Nickname forum/sito: Giacopinzia17
Fandom: How To Get Away With Murder
Pillola: Blu
Lunghezza: 2518 parole
Numero di storie/eventuale ricordo base: 1 storia, One shot, Ricordo
base 6
Coppia/protagonista: Connor/Oliver
Rating: giallo
Genere: Sentimentale, comico, slice of life
Avvertimenti: Nessuno
Introduzione: Oliver Hampton scopre di essere sieropositivo. La cosa
lo fa star molto male non solo per se stesso, ma per l'immensa paura
che ha di perdere Connor. Tra dubbi, paure e lacrime, vediamo come se
la gestiscono le nostre cinque emozioni che pilotano Oliver.
Note dell'autore: Questa è la mia prima storia nella sezione
HTGAWM,
la mia prima Coliver e prima storia che scrivo dopo un anno e mezzo
di stop. È stato molto difficile mettere nero su bianco la
storia,
specie in così poco tempo, e specie quando non riesci
proprio a
farlo. Di fatti non mi è venuta esattamente come desideravo
e come
si era sviluppata nella mia testa, ma è, spero, un buon modo
per
ricominciare a scrivere e liberarmi di questo maledetto blocco dello
scrittore.
Buona lettura!
Don't be Afraid
«Io
per prima cosa ti costruisco tutte le vie di fuga.
Non voglio
pensare che rimani perché non te ne potevi andare».
Oliver
si infilò immediatamente nel letto una volta a casa.
La sera
calava più velocemente del previsto e il momento del
confronto con
Connor era sempre più vicino.
E lui era sempre più
spaventato.
Strinse forte tra le dita il proprio cuscino per tutto
il tempo, incapace di frenare le lacrime, con un po' d'affanno per il
troppo pianto.
E
difatti, poco dopo, sentì Connor varcare la soglia ed i suoi
occhi
addosso.
Si alzò controvoglia, le lacrime che ancora gli
scorrevano lungo il viso e, tristemente, gli diede la notizia.
«Il
test è risultato positivo».
«Dobbiamo fare qualcosa, sta ripensando a quello», esordì Gioia, cercando di partorire qualche geniale idea.
«Cosa
pretendi che pensi e come vuoi che stia dopo quello che ha
scoperto?», controbatté in maniera sprezzante
Disgusto.
«Forse
ha solo bisogno di piangere...», suggerì sottovoce
Tristezza,
avvicinandosi alla base di comando e prendendo controllo.
La
lasciarono fare per un po', però dopo poco Paura
iniziò a
disperarsi, andando avanti e indietro per la base e, sbraitando,
spostò con poco garbo Tristezza.
«Vi rendete conto di cosa
succederebbe se Connor decidesse di lasciarlo?!»,
gridò, «Oliver
non sopporterebbe una cosa del genere!»
«Suvvia, Paura, non
essere così pessimista! Sono certa che Connor non gli
farebbe mai
una cosa del genere».
«E perché no?», chiese Paura, prendendo
il comando e agitando Oliver.
«Perché lo ama», disse
semplicemente Gioia, «non lo hai capito?»
Paura la guardò.
«Come puoi esserne così certa? Hai visto la faccia
che ha fatto!
Era altrettanto spaventato? E se se ne andasse? Se abbandonasse
Oliver? Ora che più ha bisogno di lui?»
«Ma
non pensarci nemmeno!», lo riprese Gioia, cercando di
spodestarlo.
Paura si mise le mani sul viso, sempre più inquieto
e fu allora che Gioia ne approfittò.
Evocò uno dei ricordi
belli che Oliver aveva con Connor per cercare di confortarlo un po' e
inondare il suo animo con un po' di ottimismo, affinché non
si
abbattesse totalmente e smettesse di piangerla.
«Su, dolce
Oliver, non devi piangere, non vorrai farti vedere con quegli
occhioni dal tuo Connor!», Gioia sorrise e attese con
pazienza che
Oliver si asciugasse le lacrime.
Non
riusciva proprio a smettere di piangere. Si sentiva letteralmente
devastato ed aveva, di nuovo, una tremenda paura di perdere Connor. E
questa volta sarebbe stata colpa sua.
Tutta colpa sua.
Le
lacrime sgorgavano prepotenti dai suoi occhi gonfi e stanchi per
l'infinito pianto.
E non sapeva se piangeva più perché era
risultato sieropositivo o perché, nella sua testa, c'erano
già
milioni di cortometraggi che gli mostravano i più svariati
modi in
cui Connor l'avrebbe abbandonato. Gliel'avrebbe detto? Sarebbe
semplicemente sparito dalla circolazione? L'avrebbe ferito di nuovo
per allontanarlo? Forse era l'occasione giusta per liberarsi di lui?
Il flusso di pensieri continuava a scorrere imperterrito, senza
sosta e senza dargli assolutamente tregua.
Oliver si sentiva
sfinito, ma chiuse piano gli occhi e, con un'estrema lentezza, inizio
ad inspirare ed espirare...
Inspirò ancora ed espirò ancora e
ripeté le due azioni per varie volte, finché non
smise di piangere
e riuscì ad asciugarsi anche gli ultimi residui di lacrime
sul
volto.
Si alzò dal letto, mettendosi le mani tra i capelli e
mordendosi il labbro inferiore, poi sospirò e, una volta
alzatosi,
si diresse verso il bagno.
Si sciacquò più volte la faccia,
liberandosi anche di quel senso di appiccicaticcio dovuto alle
lacrime già versate.
Si fece una lunga doccia, si massaggiò il
collo e cercò di rilassarsi in ogni modo possibile. Gli
capitò di
ripensare alla prima volta in cui lo aveva visto, ad ogni singola
emozione provata quella sera, allo stupore per essere riuscito ad
attrarre un uomo affascinante come Connor.
Non si era mai sentito
alla sua altezza, eppure quel ragazzo aveva la capacità di
non farlo
abbattere più di tanto. Lo faceva sentire bene.
E sentiva
decisamente di amarlo.
Fu proprio in quell'istante, realizzando
per l'ennesima volta che provava un amore inspiegabile per Connor
Walsh, che uscì dal bagno con un asciugamano legato alla
vita.
E
Connor, proprio in quel momento, varcò la soglia di casa
sua. Di
nuovo.
Gli si avvicinò e mordendosi il labbro inferiore in
maniera così sensuale, pur non facendolo di proposito, lo
strinse
forte tra le sue braccia.
E solo in quegli attimi che voleva,
desiderava con tutto se stesso che non finissero mai, si
sentì
finalmente a casa.
«Visto, Paura?», esclamò soddisfatta Gioia, «non c'era proprio nulla da temere!»
Paura
guardò la scena imbambolato e sorpreso, assieme alle altre
emozioni
che circondarono Gioia.
«Lo sapevo! Lo sapevo che non l'avrebbe
abbandonato!», festeggiò Gioia, facendo giravolte
per tutta la
stanza e tornando poi a guardare la scena. «Ne ero
certa!»
«Ci
mancherebbe altro!», sbuffò Rabbia, digrignando i
denti e con le
braccia conserte. «Avete già dimenticato tutti
quello che ha fatto
Connor ad Oliver? Se lo abbandonasse anche adesso...»
Liberò le
braccia e si arrabbiò, facendo per avvicinarsi al pannello
di
comando, ma Gioia glielo impedì.
«Suvvia, Rabbia, è acqua
passata! Connor ora è lì e lo stringe tra le sue
braccia! Non l'ha
abbandonato e non ha di certo intenzione di farlo, sta'
tranquillo!»,
lo rassicurò Gioia.
Dopo un po' di tempo, Connor sciolse quell'abbraccio e guardò negli occhi Oliver.
«Non ti lascio», affermò, «non potrei mai lasciarti solo».
Lo
sguardo di Oliver si illuminò di botto, ma l'emozione
durò poco,
dato che tornò immediatamente la preoccupazione.
«C-Connor...»,
provò a dire, ma le labbra dell'altro furono più
veloci e si
poggiarono sulle sue.
Oliver si sentì stringere con forza e
baciare con altrettanta foga, ma si staccò quasi subito,
senza
godersi nemmeno un minuto di quello.
«Per quanto ti desideri più
di qualunque altra cosa, il sesso sarà off
limits», decise, facendo
un respiro profondo e cercando di calmare gli ormai bollenti spiriti.
«Ma...»,
provò a ribattere Connor, «io ti
voglio!».
Provò a fargli
cambiare idea, ma Oliver non desistette di nessuna maniera.
«Ascolta, Connor», iniziò, «io non voglio che tu ti senta obbligato a rimanere al mio fianco».
Connor storse un po' il naso e prima che potesse proferire parola, Oliver esordì con: «Lo capirei se non lo volessi. Oh Dio, non dico che non ci rimarrei male, probabilmente sarebbe una delle cose più dolorose della mia vita», ammise, «ciononostante non voglio vincolarti a me perché ti amo ed è ciò che voglio io».
«Ma io voglio stare con te, Oliver», ribatté prontamente Connor, scuotendo il capo. «Non voglio assolutamente che ci distacchiamo di nuovo».
Oliver sospirò.
«Okay», disse infine.
Un mese dopo ritornarono più che volentieri alla loro routine. A tutte le loro abitudini che non volevano assolutamente perdere. Oliver non era più costretto a trattenersi ogni qualvolta Connor, svergognato com'era, si denudava dinanzi a lui nella speranza che facessero sesso. Poteva lasciarsi andare liberamente e di questo non poteva che esserne tremendamente felice.
«Tutto
è bene quel che finisce bene, miei cari ragazzi!»,
esclamò ancora
una volta Gioia, consapevole di aver avuto ancora una volta ragione.
«Dovete crederci di più! Non potete abbattervi
così
facilmente!»
«Ah, ma devono proprio farlo davanti a noi?!»,
borbottò Disgusto, sapendo cosa sarebbe successo di
lì a poco. «È
sempre più disgustoso vedere certe cose... un po' di
contegno!»
Gioia
rise a crepapelle.
«È mai possibile che ogni volta che i nostri
Coliver stanno per fare sesso tu sia solo disgustata?», le
sorrise
ancora, «Suvvia, si amano! Si desiderano! Cosa c'è
di disgustoso in
tutto questo?»
Disgusto scosse la testa e si voltò, facendo per
andarsene. «Chiamatemi quando avranno finito!»
Addirittura
Tristezza accennò ad un lieve sorriso, avvicinandosi a
Gioia, che
ricambiò il sorriso e la strinse.
«Non cambierà mai», affermò
Tristezza, dapprima guardando Disgusto, poi guardando negli occhi
Gioia, in attesa di una sua pronta risposta che non tardò ad
arrivare.
«Beh,
è un bene, no?», ricambiò lo sguardo
con molta dolcezza. «Dalle
esperienze si impara e io e te l'abbiamo fatto in prima persona,
sulla nostra pelle».
«Già», sussurrò Tristezza.
«E
abbiamo già capito che c'è bisogno di tutti
quanti noi, esattamente
così come siamo e che non bisogna cambiare niente».
«C'è il
momento giusto per ogni emozione, alla fine, giusto?»,
Tristezza
abbassò gli occhi e sospirò. «Inizio a
sentirmi triste..»
Gioia
rise. «Giusto, Tristezza, giusto».
Alla
fine di tutto, Oliver ritornò a sorridere e i suoi occhi
smisero di
essere gonfi come qualche settimana prima.
Oltre ogni aspettativa,
distruggendo ogni suo minimo timore, ottenne una consapevolezza:
nonostante avesse dato libera scelta a Connor di andarsene, lui aveva
deciso di non fuggire.
Non era scappato, non l'aveva lasciato.
E
questo la diceva lunga sul suo conto, ormai.
Forse era cambiato
davvero. O almeno lo stava facendo.
Forse aveva deciso di
trasferirsi da lui e di fare di tutto proprio per rassicurarlo,
perché consapevole di ciò che era, di come era,
di come
pensava.
Forse aveva fatto tutto quello per lui perché l'amava
esattamente come Oliver amava Connor.
E amore più grande di
quello, ne era certo, non l'aveva mai provato e mai, dopo di Connor,
l'avrebbe sperimentato.
Al dopo, però, nemmeno ci pensava. In
quel dopo, nel suo futuro, ci vedeva e voleva vedere soltanto
lui.
Connor Walsh.
San Valentino
Oliver
aveva trascorso gran parte del pomeriggio a prepararsi. Non sapeva
cosa indossare per quella sera, Connor non gli aveva detto che
intenzioni avesse e lui si era ritrovato come una stupida ragazzina
che trovava l'abito giusto da indossare per il suo primo
appuntamento.
Sbuffò più e più volte,
scombinò e sistemò
l'armadio, ma alla fine optò semplicemente per un jeans
scuro, una
camicia, cravatta, una bella giacca nera sopra e scarpe nere
eleganti.
Praticamente si vestì come suo solito. E alla fine di
tutto si trovò di nuovo a sospirare, rendendosene conto.
Guardò l'orologio e notò che si erano fatte le 19.30. E continuò a guardarlo e si fece sempre più tardi.
19.45.
20.00.
Ma
Connor doveva essere lì alle 19.30.
Provò a telefonarlo e non
ricevette alcuna risposta. Quindi semplicemente attese.
Anche se
non era proprio tutto così... semplice.
«Oh,
no, Oliver, ti prego, non inizia-», Gioia non ebbe nemmeno il
tempo
di concludere la frase che Paura prese il comando.
«E se adesso
lo stesse tradendo di nuovo?!», insinuò Paura,
«E se la storia
stesse per ripetersi? Proprio la sera di San Valentino, ma ci
rendiamo conto?!»
Rimasero un attimo in silenzio.
«E se gli
fosse successo qualcosa? Oh Gesù, quale sarebbe l'opzione
peggiore?»
«Ma Paura, tu sai già cosa fare in queste
occasioni». Gioia ne approfittò per intervenire.
«Devi
semplicemente scrivere tutte le cose negative che potrebbero essergli
accadute su dei fogli, ricordi?»
Paura, ricevuta l'illuminazione,
sorrise lievemente a Gioia: «Hai ragione! Corro subito a
farlo!» e
sparì nella sua stanza.
«Fiuu,
scampato pericolo», disse convinta Gioia, ma Tristezza
fissava lo
schermo ed era pronta a fare qualcosa.
«Tristezza!», urlò,
fermandole le mani e tenendole tra le sue, per impedirle di fare
qualsiasi cosa avesse in mente. «No, non ora, ti prego!
Abbiamo
bisogno che Oliver sia contento! Ottimista! Che non inizi a
deprimersi e abbattersi proprio la sera di San Valentino!»
Un
rumore attirò la loro attenzione e quella di Oliver.
Era Connor.
Si
erano fatte le 20.15 e fu solo a quell'ora che Connor ebbe la decenza
di tornare a casa.
Oliver era seduto sul divano, lo sguardo fisso
sulla porta, braccia conserte, pugni stretti e gambe accavallate. Era
irrequieto e appena lo vide entrare, gli lanciò
un'occhiataccia
truce.
«P-posso... Posso spiegare, Oliver»,
affermò Connor col
fiatone.
E come poteva Oliver non notarlo?
«Scusa, per quale arcano motivo avresti il fiatone? Anzi, per quale ragione saresti corso qua, eh?», lo accusò Oliver, celando tutto il resto della frase, ma lasciandola tranquillamente intendere con il linguaggio del suo corpo.
«Io... io ho fatto un po' tardi», esordì Connor, pronunciando la frase in maniera impacciata.
«Sì,
credimi, questo l'avevo notato», rispose sprezzante Oliver.
«Gli
orologi in casa funzionano ancora e la vista per poter vedere che ora
è non è ancora venuta a mancare».
Connor deglutì e, dopo aver
preso aria, la gettò tutta fuori e gli disse: «Ti
prego, non essere
arrabbiato con me e fammi spiegare...»
«Spiegare
cosa, eh?! Che cosa vorresti spiegare, fammi sentire?! Anzi no,
nemmeno ti faccio parlare!», gridò Rabbia,
spostando di malomodo
Tristezza e Gioia dai comandi e prendendo la situazione in mano.
«Rabbia, per favo-», Gioia venne zittita e
guardò a bocca
aperta Rabbia, poi cercò di pensare più in fretta
possibile – e a
sperare che ci fosse una ragione a dir poco magnifica per questo
ritardo.
«Chi ti credi di essere, tu, per farmi aspettare quasi un'ora?! E vuoi venire qui adesso, in ritardo e pretendi anche di voler spiegare! Vuoi dirgli soltanto altre stronzate?!», digrignò i denti e del fuoco uscì dalla sua testa. «Ti faccio vedere io!»
Oliver
proprio non riusciva a tenere la calma. La posizione era diventata
scomoda, il divano stesso non era più confortevole,
così si alzò
di scatto e si avvicinò pericolosamente a Connor,
intimandogli di
illuminarlo.
«Io...»
«Dai, dillo, la Keating vi ha dato
troppo lavoro extra e bla bla bla?!», sbottò
irritato.
«No, no
che non è questo, Oliver...»
Più arrabbiato di prima, Oliver
gli urlò contro: «Ti sei scopato un altro proprio
il giorno di San
Valentino e non sai come dirmelo?! Eh? E pensare che eri
cambiato!»
«Ma guardalo tu! Lo tratta come se niente fosse!
E non si scompone proprio! Ti faccio vedere io davvero adesso, Connor
Walsh, come osi!», gridò a sua volta Rabbia.
«Oliver!», questa volta fu Connor stesso ad alzare la voce per sovrastare la sua. «Semplicemente stavo preparando una sorpresa per te!»
Tutto
ciò che seguì quell'affermazione fu il silenzio.
Un silenzio
tombale e quasi spaventoso, accompagnato dagli sguardi mezzi
sorpresi, intontiti e ancora un po' arrabbiati di Oliver.
«Sorpresa?»,
sbuffò Rabbia. «Nah, non credergli, Oliver! Ti sta
mentendo e no,
Connor, non ci rammolliremo così!»
«Suvvia, Rabbia, smettila!»,
esclamò spazientita Gioia, spostandolo dai comandi e
impedendo a
chiunque di fare qualcosa. «Vediamo che succede».
Connor
sospirò.
«Sì, la Keating ci ha fatto lavorare molto oggi.
C'era
un nuovo caso molto particolare e delicato e ci ha impegnati per la
maggior parte della giornata. Per cui non ho trovato molto tempo per
finire di preparare quella sorpresa e ho dovuto farlo non appena mi
sono liberato», spiegò più pacatamente
e chinò un po' il capo,
grattandosi dietro la nuca.
«Speravo potesse andare bene almeno
per una volta, ma...», rimase in silenzio, «ti
chiedo semplicemente
scusa per il ritardo».
Oliver rimase imbambolato a guardarlo per
qualche secondo e l'espressione corrucciata che aveva assunto
sparì
in pochi secondi. Si morse forte il labbro inferiore e poi disse
semplicemente: «Scopami».
Connor lo guardò confuso: «E la
sorpresa?»
«Scopami e poi mi dai questa sorpresa,
semplice».
L'altro gli sorrise e mimò un grazie, per poi
accontentarlo subito.
«Ma
è mai possibile che questi due non trovino altri modi per
sfogare la
frustrazione e fare pace?!», si lamentò ancora
Disgusto. «Non se
ne può più».
Di nuovo fu causata un'ilarità generale.
«E
tutto è bene quel che finisce bene... anche questa
volta».
«Bene
per loro, Gioia, non di certo per me», ripeté
Disgusto, andandosene
via come di consueto.