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Autore: Ginevra Gwen White    09/11/2015    1 recensioni
- Mi piombate a casa agonizzante e moribondo, dopo che l'ultima volta che vi ho visto è stata mentre cercavate di rapinarmi! Mi dovete almeno una spiegazione su ciò che vi è capitato, non vi pare?
- Beh, non avevo dove altro andare. - rispose Montparnasse. - Probabilmente sei uno dei pochi che non ho ancora minacciato o a cui devo un favore...
(Jehan x Montparnasse)
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jehan, Montparnasse
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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Promessa di neve




N.A. La storia è il sequel di 'Fellow feelings', tuttavia non è indispensabile aver letto il prequel. Spero che possa piacervi e che i personaggi siano abbastanza IC. La dedico alla mia Lolita...




Jehan aveva visto la neve solo due volte nella sua vita.
La prima volta era stata quando non aveva che otto anni. Era stato un gelido autunno, denso di venti e piogge, ma solo pochi giorni prima di Natale la neve aveva fatto la sua comparsa.
Il piccolo Jehan e suo fratello non avevano perso tempo; erano corsi fuori dalla residenza invernale, ridendo e alitandosi nelle mani chiuse a coppa per riscaldarsi. Poi avevano raccolto mucchietti di neve fresca e se li erano lanciati a vicenda, avvertendo per la prima volta il gelo pungente della brina che penetrava fino alle ossa.
Dopo un po', fradici e stremati, si erano abbandonati nel tappeto di neve, agitando braccia e gambe per formare figure di angeli.
Il piccolo Jehan aveva serrato gli occhi e schiuso le labbra rosse, per consentire ai fiocchi leggeri di posarsi sulla sua lingua, come farfalle sfinite che trovavano nido tra i petali di una rosa.
Il ricordo era talmente vivido che il Jehan più grande ebbe l'impressione di avvertire ancora quel sapore granuloso e leggermente zuccherato sulla punta della lingua.
La seconda volta che aveva visto la neve, non era stata in un'occasione altrettanto felice.
Appena due anni più tardi, suo fratello, il suo piccolo Sylvain, era stato portato via dalla scarlattina. Durante il funerale, la neve era scesa irriverente e anche un po' beffarda, confondendosi con le lacrime fredde di Jehan.
Sylvain non c'era più; di lui restava soltanto la figura dell'angelo impressa nella neve di due anni prima, custodita gelosamente nei ricordi del fratello.
Il Jehan più vecchio chiuse gli occhi e una lacrima gli sfuggì dalle lunghe ciglia rosse. Si coprì il volto con le mani. Cercava sempre di non pensarci, ma quando lo faceva una morsa ardente di dolore gli artigliava il petto.
Cercò di ricomporsi e tornò a guardare fuori. Dopo quasi dieci anni, i suoi occhi tornavano a vedere la neve. Nodi leggeri di panna montata aleggiavano flebilmente verso i compagni, già raggruppati sul sentiero.
Seppellì i ricordi nell'angolo più recondito del suo cuore. Non aveva intenzione di piangere.
Non sapeva esattamente quanto tempo avesse passato di fronte la finestra quando vide l'individuo arrancare verso il suo vialetto. Un'ora, un minuto, un secondo? Il cielo era ancora bianco e non dava alcun indizio su che ora potesse essere.
Jehan si alzò di scatto e passò la mano sul vetro coperto di brina. Adesso la figura era più chiara e decisamente non poteva essere frutto della sua immaginazione. Un ragazzo zoppicava verso la sua porta, il capo chino e la mano fortemente premuta sulla spalla.
Sembrava sofferente.
Jehan non ci pensò due volte, si precipitò verso la porta d'ingresso, la aprì e scese di fretta i pochi scalini che lo separavano dal vialetto.
- Vous, là-bas! - chiamò. - Chi siete? - aggiunse, raggiungendo il ragazzo.
Era fradicio e sembrava in ritorno da una guerra. Alzò lo sguardo e Jehan venne investito da una carrellata confusa di ricordi. Un ladro con gli occhi color primavera, una poesia recitata al buio, un bacio sulla mano a fior di labbra.
- M-Montparnasse? - sussurrò Jehan, cauto.
Il ladro tentò di ghignare, ma una smorfia di dolore gli deformò il viso.
- Sorpreso di vedermi... uccellino? - ebbe modo di replicare, poco prima di svenire sul soffice manto di neve. Una rosa di sangue si dipanò dalla sua spalla, tingendo di rosso il bianco baluginante.
Jehan sussultò preoccupato e lo scosse con delicatezza. Constatando che non reagiva, si armò di coraggio, lo prese fra la braccia e con non poca fatica lo condusse dentro casa, chiudendosi la porta alle spalle.

***

Jehan non possedeva che nozioni rudimentali di medicina. I suoi amici lo avevano sempre sollecitato a ragguagliarsi in quel campo, tuttavia il giovane non poteva fare a meno di provare ansia e repulsione ogni volta che vedeva un corpo sofferente o ferito.
Mentre stendeva il corpo esanime di Montparnasse sul materasso della sua stanza, l'angoscia prese sopravvento su di lui. Si sentì profondamente inadatto al compito di curarlo e temeva potesse morire.
Perché era venuto proprio da lui? Che gli era successo? Era grave? Cosa avrebbe fatto se fosse morto lì, sul suo letto?
Il viso languido e disteso di Montparnasse, per un attimo, gli ricordò il volto pallido e senza vita del fratello e un moto di stizza lo fece allontanare dal letto con un sussulto.
Jehan inspirò a fondo per reprimere il suo sconcerto. Doveva avvicinarsi a lui, tagliargli il gilet e la camicia di lino e valutare la gravità della situazione. Non poteva lasciarlo lì a dissanguarsi.  Cosa avrebbe pensato di lui Ippocrate?
Gli toccò delicatamente il gilet e glielo sfilò dalle braccia, prudente nel non muovergli troppo il busto. Sotto, la camicia di lino aveva perso quasi tutto il suo candore, tanto era inzaccherata di sangue.
Jehan sembrava un ragazzo esausto che aveva veduto le profondità della propria paura. Le sue mani tremavano mentre gli lacerava delicatamente il lino con un coltello preso dal cassetto.
Montparnasse mugulò qualcosa e le palpebre ebbero un paio di spasmi, ma non si svegliò.
Finalmente la spalla fu liberata. Una ferita non molto spessa, ma profonda, si stagliò poco sopra l'incontro della clavicola con la spalla. L'aggressore doveva aver puntato al collo, mancandolo di un soffio. Ancora una volta, Jehan si domandò cosa potesse essere successo.
Si sollevò dal capezzale del ladro e prese a riempire d'acqua un catino. Bagnò un drappo al suo interno e lo passò sulla pelle calda e febbriciante di Montparnasse, per ripulirlo dal sangue.
Ben presto, l'acqua del catino divento rosa e poi di un denso color ruggine.
Jehan si stupì della propria compostezza. Adesso che aveva la ferita a portata di sguardo, si accorse che non era mortale. Sicuramente il suo paziente era svenuto per il troppo sangue perso, e non perché fosse in procinto di passare a miglior vita.
Ciò ebbe modo di calmargli non poco i nervi tesi.
Dopo avergli tolto ogni traccia di sangue dal torace, gli operò un'elementare fasciatura con un pezzo di tessuto, avendo cura di stringerla per bene.
Si allontanò per valutare il risultato. La fasciatura girava dalla spalla a sotto il braccio e comprimeva per bene la lesione.
Ecco, adesso sì che Ippocrate sarebbe stato fiero di lui, pensava Jehan.
Mentre il paziente persisteva nel suo sonno, intermezzato da borbotti incomprensibili e palpebre schiuse seppur prive di lucidità, Jehan sedeva su uno sgabello vicino al guanciale e attendeva pazientemente il suo risveglio. Aveva preso una bottiglia di idromele e l'aveva posta sopra il comò. Ricordava vagamente che l'alcol apportava benefici ai malati, ma non sapeva esattamente in che modo.
Proprio quando Jehan, esausto, aveva cominciato a scivolare in un torpore soporifero, un grido sdegnato lo riportò all'erta.
- Hai osato profanare la mia camicia di lino! Sai quanto vale una di quelle? - protestava il ladro, improvvisamente desto e stizzito, rigirandosi fra le mani la camicia che Jehan aveva tagliato per medicarlo.
Il rosso era talmente basito che non riuscì a pronunciare una parola sensata, ma solo frasi sconnesse.
Una mano di Montparnasse salì a toccarsi la fasciatura alla spalla. Per un attimo regnò un silenzio carico di imbarazzo, poi una risata sguaiata da parte del ladro alleggerì l'atmosfera.
- Ti sto prendendo in giro! Andiamo, come potrei mai rimbrottarti dopo tutto quello che hai fatto con le tue manine di fata? - soggiunse Montparnasse con voce un po' rauca. - Davvero, non so come ringraziarti, angioletto.
Jehan chinò il capo, impacciato dalla sua impudenza.
Nel frattempo, Montparnasse lo studiava con interesse. Sebbene non lo vedesse da una mezza dozzina di mesi, i capelli di fuoco non avevano accennato a diminuire il loro colore intenso e scarlatto. Erano esattamente come li ricordava.
- Come state? - domandò Jehan a testa bassa.
- Ho avuto giorni migliori. - Il ladro fece per stringersi nelle spalle, ma si bloccò un attimo prima.
Il giovane poeta alzò nuovamente la testa con più risolutezza, mista a un pizzico di apprensione.
- Perché siete venuto qui, Montparnasse? E in che guai vi siete messo? - domandò, incrociando le braccia. - Certamente quella non è il genere di ferita che si provoca mentre si pelano le patate. - aggiunse sardonico.
Il ladro accennò a una risatina e distolse lo sguardo. - Mi auguravo che potessi guarirmi con una delle tue poesie, uccellino.
Jehan arrossì. - Non sto scherzando! Mi piombate a casa agonizzante e moribondo, dopo che l'ultima volta che vi ho visto è stata mentre cercavate di rapinarmi! Mi dovete almeno una spiegazione su ciò che vi è capitato, non vi pare?
Montparnasse ammutolì e tentò di mettersi in piedi, senza successo; un'intensa fitta di dolore lo rispedì disteso sul materasso. Si pungolò con i gomiti e sollevò il busto.
- Beh, non avevo dove altro andare. - rispose. - Probabilmente sei uno dei pochi che non ho ancora minacciato o a cui devo un favore...
- Molto sagace, davvero.
Jehan si girò di spalle e camminò rigidamente fino alla porta. Montparnasse, quel ladro che aveva visto in una sola occasione in vita sua, pensava davvero di venire lì, senza fornigli alcuna spiegazione? In tal caso, si sbagliava. Non appena fosse guarito, l'avrebbe sbattuto fuori senza troppe cerimonie, intimandogli di non farsi più vedere.
Montparnasse fissò per un attimo la linea delle spalle in tensione del rosso. Poi sbuffò e portò lo sguardo al soffitto, spostandosi con una mano le nere ciocche di capelli arricciati e sudati che gli ricadevano sulla fronte.
Un silenzio carico di risentimento fece da sottofondo ai pensieri animosi di Jehan.
- Ti fidi abbastanza da venire qui ferito e vulnerabile, ma non da raccontarmi cosa ti è capitato. - proruppe lui irritato, dandogli del tu per la prima volta.
- Speravo di far leva sul tuo buon cuore da poeta. - lo sfidò quello.
- Ne ho abbastanza! - Jehan gli diede nuovamente le spalle e abbassò la maniglia, pronto a dirigersi fuori dalla stanza.
Montparnasse sospirò. - Aspetta. - lo chiamò. - Aspetta, resta.
Lui chiuse la porta, ma non si voltò.
Il ladro riportò il busto disteso e alzò lo sguardo. - Ero con la mia banda: Claquesous, Babet e Gueulemer. I miei ragazzi. Un nostro affiliato ci aveva indicato una casa, un'ampia dimora padronale. I proprietari erano via per affari e in casa c'era solo la servitù. Dovevamo solo derubarla e dividere il bottino con il nostro socio. Un lavoro pulito.
Jehan si interrogò su quanto potesse essere pulito un lavoro del genere, ma non lo interruppe. Allontanò la mano dalla maniglia e se la mise in tasca.
- Il cielo era livido e non ci offriva copertura e la maledetta neve ci ostruiva il cammino. Ma siamo riusciti a raggiungere l'ingresso. Siamo entrati, e dentro era buio. Poi hanno cominciato a sbucare fuori da tutte le parti. Omaccioni grossi e pesanti come armadi, armati di tutto punto. Un'imboscata organizzata da uno dei nostri maledetti creditori. Volevano darci una lezione per non aver rispettato le scadenze. Coltelli che volavano, pistole che esplodevano colpi a raffica. Eravamo solo quattro e loro erano almeno una dozzina.
Lo sguardo di Montparnasse era perso nel vuoto. Jehan non poteva fare a meno di fissare il suo petto nudo che si alzava e abbassava con più frenesia.
- Un proiettile ha trapassato la gamba di Claquesous. Un altro ha quasi preso la testa di Babet. Eravamo fin troppo sorpresi per reagire. Nella mia testa avevo solo un pensiero: scappare via di lì. Sono un codardo, lo so. In quel momento, non mi importava un fico secco dei miei amici. Volevo solo salvare la mia pellaccia. - Montparnasse fece una pausa. - Oh, non preoccuparti, so bene cosa sta pensando la tua bella testolina da angioletto. Tu sei un coraggioso rivoluzionario e io un vile ladro senza onore. Ma avresti dovuto essere lì... tutte quelle pistole puntate in testa. In un secondo, avevo già fissato le mie priorità.
- Poi l'ho sentito. Mentre fuggivo illeso dalla zuffa, sgaiattolando via come un topo, ho udito il sibilo mortale di un coltello diretto verso il mio collo. Ho provato a sottrarmi alla sua traiettoria, ma sono stato troppo lento. Mi ha trapassato la spalla per almeno cinque centimentri. Ma non mi importava, perché ormai ero quasi fuori da quella maledetta casa. Sono fuggito e... d'un tratto non avevo più nessuno. Non potevo contare sui miei amici, non sui nostri soci. Dove andare?
Montparnasse unì lo sguardo a quello di Jehan, che lo distolse.
- Sai, è in quel momento che mi sono accorto che nella mia vita sciagurata non ho niente e nessuno. Ho degli abiti discretamente belli e una banda di ladri per amici, ma... posso davvero essere definito amico, dopo averli lasciati là, in balia del loro destino, senza averci pensato due volte? Loro avrebbero fatto lo stesso? I dubbi, i maledetti dubbi che divorano l'anima, Jehan... oh, quelli lì sono bestie.
Scosse la testa, combattuto. - Ero ferito, solo e delirante e non sapevo dove andare. Tutto intorno c'erano queste strambe case di ricconi. Un ambiente che non mi apparteneva. Ho alzato lo sguardo e ho letto 'Rue de Clichy'. E mi sono ricordato del nostro piacevole... - mimò delle virgolette con le dita - interludio. Devi perdonarmi se sono venuto qui a disturbarti, ma la mia povera mente farneticante non ha pensato a niente di... ecco, più consono. - si interruppe - Contento adesso? La spiegazione ti ha soddisfatto? - chiese, sarcastico, evitando ora il suo sguardo.
Jehan si avvicinò imbarazzato. Dopo aver udito l'intera storia, la rabbia di poco prima sembrava parecchio insensata. Dinnanzi a lui, non c'era il ragazzo furbo e gradasso che aveva ostentato di essere, ma un giovane solo e indigente, che aveva bisogno disperatamente di qualcuno che si rapportasse a lui senza secondi fini.
Gli si sedette accanto, esitante. - Mi dispiace, sono stato molto avventato ad aggredirti, ma... - si bloccò - ...ero nel panico e aiutarti mi è costato molto sangue freddo. Non sapevo cosa fare.
- Non preoccuparti, sono un osso duro. E poi sei più carino quando sei arrabbiato.
Jehan si tinse di rosso e cercò di fissare altrove. - Sono lieto che tu ti sia fidato di me. - balbettò goffamente.
Montparnasse sorrise e si protese un po' per prendergli la mano. Il poeta non si ritrasse, ma una potente scarica elettrica gli salì fino alla punta dei capelli, mantenendolo in tensione per tutta la durata del contatto.
Non dissero niente per un po', persi ognuno nei propri pensieri. Jehan guardava il cielo che fuori si oscurava. Aveva smesso di nevicare.
- Ti fa paura la morte? - domandò Jehan.
Il ladro fu colto alla sprovvista, ma annuì. - Dannatamente.
- Sarà strano, ma io sento di non temere la morte. - rispose placido Jehan. - Credo che quando sopraggiungerà, sarò in grado di capirlo prima e accettarlo. D'altronde la morte è la prima clausola del contratto della vita. E non bisogna averne paura. Quando noi ci siamo, la morte non c'è, quando la morte c'è, noi non ci siamo.
Montparnasse lo ascoltava assorto. - Forse più della morte, mi fa paura il non essere ricordato da nessuno.
- Allora devi assicurarti di morire per qualcuno. Non potrebbe dimenticarti nemmeno se lo volesse. Almeno, è quello che farei io. - affermò il rosso.
- Qualcuno in particolare? - domandò cauto il ladro.
Jehan rimase ad occhi chiusi per un momento. Non aveva mai raccontato a nessuno quella storia.
- Mio... mio fratello. - sussurrò infine. - Sarei morto al posto suo, se avessi potuto.
Montparnasse annuì, ma non aprì bocca. Sapeva di averlo fatto addentrare inconsapevolmente in un ricordo doloroso e voleva concedergli un po' di pace.
- Era così giovane. Così... pieno di vita. Sylvain era l'unico in grado di capirmi davvero. - Jehan fissava un punto distante. - Ma lui si è imbarcato nell'unica avventura che non avremmo mai potuto intraprendere insieme.
Soffocò un singhiozzo, strinse brevemente la mano del ladro e si diresse verso la finestra. Il cielo aveva pianto neve, come quel giorno. Ma ciò non gli sembrava più una presa in giro, come gli era parso durante il funerale. Era un omaggio.
Il giovane seduto sul letto non cercò di consolarlo, né di dirgli qualche frase di circostanza. Lo apprezzò molto per questo. Non aveva bisogno di qualcuno che gli facesse capire quanto fosse triste e patetico.  
Il rosso sbatté più volte le palpebre per impedirsi di piangere e tornò sul letto con un sorriso tirato. - Mi dispiace, non ti ho neanche chiesto se desideri una tazza di té o qualcosa da mang...
- Va bene così, grazie.
Avvertendo una tensione nuova nell'aria, il rosso si alzò di scatto. - Allora sarà meglio che ti lasci riposare, sembra che oggi tu abbia avuto una giornataccia. Rimettiti con calma. Buona notte. - disse Jehan tutto di un fiato, e si diresse trafelato verso la porta.
- Jehan...
Il giovane si fermò di scatto. - Sì?
- Resta.
- Cosa?
Montparnasse si alzò a sedere e lo invitò ad avvicinarsi con lo sguardo. - Non andartene. Resta.
Il giovane deglutì e sembrò esitare. Poi espirò, il ladro gli fece spazio e lui si sedette sul materasso. Intorno a loro, l'aria era blu elettrico.
- Grazie per avermelo raccontato. - sussurrò il ragazzo disteso, guardandolo intensamente.
Il rosso chinò la testa, imbarazzato. Sentì che il cuore aveva incominciato a battere a mille. - N-non sei più solo, Montparnasse.
- Jehan...
Il suo nome nella bocca di lui sembrava una misteriosa melodia di altri tempi. Jehan non sollevò il capo fin quando il ladro non gli alzò il mento con due dita. Ora i loro sguardi erano irrimediabilmente attratti l'uno dall'altro. Finalmente il verde poteva perdersi in quel grigio delicato e profondo e nuotare in quelle iridi plumbee senza remora.
Jehan si sentì travolto da quell'intensità, la sentiva palpabile come una presenza fisica. Un filo teso e ardente che li collegava con un impeto travolgente.
Gli occhi di Montparnasse erano carichi di un desiderio tale che il poeta si sentì quasi sopraffatto. La mano del ladro salì sulla sua guancia e la carezzò con una delicatezza che non gli era familiare. Poi lo afferrò per la nuca e lo avvicinò al suo volto. Per un secondo rimasero fronte contro fronte, a ispirare ciascuno il respiro caldo dell'altro.
Fu Jehan, stupendosi per primo della propria iniziativa, ad unire le labbra con le sue, in un dolce bacio. Montparnasse ricambiò impetuosamente, soffocando un sospiro. Come se non avesse aspettato altro dal primo momento in cui l'aveva visto. Con il braccio sano, gli strinse la vita sottile e lo portò disteso con lui. Jehan sentì ribollire la passione nel suo petto.
Il bacio si faceva sempre più travolgente. Il ladro lo indusse a schiudere le labbra e ci si avventò contro quasi con violenza, come un viaggiatore del deserto che beveva l'acqua che anelava dalla fonte più pura.
Fremente, Jehan gli allacciò le braccia intorno al collo, avendo cura di non fargli male. Dentro di sé, un miscuglio irresolubile di emozioni gli vorticava dal cuore al basso ventre.
Il ladro trovò l'orlo della camicia leggera di Jehan e lo sollevò. Il petto nudo e caldo di Montparnasse a contatto con il suo lo entusiasmò.
Ad un primo momento, il poeta si sentì imbarazzato dalle sue stesse reazioni, ma le carezze dolci e delicate dell'altro gli tolsero ogni indugio dalla mente. Nessuno l'aveva mai accarezzato così.
Febbrile di desiderio, Jehan esplorò il corpo di Montparnasse, tastandogli la pelle nuda delle braccia e dell'addome.
Mentre il ladro si muoveva in lui, cercò di stringerlo di più, spasmodicamente, per averlo ancora più vicino.
Montparnasse gli baciava il collo con lentezza esasperante, scendendo giù lungo tutta la curva della spina dorsale. Jehan mugolò in preda all'estasi.
Dopo aver raggiunto il piacere più estremo, Montparnasse si abbandonò disteso accanto a lui. Una delle sue dita giocherellava con i suoi capelli, arricciandoglieli.
Jehan sentiva dentro ancora tutte le emozioni che aveva provato. - Montparnasse...
- Lo so.
Il poeta annuì, grato di non dover dare alcuna spiegazione a quanto era appena successo. In quel momento, si sentiva parte di qualcosa di grande e indissolubile.
- Non è stato un sogno, vero? - chiese ingenuamente il poeta.
- No. Tutto maledettamente reale.
Il rosso trattenne il respiro. - Non sono mai stato così prima. - disse, voltandosi a guardarlo.
- C'è ancora tanto tempo per noi, uccellino. - mormorò enigmatico Montparnasse. - Tanto tempo.

***

Quando se ne andò, il poeta credette davvero che tutto quello fosse stato un sogno.
Un sogno talmente vivido da apparire reale. Sensazioni così intense da poter essere scambiate per vere.
Ma non lo erano, non potevano esserlo, perché di lui non era restato niente, lì.
Niente, a parte una bottiglia di idromele ancora piena, il sapore della primavera ancora sulle labbra e una promessa di neve.
Aspettami.
   
 
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