a spillo ticchettano sul pavimento e la sua voglia di alcool e divertimento aumenta esponenzialmente.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
"Sembri nervoso."
"Sono solo stanco."
"Sembri stancamente nervoso."
 
Bruce ha tutta l'intenzione di replicare ed è per questo che si volta verso di lei, ma gli occhi grandi di Selina spengono qualsiasi protesta.
Un colore enigmatico, quello dei suoi occhi: azzurro limpido quando è giorno e blu tenebra quando è notte. È camaleontico, esattamente come lei.
 
Selina gli regala un ghigno affilato – incredibilmente sexy: "È la mia presenza a farti questo effetto?"
"Sei troppo presuntuosa, Selina."
 
Ma hai ragione. Maledizione.
Se ci ripensa, Bruce ancora non riesce a crederci. Anonimato, segretezza, finzione. Caratteristiche necessarie di un patto stipulato in religioso silenzio, così forte e chiaro che non era mai stato necessario ribadirlo a voce alta. Nessuno dei due aveva interesse di romperlo – nessuno dei due se l'era mai sognato.
Invece lei l'ha chiamato questo pomeriggio. Un tono vanitoso e sprezzante.
 
"Le feste di Talia Al Ghul sono così noiose! Ti va di aiutare una ragazza in difficoltà?"
 
Così gli ha detto Selina e Bruce ha accettato. Senza pensarci, senza ragionare. Una proposta camuffata, quella di Selina: un invito implicito a stracciare quel patto e gettarlo tra le fiamme - una sollecitazione che lui ha accolto senza battere ciglio.
 
"Alle otto da te. Non farti aspettare, gatta."
"Una donna arriva sempre un po' in ritardo. Non te l'hanno detto, Bruce?"
 
Selina ha mantenuto la parola: sono stati i trenta minuti più lunghi della sua vita. Bruce li ha passati a cercare delle risposte a quesiti tanto complicati quanto irrisolvibili: cosa stava facendo, perché, cos'era cambiato, perché.
Eppure, quando Selina è comparsa sulla soglia, con quel vestito nero lucido e quegli occhi immensi, Bruce non ha trovato nessun motivo valido per rimangiarsi la parola. Le ha sorriso, le ha regalato un baciamano degno di Alfred e si è incamminato con lei sottobraccio.
 
Ora sono alla festa e Selina è ancora sottobraccio ma ha una stretta inesistente, come se temesse di fargli del male, come se temesse di darglifastidio. Bruce realizza questa verità e sorride leggermente, perché è particolarmente piacevole scoprire che Selina riesce a lasciarsi andare a sentimenti umani, ogni tanto.
 
"Come volevasi dimostrare," commenta lei, dopo aver lanciato uno sguardo al locale, "è tutto tremendamente noioso."
 
Bruce la imita e nota gli occhi guardinghi degli studenti dell'Arkham High School inchiodarsi alle loro figure. Sono sguardi sbigottiti, curiosi e indagatori, che strisciano verso di loro e rimbalzano indietro trasformandosi in mormorii malcelati.
Ha sempre odiato questi pettegolezzi. In situazioni analoghe solitamente fa di tutto per evitare le voci di corridoio, ma stasera qualcosa è cambiato.
Perché incredibilmente, in un modo che ancora non ha realizzato a pieno, stare accanto a Selina, davanti a tutti, è gradevole. Spassoso, anche.
Non gli importa di quello che pensano gli altri e questo senso di libertà gli solletica amabilmente il petto.
 
"Andiamo a prendere da bere?" domanda, i nervi rilassati come non mai.
 
Selina sorride e annuisce appena.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
La serata non va.
 
"Vuoi ballare?"
"Non ne ho voglia."
 
La serata decisamente non va.
 
"Posso portarti qualcosa da bere?"
"Sono a posto così."
 
Sta sorridendo, usando modi gentili e atteggiamenti educati. Non ha tentato di imporle niente preferendo stimolare il suo spirito d'iniziativa, ma a nulla sono valsi i suoi tentativi e alla fine deve ammettere la sconfitta.
Harleen ha un problema. Forse più di un semplice problema. Un enorme, gigantesco, monolitico problema che soffoca la sua indole vivace. Jonathan ha lanciato una domanda velata per persuadere Harleen a vuotare il sacco sul suo profondo turbamento, ma l'unica cosa che ne ha ricavato è stata un paio di occhi lucidi talmente tristi da fargli passare qualsiasi vena indagatrice.
 
È stato dopo il secondo sospiro di Harleen che ha capito le intenzioni di Pamela: non si tratta di una ragazza priva di accompagnatore che ha bisogno di un cavaliere; è un'anima in pena che si dibatte tra il dolore e l'assenza, tra la malinconia e la solitudine.
Jonathan non ha mai provato simili emozioni, ma leggerle sul volto delle altre persone l'ha sempre trovato incredibilmente semplice. L'amore è un concetto complicato che indovina da lontano ma che non riesce a sperimentare a pieno.
Anche se stavolta si tratta di Harleen ed è tutto un altro effetto.
 
Si siede accanto a lei, mentre gli studenti si stringono sulla pista da ballo e sfoggiano le loro mosse migliori.
 
"I libri dicono che il dolore fa parte del gioco," dice.
Harleen alza appena il capo ma non lo gira – insegue con lo sguardo i movimenti sinuosi dei ballerini: "Non ho mai pensato fosse un gioco," risponde.
 
Jonathan non può fare a meno di guardarla, con gli occhi spenti e il volto marmoreo e capisce di aver fatto centro ancora una volta: il freddo che gli intorpidisce il torace non lascia spazio a dubbi.
Harleen… bellissima Harleen… è questo che ti logora?
 
"Implica delle regole," spiega lui, "delle difficoltà. Come in un gioco hai degli obiettivi da raggiungere e delle scelte da compiere."
Un sorriso amaro allarga appena le labbra di Harleen: "Parli come un esperto."
"Mi piace leggere."
 
Una canzone più ritmata della precedente s'impossessa delle casse e riempie il locale con un suono imponente, ma è come se lui e Harleen fossero separati da ciò che li circonda. Ci sono soltanto loro: lo sguardo serio di Jonathan, il mento all’insù di Harleen.
 
"A lui piace ridere," ammette lei infine e questo basta perché Jonathan avverta un altro pugno freddo – più gelido – impossessarsi del suo petto e abbassare di colpo la sua temperatura corporea. Il suo sesto senso è sempre stato infallibile, ma mai come in questo momento ha sperato di sbagliarsi.
Harleen… irraggiungibile Harleen… 
 
Sta per rispondere ma Harleen lo batte sul tempo: "Non sono sicura che sia giusto per me, comunque. Che sia sano."
 
Io potrei essere quello giusto, pensa Jonathan, però non ne è certo neanche lui.  Resta a fissarla con le labbra dischiude, osservando quei lineamenti che ricordava morbidi indurirsi fino a diventare di pietra.
È questa la tua paura, Harleen? La tua paura più grande?
 
"L'amore distruttivo non è mai durato," le risponde e per un attimo spera che Harleen sia d'accordo con lui, che lo guardi e sorrida in quel modo buffo per poi invitarlo a ballare fino a scordarsi del mondo.
E Harleen lo guarda, sì, ma è seria come non lo è mai stata: "Anche questo è scritto nei tuoi libri, Jonny?"
 
Adesso, pensa Jonathan, fissando le labbra carnose di lei. Fallo adesso prima che la paura ti blocchi.
Si avvicina piano piano, con gli occhi spalancati e la gola secca, ma quando sta per baciarla, Harleen si allontana leggermente e gli poggia una mano sul petto.
 
"Mi è venuta sete, Jonny. Vuoi ancora portarmi qualcosa da bere?"
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Il drink è di un improbabile azzurro fosforescente.
Bruce non è certo di volerlo inghiottire quando Selina glielo porge.
 
"Un brindisi," propone.
Bruce fulmina un'altra volta il contenuto inattendibile del suo cocktail, poi si arrende e scuote la testa: "A che cosa brindiamo?"
 
Selina gli mostra una dentatura perfetta incorniciata da un velo di rossetto bordeaux; si avvicina al suo orecchio e schiocca le labbra: "A noi, principe. Ti viene in mente un motivo migliore?"
 
Bruce ruota lo sguardo e i due si ritrovano faccia a faccia. Sono vicinissimi, può avvertire l'alito fresco di Selina carezzare docilmente le sue labbra e i brividi che risalgono lungo la schiena sono la prova lampante che la situazione gli sta sfuggendo di mano. Dovrebbe agire, imporre dei paletti e mantenere le distanze. Invece le sfiora il naso con le labbra senza quasi rendersene conto.
Ho una disperata voglia di baciarti…
 
Rimangono in quella posizione per interminabili minuti, con la musica che culla le loro figure e la massa informe di persone che colora lo sfondo notturno di quel momento. Selina ha delle mani liscissime. Bruce non ha mai avuto modo di accorgersene, nello sgabuzzino – la fretta è bollente e il desiderio troppo impellente per soffermarsi sui dettagli; ora, però, esposti e visibili da chiunque, le dita sinuose di Selina sfiorano le sue braccia, strisciano sulla pelle fino a intrecciarsi nella sua mano. Bruce risponde alla stretta e in silenzio attende la sua prossima mossa.
 
Poi un passante inciampa nella sua spalla e la magia si spezza.
Selina si allontana di un poco e alza il bicchiere, ammiccando nella sua direzione e bevendo lentamente. Bruce sta per fare altrettanto quando una figura nella folla intercetta il suo sguardo e lo blocca a mezz'aria.
 
Talia.
 
Si sta lentamente avvicinando nella sua direzione e Bruce non è certo di volerla incontrare: Selina è accanto a lui e se Talia dovesse fare domande scomode lui non saprebbe come comportarsi. Sarebbe costretto ad affrontare la questione cruciale che ha rimandato per troppo tempo e lui ora non vuole rovinare la serata per colpa della sua sciocca indecisione.
Maledizione.
 
"Bruce," comincia Talia, una volta davanti a lui, "alla fine sei venuto."
"Mi sembra di ricordare che non avessi molta scelta," sogghigna lui, fingendosi calmo e sicuro di sé – gli è sempre riuscito bene, mentire.
 
Talia inchioda gli occhi pastosi nei suoi: "Ne sono felice."
 
Deve avere un debole per gli occhi, Bruce. Non c'è altra spiegazione. Finisce sempre per soccombere alla vista di quei pozzi profondi che danno libero accesso alla personalità nascosta di chi gli sta davanti – che si tratti di Selina, Talia o chiunque altro.
È innervosito da questa sua nuova debolezza e vorrebbe fare qualcosa a riguardo, però Selina sbuffa sonoramente e a quel punto Bruce realizza di essere in mezzo a due fuochi. Due fuochi roventi.
 
"La festeggiata non deve comparire soltanto a festa inoltrata?" domanda Selina, velenosa.
Talia la degna finalmente di attenzioni e ghigna: "Gli imbucati non devono aspettare che gli invitati siano ubriachi, prima di entrare?"
"Mi spiace deluderti, Al Ghul, ma ho un regolare invito."
"Sono sicura che ti sbagli, Kyle: ho cancellato io stessa il tuo nome dalla lista."
 
Selina sfoggia un sorriso sfrontato quando alza il mento e prende Bruce sottobraccio. Un campanellino d'allarme frulla nella testa del principe di Gotham, ma ormai è troppo tardi per evitare il disastro.
 
"Non te l'hanno detto, Al Ghul? Nessuna lista degli invitati per gli accompagnatori."
 
Boom. Bruce sente la bomba esplodere e le sue interiora maciullarsi e ridursi in poltiglia.
Si sente improvvisamente accaldato. La stanza è troppo stretta e necessita di una scusa convincente per allontanarsi il più possibile da qui ed evitare di affrontare le conseguenze.
 
Talia ha già voltato lo sguardo stupito verso di lui e questo a Bruce non piace per niente. Quegli occhi severi, affilati come lame, aspettano una giustificazione convincente e gli imperlano la fronte di sudore.
Non era così che doveva andare. Non aveva messo in conto che Selina avrebbe sfruttato la situazione per i suoi futili battibecchi con Talia. Odia essere il giocattolino di qualcuno e sopra ogni cosa odia la faccia mortificata che sta assumendo il volto appuntito di Talia. È delusa, spaesata e confusa. Bruce non lo sopporta.
Deve fare qualcosa. Non può lasciarla allontanarsi così, nonostante le emozioni forti che ha provato – che prova? – per Selina.
Perché in fin dei conti si tratta di Talia e pensare a quello che c'è stato fa ancora male.
 
"Un casuale incontro dell'ultimo momento," risponde, senza avere il coraggio di guardare in faccia Selina.
 
Avverte la stretta attorno al suo braccio irrigidirsi all'istante e staccarsi di colpo - il gelo che cala su di loro è così pesante che Bruce fatica a respirare. Ma è da Talia che non riesce a staccare lo sguardo: un lieve rossore le imporpora le guance ed è il solo dettaglio fuori posto nel suo volto marmoreo, apatico – consapevole.
 
È in questo momento che Bruce rimpiange di non essere rimasto rintanato a Villa Wayne, con Alfred davanti al camino e un libro tra le mani, perché sa di aver irrimediabilmente rovinato tutto. Con Talia, con Selina. Voleva tenerle entrambe ed è riuscito a demolire pezzo dopo pezzo tutto quello che desiderava davvero. Talia, Selina. Due splendide aguzzine che logorano il suo cuore, lo stringono fino a farlo sanguinare e lo torturano con rare carezze e sussurri suadenti. Talia e Selina. Così simili eppure profondamente diverse, entrambe mascherate di una fierezza inarrestabile che nasconde un'anima intrecciata di emozioni e viva, piena di sfaccettature e lati nascosti – piena di una malinconica bellezza, la più avvenente di tutte. 
 
"Non pensavo che condividessimo il gigolo, Al Ghul," la voce di Selina è un sibilo rovente privo di scrupoli, "te lo lascio, se vuoi. C'è di meglio, in giro. Sempre che tu accetti la merce usata."
 
Bruce accusa gli insulti senza ribattere e la guarda allontanarsi incapace di fermarla. La sagoma di Selina si confonde tra la folla ma è ben definita nella sua mente: abito sinuoso, curve sensuali, labbra carnose e occhi blu notte.
Selina, dalla risposta sempre pronta. Un fiume in piena che incassa i colpi in silenzio, si rinvigorisce dopo ogni sconfitta e avanza imperterrita a testa alta – l'orgoglio sempre più gonfio, il cuore sempre più vuoto.
Bruce lo sa, ha potuto toccare con mano la dolcezza fermamente imprigionata di Selina; ricorda le parole di conforto e l'abbraccio il calore.
 
"Sistemeremo tutto, Bruce. Tutto quanto."
 
Forse era stato quello, il momento in cui tutto era cambiato. Un piccolo gesto che celava un radicale cambiamento. Lui non è riuscito a capacitarsene fino a questo momento, probabilmente terrorizzato dall'idea di potersi legare ancora a qualcuno. Però Selina ha abbattuto il muro e la domanda ora è cosa deve fare Bruce in merito.
 
"Perché non la segui?" domanda Talia, fissandolo dritto in volto. C'è un mondo in quello sguardo, questa volta lei non si premura di nasconderlo.
Provi qualcosa per lei? Urlano i suoi occhi, grondanti di dolore.
 
Provi qualcosa per lei?!
 
"Non lo so…" ammette Bruce, perché è sciocco continuare a fingere, ormai: bisogna gettare le maschere. Talia l'ha fatto, il minimo che Bruce possa fare è imitarla.
E Selina…
 
"Sistemeremo tutto, Bruce. Tutto quanto."
 
Selina l'ha gettata via da tanto tempo, ormai.
 

 
∞∞∞
 
 
 
"PAPÀ!"
 
Pamela si fionda nella stanza; ha il fiato corto, il cuore che martella nel petto ad una velocità esorbitante e la testa in completo black out: è soltanto il rosso calore delle fiamme a mantenerla vigile.
 
"PAPÀ?!" Squarcia il fumo, il suo grido, mentre il fuoco divora ogni cosa e Pamela deve farsi largo tra la confusione, animata dalla cruda disperazione che le attanaglia le viscere con denti affilati.
 
Perché…? Si chiede, alcune lacrime scivolano lungo le guance annerite ma evaporano prima di toccare terra.
Cosa diavolo è successo?!
 
Avverte un colpo di tosse provenire dal retro della scrivania carbonizzata e senza pensarci si affretta a rimuovere ciò che resta del tavolo in legno; un dolore ardente striscia lungo il suo braccio destro e sui polpastrelli di entrambe le mani, ma Pamela lo ignora perché sotto le macerie, sporco e ferito, c'è il corpo supino di suo padre.
 
"Papà!" Chiama di nuovo, scuotendogli le spalle con una forza incontrollata.
 
Svegliati… non puoi essere… non puoi… essere…
 
Un altro colpo di tosse scuote il corpo di suo padre e a Pamela sembra il suono più bello che abbia mai sentito.
 
"… Pammy… " mugugna il signor Isley, aprendo gli occhi appena. Pamela si lascia sfuggire un sospiro di sollievo seguito da un singhiozzo.
 
"C-credevo che fossi— "
"Perché sei venuta, Pamela?"
 
Cosa?
 
Pamela nota in quel momento lo sguardo stralunato di suo padre e una bruttissima sensazione le piomba addosso, freddandola sul posto.
 
"Papà," risponde, ignorando ciò che sente, "il messaggio diceva che era importante… "
Il signor Isley la spinge all'indietro, una smorfia di dolore gli sfigura il volto ma è presto sostituita da occhi glaciali.
"Pamela," voce profonda, seria, spaventata, "scappa lontano e non guardarti indietro."
Ma perché?
 
Dall'altro lato della stanza, una risata profonda tronca sul nascere le sue proteste. Un uomo di mezza età, con mossi capelli corvini difettati da due ciuffi bianchi ai lati della nuca, sorride sornione vicino alle fiamme. Quando solleva le mani per applaudire, Pamela nota la pistola. Le si secca la saliva in gola.
 
"Interpretazione commovente, Richard, dico davvero."
 
Il signor Isley ringhia, poi tossisce, poi si schiarisce la gola – quando parla, la sua voce è comunque gracchiata. "L'hai portata qui, dannato bastardo."
"Beccato, " ribatte l'altro e scoppia a ridere.
 
Pamela osserva quell'uomo alto e scheletrico avanzare verso di loro. Le fiamme tutt'intorno si gonfiano sempre di più, ma lei ha l'allarmante sensazione che non siano loro, il vero pericolo.
 
"Sai," l'uomo s'inginocchia accanto a loro, la pistola bene in vista e gli occhi che brillano dietro la montatura trasparente degli occhiali. "Tua figlia è davvero splendida. Tutto merito della madre, vero?"
 
La canna della pistola le sfiora la fronte imperlata di sudore e scende lungo la guancia; Pamela trattiene il respiro, le lacrime e un grido.
 
"Non toccarla, Woodrue[2]," sibila il signor Isley, tentando di mettersi seduto ma cadendo rovinosamente a terra subito dopo, con le mani premute contro il ventre. A Pamela cade lo sguardo sul suo camice e nota una grande chiazza scura che le fa sbarrare gli occhi.
La tensione le attanaglia la gola, la paura la tiene ancorata al pavimento e quella dannata pistola, una scia rovente sulla sua pelle tiepida, accresce il disgusto e la disperazione.
 
"Non torcerò un capello a tua figlia, Richard," risponde Jason Woondrue, ignorando le fiamme sempre più vicine, "se mi darai quello che voglio."
 
Pamela ha la sensazione di essere estraniata dalla situazione, di osservare gli eventi da lontano come uno spettatore. Si chiede, in un anfratto della sua mente, come stia andando la festa e come se la stia spassando Harleen. Jonathan Crane avrà mantenuto la parola?
Suo padre tossisce più forte e lei ripiomba nella realtà. Non si è accorta di aver versato una lacrima e di avere gli occhi lucidi.
 
"Il siero non è completo. Nessuno potrebbe sopportarne gli effetti."
 
Jason Woodrue ride. Pamela lo osserva, gli occhi sbarrati dallo stupore e il cuore incatenato al pavimento da una paura crescente che non riesce a placare. Il suo aguzzino porta la mano libera alle labbra, ruota la testa all'indietro e sbraita di nuovo; è una risata isterica, la sua, come se avesse completamente perso la ragione.
Forse non l’ha mai avuta.
 
"Sai qual è sempre stato il tuo problema, Richard? La scarsa fiducia nell'uomo e nel progresso." La pistola le accarezza i capelli e gli zigomi. Il tono di voce del dottor Woodrue muta all'improvviso: si fa grave e minaccioso. "Ora, se non ti dispiace: il siero. O tua figlia ne pagherà le conseguenze."
 
E Pamela a quel punto si volta verso suo padre e imputa gli occhi nei suoi. Non nasconde il suo terrore, né tenta di mostrarsi forte: non è abituata a situazioni del genere, non è mai stata preparata per questo. Si trattava di semplici esperimenti in laboratorio, giusto? Di formule chimiche e sogni inseguiti. Non si era mai parlato di pistole e fiamme e sangue. Di rischi e pericolo.
Per questo Pamela guarda suo padre e si aspetta che tiri fuori dal cilindro qualsiasi cosa voglia il dannato pazzo; perché Pamela, nonostante tutto, vuole disperatamente vivere.
 
Il signor Isley ricambia il suo sguardo; un rivolo di sangue sboccia dalle sue labbra – Pamela singhiozza a quella vista – ma poi il signor Isley le sorride e per un momento tutto ciò che c'è attorno a loro scompare.
Andrà tutto bene, Pammy Pammy, sembrano dire i suoi occhi e Pamela vuole crederci. Gli sorride di rimando, quando suo padre porta lentamente una mano al camicie logoro ed estrae dalla tasca una fiala di liquido verde acceso.
Non fa in tempo a sollevare il braccio che Jason Woodrue gli strappa l'ampolla dalle mani e la solleva verso l'alto, il volto estasiato di un bambino con il giocattolo di Natale.
 
"Una consistenza e un colore perfetti," commenta, ammirato, "Sei sempre stato migliore di me, Richard. "
Il signor Isley non cede alla provocazione e tossisce di nuovo: "Hai avuto quello che volevi. Ora lasciaci andare."
 
Il fuoco ha ormai raggiunto la scrivania e Pamela può già sentirne l'ardente calore appiccicarsi alla pelle e divorarne la carne.
Vuole uscire da lì. Subito.
Jason Woodrue si desta dal suo sogno ad occhi aperti e punta la pistola contro il signor Isley. Gli occhi brillanti nascondono una follia che Pamela smaschera immediatamente.
Il panico l'assale.
 
"Oh, Richard," tono canzonario, "sempre così precipitoso."
 
Afferra bruscamente Pamela per un braccio e la costringe ad alzarsi, arpionandole poi il collo con il braccio disarmato e puntandole la pistola alla tempia. Suo padre sbarra gli occhi, tende il braccio e fa uno scatto verso di lei, ma la ferita che ha al petto è grande e sanguina copiosamente.
Non può fare altro che crollare sul pavimento sporco, pallido e rabbioso.
Il fuoco è vicinissimo alle loro figure. Le fiamme sono gigantesche lingue roventi che masticano ciò che hanno attorno e rigurgitano fuliggine e cenere.
Pamela le osserva, gli occhi gonfi dal pianto e le labbra morsicate dall'ansia e pensa che potrebbe morire in due modi: con un colpo sparato a bruciapelo alla tempia, o arsa in quest'ufficio – in questo laboratorio, il suo stesso regno.
 
Poi Jason Woodrue le afferra la bocca, le spalanca le labbra con le dita e la obbliga nella sua direzione.
 
"Testiamo il frutto del tuo lavoro."
 
Il tempo è scandito soltanto dal denso liquido verde che cola lento lungo la fiala di vetro e precipita sulla sua lingua. Pamela cerca di opporre resistenza, si dibatte con le mani e con le gambe, avverte l'urlo nero di suo padre e il calore delle fiamme che arde come l’inferno.
Ma, nel momento stesso in cui inghiotte il contenuto del siero e lo sente scivolare giù per la gola, l'inferno si scatena dentro, nelle sue viscere; come acido, quell’intruglio corrode i suoi organi. Pamela si accartoccia su se stessa, tenta di placare quel supplizio ma non riesce a muoversi, non riesce a gridare, non riesce a piangere. L’unica cosa che può fare è pregare con tutta se stessa che la pistola spari un colpo e ponga fine a quel tremendo dolore.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
L'inesistente essenza del nulla danza attorno a lei, dissolve i suoni e diventa sorda, la prende per le braccia e la ingloba nell'insensibilità stessa della negazione.
Harleen ha gli occhi vuoti. Le lacrime non rispondono al suo dolore perché si sente persa, inconsistente, uno specchio rotto che non riflette alcuna immagine – e un corpo che non esiste, non può avere nessuna volontà.
 
"Perché hai cambiato idea?" domanda Jonathan, dietro di lei. Ha la cravatta allentata e i capelli scompigliati. Il volto arrossato spicca anche nella semioscurità della pista da ballo, ma Harleen volta la testa dall'altro lato e non fa commenti in merito.
 
"Perché mi andava," è la risposta apatica, ma la verità è che cerca di trovare un modo per fermare i pensieri, per barricare le emozioni fuori dal suo cuore e tornare ad essere la ragazza che è sempre stata.
"Vai e divertiti," le ha detto Pam. "Sarà la grande serata del tuo nuovo inizio."
Ma Pamela non c'è e lei non si sente grande, non si sente nuova. La malinconia le attanaglia lo stomaco, i polmoni, la gola. Le viene voglia di cacciare un urlo e con quello spaccare le vetrate dell'Iceberg Lounge, ma la forza viene meno e alla fine Harleen rinuncia.
Perché la vita di prima non basta più ora che ho conosciuto te.
 
No, non può permettersi certi pensieri. Vuoto, vuoto nella mente e nel suo cuore. Deve focalizzarsi su Jonny e sui suoi movimenti impacciati, senza paragonare braccia, busto, occhi e labbra a…
 
"Fanculo," sbotta infine, enfatizzando il suo ballo. Le braccia si alzano, si abbassano, le ginocchia si piegano e il sedere va avanti e indietro, a ritmo di una musica che Harleen non sente. È il ballo dell'assenza, quello che mima fino allo sfinimento.
Spesso le picchiano contro – la pista è talmente piccola – ma lei non protesta e si lascia guidare da quei corpi sconosciuti.
Perché, pensa, così è più facile immaginarmi che ci sia tu, tra la folla.
 
Di nuovo questi pensieri dolorosi. Forse ha bisogno di un altro drink, un super alcolico rincarato con vodka extra. O una canna particolarmente carica. È convinta che Jonny non abbia buttata via tutta l'erba, nonostante i problemi che ha avuto l'anno scorso.
Chissà se anche tu ha bisogno di dimenticare, Mr J… dimenticare me…
 
Qualcuno sbatte contro di lei con più forza del normale. Harleen barcolla in avanti, mette un piede in fallo e quasi cade rovinosamente sulla pista da ballo. Questa volta, malinconia o no, si arrabbia davvero. Si volta verso l'artefice del misfatto, gli occhi dei dardi infuocati che sprizzano scintille, ma quando cerca d'individuare la sua vittima non trova nessuno. Davanti a lei, solo un ammasso di corpi sudati che si scuotono e si strusciano. Harleen si prende del tempo per guardare come mani, braccia e bacini si sfiorino l'un l'altro e le viene un singhiozzo al cuore.
Perché… perché fai così male?
 
Senza preavviso, una mano da dietro le corre lungo il braccio.
La parte razionale di Harleen suggerisce che possa trattarsi di Jonny, che abbia accantonato le sue insicurezze per provarci definitivamente con lei; ma il suo cuore smentisce con sicurezza quest'ipotesi e si gonfia di qualcosa di caldo e liquido. Un tepore che trabocca e scorre giù per il corpo, nei polmoni, nel fegato, nell'intestino, fino ad arrivare alla punta dei piedi.
E così, nella folla concitata che ora cala in un silenzio ancora più assoluto, Harleen spalanca gli occhi senza avere il coraggio di voltarsi.
 
Sorride.
 
"Sei fuori tempo, Harley."
 
Una considerazione tanto banale quanto meravigliosa. Un tono indifferente, divertito e insolente, coronato da un nomignolo che suona quasi come un oltraggio, ma che Harley trova sublime.
La mano di lui è sul suo collo, ora. Harley vuole che sia lui a dirigere il gioco, vuole subire il suo volere, così asseconda il suo movimento e alza il mento, incappando nel suo petto. In mezzo secondo, l'odore di temporale le invade le narici e lei chiude gli occhi, frastornata da miriadi di emozioni che le troncano il respiro.
L'altra mano di Mr J va a stringersi sul fianco.
 
"E poi," continua lui, le cicatrici rosse vicino all'orecchio, "queste canzoni non sono un granché. Devi davvero migliorare i tuoi gusti, bambolina."
 
Harley ride. Mr J sa essere docile, quando vuole. Sa dosare la forza della sua stretta e bearla con carezze leggere; sa sdrammatizzare una situazione terribile; sa riempire il vuoto che sente dentro.
 
"Perché sei sparito?" Domanda Harley a fior di labbra. Vorrebbe allungare le mani e allacciarle dietro la sua testa, ma sa che Mr J odia quando prende iniziative – a meno che non sia lui stesso a richiederle. Sa interpretare i suoi gesti e le sue intenzioni, adesso, e rendersene conto la riempie d'orgoglio.
È la prova che sono fatta apposta per te… come tu sei fatto apposta per me…
La voce rigida e rassicurante di Pamela quasi non la sente più.
 
Mr J fa scivolare la mano dal fianco alla coscia di Harley e soffia sul suo collo un risolino.
"Hai sentito la mia mancanza?" ribatte, nella voce un sarcasmo macchiato d'irritazione.
 
Immensamente, vorrebbe rispondere Harley. Sono quasi impazzita, vorrebbe rimarcare Harley. Ma quell'insinuazione le fa spalancare gli occhi, anche se il corpo scotta sotto al tocco di Mr J, affolla la mente di pensieri caotici e la lascia in balia di sporchi desideri.
Alla fine, si stacca quel tanto che basta per voltarsi verso di lui, per fissarlo negli occhi – quegli incredibili occhi verdi – e riprendere a pensare con una parvenza di lucidità. La pista attorno a loro continua a muoversi.
 
"Io ti ho aspettato," precisa e un fastidioso prurito va a pungerle gli occhi. Con tutto il tempo che ha avuto per piangere, proprio ora ci riesce. Ora che non può permetterselo: Mr J è lì davanti a lei e Dio solo sa cosa potrebbe fare se lei crollasse adesso.
Mr J arriccia il naso e inarca le sopracciglia: "E il tuo amico Jonny lo sa? Dovresti avvertirlo di questa tua fedeltà incondizionata."
 
Oh.
All'improvviso nella mente di Harley è tutto più chiaro. Nonostante il disinteresse che traspare dalla voce pacata di Mr J, Harley ha capito cosa si cela sotto. E si sente irrimediabilmente in colpa, per questo.
 
"Jonathan è solo un amico…"
"Ne sarà deluso."
"Mi dispiace, Mr J."
"Non ne vedo il motivo, Harley."
 
Oh sì, sì che lo vedi. Ed è incredibilmente romantico da parte tua, pasticcino.
 
Harley si getta su di lui e s'impossessa delle sue labbra. Sa che è un errore imperdonabile e che Mr J gliela farà pagare cara, ma ora ha bisogno di lui, del suo sapore e del suo calore, perché la gioia che sente nel percepire la sua possessività le sta facendo esplodere il cuore.
Voglio che sia sempre così. Sempre tu e io, sempre dei significati nascosti da portare alla luce, sempre delle parole che nascondono altre parole, sempre noi. 
E accada quel che accada. 
Mr J risponde al bacio per qualche secondo e poi la spinge via, brutale e dominante. Le stringe il collo – tanto, troppo; Harley quasi si piega per il dolore, ma stringe i denti e non replica perché è consapevole che questa sia la punizione per un gesto tanto avventato.
Ma ce ne saranno altri, pasticcino… ce ne saranno altri.
La folla attorno a loro non si è accorta di nulla e Harley ne è felice.
 
Al contrario, Mr J è arrabbiato quando la strattona: "Pensi di avere qualche privilegio, stupida ragazzina? Credi di essere, in qualche modo, importanteper me?"
 
Sì e il modo in cui ti arrabbi ne è la prova, sta quasi per rispondergli, ma decide di giocare d'astuzia, di rispettare le regole che lui le ha imposto e di scommettere il tutto per tutto.
"Come in un gioco, hai delle scelte da compiere e degli obiettivi da raggiungere."
Harley ha appena deciso che, ora e per sempre, Mr J sarà la sua sola scelta e il suo unico obiettivo.
 
"Certo che no," risponde, lo sguardo docile e un sorriso accennato, "ma tu sei importante per me e sono pronta a dimostrartelo in ogni modo."
 
Attimi di silenzio sono scanditi soltanto dagli invitati immersi nella pista da ballo. Alcune braccia s'infilano tra le figure immobili di Harley e Mr J, frullano in aria e poi scompaiono nei meandri di gambe, teste e vestiti.
Harley e Mr J si guardano senza parlare e c'è tanto in quello scambio di espressioni: intenti, richieste, accettazioni. Harley è serena come non lo è mai stata, ma l'idea di sentirsi in colpa per questo non la sfiora neppure. Pamela dovrà farsene una ragione, perché Mr J è la sua costante, d'ora in poi. Dovunque la porterà. Qualsiasi saranno le conseguenze.
 
Mr J lascia la presa sul suo collo, ruota la testa di lato e le concede un sorriso, un sorriso bellissimo che sbaraglia ogni screzio precedente.
Harley è convinta che prima o poi scoppierà a ridere, e quando poi effettivamente Mr J ridacchia, le s'illuminano gli occhi.
 
"Vieni, bambolina," esulta Mr J, afferrandola per mano, "andiamo ad animare questa serata."
 
Harley annuisce e improvvisamente si ricorda il sapore della vita.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Harvey non regge l'alcool. Rachel se n'è accorta dopo i primi due shot. Mentre lei li ha scolati senza risentirne particolarmente, le guance di Harvey si sono infiammate di botto e i suoi occhi sono diventati lucidi.
"Andiamo a ballare", le ha detto.
Così sono andati a ballare.
 
Rachel ancora ride se pensa a tutte le posizioni buffe di cui Harvey ha fatto sfoggio. Ne è sorpresa: Harvey da ubriaco è davvero divertente – al limite del ridicolo, certo, ma quel ridicolo che non mette in imbarazzo, che crea una bella atmosfera.
Le ha ripetuto infinite volte che è bellissima, stasera e che è contento di averla con lui, per poi mettersi a gridare che Rachel è la sua ragazza e che tutti devono esserne invidiosi. Alla fine è inciampato sui suoi passi, è caduto a terra con il sedere ed è scoppiato a ridere.
"Come ci sono finito qui?" ha chiesto. Allora si è voltato verso Rachel, paonazza dalle risate, e l'ha trascinata giù insieme a lui.
Rachel ricorda di non aver mai riso tanto in tutta la sua vita.
 
Adesso, Harvey è seduto sul divanetto del piano superiore. Si sono rifugiati lì dopo un'esplorazione infantile e Rachel è convinta che un momento di pausa possa servire ad Harvey per riprendere un leggero controllo di sé.
Inoltre, lei ha il bisogno urgente del bagno.
 
S'intromette tra la folla, si fa largo con le braccia e raggiunge il corridoio che porta ai servizi. La musica si attutisce quel tanto che basta per permetterle di avvertire un ronzio fastidioso forarle le orecchie. Si porta una mano alla fronte, sistema i capelli scompigliati e individua la porta delle toilette femminili. Sta per varcare la soglia quando un lamento trattenuto, simile a un singhiozzo strozzato, attira la sua attenzione.
Proviene da una porta socchiusa accanto a lei.
Ma che cosa… ?
 
Con un po' di titubanza, Rachel si avvicina a quel suono e spinge di poco la porta.
Le pareti bianche della stanza sono contornate da acquari di diverse dimensioni, tutti abitati da pesci di specie differenti. Al centro, invece, troneggia un tavolo di marmo intagliato da venature grigiastre. Bottiglie e bicchieri vuoti giacciono alla rinfusa sulla superficie liscia, bagnata in alcuni punti.
E, contro il tavolo, seduta su una sedia bianca con il bicchiere in una mano e una bottiglia di vino rosso nell'altra, c'è la figura magrissima di Talia Al Ghul. Il trucco sbavato le arriva ormai agli zigomi e, occasionalmente, dai suoi occhi gonfi sfugge qualche lacrima che si schianta contro il tavolo.
Un altro singhiozzo fende l'aria.
 
Rachel smette per un istante di respirare. Strabuzza gli occhi, incapace di credere a ciò che vede, ma per quanto sbatta le palpebre l'immagine che ha davanti è sempre uguale: Talia Al Ghul, la fiera reginetta della scuola, ricca da fare invidia e bella da togliere il fiato, così popolare e intelligente da non avere alcun problema al mondo, è rintanata in questa stanza sconosciuta, sola e disperata.
Ubriaca, aggiunge Rachel alla lista, osservandola mentre tenta di versarsi del vino nel bicchiere e sbaglia la mira più volte prima di riuscirci.
 
Combattuta tra intervenire e disinteressarsene, Rachel è quasi decisa ad andarsene quando la voce malferma di Talia la blocca. È sicura di sé, nonostante tutto. 

"Sei qui per goderti lo spettacolo?"
 
Rachel a questo punto accantona l'idea di svignarsela e attraversa la porta. Si ferma in piedi all'altro lato del tavolo, immobile come una statua e tesa come le corde di un violino. "Non era mia intenzione venire a curiosare."

"Ti sei imbucata alla mia festa."
"Sono un'accompagnatrice."
"Già, queste maledette accompagnatrici…"
 
Si dà della stupida, Rachel, perché è sciocca la premura che le riserva visto che Talia le ha da sempre rovinato l'esistenza.
Ma forse è lo sguardo perso che Talia le rivolge a troncare qualsiasi sete di vendetta; con quegli occhi pieni, con quegli occhi tristi, come potrebbe infierire su di lei? Come potrebbe peggiorarle le cose?
 
"Comunque," Talia alza il bicchiere colmo e se lo porta alle labbra. "Non ti biasimerei, se lo facessi: non sono mai stata premurosa nei tuoi confronti."
 
Infatti. Potrebbe essere il momento buono per rinfacciarti tutte le cose orribili che mi ha fatto e magari scoprire se riesci a sentirti in colpa.
Rachel però si risponde di nuovo che non può farlo: Talia ha qualcosa che non va. Non è vitale, non è arrogante e fiera come sempre. È… spenta. Nel suo sguardo manca qualcosa, come se si fosse spezzata e avesse perso un pezzo da qualche parte.
 
"Se tu sei stata una stronza non vuol dire che debba esserlo anche io," ribatte Rachel con meno astio di quanto vorrebbe.
 
Talia alza lo sguardo affilato su di lei. Le regala un sorrisetto compiaciuto e Rachel ne resta stupida perché è la prima volta, in tutti questi anni, che Talia la tratta come una complice. Come una delle sue amichette.
Che non sono qui, ora che ne hai bisogno…
 
Rachel realizza questa verità e avverte una stretta al cuore; e le sembra di capirla un po' di più, quella ragazza dal cuore di ghiaccio, che si è circondata di false amicizie e false attenzioni – chissà per quale ragione. Talia è sempre stata sveglia, troppo sveglia per non capire al volo la natura delle persone.
 
"Mio padre non sarebbe d'accordo," mormora Talia, poggiando sul tavolo il bicchiere vuoto. Si appresta subito a riempirlo e Rachel in quel momento nota un bel livido violaceo proprio sotto la spalla. Sbuca leggermente dal vestito firmato ma è abbastanza per farle capire che non si tratta di una botta accidentale.
 
Si maschera dietro il silenzio, incapace di trovare le parole giuste per dire qualunque cosa.
Dovresti andartene, Rachel… lasciarla sola e tornare da Harvey…
Certo, dovrebbe farlo, ma non può. Perché c'è qualcosa nei movimenti sconnessi di Talia e nella sua espressione infelice che la ancora al pavimento.
E Rachel è convinta che, se aspetta un altro po', riuscirà a scoprire di che cosa si tratta.
 
Poi Talia afferra un bicchiere vuoto dal tavolo, lo raddrizza e fa un cenno a Rachel, con la bottiglia alla mano: "Ne vuoi un sorso?"
 
NoQuesto è impossibile.
Rachel annuisce lentamente e senza rendersene conto è già accanto a lei e sta scolando il primo bicchiere.
 
"Ti si vede l'occhio nero, " commenta Talia, asciutta.
"E i tuoi fianchi sono più gonfi del solito, " ribatte Rachel, con la stessa intonazione.
 
Si scolano un altro bicchiere, poi un altro e un altro ancora.
 
Talia non è male, quando è ubriaca: non sibila insulti velenosi e non alza le mani. Piuttosto, si concentra sul suo bicchiere e singhiozza ogni tanto. Ogni tanto una lacrima scivola giù e ogni tanto lei tira su col naso.
Ogni tanto – se ne ha voglia – si pulisce la faccia con una mano e versa il vino anche nel bicchiere di Rachel.
 
Rachel beve – Rachel aspetta: un fiume sconclusionato di parole che riportino la verità per quella che è, senza abbellimenti o libere interpretazioni dettate dalla ragione.
In vino veritas, pensa, e speriamo che sia davvero così.
 
Alla fine, dopo quasi una bottiglia e mezza, Talia rompe il silenzio.
Sta fissando il bicchiere pieno con innato interesse; ha il capo così chino che Rachel non riesce a guardarla in faccia.
 
"Si è innamorato di un'altra."
 
Chi?
Rachel deglutisce ma non dice nulla.
 
"E io che pensavo ci saremmo amati per sempre."
 
Un altro singhiozzo e Talia alza finalmente il viso verso di lei. Le lacrime questa volta sono tante, scendono copiose lungo le guance trascinandosi dietro il trucco e la disperazione. Gli occhi di Talia sono gonfi e rossissimi; ha i capelli arruffati e le labbra incrinate in un sorriso forzato. Le trema il labbro superiore.
 
"Che stupida, eh?"
 
Rachel avverte un tuffo al cuore. Talia è fiera, è orgogliosa e forte, ma non quella che ha davanti a sé. La Talia di adesso è irrimediabilmente spezzata, ha il cuore ridotto a brandelli e un tremendo dolore che l'abbraccia senza lasciarla andare. E anche se prova a resistere, con quel sorriso impotente che le fende la bocca, non può ingannare nessuno.
Talia soffre, una sofferenza acuta e silenziosa, spietata e atroce, continua e insopportabile.
Disumana, pensa Rachel. Ma la verità è che quel dolore è fin troppo umano ed è per questo che è così straziante.
 
"Dicono che il primo amore non si scorda più," risponde alla fine, dopo un lungo e lento sospiro.
Il suo tono è rispettoso, come quello che si usa quando muore qualcuno.
E non è un po' un funerale, questo? Non si tratta sempre di una perdita?
 
Rachel pensa ad Harvey, a quello che prova per lui e a quello che possono ancora costruire insieme e si sente in colpa: "Ma dicono anche che il primo amore finisce per tutti," aggiunge. "Che è destinato a finire e che serve per crescere."
 
Talia non risponde subito. La guarda seria, china la testa di lato, poi si rigira e scola un altro bicchiere: "Dicono un sacco di stronzate," risponde.
"È vero," concorda Rachel.
 
Il silenzio cala tra di loro ancora una volta. Non si guardano in faccia, le due ragazze, ma poi la tensione si smorza ed entrambe, quasi nello stesso momento, cominciano a ridacchiare e poi scoppiano a ridere.
Rachel pensa che quella serata sia così strana – di una strana bellezza – che se la ricorderà per tutta la vita. Perché ridere insieme a Talia è imbarazzante ma liberatorio, quasi come quando ride con Harvey.
 
"Sei proprio uno schifo quando si tratta di consolare la gente, Rachel Down."
 
Ridono di nuovo, fino alle lacrime, fino a quando non hanno i crampi alla pancia e i polmoni svuotati.
Poi la seconda bottiglia finisce e Rachel capisce che è ora di tornare da Harvey.
 
Si alza, si sistema l'abito e si avvia verso la porta, senza il bisogno di dare spiegazioni. Semplicemente, il momento magico e surreale nel quale Talia Al Ghul e Rachel Dawes si comportano come conoscenti – come amiche – si è concluso. Ora bisogna tornare alla vita di sempre, di bullette e bullizzate.
 
Ma, sulla porta, Talia la blocca. La voce impastata è calma: "Sappiamo entrambe che non cambierà niente tra noi; ma, per quello che vale, mi dispiace."
 
Rachel si blocca sulla soglia, assimila quelle parole con tutto il corpo teso. Esce dalla stanza, nell'ombra accenna un sorriso sincero e si richiude la porta alle spalle.
Già… dispiace anche a me.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Jonathan li sta guardando.
Un connubio di risate dal nesso inafferrabile.
Jonathan li sta guardando e non riesce a vedere nient'altro.
Lei è così… raggiante. Un'anima rinata; una stella sfavillante che zampilla vita.
 
Quella è Harleen Quinzel, la vera Harleen Quinzel; quella che zampetta in cima alle scale ed è eterea e irraggiungibile – e non la carcassa vuota che si è trascinato appresso per tutta la sera.
Jonathan non può fare a meno di contemplarla dal basso, mentre Harleen vortica su se stessa come una fata e ricade docile tra le braccia del suo accompagnatore.
Il suo accompagnatore. Un essere bizzarro che non è riuscito a inquadrare appieno. Non riesce a leggerlo, il ragazzo con le cicatrici. Non riesce acapirlo. Ha osservato più volte i suoi atteggiamenti durante le lezioni, ha intuito la sua natura stravagante ma non è mai arrivato a niente di più: solo supposizioni e indizi sconclusionati.
Che niente sembra preoccuparlo, ecco che cosa ha capito.  E che trova divertenti anche le questioni più singolari.
"A lui piace ridere"… Jonathan avrebbe dovuto capirlo prima. Che sciocco, è stato: con Harleen, non poteva essere diversamente.
Un ragazzo strampalato per una ragazza imprevedibile.
È nel suo stile, dopotutto.
Però, è così felice…
 
Harleen non ha smesso di splendere. A volte il suo volto si rabbuia in una smorfia ma i suoi occhi restano luccicanti, orgogliosi della propria gioia e così nessuno crede alle sue smorfie, né Jonathan né tanto meno il ragazzo con le cicatrici.
Un legame di dominio e asservimento, il loro; di imposizione e ubbidienza. Un gioco: un perenne scherzo in continua evoluzione.
 
Jonathan poggia la schiena contro il bancone del bar e resta ad osservarli.
Il ragazzo è schifosamente sicuro di sé. Sa esattamente dove mettere le mani e cosa dirle, perché Harleen ridacchia ogni volta che lui si avvicina al suo orecchio e poi gli scocca un bacio. Lui non sempre risponde.
E sei un dannato sciocco a non farlo.
Jonathan non aveva mai provato l'ebrezza della gelosia, ma se dovesse descriverla sarebbe come una migliore amica che spettegola al suo orecchio le peggiori cattiverie pregne di veleno.
È sgraziato, non ha un briciolo di tatto e quelle cicatrici danno il voltastomaco.
 
Jonathan trangugia il suo drink e anche quello che ha preso per Harleen – non che gliel'avesse chiesto, ma Jonathan non riusciva più a restare intrappolato in quella prigione di braccia e sudore; così alla fine era sgattaiolato fuori dalla pista da ballo e si era inventato questa scusa per non sentirsi in colpa.
Beh, pensa, senza staccare gli occhi di dosso dalle due figure, non credo che lei se la prenderà, adesso.
Digrigna i denti e gli rode lo stomaco al pensiero che Harleen non è mai stata felice come in questo momento.
 
Ma poi la presa del ragazzo attorno alle sue braccia esili si fa più forte e se Jonathan se ne accorge è perché Harleen si contorce con tutto il corpo.
Ma che cazzo?!
Sta per avvicinarsi, sta per farlo davvero, pronto a rimboccarsi le maniche e a farcire di pugni il volto martoriato di quel pazzo, ma poi s'irrigidisce e si blocca.
Harleen, ancora costretta dalla morsa del suo compagno, chiude gli occhi e si lascia andare a un immenso casquè, arrivando a sfiorare il pavimento con la schiena. Rovescia la testa all'indietro – i capelli ormai sfuggono a ciocche dallo chignon – e scoppia a ridere.
Una risata piena e ridondante che disorienta Jonathan e lo fa arretrare di un passo.
 
Il ragazzo che la tiene ben salda per il braccio la imita: getta la testa contro le spalle e amalgama quella risata con la sua.
Quei suoni stonati e gracchianti scombussolano il volto già spaesato di Jonathan Crane e in questo momento, Jonny realizza la verità: non c'è più alcuna speranza, per Harleen. Qualsiasi fossero i suoi freni, quando si è confidata con lui e gli ha mostrato una parte delle cicatrici che dilaniavano il suo cuore, adesso sono svaniti.
Harleen ha preso una decisione e l'armonia dissonante che scaturisce da quelle due risate affini ne è la prova schiacciante.
Tu non sai quanto sei fortunato… pensa Jonathan tra sé mentre si volta dall'altra parte, colto improvvisamente dall'imbarazzo di essere di troppo. Il ragazzo con le cicatrici lo infastidisce e non soltanto per l'evidente ascendente che ha su Harleen. È clinicamente interessante, potrebbe dire.Scientificamente stimolante.
Possibile che non abbia mai una preoccupazione? Un pensiero allarmante? Un timore insidioso?
 
Dimmi, ragazzo con le cicatrici, pensa ancora Jonathan, carezzando con la mano un sacchetto di plastica riposto nella tasca interna della sua giacca.
Di che cosa hai paura?
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Mr J ridacchia e s'inchina verso di lei, incitandola a superarlo.
 
"Io, Mr J? Sicuro?" Domanda Harley, sorridente ma incerta: non ha mai fatto questo genere di cose e ha paura di sbagliare, di farlo arrabbiare e di rovinare tutto.
Mr J però sorride di nuovo: "Consideralo il mio regalo di fidanzamento, tortino di zucca."
 
Harley s'illumina a quelle parole e scaccia ogni dubbio. Con un saltello, si ritrova esattamente di fronte all'allarme antincendio.
Il regalo di fidanzamento… come sei romantico, Mr J.
Tira la leva, ed ecco che le sirene si accendono e cominciano a strillare. Quasi in automatico, una pioggia artificiale precipita dal soffitto dell'Iceberg Lounge e degli urletti di stupore infrangono la musica.
 
"Vieni, Harley!" Esclama Mr J, afferrandola per la mano e portandola sotto il getto d’acqua. Sembra un bambino eccitato e Harley sorride di cuore: "Balliamo sotto la pioggia!"
 
Mr J scoppia in una risata esilarante e poi comincia a muoversi al ritmo della musica. L'acqua gli ha già inzuppato i capelli e i vestiti. Anche Harley è già fradicia e spensierata segue i movimenti del suo cavaliere, lasciandosi andare a una risata infantile.
Seguirlo in capo al mondo, vederlo sprizzante di gioia, le provoca un'euforia che non aveva mai provato prima. È stupefacente, è gratificante vederlo così felice e sapere di essere in parte causa della sua contentezza.
Io e te, pasticcino, siamo la coppia più bella, non trovi?
 
Poi Mr J tira fuori il coltello e anche questo per Harley è stupefacente. È il suo strumento, il mezzo che usa per realizzare la sua arte e mostrarla al mondo, a lei.
 
"Sai cosa manca, bambolina?" Domanda serio, avvicinandosi a lei, "un po' di rosso. Un po' di rosso, sì!"
 
Così dicendo, porta il coltello al braccio e s'incide un taglio netto. Harley lo osserva stupefatta – non pensava che potesse arrivare ad auto lesionarsi – ma quando sta per palesare il suo disappunto, Mr J s'intinge la mano nel suo stesso sangue e poi la struscia sul vestito azzurro di lei.
 
La scia rossa è evidente e Harley la osserva senza sapere cosa dire.
 
"Il turchino non ti dona, cosino. Il rosso invece… ti sta… d'incanto."
 
E sono queste le parole magiche che annullano il resto. Harley si getta tra le sue braccia e sulle sue labbra, conscia che questa volta non ci sarà nessuna punizione per lei. Mr J ricambia, l'afferra per le cosce e la issa su di sé. Si stacca da lei, le morde il collo e poi torna sulle sue labbra.
Harley non ricorda un giorno più bello di questo.
Per tutta la vita, si dice, per tutta la vita ci sarai tu.
Ora deve soltanto pensare a come tenerselo stretto, trovare un escamotage per non farlo sparire mai più.
E poi, c'è un'altra cosa: deve assolutamente buttare tutti i capi azzurri che ha nell'armadio. Il rosso è diventato il suo nuovo colore preferito.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
La prima cosa che sente quando apre gli occhi sono delle urla. Urla continue e agghiaccianti, alcune più acute e altre più gravi, che vibrano nell'aria e nelle sue orecchie, pungono i timpani fino a traforarli.
Poi, il calore. Che scotta e si trasforma in bruciore. Le arde la pelle da lontano, senza attaccarsi e pasteggiare con la sua carne.
Infine, il vento gelido e impetuoso le schiaffeggia la faccia e le fa spalancare gli occhi.
 
Pamela Isley è stesa a terra, nel bel mezzo del parco verde. Sdraiata su un letto di fiori ed erba, non riesce a ricordare esattamente cosa sia successo, né perché si trovi lì. Fa leva con le braccia per sollevarsi e sente il lamento delle ossa indolenzite. Lo ignora, però, e si costringe a riprendere coscienza di sé.
Dietro di lei, un caldo logorante; davanti a lei, un freddo tagliente.
Pamela si porta una mano alla tempia e non nota il colore verdastro della sua pelle. Piuttosto, si concentra sui suoi ricordi, scava nei meandri della sua mente e cerca la causa della sua amnesia, o qualsiasi altra cosa possa ricondurla ai fatti avvenuti prima del suo risveglio.
 
All'improvviso, un lampo di memoria si fa strada nel suo cervello e contemporaneamente, il boato di un'esplosione rimbomba dietro di lei. Pamela si alza di scatto, i suoi occhi verdi incontrano un appartamento logorato dalle fiamme, immerso nell'inquietante scoppiettio delle lingue roventi.
Il… laboratorio… no…
È il suo regno che brucia, che si disintegra davanti ai suoi occhi, brulica di fuoco e crolla inesorabilmente, si sgretola in una frana rosso sangue.
Si guarda attorno Pamela, disperata, cercando con lo sguardo la figura familiare di suo padre, il suo sorriso, i suoi occhiali che scivolano sempre sul naso, il suo tono dolce.
 
"P-papà?" invoca, invano, con la voce che proprio non vuole saperne di farsi sentire e la gola brucia e si gonfia, provocandole un fastidio non indifferente.
 
Ma attorno a lei non c'è nessuno – né suo padre né il bastardo che ha causato tutto questo – e Pamela sente qual è la verità, anche se non vuole ammetterlo perché è terribile anche solo da pensare. Così continua a cercarlo, avanti e indietro, in lungo e in largo, fino a quando un altro boato la distrae dalla sua corsa e lei, inciampando sui suoi piedi, finisce a terra.
 
"… Papà…" singhiozza, incapace di trattenere le lacrime, incapace di rialzarsi. Stringe le mani a pugno tanto forte da farsi male e solo in quel momento nota che la sua pelle è cambiata.
Cosa… ?
 
Si sente diversa. Si sente più forte, nonostante la stanchezza. Poi ecco, di nuovo, quelle urla agghiaccianti che ha sentito nel dormiveglia, quelle che credeva essere un sogno e invece sono la realtà.
Si guarda attorno, spaesata, la vista offuscata dalle lacrime, ma non vede nessuno.
Chi… ?
Eppure quelle urla sono lì e diventano sempre più forti – sempre più forti, fino a farle sanguinare le orecchie e a farle pensare di essere impazzita.

"CHI C'È?" Grida infine, con le mani che stringono la testa e gli occhi colmi di lacrime.
Un lieve sussurro, rauco e dolorante, le viene incontro. È seguito a ruota da altri lamenti, tutti terribili. « Fa… male… » piangono.
"Dove siete?" Chiede Pamela, il cuore grondante di pietà a quei gemiti strozzati.
 
« Il fuoco… fa male… »
 
Alla fine, Pamela capisce.
Le piante. Le piante del laboratorio stanno piangendo.
Le piante del laboratorio stanno bruciando vive.
 
In quel momento, Pamela porta una mano alla bocca e si sente morire con loro, come se fosse parte della loro essenza, come se fosse Madre Natura.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
Selina esce dall'Iceberg Lounge e si accende una sigaretta.
La musica si sente anche sulla strada e questo la infastidisce parecchio. Vuole un posto tranquillo, dove poter sistemare i pensieri e archiviare gli eventi della serata.
Della terribile serata.
 
È nervosa. E frustrata e ferita – nell'orgoglio, s'intende.
Sente l'impulsivo bisogno di passare davanti alla vetrina della sua gioielleria, dare un'occhiata a quel collier di diamanti e architettare definitivamente un piano per accaparrarselo senza alleggerire troppo il portafogli.
 
È poggiata con il corpo al muro quando il portone d'ingresso del locale si spalanca e Bruce Wayne compare sulla soglia.
Selina alza gli occhi al cielo, ma l'orgoglio le impedisce categoricamente di scappare via.
 
Bruce si avvicina a lei, indeciso. Poi, sorride: "Sapevo di trovarti qui."
 
Selina capisce l'antifona, ma non abbocca all'amo. Non vuole stare ai suoi giochetti, non più:  "Sto andando via."
Bruce si avvicina di un passo e Selina si convince di essere rimasta ferma soltanto per educazione.
 
"Vorrei che non lo facessi," risponde Bruce.
"Non sempre ottieni quello che vuoi."
"Selina…"
 
Lei getta a terra la sigaretta spenta e gli rivolge un'occhiata minacciosa: "Che cosa, Bruce? Vuoi spiegarmi come stanno le cose? Credo che tu le abbia messe bene in chiaro: siamo una casualità dell'ultimo momento e va benissimo così."
 
Sei un bastardo, Bruce. E non capisci niente.
La rabbia monta sotto i nervi tesi di Selina, si trasforma in lava e scioglie l'affetto che prova per lui.
 
Bruce scuote la testa: "Mi dispiace per quello che ho detto."
Stavolta, è il turno di Selina per lanciare l'amo: "Risparmiami la finta compassione, Bruce."
Bruce abbocca: "Niente scherzi, Selina. Non stavolta."
 
I loro occhi s'incrociano, si cercano l'un l'altro ma Selina mantiene le distanze: l'orgoglio e l'amarezza glielo impediscono. Ci ha provato, Dio se ci ha provato, ha tentato di aprirsi e di fidarsi di Bruce, di conquistare fiducia a sua volta, ma semplicemente non ha funzionato.
Alcune persone non sono fatte per dividere il peso dell'esistenza e Selina sta accettando questa verità, seppur riluttante.
 
"Non si può fare, Bruce," comincia, ignorando quella parte di sé che la implora di fermarsi, "bisogna chiuderla qui. È stato divertente giocare agli amanti proibiti, ma adesso mi sono stancata. Voglio aria nuova: i giochini vecchi alla lunga mi annoiano."
 
Bruce si paralizza a queste parole. La guarda, incapace di ribattere e si dà dello stupido per tutte le congetture che ha fatto. Per le illusioni che si è bevuto, credendo che Selina potesse essere davvero una persona importante. Una persona di cui fidarsi.
 
"Bene," risponde alla fine e ogni parola è una pugnalata al cuore – per entrambi, "allora condividiamo lo stesso pensiero. È stato bello finché è durato, ma adesso è ora di guardare avanti."
Le tende la mano, senza staccarle gli occhi di dosso. "Siamo d'accordo?"
 
Selina osserva la mano davanti a sé e le sembra stupido ripensare a come gliel'ha sfiorata per risalire lungo il braccio soltanto pochi minuti prima. Le fa male, ripensarci.
Ma questa è la soluzione migliore.
 
E alla fine, allunga una mano a sua volta e stringe quella di Bruce: "Siamo d'accordo."
 
Ma il suo cuore non è affatto d'accordo, scalpita e graffia nel suo torace con le unghie e con i pugni, così alla fine Selina ne è sopraffatta e sente il bisogno di andarsene. Stacca la presa – controvoglia – e comincia a camminare dalla parte opposta.
 
"Ci vediamo, Wayne."
 
Bruce la osserva sparire, la mano ancora tesa e calda nel punto dove Selina l'ha toccato. Non ha paura che lei torni a casa da sola, nella notturna Gotham City: Selina gli ha più volte ripetuto che sa cavarsela da sola e lui le crede, sì che le crede, perché ha visto cosa è in grado di fare e non ha dubbi sulla sua incolumità.
Selina è un tornado senza freni, una forza della natura che attira l'attenzione ed entra nella mente. Nel cuore.
Ma ormai è finita e si deve andare avanti.
 
Anche Bruce si volta e se ne va. Sente il bisogno di camminare per schiarirsi le idee.
 
 
 
∞∞∞
 
 
 
La luce della luna penetra dalla finestra e proietta delle stranissime ombre tutt'attorno. I mobili sembrano dei guardiani silenziosi, incorniciano la vasca da bagno ma restano discreti nella semioscurità.
L'acqua ormai è arrivata all'orlo e Harley chiude il rubinetto; la mano trema leggermente.
 
Non sa che cosa dire.
 
"Hai una bella casa, Harle-quin."
 
Il rossore le colora le guance, ma Mr J finge di non accorgersene, per fortuna.
La situazione è talmente incredibile che Harley pensa di sognare.
È successo, mentre la pioggia artificiale inzuppava i loro vestiti e il padrone del locale – un nanetto tozzo con la pelliccia addosso – inveiva contro i suoi sottoposti per il disastro e mandava gli invitati a casa.
È successo mentre Harley lo teneva per mano, camminava a saltelli e raggiungeva il cancello di casa sua.

"Vuoi entrare?" gli ha chiesto, impacciata e impaziente, "me l'avevi promesso."
Lui l'ha guardata inespressivo e poi ha alzato le spalle. "Sono un uomo di parola[3]."
 
Così eccoli qui, ai lati della vasca da bagno, con ancora i vestiti addosso e gli sguardi fissi l'uno nell'altro.
Mr J la sta studiando attento; non pare per niente impressionato dalla situazione potenzialmente imbarazzante che invece sta facendo accaldare Harley – non sa dove mettere le mani, quanto allungare le gambe, come piegare i piedi.
Concentrati su di lui, Harley. Soltanto su di lui.
E in effetti, averlo davanti è un'emozione incredibile. Oltre l'imbarazzo, c'è una placida serenità che fa da sottofondo alle loro figure. Come se questo fosse sempre stato il loro posto: uno davanti all'altro, uno intrecciato all'altro.
Harley sente che è giunto il momento di approfittare della situazione e di scoprire qualcos'altro su di lui, sul suo passato. Adesso non può scappare.
Errore, Harley: lui non è mai scappato. In un modo o nell'altro ha sempre risposto a tutte le tue domande.
È vero, ma lei sa che ha bisogno di qualcosa di più delle sue battute a libera interpretazione.
 
"Tu non ce l'hai una casa, Mr J?" Domanda mansueta, affondando il mento nell'acqua calda.

Lo sguardo di Mr J diventa più profondo. Qualcosa, laggiù, luccica di un'oscurità suadente, ma è troppo lontana perché lei capisca di cosa si tratti.

"Non vivo mica per le strade, Harley."
"Me la farai vedere, allora?"
"Poi dovrei ucciderti."
 
Una dichiarazione d'intenti inquietante e passionale al tempo stesso. Come lui. Ma lei riesce a leggere tra le righe, ora e sa perché Mr J risponde in questo modo.
Perché a quel punto ti affezioneresti troppo a me e non potresti più tornare indietro, vero?

Harley accenna un sorriso: "Scommetto che mi divertirei."
Mr J fa scivolare la lingua sulla cicatrice e ridacchia: "Io di sicuro."
 
Lo so. E ti amo per questo. Ti odio per questo.
 
Poi Mr J tende le labbra in uno sguardo fermo, durissimo: "Solo io ho il diritto di ucciderti, Harley. Solo io ho il diritto di farti male."
 
Occhi colmi, graffianti, pregni di tenebra; immersi in acque nere di follia frenetica eppure saturi di una sanità inafferrabile.
Harley lo vede: è pazzo. È un genio.
Non sa più quale sia la differenza, ormai.
 
Le parole che le sussurra, in questa stanza buia di questa casa vuota, sono le più belle e le più terribili che abbia mai sentito, le smorzano il respiro e la gettano nel ciclone contrastante delle sue stesse emozioni, dove prega il suo cuore di smetterla di sentire e al tempo stesso lo supplica di continuare a farlo.
 
"Tu sei mia, Harley Quinn. Mia soltanto. E quando deciderò che non andrai più bene per me te ne accorgerai, perché sarai morta."
 
 
 
 
 
 
Follia e intelletto 
Scopano a letto nel mio cervelletto
E i suoni assordanti dei loro orgasmi 
Sono le parti integranti di ogni mio versetto
 
Scendi quaggiù
Dove il buio è affascinante
E il lato oscuro è sicuro e più interessante
Imprigionati per sempre dentro un istante 
In cui il dolore lancinante è una costante
Io so che non mi vedi…
Non mi credi…
Se mi segui, poi cerchi chi eri in un nodo scorsoio,
Penso a mali passeggeri e non ho più rimedi…

Ti odio
 
  
(The dark side of the mood, Nitro)
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell'autrice:
 
Vi devo delle scuse grandi quanto un continente. Sono in un ritardo talmente imbarazzante che non so cosa dire per far sbollire la rabbia che sicuramente avete nei miei confronti.
 
Sono stata impegnata. Tra progetti dell'università, problemi familiari e spostamenti a destra e a manca, il mio tempo libero si è dimezzato. Ma vi giuro – vi giuro – che ho passato ogni singolo momento che avevo disponibile a scrivere questo capitolo. È lungo, il più lungo che ho scritto, proprio per sdebitarmi dell'attesa così indecente.
Spero che vi piaccia. La festa di Talia era una delle cose che avevo pensato già dall'inizio ed è venuta più o meno come l'avevo immaginata. Mr J forse è un po' troppo sentimentale, ma non voglio stare ancora su questo capitolo e lo pubblico così come è uscito. Oh, anche Bruce probabilmente è un po' più stupido del normale – impacciato e inconcludente, ma per questo credo di essere stata influenzata dalla serie Gotham (mi hanno ucciso il Joker, MALEDIZIONE!) e dal ragazzino che interpreta il piccolo Brucey.
 
Harvey ubriaco, Talia in crisi depressiva che si sfoga con un'incredulissima Rachel, Pamela e la sua tragica avventura, Bruce e Selina che si complicano la vita come al solito e Harley e il Joker che fanno cose. Oh, e Cobblepot che mette a disposizione il suo preziosissimo locale per una festa di ragazzi del liceo. Sì, di cose da digerire ce ne sono in questo capitolo quindi la smetto di rompervi e passo subito alle cose importanti: le note.
 
[1]: Poison Ivy ha la capacità di sedurre chiunque e soggiogarlo al suo volere (l'unico immune è, chiaramente, Batman). Ho voluto riprendere questo concetto perché è uno dei poteri base della nostra Pammy (oltre che uno dei più fighi, secondo me);

[2] Oswald Cobblepot a.k.a Il Pinguino e il suo bellissimo locale. Nella serie videoludica di Arkham mi sono innamorata dell'Iceberg Lounge e non potevo non rendere omaggio (anche se poi l'ho trasformato in un discopub ... ... ... ... );
 
[3]: Jason Woodrue è, nella versione originale, il professore che seduce una Pammy studentessa e usa poi come cavia per i suoi esperimenti. Ammetto che queste informazioni sono prese semplicemente da internet e dal film "Batman & Robin" – ho iniziato da poco a leggere fumetti che parlano nello specifico anche di Poison Ivy quindi chiedo venia nel caso avessi riportato qualche informazione sbagliata.
 
A proposito di Pam, volevo spendere due parole sulla versione che ho creato nella mia storia riguardo la sua trasformazione. Non sono sicura che sia un bel risultato e che faccia un bell'effetto. È la parte che meno mi convince di tutto il capitolo. Ma creare un'altra storia tragica con una famiglia assente o violenta o traumatizzante non mi andava, visto che i personaggi sono praticamente tutti sfigati da questo punto di vista. Allora ho optato per una famigliola felice – l'unica – che viene poi distrutta dal cattivone di turno. Non che così Pam sia meno sfigata degli altri, eh, però almeno la base di partenza è diversa;
 
[4]: Battuta presa dal film "The Dark Knight" di Nolan. Come al solito, insomma. Ma che posso farci? Adoro quel film.
 
Fine dello sproloquio. Grazie a tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, a chi ha inserito la storia tra le seguite / preferite / ricordate, a tutti i lettori silenziosi e soprattutto a tutti voi che avete atteso l'aggiornamento, anche quando sembrava non esserci più speranza! (NON HO ABBANDONATO LA STORIA E NON LA ABBANDONERÒ MAI. Costi quel che costi, la finirò!)
 
Al prossimo aggiornamento!!
 
P.S: Per le recensioni che aspettano risposta o per i commenti che devo scrivere io, volevo rassicurarvi che entro domenica avrete tutto. È davvero un periodo complicatissimo, ma non mi sono scordata di voi <3 

Un'ultima cosa: Selina e gli occhi azzurri. Sì, ho sbagliato clamorosamente e me ne sono accorta soltanto dopo, ma ormai il capitolo è postato e mi piace così... quindi.... ehm, è una sorta di licenza poetica?


     
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