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Autore: QueenShadow    05/11/2015    0 recensioni
Cecilia Foster è una raggazza problematica che vive nel suo mondo isolata da tutti gli altri.
Dopo aver tentato il suicidio decide di trascorrere le suo giornate in un bosco che si trova vicino alla città in cui vive, nel quale lei riesce a trovare la pace.
Ha solo un'amica, Angie Portman; e non è più innamorata del suo ragazzo da tempo, ma non ha il coraggio di lasciarlo.
Una serie di eventi drammatici la porteranno a dover fare una scelta che cambierà per sempre il corso della sua vita.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Era lì, ferma davanti a me.
Mi stava aspettando come sempre.
I suoi occhi così inespressivi mi facevano rabbrividire, e non capivo perché mi cercasse così spesso. 
Ogni notte veniva a trovarmi, mi fissava per ore, sorridendomi.
L'ombra non si avvicinava mai a me. anzi, manteneva sempre le dovute distanze, soprattutto se io, pervasa da un senso di follia, provavo ad avvicinarmi a lei. Se provavo a parlarle, a chiederle cosa volesse da me, lei si limitava a sghignazzare e mi faceva cenno di restare in silenzio ed ascoltare, ma non sentivo nulla. 
A volte restavo lì anche io, aspettando che succedesse qualcosa, mentre altre volte mi giravo e andavo via, percorrendo un lungo corridoio che non portava da nessuna parte.
Ogni volta che mi sembrava di vedere la fine del corridoio mi svegliavo e finiva tutto.



Facevo quel sogno ormai da tempo e non riuscivo a spiegarmi il perché. Cosa stava a significare tutto ciò? L'unica cosa certa era che quel sogno me lo portavo dentro ogni giorno e lo rivivevo ogni notte. Mi stava consumando.
Mi alzavo ogni mattina infastidita e senza alcuna voglia né di fare colazione né di andare a scuola. Controvoglia mi preparavo, uscivo di casa e mi dirigevo verso il luogo infernale.
Ad essere onesti, io non paragonavo la scuola all'inferno per le ore di studio o per l'orario delle lezioni, bensì per le persone che popolavano l'ambiente. innanzitutto la mia era una scuola popolata quasi interamente da ragazze che non facevano altro che parlare di cose frivole come le feste e i trucchi, mentre i pochi ragazzi che si vedevano erano dei completi idioti e neanche si lavavano. Tutti sembravano vivere su un pianeta al quale io non appartenevo né mai sarei potuta diventare parte di esso: troppe cose inutili, troppa stupidità. Non mi sentivo affatto bene con i miei coetanei e loro non si sforzarono mai di aiutarmi ad apprezzarli e a conoscerli. Questo faceva male. Tutti mi giudicavano per i miei modi di fare un po' goffi, perché nonostante io non fossi mai attenta in classe avevo sempre voti alti, perché avevo un gusto strano nel vestire.. 
Sarei stata del tutto sola se non fosse stato per Angie Portman, la mia compagna di banco. Non ho mai capito perché lei mi parlasse considerando che era una delle ragazze più "IN" della scuola. Lei era bella, portava sempre i capelli dorati sciolti sulle spalle, il trucco sempre impeccabile e il profumo sempre in borsa. Lei era simpatica e socievole, aveva sempre la battuta pronta e delle fantastiche storie da raccontare, anche se credo che la maggior parte di fosse inventata.
Quando entravo in classe portando con me il mio alone di negatività lei era sempre lì pronta ad abbracciarmi, ad ascoltarmi raccontarle perla milionesima volta il mio sogno e a confortarmi. Era fantastica.


Entrata in classe a vidi li, seduta sul suo banco, che mi scrutava per bene. Capì subito che c'era qualcosa che non andava e mi venne incontro.
<< Di nuovo quell'incubo? >> mi chiese con occhi dolci.
<< Purtroppo si, non posso farci nulla >> risposi affranta.
Lei mi guardò come se fossi matta, e in realtà cominciavo a credere di esserlo davvero.
<< Sicuramente è colpa di tutti quei brutti film che hai visto, devi smetterla di guardarli >> mi stava sgridando lei.
<< Quei film servono per ricordarmi che i veri mostri sono le persone che mi circondano e non le creature fantastiche >>.
Lei rise.


Entrò la professoressa di spagnolo sbuffando, come al solito. Lei ci odiava, questo era un dato di fatto, ma nessuno capiva perché. Lei era alta poco più di 150 cm, portava i capelli cortissimi ed era anche abbastanza in sovrappeso; la vedevamo tre volte a settimana e non arrivava mai felice. Prendeva la sua borsa firmata e la sbatteva sulla cattedra pensando di incuterci terrore, ma non faceva altro che alimentare le dicerie su di lei e renderle vere.
Pensava di essere una persona autoritaria solo perché poteva ricattarci con i voti e ci guardava dall'alto al basso con aria di superiorità e questo la rendeva ancora più antipatica.
Cominciò a lamentarsi perché avrebbe dovuto interrogarci ma non ne aveva alcuna voglia, quindi decise di farci fare un compito scritto che valesse come orale.
La solita voglia di fare le cose per bene.


Per il resto la giornata passò lenta come al solito, ed io mi distrassi a guardare fuori dalla finestra, osservando il piccolo bosco che si intravedeva oltre la strada in lontananza, il bosco nel quale io mi perdevo ogni giorno, sperando di non ritrovare mai più la via di casa. Ovviamente non era possibile: mi ero persa così tante volte che conoscevo ogni sentiero a memoria, così tanto da non dover neanche fermarmi a pensare. Solo una volta mi era capitato di perdermi sul serio, e vagai e vagai, addentrandomi nella foresta. Ricordo che si fece buio e cominciò a far freddo, ed io non avevo un cappotto abbastanza pesante che potesse riscaldarmi, quindi mi accasciai al suolo aspettando di morire per il freddo, Ricordo che non riuscivo a sentirmi la punte delle dita che avevano anche cambiato colore. Svenni e mi risvegliai in ospedale da sola, neanche mia madre era lì.
Era il periodo più brutto della mia vita. In quel momento solo una persona riuscì a salvarmi dal suicidio: era un ragazzo che era innamorato di me da circa un anno, e mi chiese di dargli la possibilità di aiutarmi. In effetti ci riuscì, ma quando il dolore non fu più così grande capii che non era il ragazzo per me.
Eppure non ebbi mai il coraggio di lasciarlo, tanto che, dopo tre anni, stavamo ancora insieme.
Quando l'amore non c'è si iniziano a vedere i difetti dell'altro. Molte cose mi davano fastidio di lui, non lo sopportavo. A me piaceva leggere, guardare i film, ascoltare la musica, mentre a lui piaceva trascorrere le serate con i suoi amici nei night club a guardare le donne che si toglievano i vestiti a suon di banconote.
Lui non sapeva che io fossi a conoscenza di questa cosa, solo che io lasciavo correre, perché non lo amavo più. 
Mentre Angie pensava che io andassi nel bosco per leggere in tranquillità, la verità era che io andavo lì soprattutto per riflettere, per stare sola, per capire come fare a lasciare quella persona che voleva sposarmi, creare una famiglia con me, che diceva di amarmi e poi mi tradiva ogni notte.

 
Presi lo zaino e mi inoltrai nel bosco.
Percorsi il solito sentiero che costeggiava il fiume ed arrivai al mio albero preferito: un enorme pino che dominava su tutti gli altri. Mi faceva sentire piccola e indifesa, e questa cosa mi piaceva.
Aprii lo zaino e presi la coperta, la stesi a terra con cura e mi ci sdraiai sopra. Cominciai a fissare il cielo, a guardare le nuvole, chiedendomi cosa avrei dovuto fare.
Sapevo che se l'avessi lasciato sarei rimasta sola, ancora più sola di quello che già ero, ma stare con una persona che ero arrivata ad odiare era forse meglio?
I miei pensieri furono interrotti da un rumore di passi. Questo mi fece preoccupare visto che nessuno passava mai di lì.
Mi alzai e mi guardai attorno, cercando di capire da dove provenisse quel rumore.
D'un tratto un ragazzo sbucò fuori dai rami.
Era alto, bello da mozzare il fiato.
Sembrava stesse correndo, ma si fermò appena mi vide. Evidentemente era strano anche per lui incontrare qualcuno lì.
Ci guardammo per qualche istante, poi io tornai ai miei pensieri e lui riprese a correre allontanandosi velocemente da me. 
 
   
 
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