Titolo: cosmic justice
Personaggi: Originali.
Prompt © Alex Lucci & Giada Fraccaroli: Sequel della storia dell'altra volta; A conosce B, il fratello del suo migliore amico, e per lui/lei è subito colpo di fulmine.
OoOoOoOoOoO
È estate, a Roma, e Gilda è innamorata.
E non le importa, se il sudore le appiccica al collo i ricci
scuri mal trattenuti dalla bandana; non le interessa se si stanno formando
aloni, sotto le ascelle, per gli ettolitri di liquido corporeo che, tra sol
leone e nervosismo, sta trasudando sulla sua innocente maglietta dei Muse
(nera. Perché smagrisce).
Non si cura particolarmente del fatto che li aspetta una
fila di almeno mezz’ora prima di poter entrare nei Musei Vaticani, e sticavoli
se a lei delle belle arti importa quanto dell’astrofisica. Gilda può definirsi
felice. Può definirsi al settimo cielo. Può definirsi un’idiota che cerca con
tutte le sue forze di non puntare occhi a cuore sul fratello del suo migliore
amico, quell’inutile essere pel di carota che ha aspettato tanto – troppo! –
per presentarle il manzo di famiglia.
Insomma. Che migliore amico è?!
Ma non gliene vuole, a Filippo, non davvero, perché se in
qualche modo il suo patrimonio genetico ha qualcosa a che fare con quello di
Mario (altamente probabile, data la stretta parentela), allora, va perdonato.
Del resto, ha già la sfortuna di non somigliare per nulla al fratello tassista –
tassinaro, dicono a Roma, si corregge sollecita – e già viene punito da quel
vagone di sfiga.
È alto, Mario, per cominciare. Alto, coi capelli scuri e la
faccia abbronzata, e la voce da fumatore che le gratta le orecchie come dita la
pancia di un gatto. Gilda vorrebbe quasi fare le fusa, ma magari risulterebbe
un po’ strana; così, si limita a pendere dalle sue labbra, a sbattere le
palpebre sugli occhioni splendenti di amore, a lasciarsi cullare dalla voce che
ha preso un lieve accento romano, nonostante sia umbro, lui, della sua stessa
città.
Eh, ma non poteva conoscerlo prima? Il destino ha cospirato
contro di lei: non si sono incontrati neppure per uno degli anni di scuola dell’obbligo,
e Filippo, lei, fino all'anno scorso, non se lo è neppure filato di striscio.
Ah, ma va bene. Adesso lo ha conosciuto, e ci passerà
assieme tutta la mattina. Oh, giorno di gaudio.
Segue le sue mosse con l’attenzione di un rapace a caccia, e
si rende conto che Filippo, accanto a lei, le sta parlando di qualcosa – non
vede che è in mistica contemplazione di una divinità?! – ma, semplicemente, lo
ignora per seguire i movimenti delle mani abbronzate di Mario, che estraggono una
sigaretta dal pacchetto e la accendono. Malboro, prende nota Gilda. Sia mai che
possa servire.
L’odore del fumo si diffonde nell’aria, e, quando lei
tossisce – principalmente perché si è dimenticata di respirare – Mario le
sorride con quel suo sorriso e si scusa, sposta l’angolazione della cicca per
preservarla dalla sottile voluta grigiastra.
Chissenefrega della levataccia, chissenefrega che stasera
lei e Filippo sono di turno al bar. Gliene fa quattro, cinque, dieci – mah. Ora non
esageriamo – di turni al posto suo, a Filippo, se in cambio le regalerà la
biografia dettagliata della vita del fratello.
Gilda è felice che nessuno possa leggere nell’impenetrabilità
della sua mente, perché se così fosse, quella ridda di pensieri che l’attraversano
come una tempesta solare sarebbe piuttosto imbarazzante da spiegare; e non se
lo sa giustificare neanche lei, cosa ci sia di così affascinante in Mario, se non
tutto, che la attiri a lui come la classica falena.
Niente, è sicura.
È sicura di essere innamorata perché, mentre Mario racconta
qualche aneddoto esilarante sulla bomboletta di Oust che tiene nel taxi per
eliminare l’odore di piedi, arriva lei.
Quella.
Una dea, perché gli dei stanno solo con le dee. Bassina.
Capelli quasi bianchi. Faccia da modella androgina impiastricciata di troppa matita nera.
Uno zaino grigio che fa a pugni col camicione dai colori sgargianti che si è
messa addosso (morirà di caldo anche lei, e la cosa consola il suo cuore
spezzato).
Spezzato, sì, perché Mario la prende per mano, a quella, le carezza il
pollice, e lei, Rossella, fa vedere un sorriso tutto dentini bianchi – un sorriso
simpatico. Simpatico! Perché deve anche essere simpatica! – e niente, è chiaro
che stanno insieme.
Gilda si gira verso Filippo, che annuisce con aria saggia.
Rossella saluta anche lei, ed ha una voce bassissima, strana. Troppo bassa per
essere quella di una femmina, troppo alta per quella di un maschio. Per quanto
ne sa, potrebbe essere parte Veela. [1] Magari, quando si arrabbia diventa brutta (Gilda lo spera).
Che dolore. Come si fa a competere con una così?
Rossella allunga una mano, piccola, dalle dita corte, e
passa in giro i biglietti che, dice, ha comprato in prevendita per tutti. No,
non c’è bisogno di ridarle i soldi.
A Gilda, viene da piangere.
« Vieni, Gilda? » le
domanda Rossella, ancora quel sorriso entusiasta a illuminarla tutta come una lampadina
di Natale, da dietro la pelle del viso. « Figata la maglietta! » esclama poi, e
c’è genuina ammirazione negli occhi cerchiati.
Gilda, che non si sente tanto amichevole, borbotta che l’ha presa all’ultimo live all’Olimpico. Rossella si scioglie di invidia sotto il sole d'agosto, e Gilda pensa, mentre cavalcano la fila contromano, che c’è giustizia nel mondo.
[1]: Si riferisce, ovviamente, alle creature magiche citate in Harry Potter di J.K. Rowling, che somigliano a donne bellissime e che, da arrabbiate, prendono l'aspetto di Arpie.