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Autore: Lou Asakura    23/02/2009    11 recensioni
Le labbra di Ichigo si tesero in un sorriso. «Lo diceva, tua madre, che sei impaziente e testardo proprio come me…».
«Ma io voglio diventare uno shinigami! Adesso!».
Il padre rise e scompigliò i capelli neri del ragazzino. «Lo diventerai, e lo diventerà anche tua sorella, come me e come tua madre. Ma a tempo debito». [...]
«Ehi, papà», disse. «Gara di shunpo fino a casa?»
«Quando vuoi,» rispose lui, ed attese che il figlio fosse partito per seguirlo, qualche secondo dopo, balzando con agilità da un tetto all’altro. Lo superò immediatamente. «Passeranno anni prima che tu riesca a battermi, caro mio!». Disse, mentre schizzava metri in avanti.
«Lo vedremo, papà!», rispose lui, e si portò in avanti, la mente che già correva al giorno successivo ed alla propria nuova vita da studente dell’Accademia.
~Avviso: Nuovi personaggi.
[ Semplice tentativo di immaginare come saranno i pargoli dei nostri bleacher
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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~ Manda avanti il pendolo

 

*

 

- Capitolo 1-

Kurosaki Kaien: Anch'io voglio essere uno shinigami!

 

 

 

 

 

 

«Eh? Cos’hai intenzione di fare, nanetto?!».

Il ragazzino dai capelli neri abbozzò un mezzo sorrisetto angelico. «Picchiarti per bene,» disse, sempre sorridendo. «se tu sei d’accordo, ovviamente».

L’omaccione davanti a lui proruppe in una risata sguaiata, seguito a ruota dai suo degni compari, raggruppati qualche passo dietro quello che doveva essere il capo. «Avete sentito?», chiese, e gli altri risero più forte. Qualcuno fischiò. «Bene, ragazzetto», continuò quello, «penso che tu non sappia chi sono io. E meglio che te lo spieghi, sai, non mi va di picchiare i bambini».

L’altro lo fissò, il sorriso ancora stampato sulle labbra. «Certo, allora. Spiegamelo pure. Posso picchiarti tra qualche minuto».

Gli occhi dell’energumeno si assottigliarono fino a divenire due minuscole fessure. Fece qualche passo verso il ragazzino, che non accennò ad arretrare. «Sono Maeda Katsuo, dell’undicesima compagnia! Ti dice niente il mio nome?».

Il ragazzo scosse il capo. «Nulla»

Un coro di mormorii concitati giunse dalla piccola folla raggruppata alle loro spalle, fattasi all’improvviso più minacciosa.

«Mi dici tu chi saresti, piccoletto?», domandò Maeda, facendo schioccare le dita. «Dai tuoi vestiti, non sembri neppure uno shinigami!».

«Infatti non lo sono».

«Eh…?».

«Posso picchiarti, ora, vero?».

Senza lasciare ad alcuno il tempo di ribattere il ragazzino scattò, in un lampo di capelli neri, andando ad assestare un vigoroso pugno esattamente al centro dello stomaco dell’altro. «Mi hai chiesto il mio nome?», domandò, mentre gli saltava alle spalle con un agile balzo. La piccola folla strabuzzò gli occhi.

Il ragazzino sorrise, compiaciuto. «E’ Kurosaki…»

Con uno scatto, gli piombò davanti e assestò un altro pugno, stavolta in pieno viso. «…Kaien. E’ Kurosaki Kaien!»

Di colpo, i mormorii provenienti dal gruppo alle sue spalle si fecero più concitati. Tutti lo fissarono, un po’ intimoriti, spostando lo sguardo alternativamente da lui all’uomo svenuto sul pavimento. «Kurosaki?», domandò qualcuno, «non sarà mica…».

Non poté continuare. Un attimo dopo, cinque o sei uomini si staccarono dal gruppo e si avventarono minacciosi verso Kaien, che si affrettò a ribattere.

Fu un attimo.

Tutto ciò che videro fu un vortice di bianco, nero e arancione, dopodichè i cinque si ritrovarono a terra senza neppure sapere perché. Quando un’ombra che decisamente non poteva appartenere al ragazzino si stagliò su di loro, sollevarono gli occhi, terrorizzati. Ciò che videro, se è possibile, li spaventò ancora di più. «K-K-K-Kurosaki-Taicho…», mormorò qualcuno, e gli altri trovarono immediatamente conferma ai propri più temuti sospetti.

L’uomo davanti a loro li fissava con sguardo minaccioso, la mano già stretta sull’elsa della spada, la divisa da capitano che ondeggiava al vento. «Via. Ora», sibilò, gelido.

Il gruppo non si mosse, paralizzato dalla paura.

«Ora,» ripeté il capitano, minaccioso, e i cinque schizzarono via più veloci che poterono, scomparendo dietro l’angolo.

Per un attimo ci fu silenzio, spezzato dal rumore di passi ovattati sul marmo del pavimento.

«Kaien», sibilò lo shinigami.

Il bambino sussultò e schizzò via, ricomparendo con uno shunpo su uno dei tetti più vicini e prendendo a saltare da un edificio all’altro senza fermarsi. Almeno, fino a quando non andò violentemente a sbattere contro qualcosa, anzi, qualcuno. Rassegnato, sollevò gli occhi. «Ehm, ciaao, papà».

Lo sguardo duro dell’uomo lo squadrò per un attimo e poi si sciolse di colpo, divenendo seccato, ma non più spaventoso. «Quante volte ti ho detto di non attaccare briga con gli shinigami?», sospirò, esasperato. «E soprattutto, non con quelli più grandi di te?».

«Mille volte, papà».

«E quante volte mi hai obbedito?».

Il bambino sospirò. «Nessuna, papà».

«Bene». Le labbra di Ichigo si tesero in un sorriso. «Almeno ne sei consapevole. Lo diceva, tua madre, che sei impaziente e testardo proprio come me…».

«Ma io voglio diventare uno shinigami! Adesso!».

Il padre rise e scompigliò i capelli neri del ragazzino. «Lo diventerai, e lo diventerà anche tua sorella, come me e come tua madre. Ma a tempo debito».

«Cioè?», piagnucolò lui.

«Cioè, quando avrai completato i tuoi studi all’Accademia. Ricorda che inizi domani».

Sul viso di Kaien comparve un enorme e luminoso sorriso, come tutte le volte nelle quali pensava a ciò che sarebbe accaduto il giorno successivo. L’Accademia per Shinigami: il primo passo per diventare un Dio della Morte abile esattamente come i proprio genitori. All’improvviso, si sentì molto impaziente di tornare a casa e sistemare le proprie cose prima della partenza.

«Ehi, papà», disse. «Gara di shunpo fino a casa?»

«Quando vuoi,» rispose lui, ed attese che il figlio fosse partito per seguirlo, qualche secondo dopo, balzando con agilità da un tetto all’altro. Lo superò immediatamente. «Passeranno anni prima che tu riesca a battermi, caro mio!». Disse, mentre schizzava metri in avanti.

«Lo vedremo, papà!», rispose lui, e si portò in avanti, la mente che già correva al giorno successivo ed alla propria nuova vita da studente dell’Accademia.

 

 

 

 

«Sei pronta, Sora-chan?».

La donna si rivolse alla figlia, ancora impegnata ad accatastare montagne di vestiti, oggetti e altro all’interno della propria valigia. Sora sollevò il capo per un attimo e scrutò la madre, immobile accanto alla porta, dopodichè annuì, piano. «Prontissima», sussurrò, trattenendo a stento la scarica di adrenalina che le pervase il corpo.

Orihime sorrise. «Tuo padre ti ha preparato la divisa. Fatta a mano, come sempre», aggiunse, con una mezza espressione esasperata. «Va da lui e chiedigli di dartela, cosi la metti in valigia».

«Subito!». Sora schizzò fuori dalla stanza, i lunghi capelli blu notte che ondeggiavano dietro di se. Orihime, con un sospiro, la seguì nello studio di suo marito, rigorosamente chiuso a chiave.

«Papaaaaaa’!», sbottò Sora, picchiando i pugni contro la porta chiusa. «La divisa! La divisa per l’accademia! Se non apri, chiedo a Go e Roku di…».

«Alt, alt!». La voce di suo padre, da dietro la porta, la bloccò, e qualche secondo dopo la serratura scattò con un clic. «Mi arrendo. Entra»

La ragazza si precipitò all’interno e squadrò seccata, come ogni volta, le migliaia di diversi archi e frecce appesi alle quattro mura, intervallati di tanto in tanto da teatrali divise bianche. «Il tuo gusto estetico fa schifo come sempre, papà», bofonchiò, senza che lui potesse sentirla.

Infatti, Uryu Ishida era impegnato a scavare in un quello che pareva un baule, alla ricerca disperata di qualcosa. Ne emerse dopo un minuto, stringendo tra le mani qualcosa che Sora, con una piacevole stretta al cuore, riconobbe come un’uniforme per l’accademia. Pochi secondi dopo, però, l’entusiasmo iniziale si spense ed un’ondata di delusione si fece strada dentro di lei.

«Papà», sibilò, «è blu».

Uryu spostò lo sguardo dalla figlia all’uniforme senza capire.

«E’ blu, papà!», ripeté Sora. «All’accademia, la divisa blu è per i ragazzi, mentre quella per le ragazze è rossa, rossa, papà! Mi sembrava di avertelo detto secoli fa!»

«Ehm…». L’espressione di Uryu era passata da confusa a sconvolta. «Ehm… mi dispiace, Sora-chan, ma per farne un’altra ci vorrà del tempo e quindi non credo proprio che tu domani possa and-». Si bloccò di colpo, quando vide gli occhi verdi della figlia farsi lucidi. «No, Sora, scherzavo!».

Si affrettò a tornare al baule, dal quale estrasse in fretta e furia un’altra uniforme, stavolta del colore giusto. «Questa è la tua! Quella mi era… stata richiesta da qualcun altro. Dei clienti speciali,» spiegò, con un mezzo sorriso, e quasi venne trascinato a terra nella foga con cui Sora gli strappò di mano l’uniforme.

«Grazie,» bofonchiò, e si diresse di corsa verso la porta.

«Aspetta!». Il padre la trattenne per un braccio, improvvisamente serio. «Sei sicura? Insomma, vuoi davvero diventare una shinigami?».

Sora sospirò profondamente. «Si, papà, e questa è la mia ultima parola. Non serve domandarmelo ogni dieci secondi. Io-non-voglio-diventare-una-Quincy», sibilò, scandendo ogni sillaba. «Voglio essere una shinigami, come gli zii, e –so che per te sarà terribile scoprirlo-, credo proprio che il nero sia più cool!».

Detto ciò, scomparve oltre la porta, lasciando un allibito Uryu Ishida intento a stringere convulsamente un uniforme del colore errato.

«Neh, Orihime… secondo te cos’ho sbagliato con lei?».

La donna scosse il capo e gli si avvicinò, sorridente, prendendogli l’uniforme blu e posandola su una pila di indumenti. «Non hai sbagliato niente», sussurrò, «forse semplicemente doveva andare cosi».

«Si, ma…».

«Ha tredici anni, Uryu. Se la caverà. E poi… lo sai che non sarà da sola». A quel punto, diede un’occhiata veloce all’uniforme maschile. «E questa, ti converrebbe consegnarla. Ricorda che serve entro domani».

«Si, lo so… vado».

«Ah, Uryu… fa presto, la cena è quasi pronta».

A quel punto, l’espressione del Quincy si fece allarmata. «Non sarà di nuovo marmellata di fagioli rossi, vero?!».

La moglie gli sorrise, improvvisamente diabolica.

 

 

 

 

«Tadaima! Mamma, siamo a casa!»

Seguito a ruota dal padre, Kaien fece il suo ingresso nell’atrio e si fermò un attimo a liberarsi delle scarpe, prima di schizzare spedito verso la cucina. Prima che potesse raggiungerla, tuttavia, venne intercettato da qualcosa di piccolo e giallo che urlava furiosamente qualcosa di simile a: «SIIIGNORINO KAIEEEEEEEN!».

«Zitto, Kon». Seccato, diede una botta in testa al peluche, che schizzò dritto verso il muro, sul quale si schiantò.

«Diavolo, Kon, non fare tutto questo casino ogni santa volta!», sbottò Ichigo, staccando a malavoglia la mod soul dal muro. «Si può sapere perché…». Ma venne interrotto da una vocina proveniente dal piano di sopra, seguita da piccoli passi veloci sulle scale.

«Kon-san! Kon-san, devi ancora prendere il the insieme alle bambole! Dove sei?»

«Na… nascondetemi…», pregò il peluche, e si infilò dentro un grosso vaso. «Io non sono qui, okay?».

«Okay…», acconsentì a malavoglia Kaien, e si eclissò in cucina.

Pochi secondi dopo, la proprietaria della vocina comparve davanti a Ichigo, un grande sorriso ad accenderle gli occhioni blu ed i capelli arancioni stretti in due graziose codine. «Papà!», gridò non appena lo vide, e si precipitò ad abbracciarlo. «Hai fatto tardi, oggi, papà!».

Ichigo rise e la sollevò tra le braccia, accarezzandole intanto i capelli morbidi e profumati di shampoo. «Mi dispiace, Sacchan, ho dovuto recuperare tuo fratello che si era di nuovo cacciato nei guai».

«Ehi!», gridò lui dall’altra stanza, ma la sua voce venne subito coperta da un’altra, una voce femminile improvvisamente irritata. «Ichigo, cos’è che ha combinato Kaien?».

«Ha di nuovo fatto strage di shinigami in giro… come sempre».

Ichigo udì un profondo sospiro proveniente dalla cucina. Entrò, appena in tempo per vedere sua moglie sgridare il ragazzo per l’ennesima volta, lamentandosi intanto di quanto avesse preso dal padre.

«Hmpf,» sbottò, «la prossima volta ci pensi prima e non mi sposi».

Lei gli fece la linguaccia e tornò a cucinare, raggiunta subito da Kon, che si offrì di aiutarla (finì lanciato dritto fuori dalla finestra).

«Papà, fammi scendere», ordinò la bambina tra le braccia di Ichigo, e lui obbedì. Una volta a terra, la piccola si diresse rapida verso Kaien e lo abbracciò, con evidente disappunto di lui.

«Masaki!», urlò, divincolandosi. «Non è un problema se per una volta dimentichi di salutarmi quando torno, sai?»

«Ma io voglio salutarti,» si giustificò lei, sgranando gli occhioni, identici a quelli della madre. «altrimenti poi tu sei triste!». Gli rivolse un enorme sorriso e sgambettò via, all’inseguimento di un ignaro Kon.

Kaien pensò bene di allontanarsi dalla confusione della cucina e, accampando alla scusa di dover preparare le proprie cose, si rinchiuse nella propria stanza. La valigia aperta era appoggiata al letto, ancora semivuota, ed ogni tipo di vestiti riempiva il pavimento. Con un sospiro, Kaien raccolse tutto ed ammassò il vestiario inutile nel vecchio armadio, mentre piegò e ripose attentamente nella valigia ciò che gli sarebbe servito. Quand’ebbe finito, nella valigia c’era posto unicamente per l’uniforme nuova di zecca che lo zio Ishida gli avrebbe consegnato di li a poco. Si concesse un mezzo sorriso soddisfatto, pensando che l’indomani non avrebbe dormito in quella stanza: sarebbe stato lontano da casa e molto più vicino ai propri sogni.

Proprio in quel momento, una vocina allegra e squillante lo chiamò da dietro la porta. «Kaien-chan, la cena!», annunciò, e dopo pochi secondi avvertì i passi veloci ed inconfondibili della sorellina scendere rapidamente le scale.

Kaien diede un’altra occhiata alla sua stanza ed uscì, pronto a godersi l’ultima cena preparata da sua madre.

 

 

 

*

 

Rukia rimase in silenzio a contemplare il nome del proprio maestro inciso sulla pietra scura, sbiadito e quasi scomparso a causa del vento e la pioggia. Accanto alla lapide, un mazzolino di fiori di campo spuntava innocente ed ondeggiava lievemente alla carezza del vento.

La shinigami giunse le mani e pregò qualche attimo, poi accarezzò la pietra fredda col dorso della mano.

«Lo sa, Kaien-dono», sussurrò, mentre il vento le sollevava i capelli accarezzandole il viso. «mio figlio sta diventando sempre più simile all’uomo di cui porta il nome. E’ coraggioso ed impaziente come te, Kaien-dono… e come suo padre. Gli ho dato il tuo nome perché speravo che diventasse coraggioso come te… ed è stato cosi. Proteggilo, te ne prego».

Accarezzò nuovamente la lapide e si allontanò. Qualche metro dopo, venne raggiunta da un’esultante Masaki, che le si attaccò all’hakama saltellando. «Ti ho trovata, mamma, ti ho trovata! Mi ha mandata papà, dice che è ora… ti ho trovata!», ripeté ancora, e Rukia si sentì invadere da un’ondata di tenerezza. Strinse la figlia a se e proseguì con lei fino al limite degli alberi, dove Ichigo e Kaien le attendevano, sorridenti.

Masaki emise un gridolino eccitato e corse avanti, in direzione dell’Accademia, seguita a ruota da un Kaien altrettanto entusiasta e da Kon, ormai totalmente calato nel proprio ruolo di baby-sitter. Rukia li guardò rincorrersi e sorrise, intenerita, quando Ichigo le cinse le spalle.

«Tutto bene?», sussurrò, come sempre dopo le sue visite alla tomba.

«Benissimo», lo rassicurò. «Adesso seguiamoli, prima che si allontanino troppo».

L’Accademia per Shinigami distava venti minuti di cammino. La raggiunsero in fretta, dovendo stare al passo di Kaien e Masaki, decisamente sovreccitati (si chiesero se quest’ultima avesse capito che per lei era ancora presto per frequentare l’Accademia).

«E’ come la ricordavo», sussurrò Rukia, gli occhi sbarrati alla vista dell’enorme cortile che si stendeva a perdita d’occhio, circondato da migliaia di ciliegi, i cui petali rosati turbinavano al vento.

Con uno sguardo accanto a se, notò che gli occhioni nocciola di Kaien erano spalancati almeno quanto i suoi. Un attimo dopo, il bambino afferrò la valigia, diede un abbraccio ai genitori (dovette faticare parecchio per scrollarsi di dosso una piangente Masaki) e, senza smettere di sventolare la mano finché la propria sagoma non fu solo un puntino lontano, corse via.

Ichigo rimase immobile a guardarlo finché anche quel puntino fu scomparso, gli occhi lucidi e le mani strette a pugno. Rukia gli accarezzò la spalla. Guardandola, Ichigo notò che anche gli occhi blu di lei erano lievemente lucidi.

«E’ triste vederlo andare via», sussurrò, e Rukia annuì.

«Ma doveva succedere. Ha tredici anni, Ichigo».

«Ma non è ancora abbastanza…»

«Pronto? Tu lo eri quando è successo, Ichigo? Avevi quindici anni».

Lui sospirò e strinse di più Rukia a se.

«Andrà tutto bene», sussurrò lei stringendogli la mano, e Ichigo annuì.

Poi, improvvisamente ebbe un’idea. «Kon», disse rivolto al peluche, avvolto dall’abbraccio di Masaki. «Seguilo».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Author’s Corner

Dunuque, dunque dunque. Il primo capitolo *O* Non ho riletto l’ultima parte, perciò potrebbero esserci errori di ogni tipo, ma lasciate perdere. Giuro che prima o poi la rileggo e allora correggerò tutto.

A proposito di questi adorabili bambini, che dire? Spero che vi piaccia l’idea, innanzitutto xD. http://deathstrawberry.forumfree.net/?t=37049928 . A questo link trovate i fotomontaggi fatti da me e Hota e le descrizioni dettagliate dei nostri amati pargoli, giusto per farvene un’idea °Q°.

Vado un po’ di fretta, ma vi chiedo di recensire anche solo per dirmi se avete apprezzato l’idea >3<.

Ci sentiamo al prossimo capitolo, che spero davvero arrivi presto <3. E ringrazio chi ha recensito Ikanaide, davvero, vi amo tutti *___________*.

 

Bye,

Lou.

   
 
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