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Autore: PandorasBox    07/11/2015    2 recensioni
[Glee AU]
Mentre l’osserva allontanarsi –ed è rapito dal suo modo di camminare, quel ancheggiare leggero e quella grazia non programmata- Jason si chiede se sia stata davvero una buona idea iscriversi a quel Glee Club solo per far colpo su di lei.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jason Grace, Jason/Piper, Piper McLean, Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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  • Note
Non so da quanto tempo mi frulla in testa l'idea di questa AU ma so per certo che voglio ringraziare chiunque abbia scritto quel prompt: Jason versione Finn Hudson è una delle cose più belle del mondo e mi ha dato la spinta giusta per scrivere qualcosa su un personaggio che devo ancora imparare ad amare come si deve.
Avevo già pubblicato una parte di questa storia, sì, ma mi sembrava sciocco pubblicare solo poche righe così ho aspettato di aver un po' più di materiale e...eccoci di nuovo qua. Non so se vi siamo mancati.
Non credo ci sia bisogno di troppe spiegazioni per questa storia: se avete visto Glee coglierete alcuni riferimenti, se non lo avete visto leggerete di adolescenti canterini.
Per chiarimenti, critiche, reclami o quant'altro sapete dove trovarmi.
Buona lettura ♥
 



No, I know I'm no Superman 

 


La prima volta in cui ci prova –e fallisce, fallisce miseramente- è un martedì, fuori c’è il sole e lui ha macchiato la sua giacca con l’inchiostro della penna ma non importa.

In quella saletta un po’ squallida («È già tanto che Signor D. ci abbia concesso questa…» ripete il professore almeno ogni cinque minuti, sconsolato) fa tanto caldo, la gente continua a muoversi e lui non li segue, proprio non ce la fa.
La prima volta in cui ci prova e fallisce si pente di aver dato ascolto a sua sorella, perché non bisogna mai e poi mai dare ascolto a chi si veste solo di nero e non parla ma urla, a chi si colora i capelli di blu ed ha gli occhi cerchiati di nero per sembrare alternativa ma poi piange se ascolta MIKA cantare Happy Ending ─ ma forse quello glielo perdona, dopotutto Luke è stato un po’ un testa di cazzo a partire di punto in bianco lasciandola come una scema e poi quella canzone intristisce un po’ anche lui.

Non cambia comunque il fatto che, probabilmente, la ucciderà appena tornato a casa.

Non cambia quando lui inciampa per la terza (o quarta? non ricorda) volta nei suoi piedi e finisce (per la terza o quarta volta) a terra. La sua idea di “far colpo”, probabilmente, era stata sbagliata per i primi sedici anni della sua vita e non credeva che tale concetto implicasse ammaccarsi come nemmeno agli allenamenti di football.

Si rialza in piedi con in corpo più stizza che sangue, rifiutando anche la mano che Frank gli ha allungato –lui è Jason Grace, ha portato la squadra di football alla vittoria per tre anni di seguito, come può non riuscire a ballare?! Tutti sanno ballare!- e Piper McLean lo osserva dalla prima fila, senza battere ciglio, stretta nella sua divisa da cheerleader un po’ macchiata d’erba, e chiede una pausa.

Mentre l’osserva allontanarsi –ed è rapito dal suo modo di camminare, quel ancheggiare leggero e quella grazia non programmata- Jason si chiede se sia stata davvero una buona idea iscriversi a quel Glee Club solo per far colpo su di lei.
 
 
 
 
La quarta volta in cui ci prova è di nuovo martedì, ma stavolta soffia un vento impietoso che continua a tirargli il cappuccio via dalla testa, le fronde degli alberi che fanno da contorno all’aula di scienze si muovono forse un po’ troppo e, se lo sente nelle ossa, quel vento porta danni.

Il professore –che in un attimo di estrema umiltà si è fatto ribattezzare Apollo e poco ci manca che arrivi effettivamente con una cetra, giusto per dare a suo figlio l’ennesimo motivo per cambiare stato, continente e pianeta- è stato anche troppo chiaro: o si presenta alle prove o può salutare i suoi crediti extra.

E a nulla è servito ripetere al Coach che è tutta colpa delle prove se non può partecipare agli allenamenti («Mi dispiace, Cupcake, le regole sono regole, alla terza assenza sei fuori. Farò giocare Dakota al posto tuo.» aveva detto Hedge addentando quel che sembrava un panino): lui è fuori dalla gloria per fare quattro salti –scoordinati, nel suo caso- su un palco.

La quarta volta in cui ci prova, e mette piede in quella saletta ora un po’ meno squallida ma comunque claustrofobica («Una finestra, ci vuole una finestra!» aveva concordato Nico che, di solito, siede nell’ultima fila limitandosi a borbottare ogni volta che qualcuno tira fuori qualche canzone di Lana del Rey o Lady Gaga) Jason è nervoso, affamato e fin troppo stanco. Sua sorella si è dileguata per chissà quale gara di tiro con l’arco ed è rimasto lui a far da balia a sua madre.

In più ha litigato con il Coach, Reyna gli ha fatto ricordare di come lo abbia barbaramente relegato nella friendzone un paio di mesi prima e la sua sensazione di essere nel posto sbagliato è un po’ più forte del solito.

La quarta volta in cui ci prova non prende un passo nemmeno a pagarlo, sbaglia attacco due volte e per poco non rompe il naso a Jackson con una gomitata («Ehi, bro, ad Annabeth servo tutto intero!»). Piper non c’è e forse è un po’ nervoso anche per quello.

 A metà prova si siede nell’angolo più nascosto della sala ad osservare gli altri e, forse per la prima volta in vita sua, si chiede davvero cosa ci faccia lì quel Valdez: non balla, non canta, è solo “quello degli effetti speciali”, effetti che comunque nessuno ha mai visto.

E quando per poco non cade all’indietro, sbilanciandosi sulla sedia perché troppo concentrato in altro, sente che la sua facciata da Superman sta un po’ crollando e la cosa lo manda in bestia perché lui ci ha messo tanto a costruirla, e Leo pare notarlo anche se continua beato ad armeggiare con il suo telefono che emette strani suoni un po’ inquietanti.
«Togli il mantello e respira, Superman, qui puoi essere Clark Kent.» si limita a dirgli, mentre impreca in spagnolo per l’ennesima partita persa a Candy Crush. Non si sono mai davvero parlati, eppure il sorriso che gli rivolge è quello di un vecchio amico e la cosa lo rincuora un po’.
 
Poi Drew entra seguita da Silena che saluta Leo con un cenno della mano ed un bacino («Sta con mio cugino ma tanto so che mi ama» dice, ridendo e ricambiando il saluto) e qualcuno si siede accanto a Jason abbandonandogli lo zaino in braccio, poggiando la testa sulla sua spalla.

«Credo di essere appena stata bandita a vita alle cheerleader.» canticchia allegra Piper, scoccando uno sguardo divertito a Leo e poi a Jason che le ha magnanimamente (quanto involontariamente) prestato la spalla «Ed io e te abbiamo un duetto da provare, Grace.»
 
 
 
 
La quinta volta Jason è pronto a provarci per davvero: ha ripassato i passi a casa e non si è sentito il solito pezzo di legno, li ha provati con la musica e non era poi così male. Quella mattina, prima di andare, anche Talia ha alzato il pollice («Tu dovresti andare a Broadway, fratellino!») e sua madre, che si è stranamente alzata dal letto e sembra anche abbastanza in forma da preparar loro una colazione bruciacchiata, gli ha sorriso incoraggiante.

La quinta volta, il quinto martedì, Jason è pronto a lasciar perdere Superman ed essere Clark Kent, ha infilato gli occhiali nello zaino e si è allacciato per bene le scarpe da ginnastica, ha infilato la felpa ed ha deciso che può permettersi di indossare la sciarpa che sua sorella gli ha regalato per natale (quella di Grifondoro perché, dice Talia, poche sono le persone che se la meritano più di lui) senza sentirsi troppo un nerd un po’ sfigato. Tanto lì, in quel club, sono un po’ tutti nerd sfigati ma a nessuno importa perché è quel che sono e lui si sente, per una volta, davvero a casa. Al diavolo le etichette e lo star dritto con la schiena ed evitare di dire a tutti che ha pianto per il finale di Dawson’s Creek.

«Siamo tutti un po’ “rotti”, qui.» gli aveva confessato Annabeth, qualche giorno prima, continuando a massaggiarsi quella pancia che cominciava a diventare più tonda ed evidente «Però questo è il posto in cui ci aggiustiamo a vicenda, in cui un po’ ce lo dimentichiamo. Qui non devi essere il quarterback, ci basta che tu sia Jason e che eviti di smontare Percy a gomitate.» aveva concluso, ridacchiando e scoccando un’occhiata complice a Piper.

Il quinto martedì c’è ancora quel vento che porta guai ma Jason non lo ascolta: anche oggi salterà gli allenamenti e che il Coach faccia quel che vuole del suo posto, forse non gli importa, al momento ha bisogno di sentirsi un po’ aggiustato e cantare con Piper che gli ha promesso un caffè a fine prove.
 
Il quinto martedì, la quinta volta, mentre lui cerca di essere solo il sedicenne Jason, sua madre sta male e lui deve tornare un supereroe. Perché Talia sta cercando di costruirsi la sua vita lontana da quella casa così bella ed ordinata solo ad un occhio esterno, in cui è sempre stata lei la vera figura portante, in cui entrambi se la sono sempre dovuti cavare da soli. Perché ora non può chiamare Reyna, lei non ha più nessun obbligo nei suoi confronti. Perché si rende conto di non avere dei veri e propri amici perché li ha sempre allontanati, perché lui e sua sorella si sono sempre bastati ma ora Talia non c’è e lui non può certo chiamare quei ragazzi che conosce da poco più di un mese.

Il quinto martedì Jason è pronto, ha ripassato i passi e non si sente il solito pezzo di legno: avvolto nella sua sciarpa di Grifondoro, però, salta le prove, spegne il cellulare senza leggere i messaggi di Piper e torna Superman.

Anche stavolta Jason può aspettare.
   
 
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