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Autore: _sonder    07/11/2015    1 recensioni
(Sci-Fi AU; istruttore!Sou; comandante!Rin) SouRin
L'ultimo porto delle colonie umane sta per essere invaso dalle forze aliene. Quanto si è disposti a sacrificare in nome dell'amore?
| Partecipa al contest The Perks of Being in a Relationship, indetto da Stareem sul forum di EFP. |
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Rin Matsuoka, Sosuke Yamazaki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nickname (EFP e forum se diversi): _sonder/_Sonder
Titolo: (Ir)reale
Fandom: Free!
Personaggi/Pairing: Sousuke Yamazaki, Rin Matsuoka; SouRin
Generi: Drammatico, Angst, Sentimentale
Avvertimenti: AU
Rating: Arancione
Prompt (se scelti): Osservare qualcuno dormire; Guardare la città dall'alto; Distanza insuperabile; Inganno
Introduzione: (Sci-Fi AU; istruttore!Sou; comandante!Rin) L'ultimo porto delle colonie umane sta per essere invaso dalle forze aliene. Quanto si è disposti a sacrificare in nome dell'amore?
Note: Un brutto esperimento riuscito male, di cui mi vergogno dal più profondo del cuore, in sostanza. D:
| Partecipa al contest The perks of being in a relationship, indetto da Stareem sul forum di EFP. |



Ir-reale


Il primo boato risuonò come il ruggito di un animale morente: gonfio di orgoglio, latrava il suo ultimo verso da guerriero; così, le torri difensive si sgretolarono e caracollarono su se stesse, fra macerie di ferro e plastica sintetica. Sōsuke osservava i pennoni afflosciarsi e cadere in uno sbuffo di fumo: alla vista del manto di detriti e polveri, strinse il pugno e provò il bisogno impellente di respirare a pieni polmoni, mentre un alone grigio si allargava nel cielo in fiamme. Rin, al suo fianco, contemplava la Città di Pietra rovinare sotto il piede dell'invasore: le lacrime si erano già gonfiate agli angoli degli occhi e sgorgavano fra un tentativo e l'altro di nasconderle al suo compagno.
Il monumento al Consigliere Matsuoka tremò e piombò in uno dei crateri, inabissando la punta dorata nel terreno. Come dune di sabbia, le piane si sfaldavano e aprivano la bocca per accogliere i residui del Fronte Umano.
I due soli nel cielo erano offuscati dal fuoco appiccato dalla flotta nemici; i sensori di difesa emisero un lamento meccanico prima di crepitare e disattivarsi e l'ambiente apparve più spento e spoglio. Della metropoli rimanevano un loculo di sporcizia e le frustate inclementi del vento.

Rin batté il pugno contro la vetrata del belvedere, all'interno del quartier generale. La moquette rossa si srotolava lungo tutto il perimetro: una lingua assetata. Il comandante spalancò le palpebre, disarmato dall'impotenza di non avere mezzi per reagire alle offensive aliene. Perdere il riconoscimento tributato a suo padre fu come tradirlo, pugnalarlo alla schiena e assistere alla sua agonia. Non sapeva con quali parole avrebbe affrontato Gou, né come avrebbe difeso ciò che restava delle colonie umane. I capelli gli scivolarono sulle tempie e ripararono il viso dallo sguardo di Sōsuke. Si ostinava ad assistere alla distruzione della sua base, il peso delle responsabilità nel petto e una mano stretta alla tuta da combattimento. Abbandonò il tessuto per trovare conforto sulla pelle dell'altro e la morsa delle dita intrecciò la loro solitudine nel silenzio della città fantasma.

Sōsuke s'impresse l'immagine di ciò che avevano costruito e la conclusione di un'era; nelle iridi, il riflesso dell'incendio non abbagliava quanto la persistenza dei ricordi e il miraggio di giorni spensierati, con l'unica preoccupazione di adempiere il proprio lavoro. Restava diritto, come un pilastro intestardito e già usurato dal tempo, portando sulle spalle l'eredità delle memorie e il significato amaro della sconfitta. Mosse un passo e le sue dita divennero un ventaglio con cui proteggere il partner e sottrarlo al panorama.
Sentì le ciglia di Rin abbandonarsi al suo tocco e i singhiozzi, che non riusciva più a controllare, riempire la sala, a causa dell'ennesima esplosione. Lo abbracciò da dietro e il palmo si aprì sul petto per strappargli il cuore da quella vista.
Chinò il viso, affondandolo nella spalla di Rin, e colse il sudore e l'essenza del dopobarba che velava il suo collo. Sorrise, notando che le vecchie abitudini non cambiavano neanche alla fine della galassia, così come l'avevano conosciuta. Gli carezzò il mento e lo rivolse verso di sé, con un ruvido gesto d'intesa. Le labbra sfiorarono la pelle del viso e baciarono le lacrime, catturandole con tocchi leggeri.

— Ricorda, — sussurrò, assaggiando il profilo dell'orecchio, — tu ci vendicherai... ci darai un luogo dove vivere. E io sarò con te.
Udì la sua voce incrinarsi e vide gli occhi accendersi di speranza, allagarsi a quelle semplici parole. Avevano il colore di una nuova alba, pensò Sōsuke; potevano cadere le postazioni e spezzarsi le trincee, ma quello sguardo ferito, dove albergava l'orgoglio di una creatura incapace di arrendersi, gli infondeva il desiderio di vivere e lottare per il sogno di entrambi.

***


La sera dell'assedio giunse nel sordo silenzio delle camere pressurizzate: l'aria pesante e un leggero ronzio di sottofondo dominavano le stanze del palazzo bianco. Ricalcava l'opulenza del marmo, ma era l'abbaglio di una tecnologia che desiderava illudere e dare fattezze privilegiate a una razza ormai arretrata e in declino. Il passato degli uomini riluceva e bruciava come una stella pronta a spegnersi.

Erano esausti. Gli scudi avevano retto alle prime cariche di sfondamento. Dabbasso, il cuore della città era collassato: esploso tra ondate nere di nemici, resisteva ancora, traballando sotto i colpi di sciami di navette, che volavano sulle rovine come mosche impazzite. Non sarebbero fuggiti e tanto valeva godere delle ore di tregua e prepararsi al prossimo attacco.
Rin si lasciò andare sulla brandina, portando il braccio dietro la nuca. Pensava alla sorella e agli amici lontani, spediti in capsule criogeniche alla volta di pianeti più sicuri. Il salto li avrebbe condotti in una linea temporale diversa e ogni comunicazione avrebbe dilatato il proprio percorso, fino all'impossibilità di vedersi per ologramma e di viversi. Serrò le labbra e i denti aguzzi morsero nervosamente la carne. Restò immobile, in quel silenzio che acquistava spazio e gli spaccava la bocca in piccole crepe.

— Se la caveranno.
Le parole di Sōsuke spezzarono l'apprensione e colpirono al nocciolo della questione. Neanche lo guardava in viso, perché i suoi occhi puntavano i due soli, l'uno l'ombra nera dell'altro. E Rin intuì il paragone, ma tacque e il suo sguardo brillò, finché una linea scura non lo pervase di nuovo.
Fra loro, c'era questo filo ben teso di comprensione reciproca, capace di togliere pensieri e parole di bocca al partner; dall'altro, il filo si tendeva fino a logorarsi, alimentando la distanza di entrambi e spesso relegandoli all'isolamento, pur di mantenere una certa libertà dalla loro lunghezza d'onda. Non avevano altro che se stessi e la capacità di afferrarsi a vicenda; eppure, cogliere ogni cosa poteva tradursi in un'abitudine soffocante.

Sōsuke si avvicinò, la visiera di dati programmati ben calcata sulla fronte, in abbinamento al colore dei propri occhi. Si accomodò alle spalle di Rin e posò un dito sul suo fianco e risalì sino a scoprire il collo. Le labbra si adagiarono sulla pelle, assaporandola con movimenti lenti della lingua. Aderì alla carne, finché il partner non fu scosso da un brivido; provò il piacere di appartenergli, di essere suo senza la necessità delle parole. Ricordava, infatti, quanto abbaiasse di gelosia in passato; e le occhiate torve che infierivano su quanti posassero con insolenza lo sguardo sul comandante Matsuoka. Ora che le sere si erano assottigliate come fiammiferi in fase di blackout, godere di un abbraccio o di un bacio lo travolgeva e diveniva un dono per nulla scontato. Era un'ondata tiepida, che gli rammentava cosa significasse essere umani, completi.
Senza rendersene conto, avvolse Rin e spostò il peso su di lui, con uno scatto brusco, che traboccava di sentimento.

— Sōsuke, sei pesante!
La stretta non si allentò: un sorriso si allargò sulla bocca del ragazzo, mentre Rin protestava tra borbottii e un imbarazzo prepotente che gli colorava le guance.

Sembrava che stessero aspettando di morire assieme, il petto schiacciato contro la schiena della seconda metà, in un incastro chiassoso che contrastava con il degrado esterno.
— Quella volta... me l'hai fatta sotto il naso.

Rin ascoltò la sua risata sommessa: dolce e atipica per un ragazzo di quella stazza; stonata per un membro della flotta. Le etichette e le aspettative del popolo sottraevano umanità ai suoi elementi: erano soltanto braccia che sorreggevano un fucile a fotoni, risorse impiegate per trarne vantaggio; ridere della vita non rientrava nelle loro mansioni.
Strofinò la guancia sul cuscino, avvertendo un moto di gioia che gli pungeva le gote e lo istigava a curvare le labbra in alto; non era soltanto il calore emanato da Sōsuke, che lo rallegrava; si trattava della consapevolezza di essere assieme, com'era stato dopo l'arruolamento nelle forze della Resistenza.
Braccato in quell'abbraccio, si percepì integro, capace di tenere quelle mani con sé e superare la notte.

— Uhm? — chiese, per provocarlo un po' e istigarlo a continuare.
— Sto parlando della volta in cui hai comprato petali di contrabbando dalla fazione terrestre...
Incrociò gli occhi di Sōsuke, lucidi al ricordo della giornata nella Fontana dell'Alleanza. Avevano nuotato sotto una pioggia di petali di ciliegio, diffusi dal filtro dell'aria.
— Tu, piuttosto, ti sei perso nel primo livello... nella zona delle reclute femminili, — lo rimbrottò Rin, — e le ragazze erano entusiaste del loro istruttore in costume!
Scoppiò a ridere e Sōsuke, per vendicarsi, si approfittò dei suoi fianchi e prese a solleticargli la pelle.
Quei giorni erano sepolti da una coltre di sabbia; remoti come il pianeta azzurro che si affacciava nell'atmosfera.
— Hai... rimpianti, Sōsuke?
Le molle cigolarono. Rin avvertì un'ombra spiovere sul capo e sovrastarlo. Notò la fermezza negli occhi chiari e, dopo un primo momento di sfida, sviò lo sguardo e sospirò, senza dargli la soddisfazione di averlo persuaso a tacere. Allungò le dita, sino a immergerle fra i ciuffi corti di Sōsuke. Smorzò la barriera dei sensori per scrutarlo in volto e annodò le dita alla sua tuta artificiale, attirandolo a sé per un bacio.
Ansimò, come trovando pace nel suo respiro, nella sua carne calda. E la morte si appiattì in un angolo, come un incubo di un'altra orbita, e non edera marcia, che s'inerpicava sulle mura del Centro Coloni per strozzarli nell'illusione di una tregua.

***


Quando carezzava il suo corpo nudo, Sōsuke aveva la sensazione di essere un prolungamento, un'altra traccia di Rin; nel suo sguardo affiorava la malinconia di scoprirsi separato, perché percepiva la distanza fra loro, persino ora che giacevano assieme. E, in cuor suo, desiderava vincerla, ma una presa salda non sarebbe bastata a sanare la sua insicurezza; né le sue braccia avrebbero potuto garantire la sicurezza di Rin.

Col cuore diviso, muoveva il dorso della mano dai capelli alla guancia: la pelle tiepida fremeva e si rilassava sotto il tocco delicato. Nel sonno, era diverso: la serenità gli distendeva il viso e i piccoli denti aguzzi non erano sporcati da un ghigno di compiacimento né dall'ira. Era un'oasi di tranquillità, scandita dal respiro lento e profondo; il cuore rallentava e il petto si gonfiava e svuotava di sogni.
Sōsuke rideva fra sé e sé del rivolo di saliva che sfuggiva alle labbra di Rin e nel silenzio, come d'abitudine, soleva coglierlo con il pollice e portarlo sulla bocca. Come un animale abituato alla solitudine, lo tratteneva al petto e strusciava le gambe sulle sue, in modo da vegliarlo ed essere un buono scudo. Lo carezzava con lo sguardo un'ultima volta, prima che le ciglia velassero gli occhi di un sonno esausto, dissolvendo in nero il volto del compagno.

Il secondo rombo si avventò d'improvviso sulla struttura. Le navette si schiantavano sulla base ed esplodevano in nuvole piene, percorse dal chiarore del fuoco.
Sōsuke strattonò Rin e lo costrinse a indossare la tuta da difesa. Non riuscendo ad attendere oltre, mentre preparava la sua pistola a raggi termici, lo issò su una spalla e percorse il lungo corridoio. Piazzò delle granate lungo l'ascensore e si diresse alle scale, verso lo spazioporto. L'adrenalina pompava sangue e rendeva indistinte tutte le lamentele di Rin, che strepitava per entrare in azione e colpiva ripetutamente la nuca, il dorso e l'orecchio di Sōsuke.

Lo sguardo esitò di fronte all'immensa voragine del boccaporto. La stazione delle navette non esisteva più: il ponte si tendeva verso il basso, il portellone ancora chiuso e coperto da una barriera mal funzionante. Sōsuke lasciò andare la mano e poi la richiuse, tornando verso la sala di comando con l'animo pesante.

— Mettimi giù. Siamo ancora insieme... — disse Rin, d'un tratto, puntandogli sul naso le nocche, mimando un gesto del loro saluto. L'altro accondiscese e lo aiutò a scendere. Gli permise di fare strada, poiché aveva sbagliato bivio.

I nemici si disposero a ventaglio e un'onda d'urto colpì Sōsuke alla spalla, svelando, sotto uno strato di pelle sintetica, il metallo di un'intelaiatura per protesi.
Rin sgranò gli occhi e attivò i fasci del perimetro di sicurezza; vide un alieno esplodere e un altro decapitato dai raggi, ma la vista traballò per effetto del pianto che gli rigava le guance. Provò una strana sensazione, che lo riportava a episodi poco chiari dei loro trascorsi assieme.

Si precipitò da Sōsuke e lo sorresse, mordendosi le labbra per trattenere il timore di una sua possibile dipartita; l'eco dei battiti lo aveva già imprigionato nel panico. Lo squadrò velocemente, ma l'altro lo spinse nel compartimento e azionò la chiusura automatica.

Rin percosse il vetro, senza riuscire a scuoterlo. Aprì la mano e le labbra supplicarono, gridarono parole che Sōsuke non riusciva ad ascoltare. Le ripeteva anche lui, più compassato, con quel sorriso triste impresso nella carne.
Continuò a carezzarlo dalla barriera che li aveva tenuti a distanza, muti nello stesso mondo; finché l'ultima deflagrazione non aprì la struttura, strappandone i contorni come carta bruciacchiata.

Vide Rin, colpito dal mobilio, e il suo riflesso vacillare e tornare a essere un semplice supporto di simulazione tattile. Ricordò il giorno in cui lo aveva portato con l'inganno, ancora assopito, in una di quelle capsule per il salto interstellare... e le lacrime che erano scese, mentre diceva addio ai suoi giorni lieti, ai petali di ciliegio, all'amore che li aveva uniti e alla speranza che il futuro di Rin fosse migliore; in un'altra epoca, lontano nel tempo e nello spazio, nel vortice roseo di una nebulosa. Ripensò a come gli tremavano le braccia, non infastidite dal peso delle sue membra, alla prospettiva di obbligarlo alla stasi criogenica e di vederlo sparire prima di riuscire a battere le ciglia. Aveva pianto, da solo, marchiando l'immagine del suo viso nella mente, e abbandonando l'idea di assistere alle sue imprese... un passo indietro, come gli aveva accordato in tutti quegli anni.
Aveva ceduto tutta la propria felicità in nome di quella timida speranza: l'avvenire.
Realizzò quanti anni aveva trascorso in compagnia di una memoria integrata a un'intelligenza artificiale, immobile nel contemplare la distruzione, che invadeva il regno delle sue ore serene. Sōsuke raccolse le forze e riaprì il varco, portandosi alle braccia il surrogato, che emetteva qualche lampo e poi perdeva l'immagine di Rin; pensò che stesse conoscendo l'agonia di un essere umano.

— Se questa è la fine... non andrai solo. Io... — si avvicinò al suo orecchio e immaginò un velo roseo a sfiorarli ambedue, — ti...

Fu una pioggia di proiettili a coglierli assieme. Quando il primo alieno scosse con un calcio i suoi resti, Sōsuke reggeva ancora il dispositivo fra le dita.

  
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