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Autore: MaiaWarren    11/11/2015    3 recensioni
Maia Warren è una ragazza diciassettenne di Seven Sisters, un quartiere nella periferia di Londra, dove risiede insieme a suo fratello e a sua madre. Maia è cresciuta come un’adolescente introversa e insicura essendo sempre stata vittima di bullismo da parte dei suoi compagni, invidiosi principalmente della sua straordinaria intelligenza. Inoltre ha perso tragicamente suo padre, assassinato in dubbie circostanze, e per questo diffida degli altri ed è spesso paranoica. La sua vita trascorre abbastanza tranquilla cercando di lasciarsi alle spalle il dolore del passato concentrandosi principalmente sulla scuola, sulla famiglia, e passando il tempo con la sua migliore amica, Audrey Lambert, che oltre a starle vicino essendo una dei pochi che l’ha sempre accettata per come è, cerca anche di conquistare il cuore del ragazzo più ambito fra le adolescenti del luogo, Christopher. L’apparente equilibrio che sembra aver finalmente raggiunto nella sua vita, è però destinato a non durare a causa di strani eventi che si verificheranno, a partire dai suoi ambigui sogni, alle visioni, e alla conoscenza della misteriosa Elektra, grazie alla quale comincerà a prendere piena consapevolezza di se stessa e degli uomini delle stelle …
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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«Grazie coach non la deluderò!» Almeno una di noi due poteva cantar vittoria. A momenti mi venne voglia di correr via e andare a far parte del corso di yoga, così nessuno me ne avrebbe fatto una colpa nel caso avessi sbagliato qualche esercizio, e inoltre gli unici effetti collaterali che ne sarebbero scaturiti diversamente da contusioni e fratture, sarebbero potuti essere una grave forma di settarismo o un innato senso di appagamento perfino nel guardare cose come l’orripilante neo in fronte della mia vicina di casa. Il calcio era la mia passione infondo ed ero pure abbastanza portata, ma essendo uno sport di squadra molto competitivo quando mi capitava di sbagliare le mie compagne se la prendevano anche in malo modo e per me era una cosa che proprio non riuscivo a mandar giu, per questo lo scorso anno mi impegnai a stare in panchina più tempo possibile. Speravo come minimo che mi sarebbe stato assegnato un incarico che mi permettesse di avere meno responsabilità possibili.
«La squadra è quasi al completo, credo manchi solo un portiere. Warren che ne dici di ricoprire tu quel ruolo oggi? Tutto sommato le doti fisiche ce l’hai, essendo la ragazza più alta della squadra. Fai conto che sia una prova, mi piacerebbe vedere  prima come te la cavi e se ne sarai all’altezza considerati pure come il portiere ufficiale della squadra Ashburnham. Ecco la tua divisa, ora corri a cambiarti, gli allenamenti cominceranno a breve.» Speravo che fosse uno scherzo. Avevo impiegato anima e corpo nel desiderare che mi fosse assegnato qualcosa di poco valore, che probabilmente mi avrebbe sottratto il maggior numero di responsabilità e Mr Crumpler pensò bene di rovinare le mie aspettative affidandomi l’incarico con forse il maggior numero di oneri da scontare, nel caso avessimo perso. Perfetto, l’anno iniziava davvero male.

Intanto che mi dirigevo verso lo spogliatoio sentii chiamare il mio nome alle spalle. Girandomi vidi che a pronunciarlo fu una ragazza bassa coi capelli corti di un’insolita tinta biondo platino, caratterizzati da una buffa frangia che mia madre definiva in “stile barboncino”, e con un taglio scalato a dir poco bizzarro. In un primo momento mi chiesi cosa volesse quella perfetta sconosciuta da me, ma realizzai più tardi che si trattava di Brianna. Questo mio tipo di disattenzioni erano forse dovute al fatto che passavo davvero così tanto tempo a starmene sulle mie, a tal punto che non riconoscevo nemmeno i volti delle mie compagne di squadra. Ma a me piaceva pensare che era la diretta conseguenza al suo aver rimpiazzato gli occhiali da vista con le lenti a contatto. «Hey Maia, che ruolo ti è stato assegnato alla fine?»
«Molto probabilmente sarò il portiere, ma tutto dipende da come me la caverò in questa partita.» Le risposi seccata. Chissà perchè suonava come se mi stesse prendendo per i fondelli, per qualche inspiegabile ragione.
«Capisco, mi dispiace per te. Tuttavia, dopo questo match potresti anche subentrare a me come nuova incompetente della squadra. Di conseguenza non so quanto sia giusto essere così ipocritamente amareggiata nei tuoi confronti.» Disse accompagnando il tutto con un insopportabile risata stridula. «Chiaramente sto scherzando eh!» Si sbrigò ad aggiungere subito dopo, continuando a ridere in quel modo irritante. Non solo come giocatrice, ma altresì come bugiarda era pietosa. In un certo senso facevo bene a non rammentare la faccia di persone come lei. Provavo una certa pena nel vedere come si era ridotta pur di riuscire a rialzare un briciolo del suo onore in ambito sportivo.
«Le parole vanno pesate in base alla bocca da cui escono.» Giocava in suo sfavore il fatto che era da tempo immemore che avevo imparato a dar importanza alle meschinità altrui proporzionalmente alla stima che provavo nei confronti di chi le pronunciava. Quando trascorri la tua esistenza in contrasto pressappoco con l’intera società qualcosa devi pur imparare per difenderti, di conseguenza se pensava di scalfirmi con così poco, aveva fatto male i suoi calcoli.
Senza aggiungere altro, girai i tacchi e mi allontanai. Come volevasi dimostrare non perse ulteriore tempo nel trovare una degna risposta, e a giudicare dal rumore dei suoi passi pensò bene di allontanarsi anche lei senza proferir parola. Un nemico simile veniva colpito e affondato con poco.

Non appena aprii la porta e misi piede nello spogliatoio, un silenzio tombale cadde in tutta la stanza e mi ritrovai una decina di paia di occhi a fissarmi, nonostante ognuna di loro continuasse comunque a cambiarsi per indossare il proprio completo da calcio. Cercai di fregarmene, andandomi a piazzare nell’unico angolo isolato della stanza, nella speranza di starmene un po’ in tranquillità. Trovato lo spazio che faceva per me, cominciai a tirar fuori dal borsone tutto l’occorrente, ma nonostante davo loro la schiena continuavo lo stesso a percepire le anomali occhiate che insistevano a lanciarmi, seppur io stessa non ricordavo di aver commesso niente di così estroso recentemente. Se non avessi avuto un carattere fondamentalmente calmo e paziente penso che sarei esplosa di li a pochi secondi, con quella brutta aria che tirava. La cosa che maggiormente mi infastidiva era che avrebbero potuto evitare benissimo di fare tutte quelle “cerimonie”, e magari passare subito al dunque nel caso avessero avuto un problema nei miei confronti. E’ vero che ero pur sempre l’ultima persona sulla faccia della Terra con cui poter scambiare quattro chiacchiere, visto il mio completo disinteresse nel dedicarmi alle relazioni interpersonali, ma non mi sarebbe dispiaciuto affatto poter ricevere lo stesso una degna spiegazione a tal proposito.
Quando stavo per finire di infilarmi gli ultimi capi, ci fu in effetti una di loro che si decise a farsi avanti, e come non era difficile immaginare, altri non poteva essere che la mia acerrima nemica, l’incitatrice di tutto questo astio contro di me: Penny. 

CONTINUA CON LA QUINTA PARTE DEL 1° CAPITOLO.
   
 
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