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Autore: piumafantasma    06/11/2015    1 recensioni
Sono sempre stata convinta che quella santa donna di mia nonna conoscesse il maggior numero di persone che un umano possa raggiungere in una vita. Peccato che i compagni di viaggio sono tali solo durante esso; i diari invece rimangono per sempre. E sono quelli la parte migliore. I diari di bordo. Vecchi, consunti, accartocciati, ingialliti ma di un valore inestimabile. Quello che non sapevo è che mia nonna ha sempre intrapreso i suoi viaggi con una logica strabiliante. Una lista. Cose da fare prima di morire. Un titolo alquanto semplice, un significato estremamente complesso.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’inizio


Ero pronta? La domanda, più che lecita direi, mi sovvenne quando vidi arrivare il treno a tutta velocità che iniziò poi a rallentare, ancora e ancora, per poi fermarmisi davanti. Le porte si aprirono. Ero pronta? Poggiai istintivamente un piede sulle scale. La risposta fu quindi estremamente chiara: ero pronta e anche se la mia testa era ancora intenta a trovare tre miliardi di scuse per non partire, il mio corpo era già posato e rilassato sulla poltrona blu del treno.

Non avevo alcun progetto in mente, neanche una distanza da coprire. La parete fittizia del treno era già sufficiente a farmi sentire libera. La consueta voce della signorina che non si sa mai perché, ma è sempre la stessa su qualsiasi treno tu stia viaggiando, poi mi annunciò che sarei arrivata a Verona entro le 5 del pomeriggio. Il viaggio sarebbe quindi partito da lì.

Una mezz’ora dopo mi resi conto di essermi preparata in quelle poche ore per tutto, ma non per l’attesa che avrei dovuto sopportare durante i viaggi. Era stressante non aver nulla da fare per contrastare la mente. Avrei dovuto portarmi un giornale o un quadernino di sudoku, giusto per ammazzare un po’ il tempo, ma ero stata talmente presa dall’organizzazione del tutto da essermene dimenticata. Nella fretta avevo lasciato addirittura i diari della nonna a casa sopra il tavolo, dove li avevo preparati, ma quando ero uscita era già troppo tardi. Per la prima volta nella mia vita sarei stata sincera fino all’ultimo: un viaggio solo in avanti. Se me ne ero dimenticata vuol dire che non mi sarebbero serviti. Poi lo vidi. Un cruciverba stampato sul giornale del signore che nel frattempo aveva preso posto davanti a me. Non potevo fare altro che puntarlo e cercare di leggere le definizioni, impresa alquanto ardua visto che il giornale era capovolto e devo essere sembrata alquanto disperata perché qualche minuto dopo fu lui stesso a cedermi in giornale dicendo che non ci avrebbe fatto niente.

Arrivata a Verona gettai la rivista che tanto avevo agognato e mi fermai un attimo ad osservare quanto fosse meravigliosa in quel momento la città. Tutto di quel luogo mi ricordava Romeo e Giulietta. Qualche anno prima ero stata a vedere nel teatro della mia città la versione musical dell’opera di Shakespeare e, inutile dirlo, ne ero rimasta estasiata. Tutto di quello spettacolo mi era apparso meraviglioso e ritrovarmi in quel momento nel luogo in cui quella storia aveva, nell’immaginazione di Shakespeare, preso parte era entusiasmante. Decisi così di dedicare questa prima giornata alla visita della casa di Giulietta.
C’erano così tanti biglietti e scritte e lettere attaccati sulla parete esterna della casa che dava sul cortile, che i mattoncini ormai non si distinguevano più. Ognuno aveva qualcosa di speciale. Alcuni erano bagnati da lacrime, altri erano strappati o mezzi accartocciati, il prodotto di un momento di rabbia suppongo, altri ancora portavano dei messaggi rassegnati, altri speranzosi. Una sola cosa li rendeva simili. Tutti iniziavano con lo stesso e identico incipit “Cara Giulietta…”. Tutti volevano una spiegazione, un favore, un consiglio, ma quello che in realtà questa gente faceva nello scriverle era semplicemente sfogarsi di tutte le loro preoccupazioni e sofferenze. Quale occasione migliore per lasciare su carta tutto ciò che di quel viaggio mi assillava. Dopo aver preso un foglietto tra quelli che erano offerti, mi sedetti sulla panchina che offriva la migliore visuale sul balcone di Giulietta e pensai e ripensai a tutto quello che avrei potuto scrivere in quelle poche righe. Infine, passata una mezz’ora abbondante, lasciai il post-it attaccato alla parete e lo osservai.

Anche il mio aveva qualcosa di speciale, qualcosa che lo rendeva diverso da tutti gli altri. C’era solo una parola, ripetuta le volte sufficienti a colmare l’intero spazio. Paura. Era questa la parola che avevo scelto, ma credo che nessun’altro avrebbe potuto capire, visto che la successione ininterrotta aveva reso impercepibile l’inizio della parola e la sua fine, restituendone solo una linea ondulata. Non c’era nessuna richiesta nel mio messaggio, ma solo la consapevolezza che avrei lasciato in quel piccolo spazio tutte le mie paure e che avrei proceduto a testa alta.

Il primo giorno era così terminato. Mi ero sistemata molto selvaggiamente in un parco, nel modo più naturale che potesse esistere. Avrei dormito distesa sull’erba con gli occhi fissi al cielo. Milioni di stelle mi avrebbero fatto da ninna nanna e non c’era al mondo nessuno che fosse più in pace di me in quel momento che ricorderò sempre come un momento eterno. 
  
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