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Autore: Luna d Inverno    07/11/2015    2 recensioni
"Guardai nella direzione in cui ci stavamo dirigendo e rimasi senza fiato: davanti a noi si ergeva una costruzione molto simile a una pagoda cinese a tre piani con i muri tinti di bianco, i tetti di tegole rosse e un'enorme goccia bombata color oro in cima.
Sopra alla porta troneggiava un'insegna con scritto a caratteri cubitali “Fairy Tail” mentre più in alto, retto da due colonne verde giada sventolava uno stendardo arancione con quella che sembrava una fatina bianca stilizzata.
Era semplicemente bellissima."
Hei, ciao a tutti, questa è la mia prima storia su questo fandom e ci tengo veramente molto... spero che vi piaccia!
Un bacione
Luna
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gerard, Gray Fullbuster, Luxus Dreher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

«Mamma, sono a casa!» urlai mentre la porta sbatteva alle mie spalle.
Gettai con malagrazia lo zaino blu elettrico sul parquet della sala, per poi guardarmi intorno alla ricerca di qualcuno.
Sentii un gran frastuono provenire dalla cucina e senza pensarci due volte corsi a vedere cosa fosse successo, aprii la porta con cautela e la scena che mi si presentò davanti agli occhi non mi sorprese affatto: mio fratello era disteso sul pavimento sommerso da pentole e padelle di ogni genere, l'armadietto dei bicchieri tremava pericolosamente e qua e là s'intravedevano i cocci dei piatti che non erano sopravvissuti all'uragano Tommaso.
«Mommy, stai bene?» chiesi dolcemente inginocchiandomi al suo fianco per aiutarlo ad alzarsi
«Così così...» mormorò intontito dalla botta, scuotendo debolmente la mano come fanno i bambini.
Lo tirai su e lo feci sedere sul divano sospirando sconsolata, tornai velocemente in cucina per prendere un po'di ghiaccio da mettergli sul bernoccolo che campeggiava sulla sua testa, per poi sprofondare nei cuscini rossi affianco a lui.
Lo osservai bene, stupendomi per l'ennesima volta di quanto fossimo diversi nonostante fossimo fratelli: lui aveva i capelli biondi e gli occhi da cerbiatto castano chiaro, mentre io avevo i capelli nero pece che per una ancora sconosciuta ragione circa a metà della mia schiena perdevano qualsiasi pigmento diventando color platino e gli occhi blu oceano.
Lo vidi prendere un po'di colore:
«Va un po'meglio?»
«Insomma... Mi sono preso una bella botta!» sorrise
«Sei il solito pasticcione! Ma la mamma dov'è?» domandai incuriosita dal fatto che fosse in ritardo... Di solito era una maniaca della puntualità!
«È uscita prima, ha detto che doveva fare delle commissioni, così mi ha chiesto di preparare qualcosa da mangiare, ma ho combinato proprio un bel pasticcio...» mormorò le ultime parole tra sé e sé, con uno sguardo perso, come se fosse su un altro pianeta: questa è forse una delle poche cose che ci accomuna: siamo entrambi due combinaguai sognatori e spesso non ci rendiamo nemmeno conto di quello che facciamo o diciamo.
«Bene, ora che mangiamo?» saltò su come se niente fosse dirigendosi nuovamente verso la cucina
«Mommy! Attento alla...- non finii nemmeno di parlare che mio fratello si schiantò contro la porta in legno che separava le due stanze -...porta!» scoppiai a ridere e mi avviai anch'io, senza però accorgermi della cartella che avevo mollato in mezzo alla stanza, finendo con la faccia spiaccicata sul parquet.
Mi rialzai dolorante sospirando mentre mio fratello continuava a ridere. Eh, no, per noi due non c’era proprio nulla da fare!
 
 
Verso il tardo pomeriggio presi il telefono, le cuffiette per ascoltare la musica, le chiavi di casa e mi preparai ad uscire: visto che tra pochi mesi ci sarebbe stato il ballo di fine anno io e la mia amica Anne avevamo deciso di passare il pomeriggio a girovagare per negozi.
«Mommy, io esco! Avvisa tu la mamma!»
Dalla sua camera arrivò un frastuono assurdo: probabilmente gli era caduto uno di quei mattoni, che lui si ostinava a chiamare libri, con cui aveva riempito la libreria qualche mese prima. Evidentemente studiare filosofia portava ad amare l'essere schiacciati sotto dei tomi giganteschi, soprattutto quando si è degli sbadati come mio fratello
«Ahia!- ridacchiai alla sua imprecazione -Aspetta! Mamma ha detto che volava parlare con entrambi appena tornava a casa! Ha detto che è una cosa importante!»
«Ok!» sbuffai, rimettendo le chiavi al loro posto e affondando tra i cuscini del divano, pensando ad un modo per dire ad Anne che sarei arrivata ritardo (o forse proprio non sarei uscita) senza scatenare la sua furia.
Nemmeno il tempo di aprire whatsapp per avvisare la mia amica che mia madre piombò in casa. Prima ancora di togliersi le scarpe chiamò Tommaso (che neanche a dirlo rotolò per mezza scala perché era scivolato su un foglio) e, dopo averci intimato di sederci, si piazzò sulla poltrona davanti a noi.
Sul suo viso aleggiava un'espressione a metà tra il triste e il serio, gli occhi erano rossi, come se avesse appena pianto, e le mani si stringevano convulsamente sulla gonna nera del tailleur che indossava.
“Prevedo brutte notizie...”
«V-vostro padre-» la voce tremula e appena udibile venne smorzata da un singhiozzo
«Mamma...- mormorò Mommy, mentre le si avvicinava poggiandole una mano sulla spalla, nei suoi occhi aleggiava la stessa tristezza e... comprensione?
“Devo essermi persa qualcosa...”
«Ce la faccio tesoro, non preoccuparti» prese fiato, asciugandosi le lacrime che iniziavano a uscirle dagli occhi.
Vedere una donna così forte come mia madre vacillare non fece altro che aumentare la mia ansia: insomma era sempre stata una donna che affrontava ogni situazione a testa alta... Cosa poteva esserci di così terribile da piegarla in quel modo?
Mi fissò negli occhi e ricominciò a parlare, cercando di mantenere un tono più fermo.
«V-vostro padre ha avuto un incidente sul lavoro» una lampadina si accese nella mia testa. Sbarrai gli occhi. “No. Non è possibile che lui sia...”
Mi voltai nella direzione di mio fratello, sperando di aver capito male, ma lo vidi abbassare gli occhi e scuotere il capo.
Scoppiai in lacrime e mi buttai tra le braccia di quello che rimaneva della mia famiglia.
Non so per quanto restammo nella stessa posizione. Secondi, minuti, ore... Dopo quella notizia per me era come se il tempo si fosse fermato, ma ad un certo punto mamma si alzò e sussurrò, con la voce impastata dal pianto:
«Voglio andarmene da questa città, me lo ricorda troppo... Voglio tornare dove sono nata, in Italia.- alzò lo sguardo su di noi, con un'espressione di scuse dipinta sul volto -Mi spiace farvi perdere tutti gli amici e la vita che vi siete costruiti qui, ma io non ce la faccio...»
«Non preoccuparti mamma- tentai un sorriso, imitata da mio fratello -Tu sei più importante, sono sicura che ci faremo un sacco di amici anche in Italia!»
«Grazie ragazzi...»
«Beh, i miei saggi di filosofia e letteratura non si inscatoleranno da soli e nemmeno tutti i fumetti di Gemma, anche se non credo che riuscirà a farli stare in una sola valigia, insieme ai suoi vestiti... » provò a tirarci su il morale Tommaso
«Non sono fumetti, sono manga, scemo!- replicai piccata -E pensa ai tuoi mattoni, lasciali qui, che farai crollare l'aereo con quel peso disumano!»
«Non sono mattoni! Ma non mi aspetto certo che una buca come te possa capirlo...»
«Si dice baka, tonto! Pensavo avessi guardato abbastanza anime con me da saperlo!»
Il nostro battibecco venne interrotto da una leggera risatina, proveniente da nostra madre.
«Siete così buffi quando litigate- accennò un sorriso e ci abbracciò di nuovo -Grazie di esistere, ragazzi, non so proprio cosa farei senza di voi!»
Stendemmo le labbra in un sorriso a nostra volta e ci incamminammo verso le nostre camere per iniziare a fare lo smistamento pre-trasloco.
 
 
L'aria frizzante di montagna mi pizzicò il naso. La nostra nuova casa aveva l'aspetto di una baita a due piani e si trovava in una posizione abbastanza centrale nella città, anche se definire Livigno città mi sembrava davvero eccessivo, facendo un confronto con Londra.
Rispetto alla frenetica metropoli inglese qui si respirava un clima di calma quasi innaturale e la gente si conosceva tutta, come in un grande paese, dove erano tutti molto gentili e disponibili.
Mi risvegliai dalle mie considerazioni e tornai ad osservare la camera che mi si parava davanti: le pareti erano di un caldo color caramello, ma già progettavo di ridipingerle dei miei colori preferiti, azzurro ghiaccio o blu, mentre il pavimento era di legno molto chiaro.
Si trovava al secondo piano e, dando le spalle alla porta, sulla destra c'era un piccolo balconcino che dava sulla strada, adornato da due vasetti di gerani rosso fuoco.
Il letto, insieme alla scrivania, occupava tutta la parte sinistra della stanza, ed erano separati solo da una piccola libreria pronta ad accogliere libri, manga e cianfrusaglie varie. Sulla parete di fondo spiccava un massiccio armadio a muro e una cassettiera munita di specchio, tutto rigorosamente in legno, mentre al centro della stanza facevano ancora mostra di sé gli scatoloni che non avevo ancora spostato, nonostante fossimo qui da un paio di settimane.
Chissà, forse mamma avrebbe rivisto la sua scelta e saremmo tornati presto a Londra, allora che senso avrebbe avuto svuotare gli scatoloni?
O almeno era quello che speravo.
Io e mio fratello avevamo acconsentito subito alla richiesta di nostra madre: vederla così debole ci aveva spinti ad accettare senza effettivamente realizzare che trasferendoci così lontano da casa avremmo perso tutti i nostri amici e le nostre vite, nonostante le migliori intenzioni.
Fissai ancora un po' le scatole, indecisa sul da farsi, poi sbuffai e ne presi una a caso: vestiti.
Mi avvicinai all'armadio e cominciai a sistemare lo stretto indispensabile per sopravvivere un'altra settimana, quando le mie dita sfiorarono qualcosa di duro e liscio, abbassai lo sguardo e vidi che era una foto scattata quando io e Mommy eravamo piccoli: sullo sfondo c'erano delle montagne innevate, mentre in primo piano c'erano mamma e papà che si abbracciavano, guardando con un sorriso me e mio fratello, seduti su un prato a ridere, attrezzati di pile multicolor giganti e scarponcini.
Probabilmente risaliva a prima del trasferimento di papà a Londra, quando ancora vivevamo qui, anche se io non ricordavo molto di questo posto.
Sfiorai il volto di mio padre attraverso il vetro della cornice
«Ci manchi tanto papà...» sussurrai appoggiando la foto sulla scrivania.
Qualche lacrima traditrice mi solcò le guance, ma le asciugai subito e mi sedetti a gambe incrociate sul balcone, giocherellando distrattamente con il medaglione che portavo al collo.
Ce l'avevo fin dalla nascita e non me ne separavo mai: era di un argento chiarissimo, così chiaro da sembrare platino, aveva la forma di una mezzaluna e sopra vi era inciso il mio nome.
Restai lì finché le palpebre si fecero pesanti.
Diedi un ultimo sguardo al cielo stellato e mi diressi con passo barcollante verso il letto, mi buttai sul materasso senza troppi complimenti e, dopo essermi avvolta nel piumone, sprofondai nel mondo dei sogni.
   
 
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