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Autore: theuncommonreader    03/11/2015    3 recensioni
Il seguito di "Roma, una sera che piove" & "cosmic justice".
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Glielo dice sempre, Filippo, il linguista. Glielo ha detto anche l’altro giorno, mentre dividevano il taxi con Gilda che ronfava sulla spalla di suo fratello, spompata dalla gita ai Musei.
Pioveva, e Dio la mandava, e mai dividere un taxi le sere di pioggia, perché gli pare che la gente diventi un po’ troppo sincera, in quei frangenti.
Come la sera che ha incontrato Ro e lei gli è entrata nel taxi di straforo, e Mario era cotto di lei prima ancora di averla riaccompagnata a casa, tutta mezza affogata di pioggia e con la sua ultima sigaretta tra le labbra.
“Fai schifo quando sei innamorato, Ma.”

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Scritta per l'evento "HalloWeekend 30 ottobre-1 novembre", indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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hell or hallelujah

Titolo: hell or hallelujah

Personaggi: Originali.

Prompt © Alex Lucci, Aris Parcker, Giada Fraccaroli: Originale. Mai condividere un taxi una sera di pioggia; Mario/Ro. La prima volta che Mario la bacia è anche quella volta che Ro lo batte sul tempo; Mario/Ro. Mario non finirebbe mai di vedere le mani di Ro, e di sentire la sua voce rauca. Filippo lo prende in giro per questo, "Fai schifo quando sei innamorato, Ma"; Mario/Ro, dal pov di Ro la prima volta che in pubblico Mario l'ha baciata; Mario/Ro. Una notte passata a parlare di tutto e niente.

OoOoOoO

La voce femminile che annuncia l’ennesimo treno in partenza, gracchiando dagli altoparlanti, copre gli ultimi saluti che Mario rivolge al fratello che se ne va. Gilda è già dentro, che rivolge occhiate adoranti oltre il finestrino del vagone di seconda classe.

Con una lieve pacca sulla spalla, Mario lascia andare Filippo, che raggiunge l’amica e prende posto accanto a lei; ma Gilda non sembra badargli molto, i graziosi occhi scuri puntati su Mario, che lo divorano un'ultima volta come stesse partendo per il fronte.

Ro non ci fa troppo caso. Non riesce a provare una reale gelosia per quella ragazza, carina in quel modo peculiare che le ha ispirato simpatia dal primo momento. Infagottata in quella maglietta dei Muse che tanto le invidia, Gilda è troppo genuinamente trasparente per poterle volere male. Senza filtri.

Forse, Ro le invidia più questo tratto che non la maglietta.

E le invidia quello che c’è sotto.

Mario si volta verso di lei, sorridendo il suo sorriso tranquillo, che di solito le provoca sempre una gran sensazione di… sollievo. Ma, questa volta, Ro con lo sguardo cerca dietro quel sorriso una traccia di disagio.

Perché sa che l’ha vista.

E allora, si asciuga le mani sudate sui jeans, e aspetta che lui percorra quei due passi che li separano, avvicinandosi alla panchina dove lei siede. Con l’aria di non avere alcuna fretta, Mario le crolla vicino con un sospiro, e l’aria soddisfatta di chi ha fatto i compiti a casa - ma anche un pelo triste.

Ro vorrebbe allungare una mano e stringere la sua, ma non sa bene come reagirebbe, cosa si nasconda dietro quella che potrebbe essere solo una facciata di placidità. Mario sembra sempre così, come se non avesse un problema al mondo, e niente lo mettesse mai in difficoltà.

Le prende lui la mano, e la stringe, carezzandole il pollice come ha preso a fare ultimamente – un piccolo gesto che, a Ro, fa passare brividi fino alla base della spina dorsale.

Tira un filo di vento, caldo, incandescente, che scompiglia il foulard leggero che porta al collo.

La mano di Ro trema un poco, in quella di Mario, e quando lui se ne accorge un’espressione di preoccupazione profonda gli attraversa il viso come una meteora e si schianta sulla linea delle sopracciglia.

 « Ro? »

« … Tu l’hai vista. »

La frase le scappa dalla bocca, breve e concisa come raramente le riesce di essere. Solo che ogni parola sembra grattarle la gola, e la voce è persino più roca del solito.

Mario non fa il finto tonto. E non le lascia la mano.

«  Sì, l’ho vista. »

« E… che cosa ne pensi? », domanda Ro, che distoglie lo sguardo e fissa il binario vuoto di fronte, i pendolari raccolti davanti allo schermo che mostra gli orari del treno. Sente il bisogno di alzarsi e scappare, confondersi tra di loro. Partire.

E anche di restare, e infatti resta, perché Mario le tiene la mano e lei non vuole davvero sciogliersi da quella stretta.

Anche se lui ha visto la sua carta di identità. La foto. La bugia che è scritta sotto, in piccoli caratteri squadrati sulla carta di un bianco sporco.

« Cosa ne penso? »

Ro si azzarda a guardarlo mentre fa quell’espressione che fa sempre, come se ogni quesito fosse la domanda chiusa di un esame e lui dovesse trovare quell’unica risposta, quella giusta. Che si tratti del tempo, o di offrirle la sua opinione su qualunque argomento.

E ce l'ha sempre la risposta giusta, Mario.

« Penso che sei fortunata. Chiunque altro nelle fototessere sembra un deportato. O un trafficante di droga. O che gli sia morta la nonna.  »

 Il respiro torna nei polmoni di Ro così improvvisamente da provocarle una fitta alle costole. Stringe le labbra, che tremolano – sente gli sguardi degli sconosciuti che attendono il prossimo treno, ma non le interessa più scappare tra loro. O se la vedono piangere. 

Quando Mario china il viso per baciarla, Ro sta già posando le labbra sulle sue.

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Quella notte la passano insieme, nel suo buco a Testaccio.

Ro è sdraiata un po’ su di lui, un po’ sul materasso scalcagnato.

Si è levata il foulard, abbandonandolo sul pavimento – miracolosamente pulito, per una volta. 

Mario le passa un dito sul profilo del naso, così delicato; scende lentamente e percorre la curva delle labbra, così graziosa. Più in basso ancora e arriva al mento, piccolo e rotondo; e più giù, sulla colonna del collo, e sfiora lieve la pelle caldissima, sudata perché a Roma d’estate anche di notte pare mezzogiorno.

Il suo polpastrello si arresta sul rigonfiamento lievissimo sulla gola, e continua a sfiorarlo fino a che non sente incresparsi di pelle d’oca.

« Davvero non vuoi sapere nulla? », domanda Ro, e ad ogni parola il pomo d’Adamo sobbalza. Mario lo trova carino.

« Sì, certo. Ma vuoi parlarmene? »

Lei pare rifletterci, socchiude gli occhi pallidi.

« Stasera no. »

« Un’altra sera, allora. » Mario allunga le labbra e le bacia la testa chiara. Sotto le labbra, i capelli sembrano paglia profumata.

La voce di Billy riempie il silenzio. Mario non capisce una parola di inglese – è Filippo il linguista, in famiglia – ma nella musica di Idol ci sente la poesia con la pancia.

« E davvero non sei arrabbiato? »

Ro sembra incapace di stare tranquilla. Mario le carezza un braccio esile, l’altra mano ancora sul suo collo. Gli pare un gesto intimo come se stessero facendo l’amore.

« Arrabbiato, no. Dispiaciuto. » Stringe la presa delle dita per istinto, certo che stia per allontanarsi. « Non per quello che pensi. Pensavo che ti dovresti pure fidare di me, adesso, sai. Però un po’ ti capisco. Non fino in fondo, perché non penso di riuscirci », le confessa, onesto. « Però un po', ecco. »

Vorrebbe essere più bravo, con le parole.

Glielo dice sempre, Filippo, il linguista. Glielo ha detto anche l’altro giorno, mentre dividevano il taxi con Gilda che ronfava sulla spalla di suo fratello, spompata dalla gita ai Musei.

Pioveva che Dio la mandava, e mai dividere un taxi le sere di pioggia, perché gli pare che la gente diventi un po’ troppo sincera, in quei frangenti.

Come la sera che ha incontrato Ro e lei gli è entrata nel taxi di straforo, e Mario era cotto di lei prima ancora di averla riaccompagnata a casa, tutta mezza affogata di pioggia e con la sua ultima sigaretta tra le labbra.

“Fai schifo quando sei innamorato, Ma.”

Lo sa, Mario, eh. Ma cosa ci può fare, se vorrebbe sempre stringere le dita sottili delle mani di Ro, se la sua voce è un po’ come quella di Billy, di cui a volte non capisce tutto, ma capisce abbastanza, e ci sente la poesia con la pancia.

Filippo ha sorriso di lui, con una strafottenza eccessiva per uno che, quella notte, aveva intenzione di dormire sotto il suo tetto; per qualche motivo, ha lanciato un’occhiata a Gilda, che ronfava piano sotto la musica della radio.

“Che posso farci?”, gli ha detto Mario, che non riesce a vergognarsene, in tutta onestà, e si è guardato le mani sul volante e ha immaginato di stringere quelle di Ro nelle sue.

Non gli interessa troppo quello che sta sotto i vestiti di una persona, non gli è interessato mai. Con ragazze, con ragazzi, l’importante è che, quando si levano la maglietta per lui, lo facciano con gioia.

Adesso sta con una ragazza che sta dentro il corpo di un ragazzo. Succede pure questo, a questo mondo.

“Che poi, sai”, ha detto Mario a Filippo, fissando senza astio il macchinone davanti al suo taxi, “Penso ci siano modi peggiori di fare schifo.”

Quando glielo racconta, a Ro, lei ha gli occhi lucidi. Si schiarisce la voce e sbatte le ciclia chiare, e lo stringe un po’ di più.

   
 
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